Torino non sta mai ferma. E io neppure. Una giornata ricca di eventi. Da tempo avevo prenotato presso il Rifugio Antiaereo di Palazzo Civico di Torino
lo spettacolo “Marta e Olmo”. Torino, ore 16.30. Municipio, si scende:
scalini, gallerie e ancora gallerie.
Siamo nel rifugio del 1940 e nello spettacolo, nel 1915. Siamo un bel gruppo. “Marta e Olmo” ci attendono. La radio con le stazioni dell’epoca, di quelle militari, gracchia, in sottofondo.Il rifugio ammutolisce.Le luci si spengono.Solo il volto dei protagonisti si illumina.
Comincia lo spettacolo. E’ intenso, con punte drammatiche…il ruolo degli adolescenti e delle donne “che ora eseguono ogni tipo di lavoro, come gli uomini” (dice Marta), e poi, l’amore che c’era perche’ qualcuno prima che accadesse la guerra, Marta se la guardava “ma ora non piu'” continua lei. Forse non ci si pensa piu’, all’amore. L’amore messo tra parentesi. “Ora si deve pensare al pane” ci racconta. Da condividere. Marta, “portatrice”, la prima linea e seppellisce, seppellisce, seppelisce i corpi abbandonati ora dell’uno ora dell’altro schieramento. Di qua o di la della linea di confine. Marta che sale, sale, sale…montagne fino a un carico di 30 o 40 kg. Le portatrici potevano avere dai 15 anni ai 60. Marta e’ giovanissima.Olmo, figlio di una italiana e una austriaca…si incontrano. Lui e’ “piccolo”, lei e’ piu’ grande. Lei e’ bellissima anche quando prima di cominciare trema, e i capelli pure e il viso impaurito, ma forte. E’ bella. Lui corre, meglio, mima una corsa, cappello in testa, cercando di essere grande, di fare la sua parte nel contesto. Uno spettacolo che scivola via, piacevolmente, per un’ora. Poi, Marta termina regalando un fiore ad un signore, preso dalla cesta a centinaia, a migliaia
, poi una carezza ad una signora fino a incrociare me, mi allunga la mano e mi dice che “trovero’ un tesoro e non sara’ solo oro”. Poi, una candela accesa…Marta e Olmo scivolano via. La radio torna a gracchiare. Li saluto, li ringrazio e corro verso il cimitero monumentale: la lettura di Jvan Il’ic di Tolstoy
attende.
Esibisco il mio biglietto acquistato giorni prima al Circolo dei lettori ed entro. Dove? Al cimitero monumentale dove la lettura integrale di Tolstoy, “In morte di Jvan Il’ic, attende. Che spettacolo. Alle ore 18 il porticato pare trasformato in una tribuna: sedie, le riservate e quelle no, collocate appena sotto “foto” e “fiori” e nomi , cognomi e date e pensieri: di nascita e morte. Tanto loro, i morti non “paiono” essere disturbati da questo via vai del nostro voler riflettere e scoprire “di che pasta siamo fatti”. E mente e anima di una citta’ intera ricercano “L’impasto umano-Fatti di terra, guardiamo le stelle”. Io qui, altri in 30 luoghi diversi della citta’ con 120 incontri e 150 voci da tutto il mondo: spettacoli, conferenze, meditazioni, reading. Per l’undicesima edizione di Torino Spiritualita’. Dal 23 al 27 settembre.
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Diego Novelli. Un don Bosco laico?
Nella giornata di oggi, 31 gennaio, dedicata ad uno dei Santi Sociali del territorio della nostra città, don Bosco, sentivo il desiderio di riascoltare una chiacchierata avuta alcuni giorni fa con l’ex Sindaco della nostra città, Diego Novelli. Sovente, qui, sul blog, è stato menzionato. Un grande sindaco. Per tantissimi, il Sindaco. La sua buona politica e il suo ricordo al servizio della città restano indelebili. Mi faccio raccontare qualcosa sul libro, “Le bombe di cartapesta” precedentemente nominato, qui, sul blog, sugli spezzoni e la guerra a Torino. Guerra ricordata da Natale Gherardi. Ma, nella giornata di oggi, resterò al suo rapporto con i Salesiani.Da ragazzo e da Sindaco. Parliamo del più, del meno, di libri, molti libri, tantissimi al punto da avere l’idea di essere l’interno di una biblioteca durante lahiacchierata . Parliamo di lavoro, di lavori, di politica, comunicazione, di legge elettorale, di oggi, e legge truffa, di ieri. E di Presidente. Si interessa ai miei studi, al lavoro……..Guardiamo insieme il blog. E’ attivo. Curioso. Scrive e legge. I libri sono disposti ordinatamente in ogni posto libero (ma in realta’ i libri si mangiano tutti i centimetri disponibili”). Resta il Sindaco. Vedia one un po’ sinteticcmente un aspetto della storia.
Oratorio di Borgo San Paolo dei Salesiani. La seconda casa.
“Mio padre, aveva rifiutato, ( perché obbligatoria per i dipendenti pubblici e per i dirigenti di prima classe delle aziende private) l’iscrizione al partito nazionale fascista e rifiutandola era stato “catalogato” come un “sovversivo”. Cioè, ostile al regime, quindi sempre soggetto ad essere vigilato e condizionato nelle sue libertà fondamentali e in ogni movimento in particolar modo in coincidenza di alcuni eventi del fascismo sul territorio della nostra citta’. “Quando venivano giù da Roma i cosiddetti “pezzi grossi” del regime, la polizia locale veniva a prenderlo. Lo conducevano al commissariato, per un “soggiorno” forzato di almeno un paio di giorni. Non poteva frequentare locali pubblici, andare al bar, o altri posti aperti al pubblico. In molti non sanno che proprio nei bar vi era l’insegna con su scritto “qui è vietato parlare di politica”.
