La pioggia cade insistentemente. L’odore è forte, di fanghiglia, il rumore, dell’acqua, del fiume, che scorre, alberi inghiottiti, argini “accarezzati”, il tram, che passa, al suo interno, visi schiacciati, ai finestrini, che scrutano, oltre, facendo a gara coi pedoni che muovono gli occhi, ora a destra, ora a sinistra. La memoria va ad altro novembre, torinese, ma l’odore che proviene dalle acque del fiume Dora è forte, ed e` grigia, sporca. La pioggia lo punteggia, mentre scorre, furioso e qualche ramo si lascia trasportare più che cullare. Gente, ragazze, ragazzi osservano come fosse un film. Cappotti color caki, autunnali, occhiali, visi sporgenti, tuti a guardare, piena o non piena. E io pure. Uno sguardo e via. Ho sempre con me, riposto in tasca, il libro Transito, con la sua copertina plastificata, che leggo, di tanto in tanto, in attesa o in transito. Così come oggi, diretto verso il sindacato, pensando di stare qualche ora, in attesa del mio turno, per qualche pratica da espletare. E invece, niente. Troppa gente in attesa mi induce a fuggire via lasciando in sala d’attesa altri libri e altre storie. Curiosità vorrebbe che chiedessi:”scusa cosa leggi?” Ma non lo faccio, meglio restare col dubbio. E vado. Torno. Transito.
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Verso Roma
Torino Porta Susa.Ore 8.00. Il tabellone elettronico e la voce metallica, in “questo intestino” lungo quanto la nostra citta’, si affrettano ad annunciare agli avventori di questi “non luoghi” che di qui a poco sara’ pronta la Freccia Rossa per Napoli sul binario 2. Ma non e’ ancora la mia freccia. Dovro’ attendere una manciata di minuti, quando sulla stessa “platform” transitera’ quella per Roma Termini delle ore 8. 22. Arriva, le sue luci paiono due occhi che ammiccano. Ci salgo, individuo il posto stampigliato sullo smartphone. Mi accomodo. Il tempo di sbirciare fuori dal finestrino per vedere e sentire “fuori come va” e capisco di essere giunto nei pressi di Novara…Il bar e’ piu’ avanti e il conta km della freccia segnala 300: le macchine restano indietro sull’autostrada e cosi San Gaudenzio…indietro e sotto la pioggia…
Qualcuno comincia ad alzarsi e vestirsi.Ombrelli alla mano. Capisco che Milano e’ vicina….”Non dimenticare nulla…” e’ il mantra di tutti.
I cartelli posizionati all’interno ed esterno del treno ci dicono che siamo giunti a Rho Fiera Milano. Mi affaccio appena fuori dalla porta del treno insieme ad altri. Lo sciamare e’ impressionante. Nonostante la pioggia insistente. Expo e’ impressionante. Un fischio e si torna nuovamente tutti in treno: si riparte.Con 5 minuti di ritardo. I tram meneghini sferragliano, dalla periferia verso la metropoli…Chissa’ chi trasporteranno, mi domando, in un sabato uggioso. Milano Garibaldi e’ alle spalle da pochi minuti e sulla destra si vede la Centrale; provo ad immaginarne il via vai continuo e frenetico.
La Pianura Padana si allarga, qualcuna e’ scesa dai tacchi e altri si dirigono…al bar. Che faccio? Ci vado? Si. Ci vado….il tempo di consumare velocemente colazione e mi ritrovo a Reggio Emilia. Alle 10.35 il treno si inabissa nelle “viscere” bolognesi. La voce metallica ricorda che “nella stazione di Bologna Centrale A.V. e’ vietato fumare”. Non la vedo ma la immagino, con le sue scale e piani e frammenti di ricordi…Lento lento entra in stazione A.V… Il mare non si vede, e’ lontano, ma ne avverto gli odori e i suoi umori.Chissa’ se …
Ore 11.35.Firenze S.M. Il psesaggio della Toscana e” bello, anche visto da questa “linea” A.V. Ormai siamo nel Lazio da un po’.Settebagni risveglia ricordi.Roma e’ alle porte e si presenta come la citta’ che da’ e toglie. Passa Nomentana stazione…Tiburtina e’ l’anticipo di Termini. Qui era l’approdo per le tante manifestazioni, cortei e scioperi: la Fiom, Cgil, la militanza, il partito. Oltre le porte del treno la gente indossa t-shirt ed io con il mio ombrello mi sento fuori luogo.Se consideri lo stato influenzale poi….Una ragazza nota l’ ombrello e sorride. Lei ha una corona di fiori bianchi in testa: ormai “la coda” e’ finita in soffita di quella che e’ stata una estate! E quale! Giubbotto e fazzoletti di carta contro corona di fiori in testa: la porta del treno che ci separava ora ci divide del tutto. Sorride, sorrido. Pero’ quella ragazza ha avuto il potere di farmi vergognare: indosso anche il giubbotto manco venissi da….pero’ il naso che smoccola in continuazione dovrebbe dirla tutta,” chesso'”, giustificarmi. Ma ormai, che importa? Il treno riparte: Termini e’ la meta. Eccola, con la sua torre e l’hotel de…la grande bellezza. Guardo il terrazzo e penso alla versione dance di “A, a, a, a far l’amore comincia tu…”. Pochi istanti, quelli necessari per riconoscere il passato, e siamo in uno dei tantissimi binari di una stazione che si e’ rifatta il trucco. La stazione e’ simile all’aereoporto: varchi e controlli. Sono rapito, come sempre capita ogni qualvolta approdo qua, dal tabellone delle partenze e degli arrivi: qui si rappresenta l’Italia Intera. Per Pescara, per Ancona, Nettuno, Lecce. Qui la geografia incontra la storia e il tempo declinato in ogni sua forma.Una sbirciatina alla lampada Osram a vedere se…e invece…E chi trovo e cosa non trovo? Paolini che….e i taxi che mancano….via Marsala, la Caritas, piazza dei 500…
Torino. E’ generale. Sciopero 12-12-2014
Lasciamo parlare le immagini di questa bellissima piazza. Giovani, operai, cassintegrati, studenti, universitari, in mobilita’, e gente costretta a licenziarsi pur di averla ancora e uscire dalla tagliola Fornero, professori, tecnici, amministrativi, collaboratori, disoccupati, vigili del fuoco, donne, uomini per dire e gridare che “non ci siamo”. Una giornata colorata e parecchio, gelata per dire no, che cosi proprio non va.
