Ottobre lentamente volge al termine e là dove oggi si apre una grande autostrada cittadina, in corso Principe Oddone, ieri c’era il trincerone, il treno (oggi scorre sotto il ventre del corso) e a pochi passi staziinava la palina con le fermate dei bus 49, 46, 52) rispettivamente verso Settimo, Mappano Leini e Torino zona corso Grosseto. Il tutto illuminato dalle luci della storica farmacia “Dell’Ausiliatrice”. C’era il walkman al posto dello smartphone che allietava il ciondolare dei lunghi viaggi, dal centro alla periferia, su quei bus ( che se ti fosse capitata la fortuna di trovare posto sui sedili, sei, tre e tre che obbligavano a guardare i passeggeri, dal vago sentore di un viaggio sulla lavatrice) passando dal Reba, mitico posto salesiano, grande piazza dove convergevano via Cigna, corso Vercelli e Corso Grosseto con un albergo vicino che aveva qualcosa nel nome, vago, di vacanza. Omen nomen? E una volta scampata via Nino Oxilia e il confluire lento dentro corso Giulio, si apriva la porta poi verso Milano coi suoi due grattacieli visibili da via Ivrea. Oltre, la Falchera coi suoi campi da gioco. Divisa in nuova e vecchia, raggiungibile da un bus soltanto, il 50. Come le lire. Campi da gioco illuminati a giorno e sopra i due cavalcavia un odore ancora presente al ricordo. Estate e inverno. Altri tempi. C’era del romanticismo a passare sotto il ponte di ferro, dove tutto questo viaggio aveva inizio, in corso Principe Oddone, quando sopra le teste, il rumore del treno assordava tutto, inghiottiva molto, perdeva alcuni, delle voci, e non si capiva nulla, tanto che da piccoli, ci si perdeva nelle mani, rassicuranti, di mamma o papà, da grandi in quelle femminili, di un’amica, o di una storia importante, e a quel rumore il tempo si fermava, tempo di un bacio, dolce, un pochino bagnato da labbra e acqua proveniente dal ponte maestoso, in ferro.E quando pioveva e gocciolava addosso ai passanti, in quella striscioline di via, sotto il ponte, non c’era posto per tre o quattro. Ti fermava e lasciavo passare. C’era del romanticismo sotto il ponte, con le luci della ferramenta che giungevano, fioche, impercettibili, nei pressi. Da piccolo, la filastrocca di papà, in attesa, “passa il lupo sotto il ponte….”, da adolescente, l’amore. C’era del romanticismo, li sotto e poi nei pressi della palina, a due passi piu due da Valdocco, quando nell’attesa del bus non ci si ricordava il gusto del bacio di prima e tutto ricominciava. “Poi, quando arrivi a casa, chiama. Sono le 19, a che ora arrivi?” “E, deve spaccare tutta Torino, la lavatrice. È poi, se trovo la cabina del telefono occupata?” C’era una volta, ma esiste anche l’oggi e ora è tempo di caffè.
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Lungo il 3
L’atmosfera, a Torino, città dei tre fiumi, magica, un tempo della Fiat e di tante altre cose, non è delle migliori, e il clima, neppure. Eppure è ancora il tempo in cui, uscendo fra la vie ed i mercati cittadini, riescono a “scontrarsi” le “t-shirt” contro cappottini, cosi come avviene, in spazi ristretti tra le bancarelle dei mercati della 7, (circoscrizione), uva e fichi d’india contro castagne. Profumi a confronti, tra quel che è stato e quel che sarà. Dal fondo delle tasche, recupero nebbia, che avvolge personaggi sfumati, come ritagli di pagine di libri, romanzate, perché si sa, chi non legge, non avra
vissuto abbastanza e chi legge ne avra
vissute mille, di vite, e cosi, capita in quel che era il Borgo del fumo, ora Vanchiglia o Vanchiglietta. Il gazometro mi crea ancora una volta la vaga illusione di un ciondolare perenne nella grande bellezza di Roma, nel tempo vuoto, mio, da riempire, al suono melodico di Baglioni, Claudio, e dei suoi racconti trasformati in dolci canzoni e canzoni dolci, distribuite in pasto all’amore. Un tram, arancione, della serie 28, mi riporta qui, lontano dalla capitale, ad osservare quel carrozzone di ferro che carica e scarica la sua umanità, ogni 250 metri circa, per kilometri e kilometri,da corso Tortona fino alle Vallette, zona periferica conosciuta per quel che è venuto dopo le Nuove. È quella che avrebbe dovuto essere la metropolitana leggera, inaugurata nell’ottobre del 1987 e generata con la famosa “griglia” del maggio 1982. Dove saranno andati a finire i famosi “trenini” con le tanto strombazzate 8 porte? Cosi li chiamava mio nonno: “ciao, vado a fare un giro col trenino” e avrei voluto tanto andare con lui mentre ero con la testa china sui mastrini e al suo dire non dicevo e rispondevo nulla continuando a non capire ancora nulla di partita doppia, di dare e di avere. A ripensarci, e