Le alternative, quindi, per chi era considerato un “sovversivo” dal fascismo erano piuttosto limitate. Mancando queste, non restava che l’ oratorio.
Amante del teatro, il papà di Novelli, aveva messo su una filodrammatica. Aveva una passione viscerale per la recita. E noi, lo seguivamo. La nostra seconda casa, ovviamente, era diventata l’oratorio dei Salesiani. L’Oratorio Salesiano San Paolo. Diego elenca tutta la struttura di appartenenza prevista, in base all’età dei ragazzini e il relativo tesseramento.
” Prima ero Luigino, poi Domenico Savio e ancora negli effettivi”. E tutto questo, subito dopo la guerra. Appena ritornati al San Paolo.
Insomma l’organizzazione dell’Oratorio era ben strutturata.
Diego li racconta con lucidità e anche con affetto, la struttura e quel periodo. E con affetto ricorda gli amici e alcuni Salesiani che, complice la sua buona stoffa, qualità, intelligenza, e un pizzico di destino, hanno contribuito a disegnare il suo futuro.
“ Durante quel periodo, grazie ad un salesiano, don Baracco, riuscì a trovare un lavoro. Serio e piacevole. Mentre giocavo proprio nel cortile dell’Oratorio, quel don mi chiamò dicendomi: “Diego, te la senti di andare in centro, di andare in Torino”, così si diceva allora, “dall’ Ebreo, ( così si chiamava il negozio di libri che c’era in centro sotto la galleria Subalpina), in piazza Castello”. In uno dei magazzini dell’Oratorio San Paolo vi erano infatti accatastati numerosi libri frutto di varie donazioni. Fu così che, insieme ad altri ragazzi partimmo “verso Torino” con due borsoni pieni di libri.
Negozio chiuso e destino sempre aperto. Per una porta chiusa, un’altra se ne aperta. Siamo nel 1945 e tra le macerie di via Po, la Libreria Gissi, contrariamente all’altra, è aperta e prova a rilanciare un po’ di normalità tra la cultura. In vetrina, era esposta la scritta: “compriamo libri usati”. Soggetti della trattativa sui libri da vendere, il Ragionier Momigliano e Diego. Quest’ultimo si rivela subito “un’occasione”da non lasciarsi scappare. Il Ragionier Momigliano vede lungo sulle abilità di questo oratoriano, e non soltanto compra i libri ma offre un lavoro estivo presso la libreria per la durata degli studi.
Diego Novelli diventò così un lavoratore-studente. Il ragioniere offrì inoltre l’iscrizione ad una scuola serale privata. Fu così che, un occhio di giorno ai libri da vendere e due su quelli da studiare, di sera, Diego cominciò a bazzicare gli ambienti della politica, del sindacato e frequentando la domenica, l’Oratorio.
1948: Diego Novelli e l’Oratorio dei Salesiani.
Nel 1948, tre anni dopo la fine della guerra, in vista della tornata elettorale, qualcosa nei rapporti tra il lavoratore-studente e l’Oratorio, muta.
La passione Politica e l’impegno.
“ Con due fratelli partigiani, mio padre di orientamenti a sinistra, mio nonno materno morto per le botte dei fascisti nel 1922 nel circolo socialista della Barriera di Milano, non potevo che collocarmi a sinistra. Quindi ho fatto campagna elettorale per il Fronte Popolare che era il Fronte unito della Sinistra. Una domenica mattina, dopo la messa sociale, quella delle 8.30, nel cortile dell’Oratorio, notiamo alcuni che distribuiscono volantini per la Democrazia Cristiana e più specificatamente per l’onorevole Gioachino Quarello. Noi eravamo tre o quattro del Fronte Popolare. In un attimo, dopo esserci guardati, io ed altri compagni ci siamo detti: “domenica prossima porteremo anche noi dei volantini del Fronte Popolare. Qui. In oratorio.” E così fecero.
“Non dico cosa successe. In seguito a quel fatto fummo espulsi dall’Oratorio. Il Direttore dell’Oratorio salì sul pulpito e da lì ci indicò come dei ragazzi traviati. Mia madre ci restò molto male. Affranta e distrutta per il figlio espulso dall’Oratorio. Dei Salesiani. Una delusione, per lei. Per tutta la durata della campagna elettorale, una domenica dopo l’altra, abbiamo fatto il nostro lavoro di militanza politica. Il volantinaggio davanti l’Oratorio e la Chiesa”. Quel fatto però ha lentamente allontanato Diego dal mondo Salesiano, dall’Oratorio, dalla messa sociale, dal campo di calcio. Questo almeno per un po’ di anni.
Nel 1949 Diego si iscrisse alla Federazione Giovanile Comunista.
Diego e il lavoro: il giornalismo di sinistra
“ Nel 1950 scrivevo per qualche giornale sportivo e mi han chiesto se volevo andare a lavorare a L’Unità come archivista e apprendista cronista di cronaca nera. Nel 1950 ho cominciato a lavorare a l’Unità: cronaca nera, sindacale, giudiziaria, politica e dal 1955 i resoconti del Consiglio Comunale, diventando una specie di “oggetto” di Palazzo Civico. Ero tutti i giorni in Comune. Nel 1960 il partito comunista, dato che il mio domicilio era era diventato, per via del lavoro, il Comune, mi chiese di candidarmi al Consiglio Comunale. Riuscì ad essere eletto nel 1960. Nel 1966 diventai capo gruppo e nel 1975 per la terza volta mi chiesero di ricandidarmi e di fare il capolista. Io però, avevo una gran voglia di tornare a fare il mio mestiere: il giornalista.
