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È tornato il 3

Finalmente è ritornato il 3 tram! Arancione no, verde! Come una volta, bei tempi. Ogni volta che lo prendo o lo osservo nel suo lento fluire, andare e ritornare, ciondolando come le borse, anzi, carrelli spesa stile traslochi sopra il metro, penso a tutte le analisi sociologiche e politiche e articoli di giornale che ne hanno fatto sul suo “corpo” metallico. Soprattutto, dopo le elezioni. Avrebbe dovuto essere una metropolitana leggera (c’erano, prima,di queste “scatole” arancioni dei bei tram che sembravano trenini ,con 8 porte e che ora avrebbero contribuito decisamente a stare tranquilli senza alitarci e respirare addosso! E chissà se sono abbastanza distanti e chissà se….Chissà che fine avranno fatto quei jumbo tram!) quando Torino vestiva la 54 ed era piu larga e corposa (ora, dopo la cura dimagrante, sarà
arrivata alla 48 ma veste saio alla francescana, nelle sue tasche, penuria di lavoro) ma non lo è stata: rovinarono con la griglia, un bel capolinea, su una collinetta quando era il “2”, e poi, per non farci mancare nulla, rovinarono lasciandolo al suo destino, pure quello del 3, con le scuole superiori li vicino e una caserma. “Cosi ridevano”, film) raccontava una Torino anni ’60 proprio da queste parti. Negli articoli di giornale ci raccontavano questo lungo tragitto e dei profumi di frutta e verdura che trattiene-tratteneva il 3, passando da porta Palazzo, a cominciare dalle angurie di Brindisi. È tornato il 3, ci sono le macchinette rosse per fare i biglietti, nel qual caso avessi dimenticato il biglietto. Poi, il gazometro che fa tanto Roma Ostiense, il campus universitario e dalla parte opposta, Palazzo Nuovo, che di nuovo aveva poco, in realtà e la Mole si specchiava addosso, e gli studenti si che….come i lavoratori che presenziavano agli ultimi corsi del giorno: diritto del lavoro, sociologia, sociologia del lavoro, economia internazionale, poi, il rondò, un altro rondò, della forca, Valdocco, zona ospedali, il trincerone e poi di corsa verso….dove c’era il Delle Alpi. Così ridevano…il tre, prosegue la sua corsa, verso zona Delle Alpi, ma li non gioca nessuno e nessuno canta…

Cesare Pavese, stanza 346

“L’uomo mortale, non ha che questo d’immortale, il ricordo che porta e il ricordo che lascia” (Cesare Pavese). Non avevo letto molto di Pavese, quantunque la nostra prof. (Delle medie!!) ce ne parlasse in continuazione, con “Lavorare stanca”, ” I dialoghi con Leuco’”, “Tre donne sole”, “La luna ed i falo’ “, “La bella estate”, ecc.ecc l; fu in seguito, avanti nel tempo che mi introdusse alle sue letture, L. Non so, ci vedeva qualcosa che io non riuscivo, in maniera superficiale, quando le cose, le passioni,  avvengono e maturano prematuramente. Forse perché  anche lei, L,  riusciva a vedere le cose “con un occhio solo”, anticipatamente, con una intelligenza emotiva superiore. Era affascinata di Torino degli anni andati, (con i  suoi tram verdi) e di quelli recenti (con le sue contraddizioni), e di Pavese cosi una volta, passando davanti all’hotel Roma di Torino, durante una passeggiata tra via Roma e Porta Nuova, chiedemmo, in maniera improvvisa,  in portineria, di poter visitare la stanza 346 dove il tempo è  fermo dal 1950. Ogni tanto mi capita ancora di  passarci, davanti l’hotel Roma, lungo il tragitto casa scuola e viceversa,  e mi capita di ricordare quel giorno e  di riportare alla mente alcuni passi delle opere di Pavese. Durante le vacanze di Natale mi è  capitato di passare nell’atrio della stazione di Torino Porta Nuova, e tra i tanti biglietti sopra l’albero uno riportava una brevissimo scritto, dei Dialoghi con Leuco’, “l’uomo mortale non ha che  questo  di immortale, il ricordo che porta ed il ricordo che lascia”, ed era firmato L. a due passi dall’hotel Roma. Stanza 346, dove il tempo si è  fermato.