Lungo il corteo amiche, amici, compagne, compagne…Turigliatto (Franco) in testa, Airaudo (Giorgio) e tantissima bella gente.
Il corteo, “fratello gemello” del primo maggio termina, meglio, “sfocia” in piazza San Carlo con un interessantissimo elenco di articoli della Costituzione e l’intervento della Camusso. Una parte del corteo da Piazza Castello prosegue verso via Pietro Micca per svoltare poi a destra verso il Comune. Da qui, svolta a sinistra verso via Garibaldi fino a dividersi in due tronconi ulteriori…
Ps. Tra questo mare di gente ho potuto constatare che e’ partito ufficialmente il mantra “ci dobbiamo assolutamente vedere prima di Natale…combiniamo dai!”
Oramai la giornata è terminata. Si conta quanta gente ha aderito allo sciopero, quanti erano presenti in piazza e via dicendo…pero’ fa riflettere il fatto di aver cominciato la giornata con un caffè, tra le pieghe di un racconto, di una storia e questa si è trasformata in realtà. Piazza San Carlo sembrava la piazza di altri tempi, di altri anni. Piena, partecipata, colorata, attenta. Ogni parola del comizio non sfuggiva e non doveva sfuggire. Quella parte del corteo, defilatasi, arriva a due passi dello stesso bar. E il cordone dei poliziotti, fermo, sotto l’arco, riflesso contro le vetrine del bar…uno sguardo reciproco e poi…ognuno per la propria strada…via Garibaldi il primo, il Comune il secondo…
Ora non resta che dire: è stata una bella giornata. Buonanotte Torino. Uno sguardo alla Mole e…un saluto alla piazza.
2 Dicembre in piazza Castello….tra Albero, Presepe, lavoro e lavoratori
La partita si sta giocando “di schiena”, nella stessa piazza, ma, allo stesso momento, su piazze contrapposte. Il pallone potrebbe essere lo stesso, una lettera, a sinistra, dalla parte della Regione ( a volte l’uso dei termini…), con la speranza che non sia “la lettera” di Capodanno e dall’altra, l'”abbassamento”del numero 2, la casella del Presepe, che accorcia la strada e la distanza, dalla e della letterina verso il Santo Natale
. Bimbi e famiglie riunite intorno alla tavola e magia delle magie…letterina sotto il piatto.In piazza, ora, Spalle contro. A destra si e’appena levato un applauso. La casellina, complice un vigile del fuoco, e’ andata giu’. Un aiutino, di tanto in tanto…ci siamo capiti, no? La partita, da queste parti, e’ terminata. La gente lentamente lascia il catino.A sinistra, il gruppo si fa piu numeroso, ma la partita deve ancora cominciare. Speriamo si formalizzino le proposte per il lavoro e tornare al lavoro.
Insomma, che sia un buon Natale, anche senza letterina ma con la continuita’del lavoro. Uno dei lavoratori piu anziani, si vede che ha scritto addosso anni di fabbrica, prende il microfono e dice: ” ma lo sapete che siamo licenziati tutti, vero? Sembra che siamo qui per una passeggiata…” Speriamo escano solo buone notizie, per tutti.
Lavoro, questo “benedetto” lavoro. Questa “questione sociale”….
ps. Dal 2015 entra in vigore quella parte di legge Fornero, e l’Aspi che fa passare (per coloro che hanno 50 anni di eta’) il periodo di mobilita’ da tre anni a due anni creando cosi gravi danni e “obbligando” i lavoratori stessi ad “uscire”pur di non perdere quell’anno.