l’ho fatto proprio tanto, potevo andarci con lui, perché tanto, al suo ritorno, i conti, proprio non mi tornavano mai, e ora, che da una vita, il nonno non c’è piu, quei maledetti conti continuano a non tornare, perché in fondo, forse, per non farli tornare, avrei potuto benissimo andarci, ed essere cosi in attivo, almeno in affetto. Del trincerone che “spacca” in due Torino se ne parla ad ogni tornata elettorale con le macchie colorate del giorno dopo: prima rosse, poi rosa, poi gialle, poi verdi, poi chissà. Sono i colori del consenso. Del carico umano e delle periferie, poca cosa, invece, col passare dei giorni. Poi l’Universita, che sembra una nave, o un’astronave, e ogni volta che ci passo, ha il viso di un’estate caldissima, finita troppo tardi e in malo modo, colpa di un albero e di un black out di fine settembre. A pensarci bene, senza quell’albero svizzero, quell’ estate sarebbe ancora continuata fino ad oggi, forse insieme ad un viso di donna. Di quell’ estate però ci restano i condizionatori e le avvisaglie e i figli di un mondo diverso che era possibile. Oggi li trovo in classe, di tanto in tanto parlano di Greta ma non vogliono il voto perche la maggior parte sisente ancora piccola. Altri rispondono:’ma lo abbismo chiesto?” E in sottofondo, altri, senza criterio, vorrebbero sottrarlo, il voto, ai saggi. Ma non è la sola cosa che alcuni grandi , ma non della terra, e nemmeno di un condominio, vorrebbero sottrarre. Questione di coscienza.
Vasco e Sally
Ieri sera la tv commerciale ha riproposto i recenti concerti di Vasco, a Milano. Immediato il ricordo di Milano, luglio ’90, stadio esaurito, impensabile, maturità alle spalle per tanti e caldo e zanzare sulla pelle, l’estate entrata di diritto nelle vite di tanti. Poi, i ricordi accelerano con la musica, i mesi pasano e l’anno pure, giungendo cosi, (un anno) dopo, al Delle Alpi, il tram 3 per raggiungere la Continassa, il prato già pieno di fans da “dirlo alla luna”, il telo a coprire il prato di uno stadio nuovo di zecca. Il primo concerto di una lunga serie di tram e treni e metro tra Torino e Milano, eppure, tra le canzoni ascoltate ieri, una, Sally aveva un pochino il gusto della pioggia, la nicchia di una Madonnina in corso Vercelli, un bus, il 46, l’odore dei libri di una signora Marchesa biblioteca, il freddo “riparato” da un abbraccio, il caldo dell’estate di Barriera, l’urlo di San Siro ed il cielo lasciato ai passeri. Mentre noi, stavamo con i piedi per terra. “Da da dan….senti che fuori piove…senti che bel rumore….da da dan…..”
“Sonja”
Lessico Famigliare
Era da un po` di tempo che mi frullavano nella testa alcune cose, incomprese, o comprese a metà, o semplicemente per il non volerle accettare, in quel nostro essere finiti, come in una mancanza, delle parole o di persone. Volevo indagare, “Morettianamente” scrivendo, come quando nella “Stanza del Figlio” Nanni, si è infilato in un negozio di attrezzi per sub cercando di capire il perché non era filtrata aria nel respiratore incriminato per la morte del figlio. Volevo sentire chi ha visto “iddo” ancora una volta, e farmelo raccontare, per sentirmelo ancora vicino, indirettamente, in un lessico intimo, famigliare, scivolato troppo velocemente nell’incomprensibile, dei nostri incontri quotidiani sempre nuovi. L’infermiera parlava, ripescava dalla sua memoria parole ben curate, pettinate, come fossero la medicina adatta al malessere ingiusto chiamata malinconia, nostalgia o mancanza. Sfogliava parole dai suoi ricordi, di una notte buia, che si affrettava a ad essere tempestosa e fredda. Erano le 5, poi le 6, diventate ben presto e troppo tardi allo stesso tempo, le 6.53, quando l’orologio si fermò. Le pagine, forse quelle adatte, da sfogliare realmente, potrebbero esssere “Idda” (di Michela Marzano), e “Lessico Famigliare”…Forse. Non restava che lasciare l’infermiera, oltre il tavolo, e portarmi a casa le mie pagine nella mia testa. Perché chi non ha un lessico famigliare tutto suo? Noi, per esempio,in famiglia, ne avevamo uno. Poi, ne abbiamo avuto un altro, da grandi, quando gli incontri erano diventati sempre nuovi e non restava che conoscerci perché il riconoscerci si affievoliva, giorno dopo giorno. Erano belle quelle parole, che non erano “sempiezzi” e neanche “malegrazie”, ma semplici come acqua e bere erano “brumba”, con i bicchieri di plastica azzurro e arancione. Quelle da grandi,e ultime, le ho dimenticate, per restare in tema, perché mio padre lo voglio ricordare quando il lessico lo dirigeva elo inventava, non quando ha incominciato a subirlo perche ogni parola era diventata sempre nuova.