Il rientro

Insieme alla malinconia e alla tristezza che sempre accompagnano chiunque sulla via del ritorno, questa volta, in treno, a Lecce, sale anche dell’altro: almeno 2 mascherine (da cambiare ogni 4 ore), lo spry igienico, da passare sul sedile, quello sulle mani, guanti plastificati. Per la cronaca: nessuno ha misurato la febbre a qualcuno!Il treno,  ad una delle tante stazioni, (anche se Frecciarossa ne farà  davvero abbastanza) una coppia si saluta, si abbraccia, mentre il treno decelera e si posiziona attestandosi in direzione di parallelepipedi numerati, poi, le porte si aprono, lei sale, lui resta, sulla banchina. La stazione è  una di quelle di mare, ancora Sud, gente che passeggia, infradito ai piedi, e non sai mai se viaggiatori o per un caffè,  al bar della stazione. I due, tra quei 2, tutto il messaggio e la comunicazione passano  dagli occhi,  le dita, un cuore, di quelli tanto cari e postati sui social. Un vetro, quello del finestrino, li divide, e così il treno è così la temperatura: lui al caldo, lei al gelo, nell’aria condizionata della Freccia che non conosce mezze misure. Poi il treno parte, la distanza tra i due aumenta, la forbice si allarga, lui rimpicciolire, fino a scomparire, mentre lei resta,  invia un  messaggio, toglie la mascherina, indossa un golfino, spoglia  il panino dalla sua  stagnola. E mentre lui è  stato inghiottito la città di mare rimpicciolire, sbiadisce e sparisce. Case e alberi volano via, il treno sfreccia. Molto si perde, altro fa la sua comparsa. Il mare si allontana e si avvicina, tutto in pochissimi secondi. E della ragazza, a scacchiera  due posti in là, si scopre che ha delle lentiggini, due occhi chiari,  gli occhialetti capelli rossi, carina.  Ha il suo panino tra le mani e…dopo una rapida occhiata si decide…Anche altri che  indossano le mascherine, la imitano, come avesse dato il la, srotolato la  stagnola e facendo cominciare le danze delle mascelle. Già  perché al bar del treno non ci si potrà andare. Chissà fino a quando. Era un modo per fare una passeggiatina, e  anche di sguardi. La posizione dei sedili è  “a scacchiera”, due posti occupati, due liberi. Zig-zag. Ad un metro e piu da “rime buccali”  viaggia con me una signora anziana, con la mano ingessata. Conosco esattamente la storia di come è  capitato,  da Termoli o giù di lì fino quasi alla stazione d’arrivo, talmente tante le persone cui racconta l’evento. Poverina. Nei vari intervalli fra una chiamata e l’altra sgranocchia e gentilmente vorrebbe offrirmi qualcosa. Il treno sfreccia via, e riconosco Porto Recanati, on le sue casette colorate, sbircio per individuare l’oratorio (ex di don Bosco) Loreto e la sua bellissima Chiesa, Osimo (e un pensiero s san Giuseppe da Copertino che veglia sempre sugli studenti!) e il campo dabasket e le colline de” la stanza del figlio”, la galleria, Ancona, il suo Duomo, Senigallia, la spiaggia di velluto, la Rotonda. Avrei voglia di un caffè e riavvolgere il nastro ma il bar è  chiuso e qui, il treno non si ferma. Il treno corre. Riconosco molti posti e mi piace immaginare la vita in questa estate che lentamente torna a giganteggiare sullo Stivale del Bel Paese. Qui, da queste parti, iniziava sempre la Bella Estate. Son certo sia ancora cosi. Il treno corre d fischia e dei 15 o 18 minuti di ritardo che  aveva tra una stazione e l’altra di Milano (Rogoredo e Garibaldi) scompaiono drl tutto. Alla faccis della velocità cosi alta!. Il tempo di sbirciare fuori e nel giro di 40 minuti si intravedono Settimo e Superga. Il treno infila il tunnel, la voce mettalica ringrazia di aver viaggiato con loro. Il treno si ferma. Scendo e con la coda dell’occhio intravedo la ragazza  con gli occhialetti e le lentiggini. Era torinese anche lei.  Pochi secondi e ci si perde tutti, nelle viscere di Porta Susa A.V., ognuno verso le proprie vite. Verso altre destinazioni.

