“L’uomo mortale, non ha che questo d’immortale, il ricordo che porta e il ricordo che lascia” (Cesare Pavese). Non avevo letto molto di Pavese, quantunque la nostra prof. (Delle medie!!) ce ne parlasse in continuazione, con “Lavorare stanca”, ” I dialoghi con Leuco’”, “Tre donne sole”, “La luna ed i falo’ “, “La bella estate”, ecc.ecc l; fu in seguito, avanti nel tempo che mi introdusse alle sue letture, L. Non so, ci vedeva qualcosa che io non riuscivo, in maniera superficiale, quando le cose, le passioni, avvengono e maturano prematuramente. Forse perché anche lei, L, riusciva a vedere le cose “con un occhio solo”, anticipatamente, con una intelligenza emotiva superiore. Era affascinata di Torino degli anni andati, (con i suoi tram verdi) e di quelli recenti (con le sue contraddizioni), e di Pavese cosi una volta, passando davanti all’hotel Roma di Torino, durante una passeggiata tra via Roma e Porta Nuova, chiedemmo, in maniera improvvisa, in portineria, di poter visitare la stanza 346 dove il tempo è fermo dal 1950. Ogni tanto mi capita ancora di passarci, davanti l’hotel Roma, lungo il tragitto casa scuola e viceversa, e mi capita di ricordare quel giorno e di riportare alla mente alcuni passi delle opere di Pavese. Durante le vacanze di Natale mi è capitato di passare nell’atrio della stazione di Torino Porta Nuova, e tra i tanti biglietti sopra l’albero uno riportava una brevissimo scritto, dei Dialoghi con Leuco’, “l’uomo mortale non ha che questo di immortale, il ricordo che porta ed il ricordo che lascia”, ed era firmato L. a due passi dall’hotel Roma. Stanza 346, dove il tempo si è fermato.
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Buon primo maggio (2020)
Buon primo maggio (foto dello scorso anno).
Sveglio, di primo mattino, dopo un buon sonno, ristoratore, dopo il film su un giovane Marx, della sera prima. Sveglio, senza l’ansia che sia troppo tardi per intercettare pezzi di fabbrica, di sindacato, anicizue sfumate, nel tempo, ma che resistono, nel tempo, e le ritrovi, in piazza, l’anno successivo. Col tempo ci eravamo abituati a sfilare “senza il soggetto principale”, o”senza l’interlocutore” più importante, ben presente nella Carta fondamentale, a partire dagli inizi, dal 1948, dai fondamentali, tra i 12 fondamentali, mentre oggi, ora, citta senza cortei e anche senza il residuo dei lavoratori, testimonianze di tracce, di frammenti, di lavoro sconfinato, spacchettato, spedito, delocalizzato altrove. La raccontavano da tempo, che “era necessario” accettare l”interinale (che brutto nome), la somministrazione, il part time, orizzontale, verticale manco fossero pose. Una mattina, quella odierna, senza: bandiere, cori, slogan, “filtri”, tra spezzoni di sindacato, partiti e antagonisti compagne, compagne. Persone. Restano i ricordi di altri cortei e spillette rosse, gente che salta il cordone alla vista di Cossutta, Rizzo, Bertinotti, Ferrando e cordoni di militanti a garantire il servizio d’ordine. Resta il ricordo dei 100 mila di 26 anni fa, “tre rami” che confluirono poi in piazza San Carlo. Centomila magliettina bianche perché la “Rivoluzione non russa”, una settimana dopo 300 mila a Milano sotto la pioggia: “Che liberazione”. Oggi, tutto tace, a parte i canali web, ma è tutta un’ altra faccenda.
Perfino il concertone, di piazza san Giovanni a Roma, tace. Ci sarà la bellissima Basilica, con la piazza e il silenzio.
Restano i ricordi.
Al prossimo 1 maggio.
Portici di carta
Portici di carta, la libreria più lunga d’Italia, senza porte e finestre, perché posta lungo i portici di via Roma, circuito di 2 km, a Torino, e manifestazione annuale “ottobrina”, si è appena coclusa. Anche quest’anno, ho garantito la mia presenza e portato a casa un bel libro. Certo, ne avrei presi di piu ma…per ora, va bene così.