Albero di Natale
Torino, 16 novembre. Ore 10.
La mattina comincia con un incontro “freddo”: il gelo che sbatte con violenza sul mio viso. Frugo nelle tasche che sembrano pozzi senza fondo di ricordi andati. Recupero il cappellino, quello di Lucio Dalla, che tanto impegnò i miei nella sua ricerca tra mercati e negozi torinesi. Capricci adolescenziali che puntualmente, da trent’anni, di questi tempi, recupero tra gli armadi di casa, riposti nel cassetto etichettati “indumenti invernali”. Appena recuperato, lo deposito li, nella tasca del parka, dove affonda tra l’immancabile penna, sempre presente: caro amico ti scrivo….ripesco Lucio, gli anni ’80 e un bel pezzo di te, pa’, insieme a tutti i biglietti ancora conservati, rimasti in questo giaccone, delle corse Torino Lanzo, e viceversa, utilizzati per venirti a trovare. C’erano alcune cose che avrei voluto comunicare, come gli annunci della stazione Dora, che avevano la stessa voce di quella leccese, dei nostri luoghi natii. E qui “intaschiamo” i ricordi, tanto, tolto il berretto, di posto ne abbiamo, Come avrebbe detto Dostoevskij, chiusi in una stanza ci possono stare migliaia di anime. Figuriamoci di ricordi…La camminata procede fino a D’acaja, dove mi imbuco nella metro, diretto a Porta Nuova. Scendo dalla metro, mi fiondo verso la scala mobile e recupero l’interno della stazione, sotto, l’atrio, sotto l’albero, a leggere i pensieri dei torinesi. Sotto l’albero, doveci troviamo con gli studenti. Sopra l’albero, dove si raccomandano in molti. Mi perdo tra le richieste. La più bella, quella di una ragazza.”Fa che Stefano mi sposi””. Quanto sono belle queste ragazze con questi desideri.
Dopo Portici di carta
Sotto i portici del centro di Torino, quelli che da piazza Castello si snodano verso Porta Nuova attraversando piazza San Carlo, per intenderci, il profumo della carta da libro è ancora forte e così come avviene per le conchiglie che in un certo qual modo conservano il rumore del mare, qui sotto, si conserva ancora il rumore delle pagine sfogliate nel week-end da migliaia di mani, da potenziali lettori e compratori. Sicuramente curiosi. Portici di carta, la più grande libreria mondiale all’aperto ha “chiuso da poco i battenti” mai aprirli dato che il tutto, oramai da anni, si svolge all’aperto. Portici come piazza, luogo di incontro tra librai, editori, lettori, come “rilancio” della pratica del leggere in un Paese dove la percentuale dei lettori si assesta su livelli davvero bassi. Portici di carta, nella città del salone del libro, dove la bellezza cittadina si coniuga all’amore per la lettura. E quest’anno l’edizione si e` svolta pensando ad un personaggio particolare, con le trecce, lentiggini, i calzettoni, una scimmietta sulle spalle, le mani e la sua forza: Pippi Calzelunghe. Fu proprio il libro fumetto di Pippi che segnò l’avvio personale alla lettura. Ed è con questo pensiero che percorro i 2 km intervallati dalle colonne del centro. Potevo avere una macchinina, un pallone e senza saper leggere e scrivere scelsi il libro di Pippi Calzelunghe.
