Era da un po` di tempo che mi frullavano nella testa alcune cose, incomprese, o comprese a metà, o semplicemente per il non volerle accettare, in quel nostro essere finiti, come in una mancanza, delle parole o di persone. Volevo indagare, “Morettianamente” scrivendo, come quando nella “Stanza del Figlio” Nanni, si è infilato in un negozio di attrezzi per sub cercando di capire il perché non era filtrata aria nel respiratore incriminato per la morte del figlio. Volevo sentire chi ha visto “iddo” ancora una volta, e farmelo raccontare, per sentirmelo ancora vicino, indirettamente, in un lessico intimo, famigliare, scivolato troppo velocemente nell’incomprensibile, dei nostri incontri quotidiani sempre nuovi. L’infermiera parlava, ripescava dalla sua memoria parole ben curate, pettinate, come fossero la medicina adatta al malessere ingiusto chiamata malinconia, nostalgia o mancanza. Sfogliava parole dai suoi ricordi, di una notte buia, che si affrettava a ad essere tempestosa e fredda. Erano le 5, poi le 6, diventate ben presto e troppo tardi allo stesso tempo, le 6.53, quando l’orologio si fermò. Le pagine, forse quelle adatte, da sfogliare realmente, potrebbero esssere “Idda” (di Michela Marzano), e “Lessico Famigliare”…Forse. Non restava che lasciare l’infermiera, oltre il tavolo, e portarmi a casa le mie pagine nella mia testa. Perché chi non ha un lessico famigliare tutto suo? Noi, per esempio,in famiglia, ne avevamo uno. Poi, ne abbiamo avuto un altro, da grandi, quando gli incontri erano diventati sempre nuovi e non restava che conoscerci perché il riconoscerci si affievoliva, giorno dopo giorno. Erano belle quelle parole, che non erano “sempiezzi” e neanche “malegrazie”, ma semplici come acqua e bere erano “brumba”, con i bicchieri di plastica azzurro e arancione. Quelle da grandi,e ultime, le ho dimenticate, per restare in tema, perché mio padre lo voglio ricordare quando il lessico lo dirigeva elo inventava, non quando ha incominciato a subirlo perche ogni parola era diventata sempre nuova.
Archivi categoria: scuola
Pietre d’inciampo
“Gli anni come giorni, son volati via…” pare sentir risuonare Raf, alla fine degli anni ’80, nel raccontare il decennio trascorso, il tempovolato via. E il tempo vola; in realtà mancano idee, voglia, foglio, penna, e altro, e uno, non è che tutte quelle cose, almeno le prime due, se le può dare, per pensare e scrivere qualcosina. Tornando da scuola, tra la fermata della metro e corso Regina,
in via San Donato, interdetta al traffico, si è posizionate una pietra d’inciampo, al numero 27, in ricordo di Vittorio Staccione, antifascista, calciatore, operaio.
La folla osserva e ascolta. Poi, Gunter Demnig si inginocchia e posiziona la pietra a ricordo dell’ultima abitazione di Vittorio Staccione. Il mio ricordo va a quella posata in via Vicenza, a due passi da qui, alcuni anni fa, quando c’era mio padre e molto era davvero diverso. Insieme cercavamo in quali vie avrebbero posizionato la pietra d’inciampo e insieme si andava.
Albero di Natale
Torino, 16 novembre. Ore 10.