 

Al “via” gli esami di maturità

Nel mio  libro, interrotto per molte volte e tempo,  a segnare le pagine e a pettinare le parole, una manciata di fiorellini gialli, residuo di una mazzolino di mimosa rimasto lì, orfano di un mazzo più grande da donare, fiorellini del tempo andato, annunciatori di  giardini di marzo “vestiti” di nuovi colori. E primavera. Che anno è,  che giorno è che ore sono? Che giorno era, quali ore battevano? Sembra fermo, il tempo, come un orologio o una pagina di calendario rimasti ad ore vecchie che poi sono sempre nuove, di quelle che verranno e  giorni passati, in case per ferie, riaperte  dopo tempo, come quando si torna nelle case dei nonni, troppo affacendati a girare pagine e far ripartire le lancette di un tempo che corre. Cose, storie e vite da scrivere e riempire, di fatti, cronaca, persone. Troppo in fretta. Un’ora bastera’? Per dirle tutto, cara lampada Osram. Erano gli ultimi sprazzi “gialli” di libertà, quelli di marzo, dei Dpcm, delle ordinanze, zone rosse e chiusure di negozi rimasti aperti alla vigilia di un chiusura. Poi….poi, i bollettini, giorni lenti, noiosi, lunghi come “quaresime”…oggi nei giardini nuova vita, sparsi qua e là  ragazzi intenti negli ultimi ripassi, al via di una maturità che resta, come la notte, appena trascorsa e sempre loro.  Quaderni, libri, tracce, mappe, bussole di una vita. Lancette: pensieri, parole, riflessioni, concetti. Orientarsi: tempo e spazio. Tempi: ieri, oggi, domani. Maturità,  quella che poi farà svegliare sempre negli anni e notti  a venire. Notte prima degli esami e prima mattina di maturità.  Chi la dice monca, sbaglia. “Io la dico uguale”, perche gli altri 4 anni e e 3/4 di tempo trascorso, speso, ben speso, per un ben-essere, resteranno per sempre, con i loro carichi di emozioni, sentimenti, relazioni. Le gite, le esperieze, le “asl”, che non hanno niente di sanitario essendo percorsi di alternanza scuola lavoro. Ma quanti saranno i maturandi italiani? 500 mila? Bhe, dai, cari ragazzi,anche questo è  il vostro momento, un rito di passaggio. Niente ansie. È  il momento della maturità. La vostra.  Che resterà.  Per sempre.

24 maggio

20200524_092918Per le strade, ora, i bus, in prossimità delle fermate, sbuffano, rallentano, qualcuno, dopo aver gettato furtivamenre una rapida occhiata al suo interno, decide,  sale, e altri scendono. Bus che viaggiano per la verità semi-vuoti, quindi, ampi spazi tra un sedile  e l’altro, garanzia,  tranquillità e comodità, in attesa della voceche fa compagnia tra uno stop e l’altro “prossima fermata, piazza Statuto”. Per strada tunnel e ciclisti, questi, spesso dove non dovrebbero, e sfrecciano. Da ieri, a dire la verità sfrecciano anche carro attrezzi sempre sul “pezzo e frequenze” e sempre da ieri, profumi di caffè e rumore di tazzine, che indicano qualcosa di nuovo  nell’aria e nell'”aroma”. Lentamente, parvenze di  normalità. Devo dire che ho fatto un giro anche presso una libreria del centro, munito di tutto punto, dalla mascherina ai guanti, al gel, per la verità, posizionata all’interno. In centro, un gruppo nutrito di genitori e figli protestano, per la dad, per un rientro a scuola.

Oggi è  giornata di festa, per la famiglia salesiana sparsa per il mondo. 20200524_093032È  la festa di Maria Ausiliatrice, così cara a don Bosco, al punto da erigere la Basilica attaccata al primo oratorio dedicato al Santo sociale. Da corso Regina Margherita, volontari, vigili, salesiani, polizia, aiutano la confluenza dei fedeli nel rispetto delle norme: si scende giù, verso la Basilica, rasentando la statua di don Bosco, ( basilicache per la prima domenica, in questo periodo di emergenza, vede  nelle celebrazioni eucaristiche la partecipazione del popolo dei fedeli) scegliendo una delle due corsie a disposizione ben segnalate dal nastro rosso e bianco: la prima, per entrare in Basilica, e partecipare alla messa, la seconda, per il cortile, dove è  posizionata la statua della Madonnina. All’interno  del cortile, sedie ben distanziate, per poter partecipare a momenti di preghiera individuale e collettiva. Per un saluto alla statua e una preghiera veloce, occorre mettersi religiosamente in fila. Per l’uscita, si accede al cortile, un tempo saturo di bus di fedeli provenienti da molte città,  che da su piazza Sassari.