Nel 1975 ci fu l’avanzata delle Sinistre. Cosa successe a Torino, al Pci e a Diego?
Successe che noi della sinistra ci trovammo con un seggio di maggioranza (eravamo insieme con i socialisti al Comune di Torino). La domanda a quel punto era: “Chi diventa Sindaco?”
Diego Novelli, era il capolista, e il candidato che ha ottenuto più voti. Lineare e obbligata la scelta.
Dal 1975 al 1985, Sindaco per due tornate amministrative.” Prima avevamo una giunta, di sinistra, con un voto di maggioranza: avevamo infatti 41 consiglieri su 80. Sai che fatica! Nella seconda giunta siamo andati avanti. Noi comunisti abbiamo preso 33 seggi (da 30) e i socialisti da 10 a 12, quindi un margine più largo.
Fu così che Diego si ritrovò Sindaco della nostra città per due mandati e nel frattempo, nella sua veste istituzionale ricompose i rapporti con i Salesiani conquistandosi, per via delle estate ragazzi avviate dal Comune di Torino l’appellativo del don Bosco laico.
(un ringraziamento a Michele Curto e Juri Bossuto, autore di “Un gatto nel cuore di Torino”, che si sono resi disponibili nel rendere fattibile questo incontro).
Torino…Buone feste a tutte/i
Torino, 20 dicembre 2014. Torino nella nebbia,
Torino avvolta nella nebbia.
Shopping natalizio
e corse da una parte all’altra della città.
Fosse un gioco…allora giochiamo… Fosse un film: “In viaggio con papà“. Fosse musica e film, “Elisa” (Heaven out of hell) e “Casomai”, con Fabio Volo e Stefania Rocca, (film del 2002), una pista, pattini, mani intrecciate e scivolare via, sulla pista della vita. Fosse un libro, Dostoevskij, fosse una sua frase: “Il soffrire passa. L’aver sofferto non passa mai”. Fosse uno sport, pattinaggio. Per scivolare sopra tutto. Soprattutto. Torino è semplicemente bellissima, questa sera. Tutto insieme. Viene voglia di prendere, ballare o andare a ballare. Sotto le stelle, sotto le luci. D’Artista. Musica nella testa e fuori.
Un giro per librerie. In una, un libro, tanti libri, Massimo parla e consiglia. Ne compero un pacco. Tra questi anche “Il contrario dell’amore”, oggi, l’autrice, Sabrina Rondinelli, ne parla, lo presenta, lo firma. Scambiamo qualche parola, sul libro, sui libri, sulla scuola.
A proposito di scuola e scuole (carenti di supplenti, prof e bidelli). Giornata di auguri, con un prof, colleghi e, in giro per shopping, per la città, anche gli studenti, al grido: “mamma, mamma, guarda, guarda….Romano”. Ps. Forte, davvero, vedere i torinesi in una via Roma pedonalizzata attraversare sulle strisce pedonali. Se fosse la copertina di un disco (esistono ancora?) sarebbe quella dei Beatles. In via Roma si balla, tra babbi e babbe sui pattini. Si balla pure in piazza Castello, sotto l’albero. Ma qui, sono davvero in tanti e in cerchio, mentre in via Roma, si “disegna”, liberamente. Dalle panchine, poi, qualcuno ammira la bellezza architettonica del circostante. Ps.2: Il Comune augura ai torinesi buone feste.
Buone feste a tutte/i aggiungo io.
Puntine di “classe”
Probabilmente uno degli ultimi posti in cui “resiste” la bacheca, nella sua versione piu’ classica, e’ la scuola. Quante difficolta’ nel reperire poi le famose “puntine” da bacheca scambiate spesso, ora dai ragazzi, ora dai bidelli, per altre puntine, quelle per pinzatrici, utili per “cucire” piu’ fogli. Quante volta davanti alla bidelleria si palesa un ragazzo a chiedere delle puntine senza aver compreso bene se quelle per bacheca o quelle per la pinzatrice. Innescando cosi un via vai comico piuttosto prolungato. Bacheche. Puntine tolte da una parte e aggiunte in un’altra, fogli penzolanti e fogli della bacheca sindacale rafforzata. Oggi, spesso, l’immagine e’ abbinata alla rappresentazione di un “wall” di social network, facebook: uno sfogatoio personale, un viva o un abbasso, un link, di una canzone o di un libro. Come in questo caso, “Un gatto nel cuore di Torino“.
Ma le “puntine” di classe, fortunatamente,resistono, soprattutto in altri ambiti, soprattutto quando rendono noto un qualcosa di importante, uno scritto, una circolare, un appuntamento. “Una puntina“di un qualcosa, un sovrappiu’. Anche Laura Morante, (tanto per restare sulla “piazza”, ovvio, la nostra torinese, in “tempo”di e per TFF) in una scena di un film, ricorreva all’immagine di una puntina di un qualcosa, capace di esaltare il prodotto (era la pasta al forno Esaltata da una spezia?). Altere volte, le puntine, sono di invidia o di ironia. In questo caso, quello di Juri, una puntina di “classe” (Da sempre la stessa, con coerenza. Una delle classi che ci puo’ permettere di ripetere). L’altra puntina o (puntine), la aggiunge il suo nome, la sua storia.