La mattina comincia con un incontro “freddo”: il gelo che sbatte con violenza sul mio viso. Frugo nelle tasche che sembrano pozzi senza fondo di ricordi andati. Recupero il cappellino, quello di Lucio Dalla, che tanto impegnò i miei nella sua ricerca tra mercati e negozi torinesi. Capricci adolescenziali che puntualmente, da trent’anni, di questi tempi, recupero tra gli armadi di casa, riposti nel cassetto etichettati “indumenti invernali”. Appena recuperato, lo deposito li, nella tasca del parka, dove affonda tra l’immancabile penna, sempre presente: caro amico ti scrivo….ripesco Lucio, gli anni ’80 e un bel pezzo di te, pa’, insieme a tutti i biglietti ancora conservati, rimasti in questo giaccone, delle corse Torino Lanzo, e viceversa, utilizzati per venirti a trovare. C’erano alcune cose che avrei voluto comunicare, come gli annunci della stazione Dora, che avevano la stessa voce di quella leccese, dei nostri luoghi natii. E qui “intaschiamo” i ricordi, tanto, tolto il berretto, di posto ne abbiamo, Come avrebbe detto Dostoevskij, chiusi in una stanza ci possono stare migliaia di anime. Figuriamoci di ricordi…La camminata procede fino a D’acaja, dove mi imbuco nella metro, diretto a Porta Nuova. Scendo dalla metro, mi fiondo verso la scala mobile e recupero l’interno della stazione, sotto, l’atrio, sotto l’albero, a leggere i pensieri dei torinesi. Sotto l’albero, doveci troviamo con gli studenti. Sopra l’albero, dove si raccomandano in molti. Mi perdo tra le richieste. La più bella, quella di una ragazza.”Fa che Stefano mi sposi””. Quanto sono belle queste ragazze con questi desideri.
Dopo Portici di carta
Sotto i portici del centro di Torino, quelli che da piazza Castello si snodano verso Porta Nuova attraversando piazza San Carlo, per intenderci, il profumo della carta da libro è ancora forte e così come avviene per le conchiglie che in un certo qual modo conservano il rumore del mare, qui sotto, si conserva ancora il rumore delle pagine sfogliate nel week-end da migliaia di mani, da potenziali lettori e compratori. Sicuramente curiosi. Portici di carta, la più grande libreria mondiale all’aperto ha “chiuso da poco i battenti” mai aprirli dato che il tutto, oramai da anni, si svolge all’aperto. Portici come piazza, luogo di incontro tra librai, editori, lettori, come “rilancio” della pratica del leggere in un Paese dove la percentuale dei lettori si assesta su livelli davvero bassi. Portici di carta, nella città del salone del libro, dove la bellezza cittadina si coniuga all’amore per la lettura. E quest’anno l’edizione si e` svolta pensando ad un personaggio particolare, con le trecce, lentiggini, i calzettoni, una scimmietta sulle spalle, le mani e la sua forza: Pippi Calzelunghe. Fu proprio il libro fumetto di Pippi che segnò l’avvio personale alla lettura. Ed è con questo pensiero che percorro i 2 km intervallati dalle colonne del centro. Potevo avere una macchinina, un pallone e senza saper leggere e scrivere scelsi il libro di Pippi Calzelunghe.
30 Settembre
L’autunno entra prepotentemente sulla scena, mentre dalle finestre una musica risuona ancora, da ieri, “29 Settembre”. E le note “seduto in quel caffè” hanno lo stesso gusto di ieri, di oggi, e lo avranno ancge domani, anche se a cantare sono due capigliature differenti: quella del grande Lucio o quella del Principe Vandelli. Perche le cose buone, sono per sempre. Una delle poche certezze in questo tempo centrifugato. Gia’, perche’ a parlare di cafe’, viene in mente quello Hag, un pochino amaro, per i dipendenti e per una storia di “delocalizzazione”. Alle “porte” di Chieri. Settembre sta per lasciare la scena, e come un rito di passaggio consegna definitivamente l’estate, il mare, le vacanze, all’album dei ricordi. “Bye bye”. Annalisa, con la sua canzone, ha fatto innamorare e cantare milioni di italiani, scalzi, sulla sabbia, in riva al mare, in discoteca, in casa, e forse l’estate la ricorderemo anche per questo. Un’ estate in viaggio. Le giornate, ad ogni “numero” del calendario “strappato”, lentamente si accorciano e viceversa le campanelle della scuola ci consegnano un orario provvisorio, “quasi definitivo”. Piccoli ritocchi in corso d’opera. Molti eventi nella nostra città, alcuni terminati, come Terra Madre e altri, (ancora per poco), in via di chiusura, come Torino Spiritualità. Con una fetta di torta in mano e due gocce di spumante,e profumo di castagne alle porte, festeggio il compleanno di mio padre. Alle soglie del 1 Ottobre.