Alle 17.00 celebrazione con il Rettor Maggiore.

Anche per quest’anno, come l’anno scorso (Era per maltempo) non si procederà  con la Processione per le vie del quartiere.

Riapertura

20200518_082934Questa mattina, qualcosa di nuovo, nell’aria, e non era solo qualche macchina in piu a movimentare il traffico cittadino. E non solo quell’aria che esce dalle marmitte e che ci eravamo tanto dimenticati. Piu leggeri, però.  Profumo di caffe, e rumore di cucchiaini, tanto dimenticati. Leggerezza. E forse per  un certificato in meno, in tasca, di quelli che avevamo con noi, stretti, nelle mani, per evitare che qualcuno ci gridare dietro perché andavamo a fare la spesa. Più leggeri, forse, complice anche l’aria, il tempo che anticipa e chiama giugno, anche se, l’acconciatura è  lunga, richiama periodi invernali e anni ’70, e a tratti, come il fratello di casa d’Este uscito di prigione anni dopo, con i vestiti e la capigliatura, o capigliatura di quando entrò  nel castello, in prigione. Aria nuova, di riapertura, e grande festa, per le celebrazioni eucaristiche col popolo. Nella Basilica di Maria Ausiliatrice, a Torino, due adesivi sono posti ai lati estremi delle panche. Finalmente. Fedeli ben disposti,dopo aver ascoltato le corrette procedure, oggi è  il giorno dell’applicazione, sotto lo sguardo vigile della Madonnina, che chissà se il 24 di maggio uscirà  in Processione per le strade di Torino. Negozi con saracinesche giu e molte su, e qualche studente per le strade che fa festa con amici per il tablet o device giunto a deztinazione. Finalmente le lezioni. Interessante il punto di vista e racconto su La Stampa di oggi.

Mi mancano poche pagine per terminare “La peste” di Camus ma chissà  per quale motivo non ne ho voglia di conoscete il finale. Avevo voglia di aria fresca…

Buon primo maggio (2020)

20190501_105027Buon primo maggio (foto dello scorso anno).

Sveglio, di primo mattino, dopo un buon sonno, ristoratore, dopo il film su un giovane Marx, della sera prima. Sveglio, senza l’ansia che sia troppo tardi per intercettare pezzi di fabbrica, di sindacato, anicizue sfumate, nel tempo, ma che resistono, nel tempo, e le ritrovi, in piazza, l’anno successivo. Col tempo ci eravamo abituati a sfilare “senza il soggetto principale”, o”senza l’interlocutore” più importante, ben presente nella Carta fondamentale, a partire dagli inizi, dal 1948, dai fondamentali, tra i 12 fondamentali, mentre oggi, ora, citta senza cortei e anche senza il residuo dei lavoratori, testimonianze di tracce, di frammenti, di lavoro sconfinato, spacchettato, spedito, delocalizzato altrove.  La raccontavano da tempo, che “era necessario” accettare l”interinale (che brutto nome), la somministrazione, il part time, orizzontale, verticale manco fossero pose. Una mattina, quella odierna, senza: bandiere, cori, slogan, “filtri”, tra spezzoni di sindacato, partiti e antagonisti  compagne, compagne.  Persone. Restano i ricordi di altri cortei e spillette rosse, gente che salta il cordone alla vista di Cossutta, Rizzo, Bertinotti, Ferrando e cordoni di militanti a garantire il servizio d’ordine.  Resta il ricordo dei 100 mila di 26  anni fa, “tre rami” che confluirono poi in piazza San Carlo. Centomila magliettina bianche perché la “Rivoluzione non russa”, una settimana dopo 300 mila a Milano sotto la pioggia:   “Che liberazione”. Oggi, tutto tace, a parte i canali web, ma è  tutta un’ altra faccenda.

