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La tesina va in pensione, seppur così giovane

La sedia della maturità è  “lucidissima” come mai lo è  stata lungo il corso degli anni, di forzata e anche sforzata attività,  mentre la tesina, con un velo di tristezza,  oggi,  sta per congedarsi;   ad esser chiari, ha conosciuto una brevissima esistenza, la tesina,  (la sua),  tra alti e bassi,  fortune e sfortune,    “uccisa”,  forse,  in culla troppo presto.   E ora,  che la cronaca diviene storia, di cose da raccontare, quella tesina,  certamente  ne avrebbe da dare in pasto a noi,  consumatori di storie.  Intanto,  ride e sorride sotto i suoi “4 baffi”, sostegno e stampelle per lei e candidati, di ieri,  di oggi e domani.  Anche senza tesina.  “Lucida”,  perché la recente candidata che ho avuto modo e piacere di ascoltare è  stata esauriente,  brillante,  concisa. Lucida,  la sedia,  per essersi accomodati tante candidate e candidati . La candidata alla maturità  si presenta alla commissione e al pubblico presente per assistere e “assisterla”con  una bellissima tesina dal titolo che promette bene.  Orecchie e occhi ben aperti,  perché  l’argomento scotta fin dagli inizi della narrazione,  cioè,  dai  tempi di Marx”:  “Dalla Storia alle storie”(candidata V. M. indirizzo socio-sanutario). È  il racconto di    tre generazioni operaie (identica famiglia) nella stessa fabbrica,  zona sud del torinese,  a cavallo tra Moncalieri e Trofarello. “Tempi duri”,  ci chiarisce la candidata,  per tutte e tre le generazioni ma anche dolci,  i suoi,  il suo tempo,  i “suoi tempi”,  accordati tra studio e attesa,  nell’attesa che i turni terminassero . Le storie,  “quelle non  solo della domenica”, (come giustamente cita la candidata) ma di una settimana intera,  per una vita,  tra  presse,  grasso dei macchinari che cola,  olio e tute blu,  al lavoro e lavate e appese ad asciugare ad un sole che ha solo il gusto del presente.  Si,  tute blu.  E dire che qualche storico ne sosteneva la fine,  della storia,  teorizzandone,  di conseguenza la fine,  del lavoro. La Storia,  raccontata attraverso le storie delle tre generazioni,  a cominciare dagli scioperi di marzo del 1943 a Torino.  Poi ancora l’accordo italo belga del 1946,  la tragedia di Marcinelle (8 agosto 1956)  ,  il ritorno agli scioperi operai del marzo 1943,  considerati il “seme della Repubblica”, e   “seme della Costituzione”.  Gli scioperi del marzo ’43,  la “grande spallata” alla caduta del fascismo. E ancora,  la Resistenza,  la Costituzione (sostanziale e materiale,  come richiedeva uno dei titoli del tema e come la candidata chiarisce il senso della traccia pur avendo preferito il tema sulla “solitudine”),  Marcinelle,  Mattmark,  cause,  conseguenze, la ricostruzione, italiana,  il boom economico,  il movimento studentesco del 1968,  quello operaio del 1969,( e “La meglio gioventù” ),   lo Statuto dei lavoratori,  la sua struttura.  Il mondo del lavoro oggi e  i lavoratori,   letto attraverso le lenti e articoli della Stampa,  le delocalizzazioni e la finanziarizzazione dell’economia,  la globalizzazione,  i mercati. La tesina cominciava con una frase di Olivetti,  e guarda caso,  recentemente, a   Ivrea è  stato conferito il titolo di “patrimonio” umano… quando si “dattilografava” era tutto  così bello…   Una bella tesina,  e una sedia “lucida” perché  oramai,  la sedia tornera’  sotto il banco mentre la tesina,  la povera tesina,  seppur cosi giovane sta per andare definitivamenre in pensione.  Un vero peccato. La candidata continuava a raccontare poi,  (per una parte in inglese) le storie al lavoro in un mondo che cambia. Dal lavoro al nuovo voncetto di lavoro,  avrebbe detto altro candidato.   Poi psicologia (il lavoro in carcere e forme di retribuzione)  diritto (cooperative,  snc… ) italiano (Ungaretti,  decadentismo),  storia (resistenza,  partigiani,  8 settembre,  armistizio) fino ad esaurire la sua prova in modo davvero…. maturo. I suoi libri trattengono tutti gli odori della fabbrica,  e si spargono,  con classe, la sua,  da pagina 100.  Vorrà  dire e dirci ancora qualcosa?

“E, sono quattro (lauree)… Laurea in tempi da record”

“Scusate,  volevo sbalordire tutti”.  O quasi. La prima,  l’avrebbe detta Sartre. Anche io volevo provarci e

ho sbalordito molti.