Alla fermata del 4 in Corso Giulio Cesare
Per arrivare alla stazione, anzi, ex stazione Torino Ceres, occorre percorrere un paio di fermate di tram, linea 4 da Porta Palazzo, come è già stato detto, il più grande mercato all’aperto d’Europa. Colorato, di gente, di frutta e verdura. Ci si arriva alla stazione, con il jumbo tram proveniente da sud. In tram, che sembra un trenino, l’odore di frutta e verdura e’ davvero intenso. Le lingue che si sentono sono d’altri mondi. A sud, Mirafiori, a nord, la Falchera, con vista Mappano e Leinì. In mezzo Barriera di Milano. Ricordi di un libro e di vita. Nel controviale una Chiesa e una panetteria che sforna a tutte le ore. All’interno del tram il controllore percorre km andando su e giu’ nell’espletare la sua funzione di controllo ed emissione biglietti; ma a dire il vero, non e’ una riproduzione di come “era una volta Torino“, quando c’era il bigliettaio, quando aveva la sua posizione fissa. A pochi passi da qui vi era la facit, con tantissime fabbrichette e questa bellissima stazione “accoglieva e “vomitava” in continuazione gente. Direzione Valli di Lanzo. Dall’altra parte del corso, la Cgil, in via Pedrotti, con i suoi iscritti e militanti. E i pensionati, in particolare, Stefano, da sempre un punto di riferimento. All’Inca e per l’Inca. Per molti lavoratori e pensionati. Ora, all’interno di quello che era lo scalo ferroviario, il sabato e la domenica si ritrovano volontari che rimettono a nuovo alcune gloriose locomotive a carbone. Davvero un mondo nel mondo, entrarci dentro. Nessuno sarebbe capace di immaginare quella “mole” di lavoro si nasconde nella città della Mole. Solo il caso porta a scoprire che in quella stazione, in mezzo alle case cittadine “il lavoro e il vapore” continuano nelle loro dinamiche proprio là’ dove invece e ‘evaporato. Ormai da anni. Forse il lavoro si conserva, anche se sotto forma di volontariato, perché esiste e resiste al tempo e all’usura una “guardia portone“. Anche il giornalaio Alberto e il suo amico di una vita, Savino, ricordano quel luogo, della Torino anni ’70. Camminare all’interno di questa isola dona un senso di nostalgia e buoni sentimenti. Il ricordo di un nonno, di una signora con i capelli bianchi e un cane al guinzaglio. Nostalgia, mista a gratitudine nell’aver vissuto e toccato davvero quel bene e quell’affetto. Una bilancia, datata, resiste al corso degli anni. Con 200 lire o 50 centesimi? Una coppia scherza, gioca, ride, provando a salire in due sulla pedana per evitare un obolo doppio. Con gli zaini e senza. Per vedere l’effetto che fa. Ridono e scherzano come solo in quell’età si riesce a fare. Solo un accenno di pioggia li fa desistere dal gioco. E dalle risate. I libri strizzano gli occhi. La consapevolezza li ridesta. Domani è’ vicino e l’interrogazione pure. La bilancia si sa è’ simbolo di giustizia e di coscienza. Nell’interrogazione, come nella vita, prima o poi ci si pesa. E li’…Anche san Valentino è’ vicino. Le vetrine lo hanno annunciato per tempo. Il ragazzo lo ricorda alla ragazza. Qualcuno ne vorrebbe festeggiare uno, il Papa addirittura 25 mila. L’anno passato, qualcuno, lo festeggio’ con una “tob”: era il cambio di “guardia” al portone Vaticano. Il vento del cambiamento si sentiva già. Era l’effetto Francesco. Dietro, il vuoto. S. Valentino nelle vetrine è comunicato largamente in anticipo, quando è’ ora di vendere. Tu chiamale se vuoi, emozioni. I sentimenti, bhè, questa è un’altra storia da raccontare. Anzi, da conservare. Un’altra storia importante.
Precari senza stipendio
I mille euro, per i precari, non sono solo un miraggio. Sono inesistenti. Almeno così, fino ad oggi. Per molti. Privi di certezze non solo nel futuro, ma anche nel presente. Ogni anno la solita identica storia. Tale e quale. Solo che quest’anno risulta peggiorata. Cosa? Mi riferisco al pagamento e all’accreditamento sul conto corrente dello stipendio dovuto per i lavoratori della scuola. Precari, assunti in una nuova scuola. Certo, al proprietario di casa possiamo dire “che le chiavi” del sistema informatico non erano disponibili, e che quindi lo stipendio, e il suo accreditamento sul conto corrente risulta impossibile, con il risultato che, a oggi, non vi sono i soldi relativi al mese di lavoro effettuato… e così, l’affitto non verrà pagato e forse , il proprietario di casa, comprenderà…ma altri non capiranno, così come è nella natura dell’uomo, non capire quando non vuole capire…E’ l’egoismo imperante, bellezza, e “al diavolo gli impegni presi” ……….La richiesta non è esorbitante, di bonifici vari per recarci a pranzare o cenare presso “Il covo del brigante” “Allo schiaffo” o al “Caffè Marini”, ma è la sacrosanta richiesta di poter ricevere quel giusto che ci spetta per vivere o sopravvivere dignitosamente. Insomma, il nostro corrispettivo. A fronte del lavoro già effettuato, dilatato, con mansioni che esorbitano, spesso, dal dovuto. Frutto di tagli insistenti, continui, per anni. Insomma, caro Ministro dell’Istruzione, “Chiedo e ricevo”anzi, chiedo e devo ricevere il mio, a fronte di un lavoro già effettuato e che vale anche due o tre unità produttive, grazie a chi La precedeva, così munita di forbice da tagliare allegramente senza rendersi conto dei danni effettuati, riportandoci, almeno nelle condizioni di lavoro, ai temi della serva della gleba. Quello voglio, quello esigo. Il mio. Stiamo lavorando, giusto? E allora, dateci il nostro “Pane nostrum”. Si puo’ fare una “ricognizione di situazione” anche in questo campo? O per mantenere i servizi essenziali oltre che estendere all’infinito le funzioni del lavoratore, volete ridurlo, quest’ultimo anche alla fame? I servizi vanno mantenuti, ma con il personale giusto. La redistribuzione delle risorse deve avvenire andando a pescare chi li ha, i soldi, e tanti. Basta tagliare. Basta. Insomma, nel valzer delle responsabilità del perchè non sono stati accreditati ancora i compensi, la risposta è da commedia all’italiana: “interrogato il morto non rispose”. Certo ci vuole davvero una “rivisitazione” dell’Abbecedario, un po’ per tutti. Lavorare gratis, non piace a nessuno, soprattutto quando la banca, il trenta settembre reclama le spese. E soprattutto ci si indispettisce quando montagne di soldi pubblici finiscono in numerosi conti correnti, sparsi tra l’Italia e la Spagna, e i bonifici, in un giorno, sono davvero esorbitanti. Qui, in questo caso, da rimpinguare è uno solo, di conto corrente e così il bonifico, mensile. Il mio, quello di molti altri. Davvero, le cronache ci riservano un basso profilo etico. A trecento sessanta gradi. Menzogne a quintali, corruzione, vite parallele, danze, festini, aperitivi, e caseifici. Insomma, basta filosofare. Abbiamo già dato. Basta giocare a nascondino. Prima di bearsi sull’informatizzazione della scuola, qualcuno si metta la mano sulla coscienza, dal momento che i propri dipendenti sono senza stipendio. Per la Cgia di Mestre i nuovi poveri, in Italia, a far data dal 2007, sono 988 mila. Si può vivere con 900 euro al mese o giu’ di li? Ci provi lei, tecnico, insieme ai suoi colleghi. Insieme ai nuovi poveri, si aggiungano 1.250 mila disoccupati (pensare ad una città come Milano ferma!) e 421 mila nuovi cassintegrati. Siamo in caduta libera. Pensiero “lagnante”, che non vuol riferirsi a nessuno in particolare, ma a tutti in generale.
