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Maturita’: confine tra spensieratezza e responsabilita’

Torino 22 6 2016.foto Borrelli RomanoDavanti all’attraversamento di corso Principe Oddone (circoscrizione 7)il semaforo scandisce nitidamente i suoi tre colori. In attesa che scatti il verde , che non e’ un “indizio ministeriale” sulle tracce, l’effetto (“siamo tutti politologi” )trascinamento elezioni amministrative mi porta a pensare, (osservando questo posto) a come era e come e’,  ora che si, effettivamente il ‘900 si e’ concluso domenica alle 23, a seggi chiusi e urne aperte. 16 anni dopo l’effettiva conclusione, e in un altro Giubileo. Altra era.  Il trincerone della ferrovia “confine” tra circoscrizioni. La memoria, l’unico luogo in cui le cose si ripetono. Qualcuno ha scritto che il tetmine del 900 sia arrivato 5 anni prima di quanto previsto dal partito guida della nostra citta’. A scuola, in attesa, tra una parola e l’altra, tra lo snocciolare dati e attribuire colpe e responsabilita’ (e perche’ no, irresponsabilita’) ho pensato che le cadute abbiano un’origine temporale precisa, sfuggita a tanti. Una notte d’inverno, gennaio 2011, quando il popolo dei lavoratori davanti Mirafiori venne lasciato in solitudine a decidere di se stesso mediante un referendum. Poteva essere lasciato solo chi non aveva (e non ha ) “dineros ” per mangiare abbracciando invece “il capitale”? No, non stavo pensando a Marx. Pensavo che l’abbandono delle periferie  (descritto in questi giorni, cosi come il tram tre che ciondola da piazza Hermada alle Vallette), abbia origine in quella notte figlia di un’altra notte di fine anni ’90, con leggi annesse alle leggi interinali e liberalizzazioni varie. Periferie abbandonate, solitudine del cittadino, pensioni da fame, case o meglio patrimonio immobiliare lasciato sfitto in attesa di tempi migliori per vendere (o svendere)costruito anche con indebitamento pre -olimpiadi, e triste storia nel venirlo a sapere da quotidiani di informazione, e occupazioni varie senza tenere conto di integrazione diffusa, etnie, ricollocazione, dignita’,  di pensioni da fame e  fine degli ammortizzatori sociali (cassa, mobilita’ e anticamera del licenziamento) in una citta’ che si converte dalla manifattura alla cultura, al terziario. Le politiche, non i politici sono da moduficare.Le politiche: ma come si fa a proprre un’uscita anticipata dal lavoro ad una persona di 60 anni dopo una vita alla catena di montaggio ( un mutuo tetminato per una cada lasciata al figlio disiccupato e referendum Mirafiori si/no alle spalle?). In una Torino ancora…operaia, accendendo un mutuo… a Torino, una citta’ di neanche 900 mila abitanti e di questi 100 mila universitari. Una stanza, un posto letto? Quanto fa?250 euro?Un posto letto?Scherziamo?Ma quando un padre di famiglia con pensione o stipendio ne tira fuori 250 con che cosa vivono ora i due nuovi nuclei? Ma l’istruzione non e’ garantita? Ma dove e’ sta benedetta classe media?Con lo spacchettamento poi del wrlfar: tagli da “su” tagli dal centro, tagli dalle petiferie. Comunicazione: dove fare volantinaggio quando le fabbriche hanno chiuso i battenti per collocarsi altrove? All’uscita dai call center dove fioriscono laureati (quando non escono dall’Italia) a 600 euro al mese spalmati su turni impensabile, cuffie alle orecchie? I circoli o le sezioni poi, che mancano. Italia non ti riconosco, scrive Revelli. Renzi ora  dice di voler ascoltare la gente, bisogna, ma non era lui che “escludeva” col suo “sistema” partiti, sindacati e associazioni varie rivolgendosi direttamente? Bastava partecipare ad un collegio docenti: come si fa a proporre un bonus di 500 euro per alcuni escludendone altri nella stessa comunita’ che si chiama scuola? Ah, con contratto fermo da?8 anni? Il tutto, in un periodo in cui non si puo’ dire nulla perche’ tutti si arrogano patenti varie, mi ha fatto dimenticare la bellezza della giornata odierna: la maturita’, la notte prima degli esami. Il “confine” tra l’eta’della spensieratezza e quella adulta. Pensando al domani. Pensando alle elezioni, di ieri e quelle che verranno. Di quelle del 1946. Della partecipazione, delle donne. E Torino 22 6 2016 foto Borrelli RomanoQualcuno sostiene che ora “sara’ tutta un’altra musica”. Non so. Il popolo e’ sovrano e sceglie.