20190419_171101Perfino il concertone, di piazza san Giovanni a Roma, tace. Ci sarà  la bellissima Basilica, con la piazza e il silenzio.

Restano i ricordi.

Al prossimo 1 maggio.

“Bella ciao”

20200424_055304Nella giornata di oggi i ricordi e le mancanze affollano la mente come tanti personaggi di un romanzo qualsiasi di Dostoevskij,  la folla   in uno dei tanti bus mattutini,  pieno di studenti, quelli del prima che entrassero in vigore le restrizioni  causa coronavirus che in un  colpo solo ci ha portato via affetti, persone, celebrazioni,  rito, La fiaccolata. Già, perché la vigilia del 25, il 24 a sera, da  piazza Arbarello, zona centrale del  torinese, partiva sempre il serpentone, la fiaccolata, con in testa, i reduci, i partigiani, “Il fiore, del partigiano”.  E li, i saluti, gli abbracci, degli amici, compagni di fabbrica, di un tempo, quelli che vedi certamente in due occasioni, con l’orgoglio di appartenere ad una classe, operai all’Arpino, per intenderci. Era bello vederli confluire tutti, stanchi, ma soddisfatti, tutti, alcuni, di aver donato, col sangue, la liberta, altri, molti, che l’hanno avuta, in dono, prima di giungere dopo aver attraversato via Cernaia e via Pietro Mucca  in piazza Castello. Si è portato via, questo covid, non solo quei momenti, fatta di abbracci e di grazie, il fiore, rosso,  che la mattina presto si lasciava nei vari angoli della città  di Torino, dove una lapide  ricorda un caduto, morto per la libertà. Si cominciava dalle parti di piazza Statuto, porta Susa,  piazza XVIII dicembre. Fiori, tanti fiori. Silenzio. Ricordi. Poi, lentamente verso altri punti, fino a confluire in piazza Carlina, luogo di Gramsci, verso mezzogiorno. Ognuno poi, un discorso. Ci tornavo poi, in silenzio, da solo, nel pomeriggio, perché il silenzio è  pieno sempre. Mi mancano le bandierini del tricolore, sui bus, quelle che mio padre mi introdusse a vedere, da piccolo, quando, come in un film in bianco e nero, quei bus erano ancora verdi, poi rossi e poi ancora arancioni. Mi manca un giornale,  Liberazione, che ne portava il  suo nome, in rosso, quello del grande Curzi, con il suo testone ed il suo viso bonario, la pipa ed il suo editoriale in prima pagina. Sandro,  quello della mia tesi di laurea, Sandro, come l’altro grande che diede l’annuncio.  20200425_143907Mi manca non poter sentirne i ricordi,  dachi ha combattuto, perla libertà, ora possiamo e dobbiamo leggere e studiare. Si è portato via molto, a tutti, questo covid. Ed era bello, vedere passando dalle Chiese come questo giorno fosse destinato alle prime Comunioni. Il bianco, dei vestiti, e poi il rosso.  Speriamo dipoter rientrare presto e bene in possesso di  tutte queste cose.

Sono le 15. Spuntano “fiori del partigiano” dai balconi.  Resistere dobbiamo. Alziamo, usciamo sui balconi, cantiamo. Bella ciao.

 

 

“Maria Adelaide” e co.