La prima campana: sciopero generale.
L’imminente apertura delle scuole, lascia sullo sfondo l’estate. Canzoni come “Spiagge” (Renato Zero) e “l’estate sta finendo” (Righeira) sono cio’ che rimane, ad ogni inizio settembre, del periodo estivo appena trascorso. Ansia e angoscia, invece, persistono per molti e ci accompagnano alla ricerca di una nuova “identità” lavorativa. Dove si verrà proiettati quest’anno? Alcuni, come fumo negli occhi, assunti a tempo indeterminato, assunti così”nel ruolo” di addetti al turibolo per incensare questo governo, sono stati catapultati, in una sorta di apprendistato dell’apprendistato, perchè dopo anni di precariato, nella stessa mansione lavorativa, devono obbligatoriamente superare il periodo prova: due mesi, chi quattro, chi un anno. Come se stesse iniziando un nuovo lavoro. Una moltitudine, invece, è rimasta fuori. Coloro i quali immediatamente hanno fatto di conto. A fronte delle immissioni in ruolo, questo era il terzo anno di tagli programmato. E mentre i primi continuano col ciondolio del turibolo dopo anni di “compressione di ogni cosa e in ogni dove” molti, tantissimi, sono rimasti ad osservare. “Oggi non vado a lavorare”, pare essere il titolo di un film. Solo che non è finzione. Solo che i pescecani, non guardano. Mangiano. E come se mangiano. E nei molti che vivono nel limbo, in una condizione a tempo, magari con contratto a dieci mesi, la possibilità che quel contratto li faccia scollinare in una “convenzione Basilea” è forte. Ma che cosa sarà mai questa Convenzione Basilea? Vuoi vedere che a coloro che sono in possesso di un contratto a tempo determinato magari gli è preclusa la possibilità di accedere ad un fido bancario, perchè le mensilità retribuite da quel contratto sono solo dieci e non, magari, come avveniva (avviene?) a chi lavora in un luogo che ti pubblicizza la vita come una “scala mobile” (grazie al “paternalismo di una banca”) di mensilità magari ne percepiva 15 o 16? E già, perchè sono i numeri che contano, bellezza! Non le persone. Eppure quel paternalismo che rimanda alla Convenzione Basilea non è presente ogni qual volta vengono inviati gli estratti conti. Bontà loro. Grandi banche, banche grandi, grandi capitali, grandi patrimoni….governanti….non pervenuti. Come la mancata volontà politica di tassare i grandi patrimoni, le rendite, le transazioni finanziarie….E così, propirio per la voglia di dire no e provare a reagire a questo stato di cose, la prima campane a suonare è stata per lo sciopero generale. Contro una manovra brutale, pericolosa. Iniqua. Una manovra che, rifatta quattro, o cinque volte, colpisce sempe nello sesso modo sempre i soliti. Persone. Pensionati, giovani lavoratori, precari. Persone e stato sociale sotto attacco. Una manovra che scarica i costi sul mondo del lavoro dipendente. E i contratti nazionali? Voglia di smantellarli? Forse il vento di Basilea, soffia anche su questi. Povera Costituzione, “luogo di equilibrio” tra diritti politici e sociali. Già, come sosteneva Zagrebelsky alcuni giorni fa “la condizione iniziale era quella in cui solo i proprietari avevano diritti. I lavoratori o aderivano alle condizioni loro proposte oppure non ottenevano o perdevano il lavoro, potendo l’imprenditore attingere al ribasso da un serbatoio di forza lavoro in cerca di occupazione……stiamo tornando a questo in nome del mercato e della competitività?“. Già, Basilea, Italia, Europa.….e sembra uno sfottò se ricordi a chi ti sciorina “la convenzione di Basilea” uno che di conti magari ne capisce tantissimo, ma di empatia, zero, se asserisce la mancanza di colpe, sue, se le nostre mensilità sono solo dieci e non 15 o forse 16……..Forse bisognerebbe ricordarci delle “bolle di sapone”…..magari…Certo che le proteste “indignade” non sono davvero “campade” per aria. Speriamo in una maggiore e consapevole indignazione.
Colgo l’occasione, dato che ho citato la canzone “spiagge” per lanciare la proposta di un referendum, quello di rendere le spiagge libere, o come erano fino a poco tempo fa. Di ritorno da una delle spiagge piu’ belle d’Italia, ho pensato che forse, questa potesse essere una delle ultime volte che potevo accedervi con tanta facilità. Proliferano infatti gli stabilimenti balneari, 800 euro al mese, 35 o 45 euro al giorno, ombrellone e due sedie sdraio. Caro Vendola, le battaglie referendarie non terminano con l’acqua e il nucleare, per fortuna vinte. Bisognerebbe avre il coraggio di inserire nei bene comuni la spiaggia, il mare………perchè devo pagare per accedere al mare? perchè in una zona della Puglia, quella dove sei stato alcuni anni fa, mi riferiscono, non l’alta marea, ma l’ingordigia dell’uomo, si è mangiata una buona fetta di spiaggia? Per caso anche l’accesso al mare e sulla spiaggia è diventata questione per ricchi? Ma, qualche anno fa, non sostenevi, che anche i ricchi dovevano piangere? Vorrei le spiagge libere, per tutti. Ottocento sono gli euro guadagnati da un precario, che certamente non dovrebbero andare ad “ingrassare” uno stabilimento balneare. Senza dimenticare che un tempo, per accedere in quel posto bellissimo potevo benissimo usufruire di un treno serale, a 50 euro, ora, ridotto di numero di carrozze, mentre ore, mi si propongono due treni giornalieri, a quasi cento euro. Proporre o imporre? Fare un giro la sera in stazione per la scelta.