Torino da qualche giorno e’ un concentrato di profumi, di “pizze” restaurate, di CioccolaTo’, di “pane e di stelle”, ma una puntina di profumo, di odore di stampa fresca, di cultura non fa altro che renderla ancora piu’ attraente, la nostra citta’. Dalla macchina di Juri un profumo di stampa fresca e di cultura si spande velocemente nel cuore di Torino. Un gatto, dall’altra parte, osserva i movimenti.
Oggi, con “puntine di classe” vorrei segnalare un libro, scritto da un amico, che di Torino ne conosce abbastanza. Non solo una “puntina”. Abbiamo preso un caffe’, davanti al Comune di Torino (avrebbe potuto essere anche casa sua) presso la Casa del caffe’. Entrambi abbiamo visto passare dalle vetrine del bar “puntine” di ricordi e le nostre puntine di ricordi personali: i suoi, affidati ad un gatto, nel cuore di Torino, i miei, al cuore, questo organo striato che pulsa di storia, di molti, quella di L. e M. Come di tanti altri. Salutato Juri, mi addentro in altra storia, e data l’ora tarda, mi affretto nella ricerca di 90 lire, il costo di una corsa notturna. Mi serviranno per l’emissione del biglietto sul 50….Torino, di notte e’ davvero bella. Anche sperimentando la “solitarieta” del viaggio (si, si, solitarieta”, qualche riga prima, scrivendo di classe, avrei detto, solidarieta’, di classe o semplicemente, solidarieta’. Ma da un po’, viaggio da solo, se per necessita’, piacere, destino, chissa’, ma non e’ uno stato d’animo, semplicemente il, fatto che nella pancia di questo bus, voglio inserirci una storia nelle storie). Anche questa, come quella del gatto, è una storia “vera”. E allora, il cuore, presente, la storia, (soprattutto) non rimane a quest’ora,(insieme a dieci lire di resto) di scovare una panchina…ovviamente, nel cuore di Torino. Per una buona lettura e una buona scrittura.
In “solitarieta”.
Sono qui per scrivere in questa bacheca il lavoro di Juri Bossuto: ” una storia vera”, Editrice Il Punto. Piemonte in Bancarella. Auguri, Juri.
100 lire, biglietto due corse. Novanta, la notturna. Buona corsa a tutti
Torino. Un pomeriggio novembrino. Dopo la maratona, una breve “corsa”, un viaggio. Una “radiografia” di un giorno, per una storia. Foglie gialle, rosse e di ogni altro colore, formano un arcobaleno sulla terra dai colori variopinti, un arlecchino fuori tempo e fuori dal tempo, un bellissimo tappeto, sul manto stradale e sul terriccio di questi giardini che si frappongono fra scuola e scuola. E sotto i miei piedi. Alcuni sentieri sono ben disegnati e raggiungono “piazze” perimetrate da panchine affollate da individui di ogni età. Nonostante il tempo. Calcio, letture, (qualche giorno fa, per la gran pioggia, potevano essere due, i libri,”Capitani coraggiosi” e “Una questione privata”), quotidiani e “pet” i temi dominanti, ma anche l’amore ha sempre il suo dire oltre che il suo fare. Dire, amare, baciare, lettera e…testamento. Vecchio o Nuovo. “People” che si godono le scarne gioie novembrine, fatte di pallidi soli, veli di nebbia e queste vie che rappresentano un quadro fedele della natura. Sole pallido, prime nebbie, e chi cammina riempie il circostante e l’atmosfera con il suo alito caldo. Chi espone il viso al sole e chi cerca di ritrovare, o trovare quell’ energia che accende il fuoco interiore e che fa camminare e ballare all’ insegna della fantasia, creazione, ispirazione. Ma restiamo alla lettera e al suo corpo. Su di una panchina una coppia legge un “buongiorno” ormai divenuto presto un “buonasera” di un ieri divenuto a sua volta oggi e domani: “Così vicino che la tua mano sul mio petto è mia, così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno” . Per fortuna. A leggere i giornali sembrava, o sembra, che l’unico legame possibile fosse quello del cemento, che continuamente, ingordamente, si è mangiato e mangia bellezza. Resistono altri legami… I sentieri, vie in riduzione, non si “impennano” come talvolta accade in alcuni grandi giardini. Solo una decina di gradini fra il manto stradale e i giardini stessi. Un rialzo di un metro e mezzo.
I pensieri, invece, questi, si che si impennano. “Attenzioni distratte” avevo letto da qualche parte. Il tappeto di foglie è appiccicoso e qualcosa finisce sempre che te lo porti dietro, volente o nolente.
Un souvenir. Questione di fortuna. O di sfortuna. Il più delle volte, è solo residuo di… qualche foglia che ha deciso di lasciare prematuramente le “sorelle”, affacciate ancora sui rami, per vedere cosa si dice quaggiù dopo mesi di “lassu'” sugli alberi. Pensieri che si impennano, dicevo e che col tempo, forse, si appannano anche un po’, complice i primi freddi, le prime nebbie. Talvolta basta poco, per risvegliare antichi e recenti amori. Una musica, composta con poche lire, anzi, pochi centesimi. Un viaggio, una corsa. Dopo la maratona, una del tutto diversa. “Una corsa sessanta lire, due corse cento lire. 90 il notturno”. Per restare nel piattino e nella storia, nel piattino di un caffe’. Nei pressi del Comune di Torino,
dove L. lavorava, come impiegata. E cento lire, erano proprio quelle che M. girava e rigirava tra le sue dita, ben impresse sui bus di quel periodo, famosi elefanti cui tirare le orecchi ogni qual volta transitava in quei pressi. Per M., una “donna” nel cerchio della vita. Cento lire…chissà…Nei fine anni ’70 torinesi, girati e rigirati tra le mani,(anni e lire) una domenica, di di festa, per raggiungere L.