70 anni Repubblica

20160602_1139522 giugno 2016. Torino si risveglia a festa, con un bel corso. Inghilterra. Nuovo di zecca. Porta Susa, stazione a due passi o…a qualche gradino. Dove c’era banchina e binario il Mercato Metropolitano. Si preparano per il pranzo. A dopo.  Viabilita’ che muta. Parole che evocano acqua e questa non tardera’ ad arrivare. Nel pomeriggio. L’acqua insistentemente si riversa sulla nostra citta’ per un paio di ore buone, come un copione ormai ben  conosciuto da qualche giorno.  Siamo sempre contenti quando il sole splende sulle nostre teste ma spesso scordiamo di sorridergli e non proviamo mai tanto impulso nel guardarlo come quando la luna lo eclissa. Forse siamo troppo “homo videns” a casaccio. Meglio sarebbe tornare al “sapiens”. Prima che tutto abbia inizio (pioggia) i balconi che ho davanti sono un grande palcoscenico dove il silenzio e i gesti parlano comunque. Sono donne, ragazze, tre, quattro, cinque, tutte intente nel raccogliere con grazia i panni stesi. Raccolgono e piegano accuratamente con cura come una scena gia’ vista. Non un uomo. Lego questa scena alla pagina quotidiana del presente e a quella storica di 70 anni fa. Repubblica, una bella signora di 70 anni. In tv Marco (Revelli) scrive e dice di non riconoscerla piu’. Forse si. In tv passano le immagini delle donne nell’intento di raccontare la loro scelta di 70 anni fa. Meravigliose le immagini di quel giorno che cirestituiscono quel loro protagonismo. Poi, immagini di Roma, I giardini del Quirinale, il Presidente della Repubblica, Mattarella.

Intanto ha smesso di piovere. Mi affaccio e osservo, sui balconi: son tornate,  ancora loro, le donne,  a ridistendere i panni precedentemente ritirati, sui balconi.

Buon compleanno cara Repubblica.

Maturità: primi esiti di una musica che continua

DSC01181Maturità. La sedia comincia a sentire l’avvicinarsi del termine e della sua futura solitudine. Anche lei, dopo aver garantito un posto dove riposarsi, andrà a raggiungere  le sue colleghe già collocate in ferie dall’inizio di giugno.  Tra poco sarà maturo il tempo in cui tornerà a far compagnia alle altre, come le foglie d’autunno quando cadono.  Lentamente “escono” i cartelloni con i voti dei primi” licenziati”. M.67, G.60, C. 70, M. 80 e da domani probabilmente leggeremo sui quotidiani le votazioni dei primi maturi “fioriti” in giro per la nostra città. Probabilmente.

Esami di maturità  che proseguono e che riguardano anche gli studenti delle scuole italiane all’estero.  Come ad Instanbul dove molto è doppio. Maturandi sospesi tra Europa, Asia in una  doppia gestione. Ma per restare a noi, la “musica”  dell’esame continua  e i candidati, “cantano” le proprie tesine, anche se ormai, gli appuntamenti lentamente tendono ad  esaurirsi.