Difendiamo la scuola. Difendiamo la costituzione. Guardiamo alla lotta di classe in Wisconsin
“Solamente un quinto degli italiani possiede davvero le competenze linguistiche e culturali per affrontare la società odierna; la restante enorme parte del Paese è variamente classificabile sotto una delle categorie di analfabetismo. E la situazione, anziché migliorare, si aggrava progressivamente” (Tullio De Mauro su Internazionale, 6 marzo 2008).
Nel prossimo anno i tagli alla scuola saranno pesanti. Ventimila cattedre in meno. L’ultimo taglio previsto da questo Governo, nel giro di tre anni. “Risparmio di otto miliardi di euro”. Dopo aver salvato l’insalvabile: banche, imprese… E così, dai farewell, precari, di città in città, di scuola in scuola, dove ogni passaggio “settembrino”, (di diritto settembre-agosto o di fatto settembre-giugno come i contratti che la scuola ci rifila tutti gli anni, invece di stabilizzarci tutti), risulta essere simile ad un’audizione, a settembre, probabilmente, molti di noi saranno privati anche di quella. Fine dell’audizione.
Si rischierà, infatti, in forza dei tagli, ad un’iscrizione forzata all’ufficio di collocamento. O, al piu’, una “exit”, dal momento che la “voice” è stata poco attuata per l’individualismo esasperato, di chi ha preferito “intascare la giornata” e pensare al suo presente anzicchè aderire agli scioperi. A proposito di scioperi: 4 ore a maggio, proclamate dalla Cgil, davvero, sono simili ad una merendina che a poco serve. Certo tutto è piu’ difficile, in questa “macelleria sociale”, in questo Paese che rassomiglia ogni giorno ad una sartoria, dove si effettuano solo “tagli” (“ripara e cuci”, questi, proprio no). Exit, all’estero. La notizia di questi giorni, dei tagli al mondo della scuola, si somma alle ulteriori critiche piovute sullo stesso mondo, quello inerente alla scuola ma “statale”, ai suoi insegnanti, ai lavoratori in generale della scuola. Critiche, insofferenze quelle del Presidente del Consiglio rivolta agli insegnanti e al loro metodo di “inculcare” nozioni, informazioni, sapere. Naturalmente, critica smentita, perché, come sostiene sempre il giorno successivo di ogni affermazione, “non era quello il significato” da lui attribuito. Certo. Penso che il ruolo di tutti i lavoratori della scuola sia quello di indirizzare gli alunni ad innamorarsi del sapere, rendere gli studenti “artefici” come ci ricordava un lettore-insegnante di un noto quotidiano torinese.
Nessuno ha mai utilizzato un termine, così basso, come inculcare, per parlare di educazione. Artefici invece fa pensare ad una ricerca di verità, giustizia, amore per il sapere. Una ricerca divina. Non stanchiamoci mai di fare riflessioni, porci domande e sviluppare senso critico. E così si è consumato un ulteriore attacco alla scuola. Uno snocciolare continuo di attacchi, i suoi, che vorrebbero privatizzare ogni aspetto della società. Dopo quello sulla festa del lavoro, dove, secondo alcuni governanti, sarebbe inopportuna. Già, dopo che il capitale ci ha “spolpato”, ora vorrebbero toglierci anche la festa del primo maggio. Intorno alla politica dei padroni del vapore, questo nostro Bel Paese, sta perdendo anche la maiuscola nella lettera iniziale. Dopo la critica ad una rigida “puntigliosità” del Quirinale, rivolta dal Governo, (e per fortuna che lo è, il Presidente della Repubblica, così puntiglioso e speriamo in futuro lo sarà ancor piu’) ancora una volta, la scuola. Proprio in questi giorni in cui ci avviamo a festeggiare il 150 dell’Unità d’Italia, (sempre “piu’ disunita”, invece), incapace di comprendere questa fumosità dei tempi. La scuola, così tartassata, così declassata, così umiliata. Eppure nel 1866 Pasquale Villari sosteneva che vi era nel seno della Nazione un nemico piu’ potente dell’Austria: ”la nostra colossale ignoranza”. Tre italiani su quattro erano analfabeti. Solo con il nuovo secolo si avrà un’esigua maggioranza di cittadini capaci di leggere e scrivere.
Nell’Italia pre-unitaria è bene ricordare che il 44% dei bimbi non superano la soglia di una scuola, “perché non arriva ai cinque anni di vita”.
A Torino sotto Carlo Felice, la scolarità è pari al 45%.
A Genova al 26%. A Roma sono presenti 45 scuole serali e 55 scuole tecniche commerciali.
Nel 1901 la percentuale degli analfabeti era scesa al 48,5%. L’eredità pre-unitaria ci lasciava in dote 210 Biblioteche di cui 164 aperte al pubblico, distribuite in 45 città.
Nel 2010 la percentuale di chi leggeva almeno un libro era pari al 46,8%. In questa percentuale, le donne leggono di piu’ degli uomini. Nel 1973 invece, leggevano di piu’ gli uomini.