Girare per Torino, sul 50, o sull’8, via Milano, Porta Palazzo,
Barriera. Torino, Luce nella luce, fatta di luci, ieri come oggi, luci di ogni provenienza.
Oggi, invece, una corsa a piedi è più che sufficiente. Le monete sono un optional e cosi pure i biglietti cartacei. Il resto, viene incontro da sé, con musica e fantasia. Secchi vuoti e mani e ritmo e un cappellino per vincere il primo freddo e convincere i passanti che la buona musica si puo’ fare, anche a basso prezzo. Basta poco, un po’ di musica, qualche luce, buona luce, e il richiamo di un qualcosa di dolce e il più è fatto. Tutto torna, tutto ritorna, le nebbie si dissolvono e quel qualcosa di appiccicoso che era avvolto nella nebbia si ridesta e si risveglia.
Al centro del pensiero, il cuore del tema, la dolcezza del discorso in vetrina, diviene il pasticciotto. Un pasticciotto al Nord, a Torino. E tutto si impenna, compresi i ricordi. Basta davvero poco. Un “lettore”, le cuffie nelle orecchie, e una, dieci, cento volte una musica da ascoltare per restare avvolto nella grande bellezza di un pezzo che scalda come un sole che feconda il mare e che sa di Salento.
Cento lire, due corse. Novanta lire, una corsa notturna. E a guardare queste luci, questo è il costo della mia corsa. Bip. Con gli auguri di una “buona corsa” a tutt*. Una corsa, due corse o notturna.
Buonanotte, Torino.
Per quanto mi riguarda, un blocco, una penna, una macchina da scrivere, con ottantacinque volte voglia di scrivere, una panchina
e…90 lire, per una corsa nella fantasia, nella immaginazione, “sorella della menzogna”…e quando ancora giorno si fara’ un ritorno certamente sulla panchina non manchera’. Il sole, novembrino, sapra’ vendemmiare i giusti ricordi e le belle letture…
“Uno straordinario mezzogiorno di gelo. Scintilla il sole in ogni cristallo di neve. Non tira vento, non c’e’ una nuvola. Su una panchina del viale e’ seduta una coppietta. “Io vi amo”, mormora lui. Sulle guance della ragazza si accendono amorini rosa. “Vi amo”, procede lui…”La prima volta che vi vidi capii per cosa vivo, conobbi lo scopo della mia vita!o una vita con voi, o il non essere assoluto…”(Anton Cechov…Del piu’ e del meno…).
Buon compleanno Dostoevskij
Dentro “questa balena” , Porta Susa, che non assimila quasi nulla perché tutto transita, dai treni alla metro, alle persone, mi soffermo davanti ad un numero, che non è e non puo’ essere un binario. Da qui, tutto passa velocemente, come il vento. Un otto. Qui dentro, in questa “epa” di vetro si sta bene, al riparo dalla pioggia, in piedi a leggere attentamente oltre questo numero. Sui balconcini, gente in attesa, davanti ai bar, in fondo l’edicola e da questa parte, la metro e un’entrata che non è ancora tale.
Inevitabilmente, dopo il lavoro, la passione di riappropriarsi del proprio tempo è forte, incessante, battente, come questa pioggia, che riflette sul selciato luci di ogni colore. La penna ripercorre l’itinerario solito: caffè, casa, casa del caffè, ottovolante, comune…….e una bellissima storia da pettinare o da pattinare. O forse, realisticamente fantasticando, pattinarci su…Non importa. Il fatto è che tra i rumori, un pensiero e l’altro, gli appunti vari presi su qualche blocco con una matita ormai al termine, (come questa giornata), avevo quasi dimenticato di fare gli auguri ad un amico. Eppure in questo “sottosuolo”, avrei dovuto ricordarmelo. Ne aveva 27, quando quella scrittura “fu statuto” e oggi, purtroppo, non mi son ricordato nonostante tutto parli di lui, di te, con queste panchine, quelle reclamate e quelle avute insieme alla sedia col posto d’onore che hai sempre meritato. Gli umiliati, gli offesi, i castighi subiti, i demoni… La tua personalità…
Li ho sfogliati tutti i tuoi libri. Anzi, li ho studiati, perchè i tuoi libri, non si possono sfogliare. Si devono evidenziare, sottolineare, ricordare, vivere…
Non dovevo dimenticare, almeno in questa città, Torino, dalle notti bianche. E notti bianche, chissà a quanti e quante ne hai regalate. Assolutamente, non dovevo. Eppure, Le notti bianche…”Ma lo hai ancora quel libro che parlava un po’ di tutti noi?” Si, perché questo, lo si sente spesso, da chi lo ha letto e da chi ha fantasticato una vita per realizzare tutta la fantasia in un solo giorno, anzi, in una sola notte. Un libro da bere, tutto di un fiato, al mare o chissà dove …penso, salito con la fantasia sul tram 8, o sul 50, in quel periodo, a librarmi, su Torino pensando che…Le notti bianche poteva essere un libro che L. teneva in mano e che di tanto in tanto, nei suoi momenti di pausa sicuramente leggiucchiava, sorseggiando il suo caffè, tra il passaggio di un 8 e l’altro, in attesa che tutto…………
Chissà come era quella Torino vista da dietro le vetrine di quel bar…vicino al Comune. Chissà come sarebbero stati descritti i tuoi personaggi, chissà come li avresti vestiti, quali ossessioni…Ecco, mi stavo perdendo ancora una volta, giuro non lo faro’ più.