Maturità è quando un ragazzo espone la sua tesina sui Beatles e uno dei commissari lo noti intento a vedere il filmato e gustare la musica di sottofondo, il tutto mentre   muove soddisfatto la pianta del piede.  Sicuramente avrebbe voluto esprime la sua felicità e la sua contentezza in altro modo.  Quel piede raccontava tutta una voglia di togliersi quel gesso di dosso, posato appena oltre le sue spalle, in attesa di settembre, o forse, o solo  di riappropriarsi  di quelli che sono stati i suoi anni. In ogni caso, quella tesina è piaciuta, a tanti. I Beatles in Italia, in Europa, sui giornali dell’epoca.  Quanto e quale peso avevano dato gli organi di informazione italiani per quell’evento, di un  concerto italiano sul nostro Paese? Fenomeno “Beat o rock?”. Beatles beat o rock?  Pensieri a ritroso. Sospensione momentanea della realtà. Per una volta la sospensione non è un atto comminato dal dirigente e consigli vari, ma una chiusura tra parentesi del presente. Per riprendersi almeno mentalmente il passato.  Vorrei dare il ritmo anche io, alla mia pianta del  piede mentre la musica corre e smuove l’ascensore del ricordi che materializzano una macchina in corsa, e quelle canzoni che “passano”. Pensieri che fanno compagnia. Un attimo. Solo un attimo. Poi, si ritorna sul “pianeta” aula. L’esposizione continua.  E via con le contestazioni giovanili del ’68, le occupazioni degli universitari. Penso a Marco Revelli, agli studenti e l’occupazione di Palazzo Campana, e   il grande soggetto che con l’autunno caldo entra in campo: la classe operaia, le lotte, le conquiste. Esposizione continua di una altrettanto lotta continua. Un fenomeno che continua ancora dopo il’ 68 e il ’69.   I movimenti migratori, il triangolo industriale, le cattedrali nel deserto e il Sud e le sue campagne che si spopolano. Penso ad un testo, “Storia dell’Italia contemporanea dal ’48 ad oggi”. Un tomo bellissimo, dalla copertina bianca, con la fotografia di una ruota. Bellissimo libro. Mentre il candidato continua la sua esposizione penso e ripenso ai treni descritti in quel tomo, all’arrivo  dal Sud, da Napoli, Bari, Lecce, Palermo di migliaia e migliaia di uomini e donne pronti a cercare un riscatto. Convogli che scaricavano futuri lavoratori  delle fabbriche. E poi le lotte, le richieste di uguaglianza, sociale, economica. La richiesta di case, di strutture abitative. Il boom economico, la prima macchina comprata a cambiali, le prime ferie (nel senso di ferie come conquista), la mensa e la mezz’ora pagata (già perché non tutti sono a conoscenza che la mensa non c’era). Ripenso ai miei volumi di storia sociale contemporanea, al professore G.C., ai mesi trascorsi in biblioteca tra documenti, interrogazioni, mozioni delibere, interviste. Una realtà che cresce socialmente  ed economicamente analizzata e studiata  attraverso i documenti, i giornali, le interviste. Già, le interviste. La tesina aveva come oggetto proprio le interviste ai Beatles. Ricordi, pensieri e tanto cuore- Per molti la maturità è entrata di diritto nei ricordi personali. Pensieri.

Primo maggio a Torino

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Torino. Piazza Castello. Corteo primo maggio 2014. “No alle aperture dei negozi e supermercati nei giorni festivi”.

Avrei voluto cimentarmi in una “pseudo-cronaca”, nel racconto di chi c’era e chi no.Sul grande assente di oggi e sul passato lavorativo di quanti hanno nelle mani i segni della fatica del lavoro di una vita, sul viso gli stenti di una vita stretti alla catena, di donne a conciliare lavoro in fabbrica e lavoro in famiglia, e di occhi che hanno visto tutto, nella luce artificiale della fabbrica: mattino, pomeriggio, sera, notte. Compagne e compagni di lavoro, pensionati, amici di scuola, famiglie con bimbi e passeggini al seguito.  Torino, la crisi e il lavoro che manca. La crisi del settimo anno che comunque porta in piazza, a Torino, oggi, migliaia di persone. Aspettavo la giornata di oggi, per incontrare storie, raccontarle, scriverle, provare a svolgere quello che pia e, impedito durante la settimana. Non esistono piu’da un pezzo le catene, ma altre catene impediscono di fare cio’ che si vorrebbe, cio’ per cui abbiam studiato e accontentarci cosi, al ribasso, pur di sopravvivere. Nella festa, il festeggiato, pero’, è assente. Nella festa del lavoro, manca proprio il lavoro. Che paradosso. Un lavoro povero e quel poco riceve poco reddito. Per alcuni, paradosso dei paradossi, è l’alba della mobilità. Associazioni, categorie, partiti.  Amici. Tra gli amici, incontro Marco  Revelli che usa con abilità un cellulare di ultima generazione e filma, filma, filma. Dopo aver tenuto per un bel pezzo lo striscione dell’ Altra sinistra. Filma e  fotografa diventando bravo tanto come quando parla e insegna scienza della politica. E sorrideva, sotto i suoi baffi. Mi sarebbe piaciuto sapere a cosa pensava, a quante feste del primo maggio gli “ronzavano” nella testa.  Recuperi la piazza, Castello, poi Via Po,  dove incontri il gruppo di musica e ti dicono “ci manchi e manchi tanto ai bambini”,  poi, l’altra piazza, Vittorio, testa e coda del corteo. Avanti e indietro a stringere qualche mano e “ciao, come stai?” e così fanno in tanti.  Incontri Armando Petrini, in versione ecologico, bici e bandiera, Simone, ormai, ben inserito e amici incontrati a Roma,  Ferrero, amici incontrati dieci anni fa, in treno o a qualche manifestazione per la pace, a ridosso di un San Valentino. Amici, amiche, compagni, compagne, uniti e poi divisi da qualche documento, qualche parola non limata bene finita nel calderone di un documento. Documenti contrapposti. Mozioni, aree, correnti, come le si voglia chiamare, buone per “dividere” più che unire. Contrapposizioni in ambito congressuale e che continuano in molte riunioni. Eppure, al primo maggio, in piazza, ci devi essere per ritrovare un pezzo della storia, un pezzo di se stessi. Ecco, ci siamo. Ci siamo ancora, nonostante tutto.  La mattina ti alzi presto, metti il vestito buono e vai incontro a loro e loro vengono incontro a te. I lavoratori. Gente con cui mangi pane, sudore e lacrime, mentre gli altri, godono dei profitti accumulati sulla pelle altrui. “Domenica aperti”,  e pensi che non vorresti mai vederlo un cartello così, e invece, ora ci è toccato vedere anche cartelli, come “Primo maggio aperti”.  Il film della memoria corre di chi è in piazza comincia a proiettare scene di cordoni dei militanti che “proteggevano” Bertinotti, Cossutta, Rizzo e altri ancora e tutti insieme che cantavano l’Internazionale. La sinistra, un tempo. Altri ricordano il primo maggio del 1994, a Torino, subito dopo quella grandissima manifestazione del 25 aprile di Milano, sotto la pioggia, ai piedi del Duomo. “Un milione sotto la pioggia.”  “Che liberazione”. Non erano solo titoli di giornali. Era un riporre la speranza ne voler e poter cambiare una politica e una maggioranza fresca di urne.  Tutti  i partecipanti indossavano  quelle magliettine bianche, con il bimbo che dorme e pensa che in fondo, “la rivoluzione non russa”. Il primo maggio, tutti vogliono esserci, in piazza, per ricordare “di quando  suonava la campana della fabbrica e la linea partiva, quando  verso mezzogiorno, quel rumore liberava i lavoratori dalle catene, di montaggio, e si riappropriavano della propria libertà, andando a mangiare, in pausa. E quando la pausa te la concedeva, il padrone, non quando l’organismo, il fisico vorrebbe.