D’Amico Nicola sostiene che “la scuola è una semina a raccolta assai differita per chi governa e per l’intero Paese”. E oggi, invece, cosa si fa? Si taglia! Anni e anni passati ad investire sulla scuola e ora…Si vorrebbe rendere la scuola un modello similare a quello statunitense. Un po’ come la salute. Dimenticando che qui, in Italia, la longevità vorrà dire qualcosa, no? Dal momento che la sanità è gratuita, universale, per tutti, mentre negli Usa, al piu’, l’assicurazione “paga” al termine del ciclo lavorativo. In quel Paese, quanti milioni sono privi copertura sanitaria? Eppure, a leggere le cronache di questi giorni, proprio da quel grande Paese, dal Wisconsin balzano le cronache di una presa di coscienza, di una lotta di classe. Già! in un periodo in cui le classi sociali vengono dichiarate defunte o ricordi di un passato ormai lontano, proprio in quel Paese si sta contrapponendo in questi giorni una durissima lotta di classe tra i “robber barons”, capitalisti vecchio stampo e lavoratori organizzati.
Il Governatore, Walker, vuole infatti tagliare a tutti i dipendenti pubblici il diritto al contratto di lavoro collettivo, tagliare gli stipendi e aumentare i contributi sanitari e pensionistici. E’ la “guerra ai fannulloni” yankee. Li pero’ si accende la speranza di una lotta di classe, qui, assistiamo alla privatizzazione di ogni spazio, a cominciare da quello pubblico. Li la lotta di classe riparte da forme di solidarietà concreta, di visibilità raccolte e raccontante, mediate, rappresentate nei luoghi classici, della politica. Qui l’unico mezzo per far sentire la propria voce “utilizzato da una parte del mondo del lavoro iperframmentato” pare essere oltre che la salita sui tetti, sulle gru, l’apparizione in un reality. Riappropriamoci delle idee e delle passioni politiche. Impegniamoci. Il Pil (che brutta cosa!) sarà anche cresciuto, ma restano sempre un 30% dei giovani senza lavoro e i disoccupati, a gennaio, erano 2 milioni 145 mila (in aumento rispetto a dicembre 2010). Impegniamoci, guardiamo al Wisconsin, eliminiamo queste assurde porte girevoli presenti nel mondo precario della scuola. Investiamo sulla scuola e sui lavoratori della scuola. Eliminiamo l’immagine che ci costringe nel reale a vivere come all’interno di una sala d’aspetto di una stazione ferroviaria. Un treno, quello dell’occupazione, della stabilità (di tutto, anche affettiva) che tarda ad arrivare. Perennemente in ritardo. E nell’attesa edifichiamo la nostra precarietà-precaria-mente, adattandoci a quella situazione. Una sala d’aspetto che stiamo “costruendo”, edificando, anno dopo anno, come la nostra casa, con i nostri amici, cose, ecc. ecc. Basta con questa “neotenia psicologica” su vasta scala. Riprendiamo coscienza, torniamo a lottare per una condizione sociale e di lavoro soddisfacente.
Difendiamo la scuola. Difendiamo l’articolo 33 della Costituzione. Difendiamo tutta la Costituzione. Guardiamo alla lotta di classe in Wisconsin.
Il 91 vi augura un buon 2011
Il 91 oggi non circola. Come non circolava ieri e come non circolerà domani. E’ in sosta, presso il deposito. Una sorta di gabbia, ordinata, per bus. Così come in molti sono “costretti” dalla gabbia della cig. Così come altri nella gabbia della precarietà, come il sottoscritto, che pur viaggiando sul 10, stessa linea del 91, osserva pensieroso privo di un orizzonte i binari e le strade diventati bianchi da questo gelo; la galaverna riveste gli alberi: che bel paesaggio, pero. Seduto all’altezza di quello che fu il posto del bigliettaio, percepisco, metaforicamente parlando, una condizione da “arresto preventivo”, ingabbiato cioè da questa precarietà privandomi di qualche forma di speranza. Il lavoro, il mio lavoro, precario, mi stringe quotidianamente un cappio intorno al collo, impedendomi di programmare il futuro. Tutto viene giustificato, dalla crisi, dalla globalizzazione, e i “ricatti” che ci vengono propinati sono tesi al rovesciamento di un secolo intero di grandi conquiste. Il lavoro come un fatto sociale, così dovrebbe essere, ma spesso non lo è. Quante contraddizioni sono presenti all’interno di un luogo di lavoro, come la scuola, ad esempio. Quanti contratti? Di fatto, di diritto, magari le cooperative...Il freddo mi fa desiderare un luogo di mare nel profondo Salento, dove troneggiano cartelli con su scritto “Divieto di caccia e pesca”. Ora, questi cartelli paiono passati di moda, se si considera che ad essere cacciati sono i diritti sociali. Caccia aperta, alle persone, a tutto. Dove tutto deve essere ridotto a competizione. Caccia, che intendo come un concetto valvola: caccia ai diritti, cacciate le persone, Persone espulse da un posto di lavoro. Cacciate o espulse, pari sono. Globalizzazione come frullatore. La globalizzazione infatti frulla norme, tradizioni, diritti, diversi tra di loro da Paese a Paese. Norme, tradizioni, diritti comparati. Quelli dove sono svalutati “meritano il lavoro e gli investimenti”. Buonanotte Italia. Vorrei dormire e pensare che tutto sia un semplice sogno. Non