Forse mi sono distratto o lasciato distrarre dai colori. Colori, persi e ritrovati, colori che non piangono e non si perdono, colori della nostra città. Colori e fiori, sempre belli e presenti, in ogni stagione.
Allora, tanti cari auguri, Fedor Dostoevskij, buon compleanno e grazie per tutti i bei personaggi che mi, ci hai, regalato insieme al “bel tempo” che ci hai donato. Anche fosse solo “per una notte” o “per poche notti”…
La “storia” sul piattino…
Esiste qualcosa che “accomuna” l’archeologia con la psicologia e la storia. Scavare tra
reperti archeologici e, o, scavare, nel senso buono del termine, con la massima libertà, (di chi si lascia scavare), delicatezza, attenzione, nelle persone, per la seconda. Relazionarsi, mettere a fuoco, inquadrare, esporre quanto inespresso. Talvolta, nel gioco delle lettere, entra in scena una vocale e da scavare, la parola, diviene scovare, che è lavoro e patrimonio dello storico. Per il gioco delle “aste”, “stanghette” ,”punteggiatura” , “maiuscole-minuscole” poi, la S maiuscola della storia si trasforma in storia, o storie, di gente comune, che solo superficialmente appaiono insignificanti ma che tali non sono. Ogni persona che incontriamo rappresenta un dono. Sta poi a noi approfondire l’altro, che è in noi. E migliorarci. Magari “abbattendo” altro tipo di …”muro”… 25, 28, 28, 25….
Pensavo e scrivevo questo, a commento di uno scritto, proprio nel momento esatto in cui “calpestavo” il simbolo della nostra città: il toro.
Torino. una città che contiene tutta l’arte, in un fine settimana. “Artissima”, “Paratissima”, “bellissima”, Torino. Sembra uno spot di un’acqua e invece e ‘una Torino “tutta da bere” diversamente, in una notte bianca. Dell’arte. La città in cui “Io lavoro”. La città dei fiumi, delle luci, degli artisti e delle luci d’artista.
Un carnevale di colori, odori, profumi e storie che si incontrano e incrociano. Decido per un caffè e ovviamente, come capita da qualche giorno, mi reco presso “La casa del caffè” o presso la fabbrica di una storia. O nella storia dell'”otto volante”. O nella storia che transitava da qui, su un bus 50, dalle orecchie “grosse”, mica fini”, grandi al pari di quelle di un elefante. Orecchie “tirate e chiuse” da un autista atm in maniera tale da non fargli percepire le storie che si consumavano nel suo corpaccione da pachiderma arancione. Le viveva e ci vivevano, li sopra, inglobandole, ma con discrezione.
Sono quasi all’entrata del bar. Poso la mano sulla porta destra. Quella sinistra è contrassegnata dal divieto d’accesso. Come una porta girevole. Però quale combinazione! Un gesto nel presente e un gesto nel passato: l’autista atm che abbassava il finestrino con la sinistra per “attrarre” a sé “l’orecchio elefantiaco” del 50 e la destra sulla ciambella! Nel presente, con la destra spingo la meta’ di una porta e con la sinistra apro e richiudo la mano a mo di pugno: “ciao ciao”, a chi e’ qui e a quanti prenderanno vita nella fantasia e si materializzeranno da un semplice ” succo di penna”. Conosco cosa troverò e chi incontrerò, prima, dopo e durante il caffè. So anche che nel “piattino” che mi verrà posto sul bancone al termine del caffè non ci sarà solo una ricevuta, lo scontrino, di quanto avrò consumato. Quel che mi verrà restituito sarà molto più di un buon caffè. Una ” chiave” per “scovare” storie.
Il cielo su Torino è stellato. E così doveva essere quando qui si incontravano M. e L. a sorseggiare il loro caffè, cappuccino e masticare qualche cantuccio, lontani dagli affanni del mondo, seduti in questo piccolo grande mondo: il loro. Li immagino, seduti, prima o dopo il lavoro. E quando era “dopo” un carezza non mancava mai. Al cane che era in compagnia di chi vendeva, a due passi da qui, informazione, con “Stampa Sera”. E loro? Lei, dolcevita, bianca, capelli neri, fin sulle spalle, una forcina per unire e tenere lontane crisi, zero trucco e due orecchini in perla bianca piccolissimi che ne incorniciavano il tutto, ovvero, la storia.La loro e con quella, gli anni ’70, ’80, torinese o italiana. Lui, bhe, lui, riesco ad immaginarne solo gli occhi: da innamorato. Vicini e vicinanza di luci, d’artista. Perche’amare e’ una cosa semplice, ma anche un’arte. Vicinanza perche’ illumina e non acceca. Alla ricerca di una qualche chiave anche loro, per “entrare” nella casa adatta ai loro sogni. O di una forcina, tra i capelli, per i capelli. Amore.In costruzione. Guardarsi negli occhi e ascoltarsi. Per scavarsi vicendevolmente e scoprirne desideri, stati d’animo, psicologia e costruire così una grande storia. La storia di M. e L. ovattata, messa al riparo da altre che prendevano piede li vicino. Storie che si costruivano all’aperto, ma diverse da quelle di L. e M. Ma l’amore puo’ fare a meno del troppo capire? Storie all’aperto, un po’ “gonfiate”, tra chi domandava e chi offriva.