Mi spiace sia stato tolto il dizionario gigante da via Garibaldi: un totem, una cabina, per far rivivere, o “rianimare” parole che rischiano l’estinzione. E speriamo di no. È stata, la sua presenza, un punto di riferimento e aggregazione, forse un gioco e catalizzatore di interessi. È stato molto interessante vedere varie generazioni darsi appuntamento li sotto e “sfogliare” parole. In attesa, i più anziani ricordavano il loro primo giorno di scuola, i primi di ottobre, e San Francesco, festa sentita a partecipata, e le “cedole” distribuite da una figura mitica, il segretario della scuola. Con quei fogli di carta, appena usciti da scuola, ci si imbatteva dal primo giornalaio per ritirare gratuitamente i libri di testo. Altri tempi….
Dopo Portici di carta
Sotto i portici del centro di Torino, quelli che da piazza Castello si snodano verso Porta Nuova attraversando piazza San Carlo, per intenderci, il profumo della carta da libro è ancora forte e così come avviene per le conchiglie che in un certo qual modo conservano il rumore del mare, qui sotto, si conserva ancora il rumore delle pagine sfogliate nel week-end da migliaia di mani, da potenziali lettori e compratori. Sicuramente curiosi. Portici di carta, la più grande libreria mondiale all’aperto ha “chiuso da poco i battenti” mai aprirli dato che il tutto, oramai da anni, si svolge all’aperto. Portici come piazza, luogo di incontro tra librai, editori, lettori, come “rilancio” della pratica del leggere in un Paese dove la percentuale dei lettori si assesta su livelli davvero bassi. Portici di carta, nella città del salone del libro, dove la bellezza cittadina si coniuga all’amore per la lettura. E quest’anno l’edizione si e` svolta pensando ad un personaggio particolare, con le trecce, lentiggini, i calzettoni, una scimmietta sulle spalle, le mani e la sua forza: Pippi Calzelunghe. Fu proprio il libro fumetto di Pippi che segnò l’avvio personale alla lettura. Ed è con questo pensiero che percorro i 2 km intervallati dalle colonne del centro. Potevo avere una macchinina, un pallone e senza saper leggere e scrivere scelsi il libro di Pippi Calzelunghe.
23 Dicembre
Nel mio breve giro, confuso tra confusi “corridori” o “maratoneti” dello shopping forzato dell’ultimo minuto, ho come meta l’atrio della stazione di Torino Porta Nuova. Dopo la visita di alcune classi, e delle loro richieste, in formato letterina, con grande rispolvero delle vecchie ma buone abitudini, oggi è il mio turno: sono sotto l’albero, appena catapultato dalle scale mobili della metro torinese.
Ho un paio di letterine da depositare su qualche ramo, dell’albero: trovare un piccolo pertugio richiedera’ una gran fatica; faccio il “giro-giro tondo” intorno all’albero, ma senza cascare, non io e non il mondo, dando una rapida occhiata di quel che chiedono cittadini, turisti, viaggiatori. Pensando all’articolo de La Stampa di un anno fa, di cosa saremo “In deficit questo anno che ci lasceremo alle spalle tra pochi giorni?” L’anno scorso eravamo, a dire in punta di penna del cronista, in deficit di…gioia. Lascio il mio bigliettino, intestato “tipografia salesiana” e due righe di Gianni Rodari, autore capace di riportare sempre ai tempi e ai luoghi dell’infanzia ognuno di noi. Riportarci al come eravamo: Letterina, fiocco che incorniciava il grembiule, viso sorridente e noi sempre, camera e obiettivo davanti, a far finta di scrivere. Alle nostre spalle la vecchia cartina geografica dai nomi e posti cosi lontani…un albero e un piccolo Presepe al nostro fianco. Ah….le tanto belle scuole elementari…