è così, purtroppo. Frammenti di ricordi, discorsi, captati all’interno del 91 mi riportano alla triste realtà. Alcuni operai discutevano su orari, condizioni di lavoro, stipendio. “In Polonia e Brasile ad esempio, la settimana lavorativa è di 48 ore. In Italia, 40 ore. In quei Paesi, non avrebbe avuto senso la discussione sullo straordinario”. Fortunatamente era solo uno a pensarla così. Altri ricordavano che il sistema dei diritti sindacali è diverso da Paese a Paese. In Europa prevale il modello del pluralismo sindacale. Le organizzazioni sono piu’ di una e contano in base alla rappresentanza effettiva che hanno tra tra i dipendenti. Negli Usa, non è così. Chi vince rappresenta tutti. Sempre il piu’ forte, la competizione! Che brutta parola. Dopo che si sono svolte le elezioni, solo chi vince rappresenta tutti. Ecco perché Marchionne è sempre così stupito di doversi rapportare con molti. Ma da noi, in Italia, il pluralismo, la proporzionalità, sono stati sempre valori aggiuntivi. Importanti. Imprescindibili. Guardiamo all’operazione politica del “voto utile di veltroniana memoria”. Che guasto, che iattura non avere una sponda nell’agone parlamentare. Gli operai poi si erano messi a discutere anche di pause. Pause, diverse da stabilimento a stabilimento. “A Barcellona sono di 45 minuti per turno (stabilimento di Nissan). Nello stabilimento della Renault di Sandouville, in Normandia la pausa è di 17 minuti. (Nissan e Renault sono dello stesso gruppo industriale)”. Ma le pause devono permettere il recupero psico-fisico e non si devono monetizzare. Quanto stress dovuto a movimenti ripetuti, penso io. Poi, il tema stipendi. Il coro degli operai si alza, raffrontando realtà differenti: “Un operaio brasiliano percepisce 565 euro al mese circa; un operaio polacco, 700 euro al mese; mentre un operaio italiano, quando va bene, 1200 euro. Il tedesco 1700 euro”. già, chissà perchè la Germania e il suo stile di vita non va bene, ma, si continuano a citare come esempi realtà di Paesi emergenti per giustificare stipendi davvero irrisori. In nome della globalizzazione l’amministratore delegato della Fiat mette gli uni contro gli altri gli operai dei mondi emergenti e quelli del cosiddetto mondo civilizzato. E l’accordo di Mirafiori racconta qualcosa sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione? La produzione poi: l’Italia a fine 2010 produrrà nei suoi stabilimenti circa 600 mila automobili mentre se ne saranno acquistate circa 2 milioni. (3,9% del totale). Il tram sferraglia, fra la nebbia. Lento il suo incedere, come quello delle persone e dei loro diritti, sempre piu’ svuotati, sempre immersi in una realtà a tinte fosche. Come a tinte fosche si presenta l’anno nuovo, con rincari ipotizzati per mille euro circa a famiglia. La cifra secca, pari a 700 euro è attribuibile a rincari che non trovano giustificazioni, secondo molti. I trasporti in genere conosceranno un rincaro pauroso. Il carovita è sempre in agguato. Per gli alimentari, circa 270 euro. Una raffica di aumenti in beni e servizi. Per i prodotti. Naturalmente i trasferimenti statali saranno minori, verso gli enti locali, e questi ultimi, indirettamente, daranno una bella “spolverata”. Per non parlare poi degli statali. Si, ci raccontava un articolo de La Stampa che, “come sosteneva Vittorio Emanuele II, un mezzo sigaro toscano ed una croce di cavaliere non si negano a nessuno, e questo sarà in dote fino al 2013”. Nel triennio 2010-2012 infatti, l’incremento degli stipendi sulla base dell’indice Ipca (Indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea) previsto dall’accordo interconfederale del 2009 , non firmato dalla Cgil, avrebbe dovuto essere del 4,2%. Un punto di inflazione vale 20 euro, centesimo piu’, centesimo meno, quindi, 90 euro lordi che mancheranno nel cedolino. Trenta euro mensili fanno 400 euro l’anno, insieme alla tredicesima, quindi la perdita di potere d’acquisto sarà di 1200 euro lordi. Poi, nel 2013 ci sarà il blocco previsto, ed ecco che insieme, fan 1600 euro. Una famiglia su tre non riesce a sostenere spese impreviste, pari a 750 euro. Cosa possono contemplare quelle spese impreviste? Potranno contemplare quei mille euro di aumenti previsti per l’anno appena iniziato? a scapito di cosa? visite mediche? Quanta e quale sfiducia. Per non parlare della “cura dimagrante” nello Stato: un assunto ogni 5 pensionati. Serietà, coesione, solidarietà, sono le parole del Presidente della Repubblica con un invito all’ascolto ai giovani. Un ascolto a tutti: a quelli sui tetti, sui ponti in fabbrica, sulle gru. Ma l’ascolto, da solo, non è sufficiente. Occorre avere un’idea forte di politica; occorre invertire la tendenza: non essere sempre in difensiva. La politica, gli accordi, non possono riproporre un’antica pubblicità, stile formaggio “a fette”. Occorre riconnettere i temi del lavoro, del sapere, dei diritti, che mai devono essere monetizzati. Occorre uscire definitivamente da questa gabbia e smetterla con questa gabbia che ci vincola ad un “arresto preventivo”.