Ecco giunta finalmente la mia quarta laurea … Ci sarebbe da ridere (non ne dovrebbe bastare una?). Non so ancora se è quella che mi ha dato maggiori gratificazioni – di certo, potrebbe e dovrebbe essere quella che darà una svolta alla mia futura vita lavorativa. Vita lavorativa iniziata in fabbrica, quella fabbrica che ti forgia anche il carattere e che non si dimentica mai! I compagni di lavoro, come si potrebbe mai dimenticarli.
Ho sudato, credetemi, davvero per questo ultimo fine – penso sinceramente di essermelo meritato. In Italia non ti regala nessuno niente se non hai dei Santi in paradiso è vox comune. Però, ripensandoci, sì: è frutto di un sogno cullato, inseguito, programmato e al penultimo esame, un sogno quasi messo in discussione, per colpa di una banalissima stanchezza. E non solo. Ma “il non solo” ormai non minteressa più. Fa parte del passato e io vorrei tenere solo le cose buone. Quello che interessa, e che mi inorgoglisce, è il fatto che dalla prima volta che mi accomodai su una sedia di una di queste aule universitarie, “correva” il  20 settembre 2010. L’ultima, il 9 luglio 2015. Sì, neanche cinque anni. Scusate se è poco.image1

Torino. Giovedi mattina, mentre ero ancora intento nella ricerca della mia camicia bianca e giacca blu, molto “Tsipras”, ecco suonare il campanello di casa. Lo zio Vito, di buon mattino, è passato a “prendermi”  per “riversare” il contenuto di questo “bellissimo” libro blu che si chiama tesi. Zio Vito, giunto da Ivrea per partecipare alla mia ultima “discussione”. Il volume in mano sulle scuole professionali salesiane e le leggi che hanno caratterizzato il panorama di quelle dal 1978, e l’ultima “cantata” sulle scale. Ok è tutto a posto. La porta è richiusa. Penso a Platone: qualcuno vorrebbe lasciarlo fuori. Come che sia. Mi manca qualcosa? Qualcuna? Sono rilassato. L’ansia si è diradata come la nebbia d’estate. Bisogna far presto. Il tempo stringe. Valdocco e il mio quartiere, di quà, il Duomo di là. Nel mezzo un caffè “Sida”. Luca aspetta alla Sida, la Sida e la torta alla frutta aspettano noi e la commissione d’esame e gli amici aspettano me e cosi pure la sedia per l’ultima seduta, la prima a tempo di record. Saliamo in auto. Il navigatore dello zio segnala “via don Bosco”. Inutile ogni distrazione. Anche l’auto ne ricorda l’appuntamento. Nel cortile sprechiamo una manciata di chiacchiere. Coriandoli di saluti a quanti,  fogli alla mano,  sobo intenti a ripassare. I miei,  li ho lanciati da poco nelnon dimenticatoio. Ora i pensieri convergono sul “libro” blu. Stringo fortemente il  volume che racchiude cinque anni della mia vita e che per nulla al mondo lascerei… o forse si, per una causa davvero nobile e per chi merita davvero gioia e felicità. L’orologio che batte le sue ore ogni quarto d’ora da quasi cinque anni tanti quanti “il mio domicilio” pre-serale eletto qui (in realtà suona  da chissà quanto) batte “45” dopo le 11. Il Direttore mi chiama. Convergo insieme ai presenti. La presentazione: “correva marzo del 2014 quando il candidato ha ottenuto la laurea triennale, oggi si presenta per…”. Ho ripensato a quel giorno, a quella felicita’ dimezzata, non completa, al voler fare e rifare qualcosa di ancora piu bello e grande, per me e per …l’amore. Una lettera.Ha 15 minuti per presentare il suo elaborato… Parto… 15 minuti corrono via come non avevo immaginato. Avrei voluto dire questo, quello e ancora altro… Comincio dal “cuore”: con la legge 845 del 1978,  un anno dopo la nascita del Cnos-Fap… e dipano grappoli di conoscenze mischiati a fili di ansia. Parte la bella presentazione del relatore poi quella bella del controrelatore, le domande. Mi accomodo fuori. Mi richiamano. Rientro in classe, mi accomodo per l’ultima volta. Mi sistemo la giacca alla Tsipras. L’acclamazione, il battito di mano degli amici. Il mio è nel mio cuore. Me lo merito. Ho accorciato le notti per arrivare fino a qui. Ora è terminata! Il pubblico ha tra le mani l’applauso da far fuoriscire…. questione di secondi,  eccolo: “E’ partito! ” Ho portato a termine una grande impresa, almeno dal mio punto di vista. Son passate due notti soltanto eppure continuo a sognare che devo preparare la tesi. È una gioia grande, immensa. La dedico ai miei, al fratello, ai Salesiani di Valdocco Maria Ausiliatrice, (Valdocco che è il mio quartiere) che mi hanno permesso di reperire ogni materiale possibile e girare liberamente nelle scuole professionali e negli archivi, agli amici, a Luca, a Domenico,  a sister, a Laura, alla maestra, Angela e le sue poesie, alla matematica e matematici, a “BuBu”, al Professor Carpinelli (storico presso l’universita’ di Torino, per anni) con cui abbiamo collaudato le tesi, a suo tempo, per quelle precedenti, al Cnos-Fap regione Piemonte, a prof. E prof. sse,  amici/e,  a chi c’era e chi no, ai compagni, allo zio, ai ragazz* delle scuole che ho incontrato in questi anni, forse sfiduciati, e fiducios, ma mai rassegnati. Aristotele diceva: “I giovani non sono sospettosi perche’di male non ne hanno avuto ancora visto molto; sono fiduciosi perche’ non hanno ancora avuto il tempo di essere ingannati”.