Lungo il tragitto, tra piazza Carlo Felice e via Roma, proseguendo verso piazza San Carlo e procedendo oltre, verso piazza Castello, è tutto uno sfavillare di luci e alberi. Le orecchie, nonostante il cappello calcato bene bene, raccolgono dagli sportivi delle compere in “area cesarini” menu’ e telefonate fatte e da fare, conti, scontrini, regali fatti, da fare, e se quel parente lo merita oppure no quel tal regalino o anche solo un augurino. Le piu’ belle e simpatiche sono le coppiette che si accompagnano in questo mare di fente e vetrine ch continuamente invitano e richiamano ad entrare. Ah come rileggerei ancora una volta il magnifico “Canto di Natale” di Dickens. Di pensiero in pensiero, un altro corre a Charlie Chaplin: conservo da qualche parte un biglietto d’auguri di Natale datomi da una carissima amica con una sua cirazione. Lo ricordo perché era scritto su di un biglietto a forma di cuore e le cose di cuore, si sa, restano per sempre. Nella testa e nell’andamento delle gambe girano e concorrono ad accompagnarmi musiche e canzoni di De Gregori: fra due giorni è “Natale” e “Gesu’ Bambino”. Testi e musiche bellissimi: strizzo idealmente l’occhio a chi a suo tempo mi condusse all’ascolto del cantautore anche se, a quel tempo, erano altre le canzoni: “Ti leggo nel pensiero” e “4 cani”. Il giro si chiude con una “puntata” al Circolo dei Lettori, dove, sia nell’atrio, sia al Circolo fanno bella mostra bellissimi alberi. Quello del primo piano, è bellissimo. Come sempre. Ci sono tante sedie vuote. Staziono un pichino.In una tasca, approfittando dei tempi vuoti, leggo sempre qualcosa, e oggi, in questo periodo, è la volta de “Il giardino dei Finzi Contini”. Un pochino, a dire il veto, sono rimasto con la testa a Ferrara, avvolto tra la sua nebbia e la grande bellezza, sospeso tra il Castello, i palazzi Rinascimentali, Isabella d’Este e Lucrezia Borgia, è tra Micol, che immagino bellissima, biondina, occhi azzurri, ed il giardino. Dei Finzi Contini.
Lascio Il magico Natale di Gianni Rosari.
RODARI, Il magico Natale.
S’io fossi il mago di Natale
farei spuntare un albero di Natale
in ogni casa, in ogni appartamento
dalle piastrelle del pavimento,
ma non l’alberello finto,
di plastica, dipinto
che vendono adesso all’Upim:
un vero abete, un pino di montagna,
con un po’ di vento vero
impigliato tra i rami,
che mandi profumo di resina
in tutte le camere,
e sui rami i magici frutti: regali per tutti.
Poi con la mia bacchetta me ne andrei
a fare magie
per tutte le vie.
In via Nazionale
farei crescere un albero di Natale
carico di bambole
d’ogni qualità,
che chiudono gli occhi
e chiamano papà,
camminano da sole,
ballano il rock an’roll
e fanno le capriole.
Chi le vuole, le prende:
gratis, s’intende.
In piazza San Cosimato
faccio crescere l’albero
del cioccolato;
in via del Tritone
l’albero del panettone
in viale Buozzi
l’albero dei maritozzi,
e in largo di Santa Susanna
quello dei maritozzi con la panna.
Continuiamo la passeggiata?
La magia è appena cominciata:
dobbiamo scegliere il posto
all’albero dei trenini:
va bene piazza Mazzini?
Quello degli aeroplani
lo faccio in via dei Campani.
Ogni strada avrà un albero speciale
e il giorno di Natale
i bimbi faranno
il giro di Roma
a prendersi quel che vorranno.
Per ogni giocattolo
colto dal suo ramo
ne spunterà un altro
dello stesso modello
o anche più bello.
Per i grandi invece ci sarà
magari in via Condotti
l’albero delle scarpe e dei cappotti.
Tutto questo farei se fossi un mago.
Però non lo sono
che posso fare?
Non ho che auguri da regalare:
di auguri ne ho tanti,
scegliete quelli che volete,
prendeteli tutti quanti.