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Torino. Piazza Castello. Banda musicale. Primo maggio 2014.

La linea, era li, a dettare i tempi e comandare. E  i ricordi si riproducono a  valanga, come fossero accaduti ieri. I pensionati, ricordano quando “volevi andare a pisciare” ma non potevi, perché “la prima pausa era toccata a te“, quando non “avevi bisogno di pisciare”. “Per pisciare, avevi tempo, si, ma dovevi aspettare altre due ore”. Quel gusto così buono della pizza ancora calda e di quelle brioches che forse non erano buone, ma almeno riempivano la pancia e aiutavano a combattere quel “mostro” sempre in cammino, della catena di montaggio. Le mamme, che usavano la pausa per raggiungere la cabina telefonica per telefonare a casa e svegliare i figli. Lasciando ancora raccomandazioni.  “Il caffè è già pronto. La pasta, a mezzogiorno, e il sugo è ancora caldo. L’ho preparato questa mattina. Alle quattro. Mi raccomando.” Cuore di mamma.  E così, i tempi  scivolavano via, lentamente, e oggi, nella giornata di oggi, provi a raccoglievi. O almeno, avresti voluto. E così,  infatti, cercavo di raccoglierli, in una giornata della Festa dei lavoratori tutt’altro che da festeggiare, per i numeri che le cronache sulla disoccupazione ci forniscono.  E che allarme, sul e del lavoro!!

 

Pero’, il primo maggio,  bisogna esserci. Ad ogni costo.  Una festa bella, giovane. Di tutti. Per tutte, tutti. Spiace aver visto le saracinesche  di alcuni negozi e supermercati tirate su. Mentre dovevano restare giù.

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Torino. Via Po. Studentesse e studenti universitari. Primo magio 2014.