Un altro mondo è davvero possibile.

I ringraziamenti al Direttore ISSR, alla commissione, al Relatore e Controrelatore. “La seduta e’ tolta”.

Sulla tavola la torta attende. Riavvolgo personal ente il nastro della memoria… accendo lo smart-phone, “puntualizzo” su Jovanotti…”Il piu’grande spettacolo dopo il big-bang…”…Ho scritto una bellissima pagina di storia che rimarrà per sempre. Una corsa… terminata nel migliore dei modi possibili. Un grande spettacolo… dopo il big-bang.

Scusate, oggi, senza alcuna falsa modestia, quel che otterrò in futuro è soltanto frutto di immensi sacrifici e testimonia che di santi in paradiso ne ho davvero avuti pochini. Ringrazio tutti coloro che mi hanno in qualche modo aiutato, stimolato ad affrontarli tali sacrifici. Grazie di cuore! E, sono quattro!

Foto Borrelli Romano.2 7 2015 Torino.ultimo esameFoto Romano Borrelli.Torino.2 7 2015 ultimo esame

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Foto Romano Borrelli.Torino luglio 2015 laurea-teologia-romano-borrelli

P.S.
Avviso per gli amici naviganti. Il blog da oggi è raggiungibile direttamente con il dominio romanoborrelli.com

Primo settembre. E…..STATE GIOVANI, sempre

1408983090276Il primo settembre si sa e’ il giorno della “presa di servizio” nelle scuole italiane. Ci saranno coloro che rientrano nella medesima scuola e quanti la cambieranno, in fila per apporre firme su fogli e fogli, l’attesa del badge e altro ancora. Collegio. Ci saranno  ragazz* in attesa per qualche riparazione di “sartoria” per un vestito riuscito male durante l’anno scolastico. Un tempo erano esami di riparazione e i dizionari lungo le strade e sui tram cittadini erano un must e il segno che la scuola ricominciava. Era il giorno del tema. Oggi, primo settembre sara’anche primo giorno di pensione per molti. Uno su tutti, Vito S., da Ivrea, dopo 42 volte in cui ha “preso il suo servizio” viene  collocato in pensione. Quanta gente e ragazzi avra’ visto passare…sotto i suoi baffi con  un sorriso sempre pronto  a tutt* nel porgere la penna e il benvenuto. Un amministrativo dal cuore d’oro, generoso. Un lavoratore al servizio dello Stato che non ha mai posto  “barriere” tra tipologie di contratti in entrata. Uguaglianza, di fatto e di diritto. Indeterminata per tutti. Anche per i determinati. Al servizio dello Stato e di Ivrea dove ha sempre lavorato.  Allora non resta che augurare una buona e meritata pensione a Vito S., un pilastro della scuola, e buon lavoro  a quanti, in ogni ruolo cominceranno il loro primo settembre. Si sa, da sempre, il primo settembre è configurato come il primo giorno di lavoro.

Per quanto mi riguarda  cerchero’di tenere per quanto possibile, nei mie occhi, i colori del Sud, del mare, del sole, degli ulivi, ricordandoli con affetto, come si fa verso i propri cari.Salento. Ulivi. Porto Cesareo. Agosto 2014. Foto, Romano Borrelli Ricordero’ quei giorni intensi fatti di adesione completa al presente. Un ricordo al faroSanta Maria di Leuca. Agosto 2014. Foto, Romano Borrelli (2), la sua luce e macchina di luce per tanti, il piazzale ed un solo bisbiglio, quello di qualche gabbiano. E quanti ho visto lavorare la terra, dissodarla, pulirla, operai nella raccolta in condizioni davvero dure. A volte semina e raccolta riescono davvero dure. Uomini dalla pelle dura, baciata dal sole. Monarchi del loro territorio ma dal carattere dolce e buon temperamento. Ricordero’ la loro colazione nel momento di pausa: un pezzo di pane, nero, di grano duro e qualche pomodoro, rosso, ricco di semi. Pausa durante la qual raccontavano il loro lavoro. A volte dopo la semina il raccolto e’ davvero buono.Porto Cesareo, Agosto 2014. Foto, Romano Borrelli

Buon primo settembre. E un abbraccio a tutt*. Colgo l’occasione per salutare proprio tutt* dal momento che la destinazione e’ cambiata….e..  “E…STATE” SEMPRE, giovani.Porto Cesareo. Agosto 2014. Foto, Romano Borrelli

Lettera 28. Continua…

 

 

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Torino. Monte dei Cappuccini. Romanticismo notturno.