Il Lunedi mattina, infatti, in quella piazzetta, che profumava come le erbe, si teneva il “mercato dei bugiardi“. Ma non era “Piazza delle erbe?” Non era qui su quella piazza che esisteva una erboristeria, una gastronomia, una sartoria? Non era forse qui che chi cercava lavoro poteva anche trovarlo? Certamente, un “piccolo sud” dove lavoratori e padroni si “incontravano, amplificando molto fra competenze e paga promessa. Incontri, scontri, promesse verbali in piazza…mozioni, interrogazioni, interpellanze in altra piazza. Tutto “in comune”. Quelle più belle, probabilmente, avvenivano proprio in quel…cantuccio del bar. La casa del caffè eletta loro domicilio: la casa del loro amore.
Tra un pensiero e l’ altro, non e’ che per caso mi sono perso Novelli mentre usciva?
Bhè, bellissima Torino, si è fatta sera e l’appetito si fa sentire…………..Buon appetito. In piazza Solferino, si mangia.
Viaggio nella storia di un..”Otto…volante”
Sempre per quel suo corso naturale del “rimettere tutto in equilibrio”… da parte, o dalla parte, della natura… mi son reso conto di aver menzionato due baristi ma documentatone uno soltanto, e cosi, ecco che durante la giornata una irresistibile voglia di cappuccino, caffè e cantuccio prendeva il sopravvento e bussava alle porte dello stomaco e della pancia realizzando presto che in realtà non era il desiderio di cose buone da assaporare, o quel senso di fame, quanto tornare sul luogo e ristabilirne l’ordine. Delle cose. Per la par condicio…Ecco ai lettori i due baristi della Casa del caffè. (Giancarlo e Gaetano). A ripensarci ancora meglio, non era l’urlo dello, stomaco che reclamava “cose buone dal mondo” facendo il verso ad una nota pubblicita’ di quegli anni, ma, come ho avuto modo di appurare, “era l’urlo ” che aveva dovuto cedere il passo ad un tram che precedeva”. O forse un pizzico di gelosia, dato, che dall’otto, volante, mai e poi mai il, conucente del mezzo avrebbe tirato “l’orecchio” per passare sotto il portico. Di quale otto, volante si sta scrivendo,, bhe, un pochino di pazienza Con l’obbligo di tornare nella casella principale. Nella casa, del caffe’. Il caffè, come sempre, che poi è solo ieri ma sembra una vita, delizioso. L’acqua, il piattino e il cantuccio nel cantuccio. Entrato oramai in confidenza, su di un piattino a parte mi vengono servite lettere, scritte, imbucate e venute da lontano per confezionarne altre con il “succo” della penna. Si, venute da lontano, proprio come un Papa. In quelle lettere ci ho visto fili di storie, “fili di trolley” (a volte non ci si pensa troppo su quel che si dici, meglio, scrive) ovvero, tram, di quando era trolley e non pantografo. Su quel piattino non c’era solo il potenziale filo di un racconto che viene da lontano, ma un mondo intero da esplorare e un po’ da inventare. E sul piattino che ci trovo?
Storie ricche di di contenuto, contenuti, pensieri, pensiero. Storie stratificate, ricche di profmi e di odori, complice il mercato, a due passi da qui. Anzi, due mercati, particolari, il secondo, Porta Palazzo. Otto lettere, come il numero del tram che passava da qui, sotto al porticato, in modo alterno al bus 50. In questo caso, mai, il conducente del tram avrebbe tirato le orecchie all’automezzo, tantomeno mai avrebbe abbassato il finestrino. Talvolta, poteva capitare di peggio, quando il “trolley” lasciava il suo filo del “ragionamento” e proprio non ne voleva di stare in sede. In queste occasioni, rarissime volte. poteva capitare il tranviere arrestava l’automezzo, saliva sulla scaletta e con un ferro, ricomponeva il tutto, sempre pere quel rimettere il caos in ordine. Ed era in questi frangenti, che un occhio svelto e sveglio avrebbe potuto intravvedere M seduto in uno dei sedili posti davanti al bigliettaio. Ne i suoi momenti liberi, e quando il tram effettuava la sua sosta, proprio davanti la casa comunale, da dentro, il palazzo, si sentivano fuori urla e schiamazzi dei tanti “rossi” e “bianchi“. M lo si notava andare su e giù, felice, sull'”otto” volante dell’amore . Due fiori avrebbero posto una buona ipoteca per una altrettanto buona giornata. Sicuramente L. sarebbe stata orgogliosa di lui. E già, perché così come nel nostro Belpaese esiste l’autostrada dei fiori, così a Torino, negli anni 70 esisteva la linea del tram numero otto, quella che conduceva, trasportava, eesaltava come in un giro di giostra anche innamorati diretti al mercato dei fiori. E guarda caso, il passaggio del tram avveniva proprio sotto questo piccolissimo porticato. Quante storie son venute fuori da quel piattino. Un piattino della bilancia ricco di cose buone. Storie lette, rilette, pensate ed immaginate. Tante che ormai è buio. Nonostante il ritorno a casa ma resto con la testa immobile e ferma in quel cantuccio a divorare quelle storie e sorseggiare quel caffè…Di oggi e di quegli anni.
Oggi, una bicicletta, poggiata contro il muro. Dentro il cestello, i fiori.Ma se fosse lui stesso, M., un fiore che consegna se stesso all’amore? Bella storia.