5 Agosto 2018
Madonna Della Neve. Da una delle tante botole, poste “solennemente” in cima, osservando il soffitto della Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma il 5 agosto di ogni anno, come per magia, “scende neve”. Più volte mi è capitato di partecipare a questa funzione; o perché stazionavo a Roma o perché “in avanzo di tempo” e in procinto di prendere altro treno, direzione Salento. E ogni volta, con zaino o senza, sempre sotto una cappa di afa o sole africano, a “fette”, con la mia bottiglietta dell’acqua (come tanti altri): “Mangiatorella” era la mia, tra le mani, con la “scucchia” protesa verso l’alto ad invidiare quella “neve” anticipatrice di un tempo, certamente più clemente e fresco. Non solo l’occhiata al calendario e la giornata dedicata a Santa Maria della Neve (Santa Maria e’ una festa molto sentita in Salento, con Villa e banda e bancarelle di dolciumi e giocattoli di ogni tipo e nonni in coda alla posta per il ritiro della “paca” anche quando nel corso degli anni non è più paga ma pensione) mi riportano contemporaneamente a Roma (non certo la spiaggia “Tiberis”) e in Salento ma in particolar modo rivivo Roma grazie alla conclusione del libro di P. P. P. “Vita Violenta”. Questo Tommaso, protagonista, nel bene e nel male, del testo, con la sua crescita personale, sociale, politica e l’amore per Irene mi hanno lasciato davvero il segno. Quando si termina la lettura di un libro è un po’ come lasciarsi con una persona cara, che ha instillato qualcosa dentro, un mix di emozioni alle quali, per molto tempo, non si riesce a dare un nome, conoscerle, riconoscerle. Certo non voglio svelare nulla di questo testo ma i personaggi li ho trovati unici, grezzi e delicati allo stesso tempo, con tratti psicologici simili a quelli narrati da Dostoevskij. In particolar modo, Tommaso e Irene. La profondità dell’animo umano, la discesa negli abissi e la voglia di riscatto. Ecco, Tommaso ha avuto una grandissima voglia di riscatto. Anche nel congedarsi, dagli amici: “non state qua con me. È domenica, andate a divertirvi… “, più o meno, questo è il senso della frase in uno degli ultimi versi che non descrivero’ (mi piacerebbe invogliare i miei studenti alla sua lettura). E poi l’amore per Irene e quello di questa per Tommaso. Un bellissimo libro. Davvero.
Bologna 2 agosto. 10. 26
2 agosto. Il treno corre, i momenti di spensieratezza alle spalle e tra poco identica sorte tocchera’ al mar Adriatico: lasciata Rimini, sulla destra, direzione Nord, mentre si allontana sempre più, col suo porticciolo, il ponte, l’arco, e mentre l’intercity Pescara Milano accelera la sua corsa e rende sempre più distante ogni cosa. È sempre triste lasciarsi cosi, ma è la vita, il suo corso, e la corsa di questo treno. Poi, molto sfuma, “vola” via: alberi, case, trattori, terra appena lavorata. Frutta, alberi da frutta, chi la raccoglie, chi no, cassette piene e vuote, lavoro, uno stadio, sulla sinistra: e’ Cesena, che “mi ritorna in mente” quando era in serie A, con un grande giocatore, passato poi al Torino. E’ Cesena, che il “notturno”un tempo rasentava la cittadina alle 0.1. 50, e in tanti a correre al finestrino, quando l’aria condizionata ancora non c’era e piaceva godersi la notte a molti. Ed erano sicuramente certe notti. E piaceva guardare davanti, che indietro c’era rimasta la fabbrica e le sue porte e finalmente si era in ferie! E pace alle zanzare e a quel caldo appiccicoso. La tredicesima rendeva un pochino piu ricchi, e con quella e lo stato di famiglia si faceva il biglietto per tutti e il Sud era a portata di mano. Ah, si intende: posti in treno rigorosamente a sedere; per le cuccette non sarebbero bastati i soldi di quel premio produzione. Poi, e’ la volta di Faenza, con un giro che non so se “di do” ma di memoria “si”, e spunta con il ricordo del treno delle 7. 