Il caffè, quel caffè, era il nostro rifugio.  La piazza e la stazione nella quale aspettavamo un treno, il nostro treno. Due luoghi, due spazi, fulcro della vita culturale. Non era la nostra vita quotidiana, ma ci provavamo, a farla diventare. Nostra.  In tutti e due i luoghi, i  libri ci accompagnavano. Sempre. Ci aiutavano nella nostra libertà. Loro incontravano noi e noi incontravamo loro. E ogni incontro, un’esperienza unica. La loro con la nostra. La nostra e la loro. Con loro in nostra compagnia, superavamo confini e saltavamo angoli che la realtà ci costringeva o meglio, ci costringeva a vivere in luoghi angusti, e lavorare con un “abito” non nostro. Ma fortunatamente, come lo storico della domenica, ci scrollavamo di dosso molto, del passato, dall’ultimo incontro a quello nuovo. Torino era nostra. Piazza Castello, al pomeriggio. In lungo e in largo. Mano nella mano.  Avevamo vinto lo scudetto. Il nostro. Una giornata di festa e tripudio. Festa, cori, trombe e bandiere.  Uno scudetto appuntato sul petto, al termine  di un campionato. Era l’andata. Il ritorno sarebbe stato più duro. Come tutti i ritorni. Una trasferta lunga, con il fattore campo che certo non aiutava. Ma intanto, quello, era il nostro scudetto. Laureatici campioni, in piazza, a festeggiare, come dopo un esame. In un campionato a due. Lo scudetto, quello nostro, era l’abbraccio e le mani intrecciate. Le trombe, due cuori esultanti. La bandiera era un enorme foglio bianco sul quale scrivere la storia. Il tamburo, il nostro cuore. Un cuore solo, fuso. La nostra storia. Piazza Castello, per l’occasione, e per tutte quelle a venire, diventava, o meglio, ridiventava la Medal Plaza. E noi, orgogliosi, la appuntavamo, sul nostro petto. Da li, ai Cappuccini, occhi gettati verso l’alto e da qui, a Superga. La città era nostra. Ai nostri piedi. Il ritorno, lento ma veloce. Uno sguardo all’orologio. Il tempo passa. Troppo velocemente. La riconquista della Piazza. La scelta del caffè, del bar, per l’aperitivo.  Cosa che avremmo ricordato, il giorno dopo, in stazione, prima del congedo. Due mani, domani,  formeranno un cuore.  L’umor acqueo, fornirà l’inchiostro. Le dita, saranno i tasti, per scrivere qualcosa che non si puo’ dire in poco tempo, in pochi secondi. Quel tamburo continuava ad emettere lo stesso suono. A distanza. Di tempo.  Il treno, velocemente veniva  inghiottito dalla galleria cittadina. Cominciava il girone di ritorno. Tum, tum, tum…il cuore batteva il suo tempo e questo non ne rallentava mai quel battito.

 

Oggi, come allora, piazza Castello. Sul porfido, la lettera 28, batte gli ultimi tasti.Torino 18 ottobre 2014. Foto, Romano Borrelli Ultime lettere.  Ancora una lettera. Per continuare. A sognare. Il foglio bianco, la nostra bandiera, ormai è divenuto testo scritto. Le dita, le mani, solo apparentemente si distaccano. Le dita, battono e scrivono una storia. Questa piazza sembra, a quest’ora, ha le sembianze di  un bel visino. Occhiali, frangetta e occhi neri, sono quelli di Marina, che così “ricama” la sua storia. Io l’ascolto e la regalo ai lettori.

“Una coppia porta a spasso il suo segreto, nello spazio aperto di Piazza Castello, che induce a prendere fiato per fare un profondo respiro, per un lungo sospiro. Aria di libertà, il sole ravviva i colori e definisce i contorni, la temperatura, mite, rilassa i muscoli (compreso il cuore). Mi piace pensare che quelle mani non siano perfettamente aderenti, che non ci sia il vuoto fra di esse, ma che contengano il frutto dell’amore dei due, il frutto che si portano a spasso nascondendone il sapore al pubblico pur rivelandone la bellezza. E’ questa delicata esibizione di un sentimento, rispettosa del confine fra la dimensione pubblica e privata dello stesso, che suscita in me tenerezza. Strappandomi un sorriso e un pensiero, su quell’avanzare nella piazza come nella vita in due, distinti e diversi, ma l’uno accanto all’altro. Lui non colma le mancanze di lei, lei non colma le mancanze di lui, ma lo attraversano insieme, il vuoto che ognuno si porta dentro. Stando accanto. Anche quando l’amore è attesa e manca la routine per cui si conservano come reliquie oggetti, foto, libri che oggettivano la presenza, l’assenza, di lui o di lei. Basta poco per ritagliarsi un momento di poesia nella giornata. Alzo gli occhi al cielo, lo stesso cielo. Calpesto la stessa terra. E mentre le due mani intrecciate spariscono all’orizzonte in me rimane un retrogusto dolce, di qualcosa che fu, di tutto l’amore divorato, mai assaporato, mai restituito. Vita, torna da me, cavalcando la primavera.”