Buonanotte, Torino.
Artisti e luci. Luci d’artista
Una Torino in clima di festa, oggi, a Torino, prima che si accendessero…”le luci”…Poi, festa continua…
19 per 17, installazioni per edizione numero. Da Porta Nuova, piazza Carlo Felice, il ritrovo alle 17.15, una “scia”luminosa le accendera’ una per una al passo di una maratona. Mi trovo davanti al Comune, il Municipio di Torino, dove solo qualche metro piu in la esiste un piccolo porticato e vi “stringeva la pancia”il 50 (bus) prima di riprendere il, suo normale percorso.
Alle spalle. O davanti, il che e’ lo stesso, un piccolissimo bar, di quelli che ci ambienteresti un film o bellissime pagine per un racconto. Bar dove confluiscono impiegati terminato il loro lavoro, oggi come ieri, più ieri che oggi, a dire il vero, dove nella Torino degli anni ‘ 70, una impiegata poteva incontrare di sfuggita il suo amore ed esternarlo con delicatezza, per un giovane militare, riuscito a scendere velocemente da quel camion proprio grazie a “quella pancia” che ne rallentava l’ andatura, dell’automezzo.
Potrebbe chiamarsi l’amore di Laura per Mario. Una storia d’amore e di un amore che viene da lontano, dagli occhi piccoli ma curiosi ed entusiasta per un mondo nuovo. Chissa’ che la penna….Scrivere e’ nascondere qualcosa diceva Calvino, per essere poi scoperto da qualcuno. O forse lasciarlo nel mistero. E a proposito di libri, proprio qui, l’amico Juri, che nelle intenzioni di molti avrebbe dovuto risiedere qui, dove ora il 50 e nessun altro bus si stringe la pancia, ha appena terminato il suo, di libro. Cerchi. Che ricordano quelli olimpici. Figure geometriche.
A tratti sembrava di esser tornati a frequentare le scuole medie: “una circonferenza inscritta...”. Cerchio nel cerchio all’interno di un altro cerchio, in muratura. A vederci ancora meglio, ci si potrebbe vedere un paio di occhiali, e un…neo. Il neo della luna. Non nascondo il fatto di aver pensato anche a Gramsci. Il suo viso, i suoi occhialetti, il suo pensiero per farlo confluire, di cerchio in cerchio in cerchio, in ogni conversazione possibile. L’universita’ e i suoi anni, Palazzo Nuovo e Scienze Politiche, la politica e la militanza (no, non sto scrivendo di Gentiloni, da pochissimo “all’estero”, anzi, agli Esteri) le lettere e le lettere dal carcere. Di Gramsci. E il cerchio e il pensiero inevitabilmente mi portano alla musica della poesia, “Nel cerchio di un pensiero”, di Alda Merini, scomparsa proprio in una giornata come oggi, il 1 novembre 2009. Qualche negozio aperto, fiume di gente e caldarroste in abbondanza. Per le strade e per le case. Molti infatti conservano l’ abitudine “di quando c’era la zia” di ritrovarsi in casa raccolti intorno ad un tavolo e, per chi la possiede ancora, vicini ad una di quelle stufe antiche, per cuocere castagne e condire storie di altri tempi, lasciando scivolare via il tempo in armonia. Per le strade inoltre, non mancavano fuoriprogramma, ancora con i costumi di ieri addosso. E un paio di bravi musicisti. Anzi, artisti. In via Garibaldi. Le luci, si accenderanno solo… “più tardi”…dopo la corsa. Anzi, durante. Strada facendo.
Luci al seguito, torce o pile, in attesache durante il cammino si faccia luce, sopra e davanti. Luci, luce, sembra tornare al punto di partenza anche se a quest’ora il percorso e’ ormai ultimato. Alla poesia di Alda e alla sua “santita’: bisogna essere santi per essere anche poeti”. Il caos ci abita, la poesia gli conferisce un suo ordine.
TTT…che musica

Torino, Torre Giuseppe e Tamagnone Lucia…3 T. Che musica sotto la Mole, in questi giorni. Per quanto riguarda le storie relative a Torre e Tamagnone, sono da pochi giorni fruibili anche su formato cartaceo (rivista Maria Ausiliatrice). Un grazie a quanti hanno chiesto con post la possibilità della storia su Torre Giuseppe in versione cartacea.
A Valdocco, l’entusiasmo di ragazze e ragazze provenienti dalla provincia di Milano che con la guida del loro don e la sotto la statua del “padre e maestro dei giovani” (posta nel cortile di Maria Ausiliatrice, ai piedi delle Camerette del santo) osservano con attenzione la rivista patinata, fresca di stampa. Entusiasti del formato e degli argomenti trattati.
Per quanto riguarda la città, invece, si registra la presenza del Jazz Festival. E numerosi turisti.

Alle 21 in piazza Castello, la musica continuerà. Questa sera. Per chi potrà.
In giro per la città, ora, non si trova solo un tram storico, verde, o tram ristorante. Esiste anche, in questi giorni un tram trasformato in palcoscenico per dare spazio a questo tipo di musica. “Jazz, la forma più alta della musica” sosteneva una mia amica. Alla guida della sua vettura, la compagnia della musica jazz era costante. In piazza, mani e dita he tamburellano su gambe e braccia; dita mosse per dare il ritmo a gambe in movimento con la musica di sottofondo. Jazz, espressione di sé stessi. Un’occasione, a Torino, per diffondere la cultura jazz. Oltre che essere musica di qualità.