Black Friday
Spira freddo, aria di neve. In giro, per le vie dello shopping torinese, lungo il nastro d’asfalto a forma di L (via Garibaldi e via Roma)si possono “ammirare” lunghe code alle casse, all’interno di alcune catene, mentre all’esterno, occhi e nasi sono piacevolmente incollati alle vetrine per quelle tante promesse sbandierate e importate che fanno tanto” Black Friday”. Chissà perché bisogna sempre importare “feste laiche” da oltre Oceano. Il nero dei libri contabili. Comunque, si sostiene che uno su tre anticipa ad ora, ad oggi, a questo “week” i regali di Natale, risparmiando tempo e probabilmente un 30 per cento. Chissa’. La cosa che stupisce e’ che l’iniziativa cade nella settimana in cui si elargisce un “pacco” per i piu’ poveri. E ce ne sono! Pare siano 5 milioni, assoluti. Quelli relativi, molto di piu’. Basta una spesa imprevistace….Nei pressi del grande fiume, il Po, l’aria è ancora più rigida e l’istinto sarebbe quello di stringersi ancora, all’interno del cappotto, così, da sparire ulteriormente dentro la nebbia. Senza lasciar traccia. Forse ci piace un pochino, quella sensazione di giocare a nascondino. Che ci rende tanto piccini. Anche da grandi. I grandi giornali, invece, rinnovati, Corriere e Repubblica si presentano nelle loro nuove vesti, grafiche e di cronaca. Il primo, riferito alla cronaca cittadina, “scusandosi per il ritardo”. Il secondo, in genere. Correva il 1976…anno della sua nascita. Per entrambi ho ricordi vastissimi legati alla maturita’. Anni dopo, ovviamente. Quante merendine e caffè sacrificate pur di avere “quotidianamente” l’informazione a portata di mano! Altro che cellulare!!
Smog-fog
Smog. Fog…”Non aprite quella porta”, (che sembra il titolo di un film) anzi, porte e finestre, meglio se chiuse; tra una pagina e l’altra della “preghiera laica mattutina”, cosi come sosteneva Hegel, e un orecchio a radio e tv, dopo aver sorseggiato il mio caffè nero bollente, scendo per strada e osservo gente che corre, felpe addosso, indicatori o meglio “riti” di passaggio, che ci segnalano che…c’era una volta l’estate e ora l’autunno. A pochi passi da ieri e da domani. È il periodo giusto per prendere un treno è lasciarsi inghiottire da nebbie padane. Per ora resto e opto per un giro in centro, di Torino, mani nelle tasche, rasentando via Roma, dove c’era La Stampa mentre oggi, a due passi da quel luogo resta solo l’insegna del bar che la ricorda. Osservo di tutto un po’, attentamente, in attesa dell’uscita didattica, presso La Stampa. Un pochino di storia non guasta mai: ma dirigo a piedi e poi in metro da piazza Solferino a via Lugaro passando appunto per via Roma. Di freddo penso solo ai titoli, come a quelli caldi. Al sommario, all’editoriale, alle colonne, di via Roma, e del giornale. All’occhiello
Al rientro, un giro veloce in un supermercato. Una bottiglia, Coca-cola Senigallia, sola soletta, mi ricorda la “bella estate” e altro o oltre. Mi ricorda il mare, la spiaggia, il velluto e lei vellutata, il faro i suoi occhi.Non ho nessuna intenzione di lasciarla sola. Ecco, le faccio l’occhiello, anzi no, l’occhiolino. Ho sempre la scuola “in testa”. La prendo con me e alla cassa pago, insieme ad altre cose. Esco, immerso nella nebbia recupero casa, scala, appartamento. Sprofondo sul divano in compagnia di un litro di buonissimi….ricordi.