“Lettera 28”

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Il Bicerin di Torino. Davanti alla Basilica della Consolata
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Piazza Castello. Torino. Una sera d’inverno

Non so se sia la vicinanza della Holden e dell’aria che emana e che sei indotto a respirare a trasformare ogni pensiero in una narrazione o se davvero ogni cosa possa essere come una lampada, grattarla, e oplà…storie, personaggi e persone.  In una carta d’alluminio, conservo il cibo serale. Una semplice patata. Un tubero. Allo scartare, profumo di mare. E più la scarti, come le caramelle, più ti accorgi di quanto sono dolci. E più le scarti, più rimbalzano storie.  A guardarla, questa piazza… Seduto su questa panchina la osservo, la piazza, con cura, con attenzione. Ripenso a quelle mani intrecciate, che insieme attraversano la piazza e il corso della vita.  La Mole, a due passi, occhieggia. La stella, in cima, indica la traiettoria. E’ bussola per il cammino. Ai suoi piedi, lettere smarrite e ritrovate, e personaggi “evaporati” e dissolti nelle nebbie. Lettere di Natale, e Natale di letterine, dissolte anche queste, “ricercate” da qualcuno. E lettera 28, di prossima pubblicazione.  Ogni cubetto di porfido posto sotto i miei piedi pare un tasto, una lettera. A, S, D, F… Una enorme macchina da scrivere. Torino 18 ottobre 2014. Foto, Romano BorrelliDi quelle nere. Bellissime. Lo zio Vito ne possedeva una, sulla  sua scrivania. Un po’ come La Stampa per un torinese, una L 28 è per un eporediese. Lui, così ligio al suo dovere, chissà quante pagelle avrà compilato con quella bellissima L 28. Una lettera 28, di Ivrea. E Ivrea significava Olivetti.  La spolverava e ammirava ogni giorno. Quasi come fosse una bella ragazza. E una bella, lo è per davvero. La professoressa T. pone un foglio, bianco, sopra la tastiera, affinché gli studenti non vedano dove sono posizionati i tasti. Ci si avvia, così, lentamente, a scrivere, una pagina di storia. Forse un libro, in capo al biennio di corso.   A, s, d, f, moltiplicato tre righe. Michela e Paola, sono le più brave. A ruota, seguono Riccardo e Danilo. Io, faccio come posso. A pigiarli, tutti quei tasti, sull’ immenso foglio, che si chiama piazza Castello, l'”inchiostro immaginario” comincia lentamente a colare, colorare e  riempirla, la piazza,  di contenuti, persone, storie, città, anni. Lentamente, lo svolgimento, del tema, prende “corpo”. Una pergamena, con qualche “bruciatura“, ma ricca di contenuti. Un bel tema. Lentamente, la srotolo e la leggo. Una storia, nella storia. Che continua a fare storia.

 

“Il Bicerin era pronto davanti a me, sul bancone di quel caffè storico, della città più affascinante che io abbia mai visitato. Certo erano diversi fattori a produrre quell’eco, quel richiamo, arrivato fino al mare. La promessa di una vita più solleticante. Un senso di ordine, l’assenza di frenesia, una certa eleganza. Il romanticismo. E l’accoglienza della casa di lui, di lui indaffarato a preparare un piatto di pasta di rara bontà. Sapori del Sud, genuini. E la cura. Delle sue mani guantate avvolgenti le mie, nude, per impedire al freddo di penetrare nel cuore di quell’intreccio. Della sua voce, la sera, che leggeva i passi di un libro a ripercorrere gli stessi posti di qualche ora prima. Forse voleva fissare nei miei ricordi quelle immagini, ma non sapeva che le stesse immagini non solo si erano fissate ma si erano fatte emozione, sogno, speranza, tanto da concedere alla mia mente stanca un repentino abbandono al sonno. Come una bambina avevo bisogno di essere rassicurata per dormire. Ma ancora non sapevo di quella ninnananna, davanti a quel bicerin. Faceva venire l’acquolina in bocca, un triplo strato di cioccolata, caffè e fiordilatte, perchè, si sa, la vista e il gusto vanno a braccetto. E vanno a braccetto anche con le emozioni, i sentimenti, i ricordi, piacevoli o dolorosi. Il cibo è soprattutto cibo dell’anima. Sarà per questo che quel ghiacciolo era così succoso a Superga. Incomparabilmente più squisito di qualsiasi altro ghiacciolo al limone. E sarà per questo che a volte, pur volendo ed essendo sul punto di gustare qualcosa, ci tratteniamo dal farlo. Perchè vivere, nutrirsi, amare, decidere, crescere potrebbero evocare fantasmi. Abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci racconti una favola. O una storia vera, magari piccola piccola ma pregna di grande valore. Lui ha continuato a raccontarmele le favole, da lontano, con un blog. Un appuntamento quotidiano con numerose e variegate storie che solo i suoi occhi potevano cogliere e anticipare. Proseguì quel giorno la passeggiata, mano nella mano, fiumi di parole che non ci eravamo forse detti, ma anche momenti di silenzioso ascolto, delle cose nuove che la città sembrava promettere a entrambi.”