30, un cuore di metallo senza l’anima, e Marco che chissà dove è, ora, e se ogni tanto ci pensa ancora, a Laura. Laura che nel frattempo e’ cresciuta e divenuta famosa. Quello era il tempo della Laura piccolina, studentessa e al Festival, così che ogni volta che ci passi, da questa cittadina, ripensi a quel periodo e alle sue nebbia (cittadine)e al suo buon cibo. E a quelle sue canzoni che fecero amare, innamorare e piangere. Strani amori. Il cibo peto’, quello si che rende allegri! E poi, le vacanze di Natale, il freddo pungente, le belle ragazze… poi lentamente arrivi a Bologna. La locomotiva tossisce, rallenta, non riesce ad espettorare, neanche dando un colpo con la mano. Un paio di gocce scivolano sul finestrino. Umore acqueo della locomotiva. Sono passate da poco le 10 di mattina. È il 2 di agosto. “Io non dimentico”. C’è il bus 37 in piazza, oggi, come nel 1980, che da bus cittadino divenne ben presto una sorta di ambulanza dopo lo scoppio di quella bomba lanciata propria nella stazione di Bologna. Io non dimentico. Sono le 10. 26. A Bologna.
Recanati
Dopo un breve passaggio a Loreto per un ripasso veloce sul significato delle formelle poste sui portali della Basilica (nascita di Adamo, Eva, nascita del lavoro, teologicamente, uccisione di Abele, cacciata dal Paradiso, caduta, ecc. ecc. ), all’interno della Basilica, sulle sibille e profeti, sul Pomarancio e sul Lotto, d’obbligo era il recarmi ancora una volta presso “Casa Leopardi”, a Recanati, città della poesia. C’ero stato un paio di volte ma ad ogni visita aggiungo un pezzetto di conoscenze che per un motivo o un altro non avevo ben recepito nelle passate visite. Solo un dato si è scolpito bene-bene fin dalla prima visita: la quantità di libri letti dal poeta italiano, catalogati dalla stessa famiglia ed esposti al pubblico. Un gioiello, una biblioteca che il papà di Giacomo avrebbe voluto a disposizione di molti. Un’ altra informazione che voglio condividere e ritengo sia utile a quanti si appresteranno in futuro a fare visita. Nel Palazzo che si apre al turista si manifesta con tutta la sua imponenza con uno scalone monumentale, il primo consiglio-obbligo, utile e’ che non è ammesso scattare fotografie. Nel Palazzo infatti (che vede la prima pietra di costruzione, indietro negli anni, ben prima dell’insediamento del Conte Monaldo), al secondo piano, risiedono ancora i discendenti di Giacomo Leopardi. Unica concessione, si possono scattare foto ma fuori dalla finestra della biblioteca, affaccio direzione piazza e casa di “Silvia”. Il caldo è davvero insopportabile e quel piccolo fazzoletto di ombra prima dell’accesso e inizio percorso con visita guidata, ce lo contendiamo in una quindicina di innamorati della cultura e della storia di un grande uomo, poeta, letterato, e della sua grande famiglia. Nell’attesa che si faccia l’ora esatta per la visita, si sconfigge il caldo con tutti gli stumenti a disposizione: ventagli, acqua e ventilatori portatili, di quelli a pila. Si, anche questi, “ventolatoli” con pile a “mandola”. Troppo forti e simpatici. Gli orientali non si fanno mancare nulla, neanche l’autan contro le punture dei “moschito”.