Mi sarebbe piaciuto scrivere di piu’, storie di vita, storie importanti, ma, a metà di via Roma, si verificano momenti di alta tensione, davanti. Senza capire il perché, chi è davanti, comincia ad indietreggiare. Allungare il passo e poi a correre. Mamme con bambini piangenti cercano velocemente vie di fuga, laterali. Ci si perde e ci perdiamo. Le parole, insieme alle lacrime dei bambini diventano di ghiaccio. Sono impronunciabili. Si perde molto.  Perdo la forza, le parole, i pensieri, il blocchetto con tante storie che avevo già raccolto.  Pensavo che le perdite fossero più che altro a livello personale. Anche a livello collettivo, certamente. Le parole diventano di ghiaccio e non sono più pronunciabili.  Oggi,  le perdite, sono soprattutto  a livello collettivo. Perdiamo tutti. Doveva essere una giornata di festa. Dei lavoratori. Non una musica così…stonata. Doveva esser un’altra musica, di speranza.  La speranza di seguire un sogno. Musica. Come quella suonata dalla banda che era in corteo.

 

Penso al cassetto dei nonni……….mentalmente lo riapro.

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Torino. Via Po. Ragazza con bandiera “L’altra Europa con Tsipras” in via Po. Primo maggio 2014.

Vorrei sentire il profumo, della speranza…

 

 

 

Piovono luci

DSCN3571DSCN3569Un piccolissimo scorcio di Torino, una piazza, il Comune, alcuni taxi, le luci, bentornate, nello stesso identico posto di altre edizioni.  Dietro di me,  l’entrata al Comune, dove di giorno, stazionano due o più vigili. Le scale, che sembrano interpellare ad uno ad uno i nomi dei freschi coniugi, frutto di matrimoni civili celebrati durante l’anno. Sabato pomeriggio, come molti altri. Riso, battito di mani. Videocamere, macchinette fotografiche, tavolette di ultima generazione, cellulari trasformati in macchinette fotografiche. Gli amici che leggono fogli stropicciati, scribacchiati velocemente e ripiegati malamente in tasche da abiti da cerimonia. La narrazione di come si sono conosciuti gli amici novelli sposi. Quale canzone, la gita, il primo bacio, il mare, la montagna, chi ci credeva e chi no. Chi diceva si, chi diceva no. A ritmo di Vasco. E chi sapeva già come sarebbe andata a finire, perché lo sentiva e lo sapeva già. E quindi, giù di foto: con i parenti, con gli amici, con i colleghi, con i compagni di classe, con i vicini di casa.  Le “mappe” distribuite al termine della cerimonia, per trovare quel ristorante e ritrovarsi, perché qualcuno, sempre, smarrisce la strada, nonostante i navigatori. All’interno, del palazzo, la Sala delle Colonne, dove un tempo risuonava la politica, i convegni della politica. La Sala Rossa, gli interventi, gli auguri allo Statuto dei Lavoratori. Pare rivedere e sentire Diego Novelli e Marco Revelli. Davanti al Comune, sulla piazza, piovono luci. Le pozzanghere formatesi per la pioggia insistente formano una sorta di specchio. Impressi sul selciato prendono così forma i visi dei tanti volontari “Torino for you”, di memoria olimpiaca,  le felpe rosse, in attesa che qualcuno si affacci al balcone per immortalarli con una foto. Quanto rosso. Davanti “il naso della mole” grattato dalla pioggia.  Continua a piovere colore. In attesa che si tramuti in neve. Prima o poi.

(le luci tornano dove erano state messe e incontrate, “pubblicate” su La Repubblica il 29 dicembre 2009)

Primo maggio

DSCN3056Il lavoro, grande questione sociale. Un Paese “affondato sul lavoro”, nella giornata che dovrebbe essere dedicata alla festa del lavoro. “Di solo risanamento si muore”, sostengono alcuni governanti. E allora che facciano di piu’. Ossigeno all’economia, “ossigeno” ai lavoratori. Ai disoccupati, cassintegrati, in mobilità. Per quel milione di famiglie prive di un euro di reditto. E stentano in tutto.Per quelle settantamila che hanno perso il posto di lavoro nell’ultimo mese.  A quei cinquecentomila in cassaintegrazione. A quanti, non valorizzati, non aiutati, fuggono da questo Paese. Eppure, “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, articolo uno della Costituzione, collegato all’articolo 3, che detta il principio di rimuovere gli ostacoli di ogni tipo. 

Con la festa di oggi si deve celebrare la cultura del lavoro, la dignità del lavoro. Lavoro che inserisce il soggetto in una comunità. Tantissimi i significati da declinare con il primo maggio: dignità, cittadinanza, uguaglianza.