La lettera di una sconosciuta è stata riposta nella biblioteca di famiglia. Questa, è la lettera di Marina. Scritta da una formidabile …L 28.

Mio “keepsake”

Dopo il mio farewell ad una cittadina piemontese, soprannominata “la bella” (anche se direi la “fredda” in tutti i sensi) adagiata ai piedi di stupende montagne che fanno da corona al Monte Rosa, eccomi sul bus verso la nuova cittadina, sede dell’istituto scolastico che mi “ospiterà” per un anno “di precariato”

Una cittadina, quest’ultima, “sdraiata” sulle colline torinesi che videro, più di un secolo fa, un ragazzo, farsi prima garzone e poi studente al prezzo di notevoli sacrifici. Un personaggio divenuto in seguito, un santo sociale: don Bosco. Un prete che ha dato tutto, pur di rendere effettivi e garantire i diritti dei giovani lavoratori e garantire per questi ultimi una giusta ed equa retribuzione. Mentre oggi si gioca a comprimerli, quei diritti. La cittadina in questione  venuta alla ribalta della cronaca cittadina per una frase fuori luogo di un assessore, di quello stesso comune, durante una seduta del Consiglio comunale . In sintesi, in quell’intervento (portato alla ribalta da un quotidiano torinese) “I ragazzi con handicap disturbano”; quindi, basta disabili a scuola? Meglio sorvolare su quel punto. Che soggetti, che mondo. Ma torniamo a scrivere di scuola. Tagli e paradossi.

Nella scuola purtroppo i paradossi son tanti. Collaboratori scolastici laureati, tecnici informatici ingegneri che vengono licenziati per i tagli, istruttori pratici diplomati, insegnanti non laureati, e via dicendo. Inoltre la suddivisione dei lavoratori della scuola classificabili in lavoratori di serie A e altri di serie B. Tra questi ultimi, i collaboratori scolastici.

Nella scuola, giustamente, i collaboratori scolastici si occupano e preoccupano anche delle esigenze dei ragazzi diversamente abili, ma, se i collaboratori sono precari, sono sprovvisti di quel famoso articolo 7 che permette loro di avere competenze specifiche nei confronti dei diversamente abili. Ancora: corsi come quelli su sicurezza, visite mediche e altro spesso sono preclusi ai precari. Le ferie, poi, sono godibili solo in periodi indicati dai superiori, perché prima, la scelta spetta a quelli di serie A. Nei ricordi della “passata stagione eporediese”, vi sono colleghe e colleghi divenuti amiche e amici. In particolare insegnanti sul sostegno che per una politica di tagli non hanno potuto dare continuità e affetti al loro lavoro e ai loro “ragazzi”. Fra questi, D. laureata in filosofia, con due specializzazioni all’insegnamento, storia e filosofia e quella sul sostegno, area umanistica, attualmente è disoccupata. Ha partecipato alle nomine, in una città siciliana, dove ha “incontrato” la disperazione. Afferma: “Non ho mai provato l’emozione di essere nominata dal Provveditore, avere la facoltà di scegliere la scuola in cui lavorare e firmare un contratto. La nomina dell’anno scorso è stata una vera sorpresa, anche se, a 1400 km di distanza. Ho avuto la possibilità di calarmi per la prima volta nel ruolo dell’insegnante di sostegno e di “mettermi al servizio” di chi ha altrettante risorse. Ripeterei l’esperienza ma ovviamente preferirei lavorare qui, in Sicilia per non dover ripetere il sacrificio di stare lontana dal mio ragazzo e dalla mia famiglia. Chissà quando un simile diritto, quello di lavorare e vivere nella regione di appartenenza potrà essere realizzato”.

In seguito è la volta di F. “Abbiamo fatto qualsiasi cosa questo sistema richiedesse: laurea, Ssis, corsi abilitanti sul sostegno, master da mille euro, ricorsi, controricorsi…” Ed ora? si domanda F. “chi mi ridarà gli anni passati sui libri e chi i 5 mila euro spesi in istruzione a pagamento solo negli ultimi due anni della mia vita?”. La sensazione più triste, nel parlare con F. è la constatazione della mancanza di “un appuntamento con il futuro”. “Si ha la sensazione”, mi riferisce, “di rincorrere qualcosa senza raggiungerla mai”. In seguito, ne individua, come molti di noi la causa e i mandanti: “L’istruzione, a pagamento, che devi obbligatoriamente fare, per non rimanere indietro, ha arricchito qualcuno, ma non te; e tu, che eri in buona fede, pensavi che questo sarebbe stato finalmente l’ultimo tassello per raggiungere il tuo sogno”.