Portici di carta 2016
La prima cosa che si fa uscendo di casa è…. “brrrrrr” per poi esclamare: “ma che freddo che fa”. In effetti fa “freschino”, qui, a Torino, ma “sotto i portici” ci si scalda camminando “lentamente”: due km dei 12 disponibili nella nostra città sabauda da “attenzionare”, osservare, leggere, annusare. Un occhiata là , una sbirciatina li, una “toccatina” (meglio “sfogliatina” per non incappare in altre interpretazioni) a quella copertina e se ce la si fa lo si compera. Il tutto sotto la lente di un attento e severo Umberto Eco a cui i “portici”sono in questa edizione dedicati. Cosa direbbe e risponderebbe all’urlo lanciato ieri sulla carta e sui social ” troppi compiti ai ragazzi? ” In mezzo, via Roma, interdetta al traffico pedonale persone silenziose immerse “nel verde” e ai loro lati, libri, libri, libri. Oggi la mia scelta “solidale” è ricaduta su di un volume piccino, di don Milani, come promesso ieri da queste pagine. Direzione “un libro per ricostruire”, una blibioteca verso le zone terremotate. Il Che e don Milani sono personaggi che hanno fatto storia. Due icone oggetto di studio nel corso universitario del ’68 (Il Che, morto ad ottobre del ’67 e don Milani nel giugno dello stesso anno. Ovviamente dipanati prima e dopo quell’anno. Prendo, pago e mi dirigo verso piazza San Carlo dove una “boccia” trasparente raccoglie tantissimi libri (ieri sera erano più di trecento, così si diceva). Nei pressi della boccia- contenitore flash in attesa, (come fosse una finale di coppa) forse per la chiusura della manifestazione di oggi e quella del giornale di stanotte, con la “penna” della cronaca cittadina in attesa anch’essa di mettere nero su bianco l’evento Portici di carta 2016: numeri, editori, compratori, artefice. Ci vuole l’occhio clinico e fiuto. Certe grazie non puoi non notarle: un po’ come una bella donna gravida. Prendo la strada del ritorno e in mezzo al traffico pedonale qualcuno urla al mondo intero le sue necessità :”scusa sai dove è un pisciaturo? “
Un libro per “ri-costruire”
Torino. Portici di carta 2016. Mi piace questa idea di donare un libro “per ri-costruire” una blibioteca nelle zone terremotate. Si sfila sotto i portici dove e’ allestita la piu grande libreria all’aperto e si compera un libro. O piu’ libri. Si portano in piazza San Carlo dove un grande recipiente trasparente e’ un raccoglitore per i libri dei tanti donatori (dopo averli “inventariati” e dopo aver inserito una dedicata). E così è stato. Non sapevo quale libro. Avevo l’imbarazzo della scelta. Alka fine ho scelto una storia di Che Guevara. Forse a ricordo di una maglietta, una t shirt che compie in questi giorni esattamente 21 anni. “Ma dove sara’ mai andata a finire? “Domani tornero’. Penso di comprarne uno di don Milani. Il ‘ 67, e tanta giustizia sociale che li accomunano. Il lavoro, la tenerezza, senza perderla mai. E poi sono personaggi “belli” che formano. Attuali direi. Davvero una bella iniziativa. Da prendere al volo e provare a “sfogliarla”. Ah, quasi dimenticavo: si possono donare anche libri usati, nostri. Basterà portarli in piazza San Carlo, a Torino.
Per me “una storia operaia” ed una medioevale.
Terra Madre
Torino 24 settembre 2016. Piazza Castello, Piazza San Carlo, il Valentino e oltre e altro. Una giornata tra gli stands diffusi di Terra Madre, tra Presidi, Regioni d’Italia e mondo, gusto, gusti, biodiversita’, camminando tra “casupole” bianche, tra 7 mila delegati provenienti da 143 Paesi Diversi. E’ l’ONU dei popoli della terra, agricoltori, allevatori, pescatori. E’ una bella manifestazione diffusa. Riuscita. Un assaggio qui, uno li, semi, prodotti e costumi che si incrociano e una Babele di lingue che comunica. È tutto semplicemente bello. Anche… Aspettando l’ultimo bus… o.. “waiting… for the last bus”
Anche io ho voluto partecipare a questa festa compiendo il tragitto da Palazzo Esposizioni ai Murazzi che costeggiano il Po passando per il Valentino fino ad arrivare a Porta Nuova per immettersi nel “fiume” umano che da Piazza San Carlo confluisce in piazza Castello attraversando via Roma. Non ho visto semplicemente un ghiottone curioso ma migliaia, fermarsi ad assaggiare, si, molecole o atomi di prodotti. Poi si, i banconi degli stand provvedevano alle degustazioni e non saprei dire se tanto o poco di prodotto o tanto o poco di costo. Certo trovarsi pezzi di un’ Italia che riceve identita’ col cibo è un’esperienza unica. Notevole. E certo anche vesti e turbanti e pensa gli al collo e pettorina “volonteer” e “delegate” fino alle “sentinelle dei rifiuti”. Profumi poi, non ne parliamo: “fermiamoci e dolcemente” accumuliamo panzerotti pugliesi (che mi ricordano tanto Giovinazzo), formaggi, prosciuttidi ogni tipo, pomodori, baccalà, alici, la tigella e olio di ogni tipo. Punto. O forse punto a capo o meglio i due punti che continuano l’elenco. Poi ognuno come desidera: a piedi, in navetta gratuita o ” Tobike”.