Nelle prime ore di governo pensavo si parlasse di piu’ del  lavoro che manca, di creazione del lavoro, sviluppo del lavoro, di persone che non riescono piu ad andare avanti, di stabilizzazione dei precari. Certo, “Lavoro, priorità assoluta, lavoro come grande tragedia”, ma, quali, le indicazioni di dettaglio, soluzioni?  E invece, il mantra: Imu si, Imu no.DSCN3016

Festa Internazione del lavoro, ma con una disoccupazione ferma all’11%. Drammatica la situazione dei giovani: due su cinque a casa. Dopo di  noi solo Grecia e Spagna. In questo quadro, boom delle ricette sanitarie esenti per il reddito, a riprova di quanto sia davvero critica la situazione.  Crisi, tagli, mancanza di lavoro, mancanza di contratti e stabilizzazioni…e allora il pensiero in questa giornata uggiosa, piovosa, noiosa, ansiosa il pensiero è dedicato a chi il lavoro non lo ha e a chi fa fatica e arranca. In tutto. Solo divieti di accesso e divieti di transito causati da queste politiche di austerità.

(Foto. Presentazione libro, 17 aprile, Feltrinelli. Gabriele Polo, Luciano Gallino, Marco Revelli.” Affondata sul lavoro”).

A lato, immagine da “Amore e Psiche”(Torino)

Il fiore del partigiano

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Questo è il fiore, del partigiano. Questo è il fiore, al partigiano. Quando si era piccoli, si usciva, e tutti i tram e i bus della nostra città, verdi prima, rossi poi, arancioni ancora,  esponevano, sul muso anteriore, la bandierina italiana. Si capiva, tutti, che era la festa della Liberazione. La lotta di Resistenza partigiana culminata il  25 aprile. Momento piu’ alto della storia italiana.

Tanti i modi per ricordare la  Liberazione. Col farsi grandi, prendevano piede le fiaccolte, del 24 sera,  a Torino, e i brividi salivano sulla schiena quando vedevi comparire i partigiani sul finire di via Pietro Micca, prima di entrare in Piazza Castello, al termine della camminata. Che brividi a pensare ai partigiani, alle staffette, alla grande libertà e democrazia che ci hanno consegnato. Poi, col tempo l’Istituto storico della Resistenza, i fiori in ciascuna lapide ” a loro ricordo” in tanti angoli della città. Ancora, Casa Gramsci. In mezzo, una manifestazione, Milano 1994. Sotto la pioggia, ma………….”Che Liberazione”. Così titolava il Manifesto. Eravamo trecentomila. Sotto la pioggia.  Treni pieni. Andata e ritorno. Forse l’inizio di una fine. Elezioni perse da poco. In quell’anno.  La gioiosa macchina da guerra si era inceppata.  Qualcosa che pare non passare. Ancora oggi. Confusione. A due mesi dalle elezioni, chi vince le elezioni, con un premio di maggioranza non riesce ad esprimere un governo, e forse, come la si osservi,  non è  riuscito neanche ad esprime un candidato alla Presidenza della Repubblica. Il dodicesimo, che poi è l’undicesimo, Presidente della Repubblica è Giorgio Napolitano, o Napolitano Giorgio, o G. Napolitano, o ancora Napolitano G.Così, tanto per tenere sotto controllo il tutto.  Forse un ritorno malinconico, quello del Presidente, nonostante i 21 colpi di cannone o probabilmente  il viaggio in Flaminia. ( Correzione: Niente viaggio in Flaminia, e niente corazzieri a cavallo). Una sicurezza per molti. Applausi nell’emiciclo di tantissimi, per altri,invece, l’elezione rappresenta un’ ultima tassa “pagata all’inganno e ipocrisia”.  Nella società liquida, dei partiti liquidi,  dei colloqui in streaming, dei messaggi gratuiti, dell’analogia “delocalizzazione partito-non partito” anche la leadership di un politico si è squagliata, come neve al sole.  Come i voti. Come certi finti o brevi  amori. O confusi.  Chissà dove è andata a stazionare la delicatezza d’animo.  Per alcuni, lo scenario, l’esito di questo film è colpa di una fusione di un partito, anzi due,  non ponderata, avviata troppo velocemente. Forse il pegno pagato alle primarie: un ricambio accelerato, un rinnovo della vetrina dell’apparato politico senza tener conto della mancata conoscenza di certi temi. O forse a voler tenere il piede in due scarpe, non si procede bene. E così, qualcuno asserisce un meno 6% di consensi in meno al Pd, altri, invece, rincorrono eventuali traditori. Forse non è stato capace di dare risposte alle domande provenienti dal Paese. Nessuna riedizione, nessuna rincorsa al sistema fotocopia dell’ultimo anno e mezzo, di sosteneva, prima delle elezioni del 24 e 25 febbraio e invece, tutto, o quasi, tal quale a prima. Dall’ ABC si temeva il pasaggio al BeBe, “morto” precocemente in culla. Almeno, in parte. Forse, continuando col “sistema” Boldrini Grasso sarebbe andata diversamente. Forse. Davvero la politica pare esser precipitata nel sottoscala del buonsenso per far posto al battibecco da liceo. Bastava dare un’occhiata alla connessione sentimentale. Invece, sottoscala. Come le incomprensioni di coppia, ormai sfiatate, intente a costruire altre realtà invece di affrontare i veri nodi.  Colpa del tempo. Colpa del vento o della pioggia dei giorni scorsi. Scilipotume da commedia. Magari la storia avrebbe detto, dato, altro e altri Presidenti. E così il paradosso.  Sembrerebbe che chi ha perso le elezioni, o meglio, non le ha vinte, finisce per averle vinte. E così, i brividi che tornano alla schiena per timore di rivedere certi personaggi armati di forbici nel già scheletrico corpo statale.