Già, il pagamento. La ricerca del privato a tutti i costi. Privatizzare la scuola. Questo è il vero obiettivo ricercato da questo Governo. E’ la la storia, già conosciuta di una scuola che si “autofinanzia” due volte. Il caso di Adro. Come sostiene un giornalista, sarebbe il caso di essere indignati, in maniera permanente, effettiva. Da ricordare ancora il caso dei genitori che si autotassano pur di avere “un pezzo di collaboratore scolastico”, come avviene in un sobborgo alle porte di Alessandria. I “tagli” avevano eliminato un collaboratore e così, di necessità, virtu’.

Nei “ricordi”, vi è anche Domenico Capano, “l‘ingegnere”, tecnico nella scuola, anche lui, precario, e ora “fuori” grazie, sempre, si fa per dire, ai tagli. Un ingegnere che ha avuto forza anche di cimentarsi con la storia, pubblicando un libro su Piergiovanni Salimbeni, nel ‘700, da quella picciola Terra di Limpidi” (Edizioni Lulu.com). Posto, di lavoro, quello di Domenico, ricoperto sicuramente da tanti abili tecnici un tempo magari dipendenti della provincia e ora dipendenti statali, magari non ingegneri, magari, chi lo sa, non tanto bravi quanto Domenico. O magari collaboratori scolastici in progressione con concorso interno. In classe con laptop, ma senza tecnici validi come Domenico.

Poi Cosimo, laureato in storia e filosofia, anche lui, “retrocesso” causa tagli: da futuro insegnante a collaboratore scolastico. “ Mi sveglio alle quattro e quaranta, per essere alle sette a scuola; pochi km coperti in malo modo dai mezzi pubblici”. Prospettive? “Attualmente mi preparo per l’esame di un master e nel frattempo spero mi chiamino. Per insegnare”.

E poi ci sono io. Il mio bus è quasi arrivato. Un’occhiata al giornale. Una notizia in particolare mi ferisce e mi stupisce. Un box piccolissimo. “Quaranta milioni di euro, di cui due devoluti, su sua richiesta (al soggetto interessato) in beneficienza. E’ la cifra che Unicredit verserà a Profumo, sostiene il quotidiano, per l’ addio anticipato alla poltrona di ad”. Ancora. “In Bot annuali renderebbe 1300 euro al giorno”. Neanche un’ora prima, pensando fosse accreditato, come tutti i mesi, lo stipendio, il mio, come per tantissimi precari, mi viene reso noto che il bonifico non è stato effettuato. Cambiando scuola, chissà quando arriverà. “No bonifico? No party”, nonostante tutti i 23 del mese, il misero bonifico attesti, come il nome di battesimo, la precarietà. Un marchio. Una precarietà che lascia a bocca asciutta e vuote (e svuota)le tasche. Di molti. Pazzesco pensare che abbiamo speso il 17% del pil europeo per salvare delle istituzioni che dovrebbero salvarsi da sole. A proposito di lavoro. In capo al terzo anno di lavoro, si necessita del certificato di sana e robusta costituzione, che rasenta il costo di 50 euro. A proprio carico. Cioè dei lavoratori. Come la disposizione Brunetta che prevede il tesserino di riconoscimento con la propria fotografia. Già, ma le foto, chi le paga? Il lavoratore. Tutto questo è pazzesco, pensare che lo Stato si comporti come un “job killer” nei confronti dei tanti D., F., Domenico, Cosimo e gli altri duecentomila precari di questo autunno scolastico, che speriamo sia caldo. Precari, definiti “politicamente strumentalizzati” per il semplice fatto di non avere più traccia di bonifico o se, per un incontro con il proprio futuro decidono di scendere in piazza a manifestare contro questo taglio indiscriminato. Un autunno scolastico che si accompagna al terzo autunno di crisi finanziaria.

Pare di sentire Ennio Flaiano: la situazione è grave ma non è seria.

Farewell

Da tanto, troppo tempo, in molti chiedevano: “come mai non scrivi”? Già…come mai? eppure molti e tanti erano gli argomenti….ma del perchè, non diro’.

Piuttosto, pensando al “digiuno dei precari”….penso al mio “farewell”…

Il mio farewell. Ad Ivrea.