Sciopero: salviamo l’Italia
La pioggia insistente di questi giorni ricorda quella di alcuni anni fa, insistente che cadde alcuni anni orsono sulla nostra città, a Torino, in Piemonte. Erano gli anni 1994 e 2000. Che stagioni “politiche”. Almeno nel 1994 cadde il governo Berlusconi. La pioggia di oggi cade copiosamente. Le foglie, bagnate, marciscono e si stropicciano ulteriormente al nostro passaggio. La corrente del fiume è veloce; trascina con se di tutto: rami, bottiglie di plastica, ogni genere di masserizia, ricordi personali. Osservo oltre la ringhiera che separa la strada dal fiume. Un ombrello, aperto, è rimasto impigliato sui rami di un albero “sdraiato” sulle sponde del fiume. Un ombrello, un paracadute. Come sempre, anche in questo caso, il “paracadute” non è per tutti. Come gli “ammortizzatori sociali”. Mi soffermo a pensare e mi balenano numerose contraddizioni. “Al di là dell’Atlantico”, ricordava un editoriale del giornale subalpino, c’è una società aggressiva, vitale; da noi, una società ripiegata su se stessa, egoista. Al di là dell’Atlantico si comprano titoli del debito a lungo termine, con lo scopo di mantenere bassi i tassi di interesse e avere così corposi vantaggi: aziende che si ingrandiscono e che creano posti di lavoro con capacità di rifinanziare mutui a tassi convenienti, e tanta, tanta disponibilità di spendere per i consumatori. Tanti dollari, tantissimi dollari. Dollari che prenderanno la strada, nuovamente, della speculazione: dollari per comprare azioni di una stessa azienda in modo tale da aumentarne il suo valore. E le bolle si gonfieranno. Eppure quando si studiava economia ci veniva sempre detto che “non si stampa moneta”, si agisce come “carta assorbente” per limitare il circolante. E da noi, popolo di santi e navigatori? Al di qua dell’Atlantico qualcuno si bea che siamo il Paese con piu’ telefonini, (in realtà sarebbero piu’ sim). Lo steso signore si bea affermando che siamo il Paese con una percentuale altissima di proprietari di case. Ma siamo anche il Paese, e non si spiega la contraddizione, con il 40% di precari. Come stanno insieme le due cose? Abbiamo un salva-precari che conferisce posti di lavoro, a chi lo aveva negli anni passati, un incarico che parte solo ora, a novembre e per pochi mesi. Siamo il Paese in cui lo Stato ti legalizza la precarietà per otto, nove, dieci anni e dove le buonuscite per chi ha occupato posti di rilievo in qualche nota banca fanno inorridire mentre ai precari è precluso, magari dalla stessa banca, qualsiasi prestito. Siamo il Paese in cui la bellezza delle relazioni e dell’accoglienza fra generazioni si rafforza perchè la situazione, di noi precari, di noi di questa generazione, è sostentua dalla solidarietà dei genitori, degli anziani, dei saggi, formatisi alla scuola del conflitto di classe che ora si è assopito solo perchè qualcuno lo fa credere un arnese vecchio per gonfiare ulteriormente la propria borsa; la generazione, quella dei saggi, del sapere tramandato del movimento operaio e non dal sapere del grande fratello, di amici o dei tronisti, proprio queI saggi che con le loro lotte e il loro sudore hanno fatto si che i salari potessero incrementare così come accadeva per l’aumento della produttività, senza intaccare i profitti. Lavoratori, quelli, che chiedevano come il pane il sapere, quello vero, quello autentico, frequentando le 150 ore dopo otto ore di fabbrica; quelle 150 ore che hanno insegnato la lettura di una busta paga per “non farsi fregare dal padrone”. Dove è andata a finire la voglia di prendere coscienza? Noi, studiamo, otteniamo una laurea e ben che vada entriamo a far pare di un call-center, o reclutati per qualche mese da una agenzia interinale, o, se va ancora meglio, in qualche profilo basso nell’istruzione, quell’istruzione che ricorda il disastro di Pompei. Conosciamo due o tre lingue, amiamo viaggiare, ma gli Eurostar e tutto il low-cos lo vediamo solo sfrecciare, perchè a noi, non è dato nessun “ombrello”, nessuna protezione. Siamo un problema, noi giovani, ma, “siamo il Paese con il piu’ alto tasso di proprietari di case”, e così, questa frase assume un ritmo ad consesso internazionale” in cui parla il premier. Siamo il Paese in cui una famiglia media di quattro persone spende, in media, 113 euro al mese di spese sanitarie e di questi 37 euro per farmaci. Siamo a Torino, la città in cui si sperimenta l’S.o.s, spesa ortofrutticola solidale, che raccoglie la frutta avanzata nei mercati per darla a chi ne ha bisogno. Siamo il Paese in cui 37 sono i metri quadrati che spetterebbero come spazio vitale a ciascuno di noi, magari a 500 euro al mese. Poco importa se siano 7.800.000 come sostiene l’Istat o 8.370.000 come sostiene la Caritas i poveri, gli invisibili, i nascosti, costretti a “vivere nei 37 metri quadrati” mentre, d’altro canto siamo il Paese in cui il Presidente del consiglio possiede e vive in ville e villette dove potersi rilassare dalle sue fatiche. “Al sindacato spetta negoziare le condizioni di lavoro e la spartizione dei frutti; alla politica far funzionare meglio il sistema produttivo e rendere la torta piu’ grande possibile e che nessuno ne sia escluso”. Questo sosteneva alcuni giorni fa un giuslavorista. Peccato che in trent’anni le disuguaglianze siano aumentate e chi era ricco lo è ancor piu’ e chi era povero lo è ancor piu’. La busta paga è sempre piu’ misera e welfare e fiscalità non hanno piu’ la capacità di essere forze capaci di attenuare le disuguaglianze. E la torta l’han mangiata sempre i soliti noti. E così, neanche la scuola, l’università, riescono a garantire inclusione e ascesa sociale, inoltre, il dodicesimo rapporto annuale “Gli italiani e lo stato” del 2009 (Ilvo Diamanti, consultabile su http://www.demos.it) ci dice quando sia basso il grado di fiducia nelle istituzioni dello stato repubblicano. Cerco di limitare la “mia povertà” con ottime letture: da Dostoevskij a Veronica Tomassini, Lia Tirabeni, Elvira Tonelli, ma nulla sembra cambiare. “Annus Horribilis” direbbe come dice nel suo libro Giorgio Bocca.Ma ogni consesso ha il suo arbitro Moreno che alza il cartellino rosso. Signor Berlusconi, cartellino rosso. Il suo film, venuto davvero male, è terminato. Il tempo delle barzellette è davvero terminato.
Spero in una forte e massiccia partecipazione. Non c’è silenzio che non abbia fine.