Un pensiero a questi nomi, su questa lapide, su questo fiore, posato da persone che credono nei valori della Resistenza, dotati di delicatezza d’animo. Consistenti. Dalle radici profonde. Coerenti. Sempre fedeli al ricordo. Poco distante, la scintillante stazione, punto di arrivo e di partenze. Fonte di gioia e tristezza, oscillazioni e pendolarismi. Ma la tristezza non è una categoria politica. Forse come la riconoscenza. Talvolta come nelle relazioni.

Tra pochi giorni, usciranno nuovamente i bus e i tram dai loro depositi. Con le bandierine. Sarà il primo maggio. La festa dei lavoratori. Nonostante i 500 mila in cassaintegrazione e i quasi cinque milioni tra disoccupati, sotto occupati, o demotivati che non cercano. Anche se………….”affondata sul lavoro”, come sostiene il libro di Gabriele Polo, presentato alcuni giorni orsono da Marco Revelli e Luciano Gallino. Il lavoro forse dovrebbe essere rimesso al centro. E basta austerità.

Votazioni sotto la neve. A Torino

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Seggi aperti alle otto. Il primo. Dopo aver fatto una veloce ricognizione in altre sezioni. La neve accompagnerà le operazioni di voto.  Alcuni già pronti, certificato e documento di identità in  una mano, ombrello nell’altra, appena fuori dalla porta di una scuola. Giornali sotto il braccio. Tutto regolare nell’allestimento dei seggi. Niente cellulare, durante il voto. Al voto d’inverno, per la prima volta nella storia della Repubblica, votazioni in pieno inverno.  Finalmente porte aperte e seggi aperti. In attesa di aprire le urne, domani, lunedi, alle quindici.

Giornata di lavoro, insomma, non solo per presidenti di seggio e scrutatori e rappresentanti di lista, ma anche per gli “spargisale”.

Ieri, la disperazione di molti, senza lavoro, ad offrirsi nelle varie sezioni per un posto da scrutatore. Amarezza. Tanta, in questa domenica di fine febbraio.

Librerie aperte, prima e dopo le elezioni. Giornata elettorale e anche di lettura. Non esiste solo lo spread sostiene Marco Revelli, e difatti vi è anche la cultura. Le occasioni per aprire la mente sono tante. Leggere bene, come afferma Bajani porta anche ad eleggere bene.

Mi interessa, me ne accolgo, mi responsabilizzo, sulla scorta di quanto accaduto in questi ultimi anni. Affinchè non accada mai piu, posso fare qualcosa. Col mio voto. Con la mia testa.

Toret 2. I love 2 toret meglio che one

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Guardare, osservare il mondo, dietro queste grate…..gli alberi di Natale, nelle case, nelle piazze, nelle strade di Torino, cominciano a prendere forma, in questa giornata fredda, ma senza neve. Insomma, freddo polare, da Nord a Sud. Anzi, pare che nevichi in tutta Italia, eccezion fatta per Torino. E gelo anche sui Colli, anzi, sul Colle. E il gelo porta con sè una questione: cade o non cade? Questione di stabilità e di bilanciamenti. Intanto, un imperativo, anzi tre,  su tutti: risparmiare, ridurre, rimandare… storia di un precario. No, non è il titolo di un libro, ma sono  250 mila visi, di questi, 135 mila nella scuola. Con poche copeche nelle tasche. In ginocchio, in tantissimi. Una stangata che ci piega. Da 400 euro a 700 euro, il conto salato, in piu’, da pagare, con una spesa “natalizia” in forte calo.