Tra i 12 mila e i 15 mila, letti dal giovane Giacomo, la sua biblioteca, il ruolo dei precettori, il suo luogo di studio e punto di osservazione per la bella Silvia, cioè Teresa Fattorini. “Ah, Silvia… ” morta così precocemente, nel fiore degli anni, quando a quella età, normalmente si progetta, si programma. Ma “a Silvia” era più che altro la necessità di scrivere, 10 anni dopo la morte di Teresa, un giudizio sulle speranze disattese dei giovani. Questa volta non mi sono fatto mancare una visita presso la residenza dei Fattorini (il papà di Giacomo, Conte Monaldo, aveva promosso a rango superiore quello di Teresa, adibendolo a cocchiere di famiglia), la dimora di Teresa (la Silvia), la sua cameretta, i suoi attrezzi da lavoro. “E l’amore? C’era posto per l’amore tra Giacomo e Teresa? ” Chiede qualcuno tra i visitatori. Certamente i due, Giacomo e Teresa, si conoscevano e probabilmente qualche scritto e qualche occhiata ci saranno stati ma… socialmente erano posti su gradini differenti, quindi, probabilmente, niente amore. Anche se il dubbio, a visita conclusa, a qualcuno, resta.
Ritorno a Roma
Dopo aver lasciato Spello, Spoleto e Assisi faccio ritorno velocemente nella capitale. A Spoleto ho respirato aria internazionale, da “due mondi”, inserito in un contesto da “Festival”non di canzoni ma di cultura. A Spello, profumo di fiori tra vie cittadine ben “infiorate”, e profumo di arte, alla ricerca di Baglioni, (ma nom il cantante! ) Cappella, affrescata dal grande Pinturicchio. Ad Assisi, l’aria e’ decisamente spirituale.. , da raccoglimento e ricerca. C’erano un tempo, dalle parti di Valdocco, i “gruppi ricerca”. C’erano, un sabato e una domenica, una volta al mese. Erano belli, interessanti. Se non ricordo male… una volta a Valdocco, una volta da qualche parte, una volta, perfino ad Assisi. Una volta, quando non c’erano smartphone, facebook e le storie erano diverse da quelle di Instagram. Terminati gli incontri, ci si scriveva sulla mano il numero di telefono fisso, la via, il cap e la scuola. “Cosi una volta ti vengo a prendere”.. “Scrivimi, ti prego, ti amo, yeah… “. Cosi nascevano le amicizie. Ah, Roma c’e’….! A Roma il Tevere “score” e così l’Aniene. Lentamente fluiscono. E cosi il flusso dei pensieri e della coscienza. Apro e chiudo il libro “Ragazzi di vita” e ne intercetto i luoghi, il Fontanone, piazza san Pietro in Montorio, cosi difficile da raggiungere in bus (nulla da aggiungere nel qual caso uno di quelli si dovesse rompere, perche’, mi dicono sia solo uno e uno soltanto a fare il giro del Gianicolo. Sara’ vero? Quello che avrei dovuto prendere “espettorava” gia’ da un pezzo, all’ombra della pensilina, e cosi, l’uomo con tuta Iveco giunto da qualche officina con l’ossigeno in mano, ne decretava qualche minuto piu tardi il ricovero coatto)scendendo giù, per gli scalini, arrivando a Trastevere, il palazzo del Ministero dell’Istruzione…
Il “Riccetto”, pischello di P. P. P. tuffatosi, anni prima, dalla barca, (nel fiume), che lentamente segnava il fiume, per salvare la rondinella che rischiava la vita, ha guardato, da “grandicello” la lenta agonia di Genesio, travolto dai mulinelli, attratto e respinto dall’acqua. Genesio, mentre affonda, guardato dai fratellini, panni stretti fra lebraccia. Lacrime, che velano la vista mentre svelano chi siamo. Qualche anno in più e l’individualismo e l’egoismo del Riccetto prendono il sopravvento. Eppure… solo poche pagine prima era impregnato di una tensione ideale, di solidarietà, di prossimità, di vicinanza alle creature piu fragili. Fosse il titolo di una canzone sarebbe “come si cambia”…
La tesina va in pensione, seppur così giovane
La sedia della maturità è “lucidissima”
come mai lo è stata lungo il corso degli anni, di forzata e anche sforzata attività, mentre la tesina, con un velo di tristezza, oggi, sta per congedarsi; ad esser chiari, ha conosciuto una brevissima esistenza, la tesina, (la sua), tra alti e bassi, fortune e sfortune, “uccisa”, forse, in culla troppo presto. E ora, che la cronaca diviene storia, di cose da raccontare, quella tesina, certamente ne avrebbe da dare in pasto a noi, consumatori di storie. Intanto, ride e sorride sotto i suoi “4 baffi”, sostegno e stampelle per lei e candidati, di ieri, di oggi e domani. Anche senza tesina. “Lucida”, perché la recente candidata che ho avuto modo e piacere di ascoltare è stata esauriente, brillante, concisa. Lucida, la sedia, per essersi accomodati tante candidate e candidati .