Non ricordo con esattezza se fosse settembre del 2015 o inizio ottobre dello stesso anno, quando nel vecchio ospedale Maria Adelaide, a Torino, si tenne una mostra.  Siamo nel racconto a due passi dalla Mole, dall’Universita, dai Giardini Reali, insomma, dal centro, e penso circoscrizione 7. L’ospedale, famoso per “l’aspetto” ortopedico, era ritenuto uno dei migliori, tanto che li nei pressi esiste  (o resiste) ancora una “officina ortopedica”. Ricordo che i pazienti lo indicavano come il migliore dotato di macchinari per le radiografie. Voci metropolitane, immagino, dato che tali macchinari, dovrebbero essere uguali in tutti gli ospedali. Lo guardo spesso e lo ripenso, con la memoria ed il ricordo, ora che, a viaggiare per la città  ci è  impossibile.  Chissà quanti “collaudi” alle scarpette dei bambini avrà fatto la dottoressa Z.  ortopedica, famosa per far correre i bimbi nei corridoi, (di ospedale o asl) al fine di valutare la bontà  o meno di quelle scarpette ortopediche. E forse, son sicuro di non confondere,  metteva in atto le stesse richieste in qualche Asl di Torino sul finire degli ani ’90 inizio 2000: “cammina dai, corri, invitava ai bambini..”.Ma perché è  giunto a me  questo ricordo così lontano? Perché  nel silenzio poetico di questi giorni ( ma questo silenzio puo’essere davvero poetico?) mi viene in mente il vecchio ospedale Maria Adelaide? Con mio padre, quella domenica mattina, non riuscìmmo a vedere quella mostra; una domenica mattina in cui molti torinesi a dire il vero, ebbero la mia stessa idea, forse perché occasione di rivedere un ospedale, con le sue sale, conosciuto in passato. Eravamo in coda, tantissimi, e ogni volta che ci passo ricordo quei momenti, con quello del viso di mio padre, stanco, che non capiva il perche di quella cod;  oggi ripensando a tutto mi chiedo:”Ma perché non deve essere riaperto un ospedale che era funzionante e considerato eccellente? Già, perche? A meglio, perché era stato chiuso?Perché siamo stati costretti a farci tagliare servizi? Il fiume, la Dora, passeggia, stancamente e la domanda diviene pertinente. Tornando indietro, la domanda si rafforza alla vista, dalle parti di via Cigna, prima di corso Novara, di altro ospedale. Addirittura la domenica resisteva una edicola ambulante de La Stampa. Sono sicuro che frugando fra i miei ricordi  sarebbero capaci di uscire altri ospedali, chiusi, dimessi….perché??

Avremo “notti bianche” e “urla alla Tardelli”

20200315_181814Le strade sono vuote, che neanche ad agosto.  Giornalai aperti, e molti ad informarsi, che è  un diritto. Per  le strade, sono i piccioni i veri proprietari delle nostre città, piazze, corsi, vie, che non saprei dire se centro, periferie o tutto insieme, divenute nel giro di poco così piccole, ristrette, come avviene  per un capo di biancheria dopo aver sbagliato candeggio. C’è  qualcosa di nuovo nell’aria, si, e non è solo il virus, ma qualcosa che ha tutta voglia di resistere, fare comunità,  uscire seppur per pochi istanti, sul balcone di casa  e cantare, ballare, suonare, gridare, bebè  alla mano, anzi, in braccio per giovani coppie! Un tempo ci fu a Torino ” il concerto dal balconcino”, e ora spuntano concertini  come fiori. Pentole, piatti, di ogni fattura. Da un balcone all’altro un “Hai bisogno”, “come stai?”, “serve niente”, e poi, giù a cantare, “Azzurro”, “il cielo è  sempre più blu”, “inno di Mameli” , “la gatta”,…se il mondo assomiglia a te….

In tanti si organizzano: forme di solidarietà, volontariato, partecipazione, cultura in streaming, condivisa. “Alzati” direbbe Francesco, che cammina a piedi lungo le vie del Corso per recarsi in Chiesa e affidarci.

Balconcino. E tutti in piedi. A casa,  in piedi, a creare o ricreare comunità nuove e uomini nuovi, non più solo. “C’erano uomini soli” canteremo domani. Dai balconi penzolano striscioni, arcobaleni, con su scritto, “Andrà tutto bene”, con colori e perimetri colorati da bimbi, mani tremolanti, ma sicure allo stesso temlo, che tutto andra bene. Campane ieri, tutte, a mezzogiorno. Quelle stesse che non annunciano piu messa, (da decreto),  dopo aver messo tra parentesi strette di mano, segno di pace, acqua santa. Ma abbiamo voglia. Torneremo piu grandi di prima e ciascuno avrà  la sua notte bianca, alla Dostoevskij, o quelle olimpiche, targate Torino 2006. Immaginiamo l’urlo, liberatorio, alla Tardelli, al Santiago. Immaginiamo Pertini, la sua pipa, le sue braccia sollevate, verso’alto. Sarà bello. Tutto. Andra’ tutto bene.

20200315_175933Nella Basilica di Maria Ausiliatrice, in preghiera, il Rettor maggiore, successore di don Bosco, appena rieletto, prepara il suo pensiero, preghiera, rivolta ai giovani nel mondo.