Dalle grate, o meglio, “dalle fessure che sempre piu’ numerose iniziano a incrinare la superfice levigata dell’ordine formale, sembrano occhieggiare-minacciosi-i riflessi di una sorta di potere impalpabile, astratto e impersonale, ma tuttavia feroce”.   Troppi demoni sulle nostre strade. Questi sono I demoni del potere. (Marco Revelli). Ha ragione l’amico storico, sociolog, sulle nostre strade, in questi giorni, “un incrocio, tra la piazza, il teatro, il tribunale”.

Mi consolo osservando due toret. Che belli che sono. Pare che si parlino e che si intendano, alla perfezione, all’unisono. 

Uno dei due, sembra dire all’altro: “Se non fosse tardi vi suonerei il terzo concerto di Beethoven. Lo sto suonando in questo periodo e trovo che esprima tutti questi sentimenti…proprio come li sento io ora. Almeno mi pare. Ma sarà per un’altra volta; ora dobbiamo parlare”.

oppure, due toret che simboleggiano un incontro….Natas’ja e Gavrila. La prima…”quasi che al posto del cuore avesse una pietra, e i suoi sentimenti si fossero inariditi e fossero morti una volta per tutte. Conduceva per lo piu’ una vita appartata, leggeva e perfino studiava, amava la musica.” Il secondo, “l’amava da tempo con tutta la forza della passione, e naturalmente avrebbe dato metà della propria vita anche solo per la speranza di guadagnarsi le sue simpatie”. (l’Idiota di Dostoevskij)…

Ma sotto i fiori, si nasconde un serpente….

continuarono così la loro conversazione, musicandola. Andando d’amore e d’accordo. Uno davanti all’altro. Rispettosamente. Mai sovrapponendosi. Con gli stessi ritmi. Potere della musica. Linguaggio internazionale.

Vogliamo il pane, ma ache che ci regalino le rose.

Aria fredda natalizia, domenicale

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Prima domenica con negozi aperti. Domani, come sempre, sapremo i numeri: cosa, quanto, chi, tendenze.  Chi è stato “sequestrato” e sottratto agli affetti famigliari per una giornata dedita “alla forza per spostamento” (lavoro).  Una domenica un po’ borghese e un po’ no, nelle vie centrali. Occhi. Dentro le vetrine e dentro di sè.  Ogni cosa, pare essere, occhi. Il Derby cittadino, la Juve,il Toro,  il TFF appena concluso, la tredicesima, l’Imu, le primarie… pensieri e parole. “Prendiamoci un caffè“, è il ritmo che rimbalza. (ricordo un caffè da blog, filosofando diversamente…). Altri discutono di lavoro e delle modifiche dell’articolo 18 e delle firme che si raccolgono per un referendum che abroghi la nuova normativa. “Torniamo all’antico e sarà davvero un progresso”. Concordo.

Nelle vie laterali, file di persone alla ricerca di una panchina o un appiglio qualsiasi, con sacchi, sacchetti, buste varie: il loro mondo racchiuso tutto li dentro. Cose necessarie, utili. E “occhio” a non perdere nulla,  per non perdersi poi.  Altre, decisamente vuote. Specchio del loro sé.  Ma sono loro. Sacchetti. La loro stanza.  Cittadini  di ritorno dalle mense , quelle poche, aperte. Vie centrali e laterali, che non si incontrano, in una città che ha fretta. Occhi scintillanti del benessere da una parte, occhi  del vivere male che incontrano il mal di vivere dall’altra. Occhi tristi e pensierosi. Ma anche innamorati. Della vita. Comunque sia, La diseguaglianza non è produttiva, anzi, “La disuguaglianza è produttiva: falso!”  (titolo del saggio di Marco Revelli), troppi eccessi del liberismo. (vedere lunedì pomeriggio, Centro Gobetti, con Luciano Gallino, seminario sul tema).

In altra via, defilata, un paio di vecchiette, scialle sulle spalle, sbocconcellano un pezzo di pane. Hanno del latte in mano. Tra pochi istanti lo porgeranno a qualche gatto che si raduna nei pressi. Regaleranno qualche carezza e riceveranno qualche fusa, un miagolio di ringraziamento. Le vecchiette si stringono ancor piu’ nel loro scialle e socchiudono gli occhi, pronte per un riavvitamento dei pensieri, un viaggio a ritroso nella loro memoria. La memoria. “Memoria che va fatta riposare, deve trovare pace, non puo’ bruciare per sempre” .

(nella foto, via Garibaldi)