30 Settembre
L’autunno entra prepotentemente sulla scena, mentre dalle finestre una musica risuona ancora, da ieri, “29 Settembre”. E le note “seduto in quel caffè” hanno lo stesso gusto di ieri, di oggi, e lo avranno ancge domani, anche se a cantare sono due capigliature differenti: quella del grande Lucio o quella del Principe Vandelli. Perche le cose buone, sono per sempre. Una delle poche certezze in questo tempo centrifugato. Gia’, perche’ a parlare di cafe’, viene in mente quello Hag, un pochino amaro, per i dipendenti e per una storia di “delocalizzazione”. Alle “porte” di Chieri. Settembre sta per lasciare la scena, e come un rito di passaggio consegna definitivamente l’estate, il mare, le vacanze, all’album dei ricordi. “Bye bye”. Annalisa, con la sua canzone, ha fatto innamorare e cantare milioni di italiani, scalzi, sulla sabbia, in riva al mare, in discoteca, in casa, e forse l’estate la ricorderemo anche per questo. Un’ estate in viaggio. Le giornate, ad ogni “numero” del calendario “strappato”, lentamente si accorciano e viceversa le campanelle della scuola ci consegnano un orario provvisorio, “quasi definitivo”. Piccoli ritocchi in corso d’opera. Molti eventi nella nostra città, alcuni terminati, come Terra Madre e altri, (ancora per poco), in via di chiusura, come Torino Spiritualità. Con una fetta di torta in mano e due gocce di spumante,e profumo di castagne alle porte, festeggio il compleanno di mio padre. Alle soglie del 1 Ottobre.
Settembre
Settembre, ha un sapore dolce, con un certo retrogusto particolare, un pochino come capita per le canzoni di Lucio, giusto 20 anni senza di lui: canzoni dolci, un pochino tristi, ma belle, al sapore di latte e miele. 20 anni senza Lucio. Quel giorno rientravo dalle Cinque Terre, e nel farlo, dalla stazione a casa, M, tutta bella abbronzata, con i suoi occhi a fessura, capelli lunghi, fronte alzata con addosso i profumi dell’estate mi indicava le finestre, aperte, e da ciascuna di quelle, quasi in contemporanea, uscivano note di ogni sua canzone. Reclinando il capo, prendendomi la mano, si mise a canticchiare, emozioni, al ritmo di un’avventura un pochino lunga. Avevamo la chitarra, tra le mani, con la canadese. Tre giri, e Battisti e’ il primo che si impara a suonare. Settembre, e il mondo delle canzoni è pieno, a scorrere il mese, almeno fino al 29. Di settembre. Abbronzatura che resiste, altra che lentamente sparisce, complice qualche maglioncino che copre e ricopre. Settembre che ha come compito quello di portare la novella, di segnare il passo, nell’ annunciare l’imminente autunno, e nel farlo, punta i suoi piedi ben fermi nell’estate, che apre con un Collegio docenti e continua con suoni di prime campanelle. L’estate sta finendo, certo, ma intanto ombrelloni aperti resistono su qualche spiaggia della nostra penisola. Sui bus e dai bus, la vita riprende lentamente: un uomo, con palla da rugby in mano, predica, e inveisce, contro tutto è tutti. Un altro, ha guanti pesanti, e parla da solo…
15 8 2018
Diventa quasi imbarazzante augurare buon ferragosto dopo la sciagura di ieri, a Genova: il crollo del ponte Morandi. Una sciagura. Ieri pomeriggio alcuni canali tv rimandavano le immagini del disastro con la pioggia battente, incessante, a dirotto, quasi a voler significare che nelle tragedie, nulla poi viene a mancare, (insomma, non ci facciamo mancare proprio niente), le case a ridosso, sotto quel tratto di ponte, rimasto in piedi, (sotto quel ponte, che doveva sembrare a molti, un tetto aggiuntivo), i soccorsi, la confusione, i fasci della ferrovia, il letto di un fiume, un furgone a pochi metri dal precipitare, (e molti altri, caduti, in seguito al crollo) il viadotto sulla A 10. Impariamo tutti alcuni nomi e altri ne ripassiamo. Che quel ponte, simile alla lontana, a quello americano, ricordava a molti “la gomma del ponte”, che ad inaugurarlo fu un Presidente della Repubblica, Saragat (1967) e che le problematiche furono molte, fin dagli inizi, anche se, a detta di molti, avrebbe aiutato a “decongestionare” e molto il traffico. La “camionabile” qualcuno la chiamava. Ancora, la “Gronda”. E poi, i titoli dei giirnali di questa mattina, più o meno così : “Come in guerra”, Genova ferita”, ” Genova divisa in due”. Il pensiero ovviamente va alle vittime e famigliari e a tutta Genova. Poi sarà il tempo per accertare responsabilità e ricostruire, rispettando la natura, il suolo, utilizzando nuovi criteri. Ricordo il ferragosto di anni addietro, Sandro Curzi, direttore di un giornale, scriveva sempre il suo editoriale, con lo stato del Paese, augurando un buon ferragosto e sperando in qualcosa di migliore, a partire da domani.