La candidata alla maturità si presenta alla commissione e al pubblico presente per assistere e “assisterla”con una bellissima tesina dal titolo che promette bene. Orecchie e occhi ben aperti, perché l’argomento scotta fin dagli inizi della narrazione, cioè, dai tempi di Marx”: “Dalla Storia alle storie”(candidata V. M. indirizzo socio-sanutario). È il racconto di tre generazioni operaie (identica famiglia) nella stessa fabbrica, zona sud del torinese, a cavallo tra Moncalieri e Trofarello. “Tempi duri”, ci chiarisce la candidata, per tutte e tre le generazioni ma anche dolci, i suoi, il suo tempo, i “suoi tempi”, accordati tra studio e attesa, nell’attesa che i turni terminassero . Le storie, “quelle non solo della domenica”, (come giustamente cita la candidata) ma di una settimana intera, per una vita, tra presse, grasso dei macchinari che cola, olio e tute blu, al lavoro e lavate e appese ad asciugare ad un sole che ha solo il gusto del presente. Si, tute blu. E dire che qualche storico ne sosteneva la fine, della storia, teorizzandone, di conseguenza la fine, del lavoro. La Storia, raccontata attraverso le storie delle tre generazioni, a cominciare dagli scioperi di marzo del 1943 a Torino. Poi ancora l’accordo italo belga del 1946, la tragedia di Marcinelle (8 agosto 1956) , il ritorno agli scioperi operai del marzo 1943, considerati il “seme della Repubblica”, e “seme della Costituzione”. Gli scioperi del marzo ’43, la “grande spallata” alla caduta del fascismo. E ancora, la Resistenza, la Costituzione (sostanziale e materiale, come richiedeva uno dei titoli del tema e come la candidata chiarisce il senso della traccia pur avendo preferito il tema sulla “solitudine”), Marcinelle, Mattmark, cause, conseguenze, la ricostruzione, italiana, il boom economico, il movimento studentesco del 1968, quello operaio del 1969,( e “La meglio gioventù” ), lo Statuto dei lavoratori, la sua struttura. Il mondo del lavoro oggi e i lavoratori, letto attraverso le lenti e articoli della Stampa, le delocalizzazioni e la finanziarizzazione dell’economia, la globalizzazione, i mercati. La tesina cominciava con una frase di Olivetti, e guarda caso, recentemente, a Ivrea è stato conferito il titolo di “patrimonio” umano… quando si “dattilografava” era tutto così bello… Una bella tesina, e una sedia “lucida” perché oramai, la sedia tornera’ sotto il banco mentre la tesina, la povera tesina, seppur cosi giovane sta per andare definitivamenre in pensione. Un vero peccato. La candidata continuava a raccontare poi, (per una parte in inglese) le storie al lavoro in un mondo che cambia. Dal lavoro al nuovo voncetto di lavoro, avrebbe detto altro candidato. Poi psicologia (il lavoro in carcere e forme di retribuzione) diritto (cooperative, snc… ) italiano (Ungaretti, decadentismo), storia (resistenza, partigiani, 8 settembre, armistizio) fino ad esaurire la sua prova in modo davvero…. maturo. I suoi libri trattengono tutti gli odori della fabbrica, e si spargono, con classe, la sua, da pagina 100. Vorrà dire e dirci ancora qualcosa?