A Torino, sabato scorso, c’era il sole.” Il sole bacia i belli”, si sente dire. Nell’ambito dell’assegnazione nomine, per un posto Ata, non eravamo belli. E il “partito dell’amore” esprimeva odio, “ tagliando”. Le forbici del “duo” Tremonti-Gelmini, binomio espressione dell’amorevole “Presidente Silvio Berlusconi”, forse poco,  di li a poco, avrebbero effettuato “un taglio” su molte delle circa trecento “teste” in attesa del conferimento di una nomina. Trentasei ore settimanali, 950 euro il compenso. Senza conoscerne la meta, perchè la meta la decide la sorte, in luogo nostro, in base a chi è piazzato meglio, prima di noi, in graduatoria. I posti rimasti, sabato, erano davvero pochi, “grazie” si fa per dire a tagli e vincoli. Per pochi. Per altri, non esistono vincoli. Le scuole rimaste, da coprire mediante incarico, erano davvero poche. A Torino esiste ormai da anni una fascia, la prima, che fino all’anno scorso, garantiva a chi era inserito una nomina annuale; la si esauriva e si cominciavano così le chiamate anche per la seconda fascia, un serbatoio . Ma giusto. Quest’anno, la prima fascia, terminava al numero 2200. I posti da collocare si attribuivano, nell’ultima chiamata di sabato, fino alla posizione 1820, circa. Si deduce che molti di prima fascia non hanno ottenuto la nomina. Ho visto la disperazione sul volto di molti. Ho visto lacrime che quel sole, che illumina e scalda visi belli e brutti, spesso non riesce ad asciugarle e si dimentica inoltre di illuminare qualche migliaio di disperati. Eravamo in trecento circa. Sono uno dei fortunati nella sfortuna. Possiedo due lauree, perchè “la formazione non è mai sufficiente”, e “garantisce opportunità”: sono inserito in classi di concorso dove la mia “posizione è lontanissima”, difficilmente “nominato come insegnante” per cui devo ripiegare a “raschiare” il barile nel profilo Ata, presumibilmente, ultimo anno, applicando la teoria dei tagli di “un terzo, un terzo, un terzo”. Per cui, con l’ultimo terzo dei tagli dell’anno prossimo, presumibilmente il sole non accarezzerà piu’ il mio viso. La voglia di partire, di lasciare l’Italia, è forte. Un’Italia in cui si fa appello, ora, al senso di responsabilità. Già, ma prima? Dove erano coloro che inneggiano al senso di responsabilità e fanno carta straccia delle sentenze?Dove erano coloro che percepiscono 435 volte la somma di un operaio? Dove erano quando si arricchivano con le speculazioni e noi, a sporcarci di olio, di grasso, di sudore, con contratti a termine, interinali, ci impoverivamo mentre lor signori si arricchivano? Abbiamo sentito tutte le narrazioni del “padrone” che spesso andava a braccetto col governo: mancato recupero dell’inflazione; delocalizzazioni; fine del contratto a tempo indeterminato; investimenti in cambio di diritti, e bearsi di un grandioso investimento quando quasi la stessa somma viene percepita in un altro Stato Europeo ma non soggetto a vincoli e quindi libero di “aiutare le imprese”? Ho intasca la nomina, che per un anno mi garantisce un lavoro, retribuito con 950 euro, alle volte. Già, perchè non sempre è così. Residente in un piccolo paesino,a Sud di Torino , ho viaggiato sei giorni su sette verso nord, di Torino (Ivrea), con spese di viaggio che rasentavano i 100 euro mensili. Dove, essendo precario, ultimo arrivato, ho svolto ferie nel periodo non da me indicato, e che a causa lavori su un ponte ferroviario, tra Torino e Ivrea, le ore passate in treno-bus, al giorno, sono diventate sei (tra andata e ritorno) e questo in un Paese dove si plaude all’alta velocità. Chi guadagna quelle cifre, da precario, come coloro che sono in mobilità o in cassa integrazione o disoccupati, non sondo “degni” di attenzione da parte del “partito dell’amore”. Un partito dell’amore che con zero amorevolezza parla di lavoratori. A quella cifra, da 950 euro circa, (da decurtare, il costo dell’abbonamento) vi sono altri svantaggi fisici e morali  e si aggiunga  anche che nella scuola, non esistono i buoni pasto, per cui…… Ho aderito a tutti gli scioperi, Cgil, Cobas, e mi domando se agli altri sindacati piaccia tanto dormire ed essere cullati tra le braccia di un padrone e di un Governo così ottuso che continua a ripetere che “tagli non ve ne saranno”. E mi domando se molti colleghi pensino solo ed esclusivamente al presente e mai al futuro, non mio, ma dei loro nipoti. Chissà cosa ho visto, se così non è, allora; chissà per cosa digiuneranno i precari; semplice, fra un po’ saranno disponibili i dati degli iscritti all’ufficio di collocamento, per lo stato di disoccupazione. Vedremo chi ha ragione. Domani, sarà l’ultimo giorno: treno, bus, sei ore di lavoro. Consegna idel badge, delle chiavi. Saluti di circostanza ad alcuni e un grazie ad altri per il loro senso di umanità, (patrimonio personale), a coloro che mi hanno accolto, ascoltato, indirizzato, consigliato. A Vito, Marina, Rina che si sono fatti carico-di tanto, di me, delle difficoltà. Con i loro caffè sempre pronti; con il loro continuo ascoltare i temi dominanti della precarietà. Ai ragazzi diversamente abili, che poi tanto diversamente non sono, dato che abbiamo solo da imparare. Alle loro insegnanti di sostegno, precarie, in giro, forse per l’Italia. O forse no, dato che la forbice ha accarezzato anche loro. Sicuro che ci terremo sempre vivi nei nostri cuori. Ritorno: bus, treno.

Domani, è un altro giorno. Oggi, il farewell. Ad Ivrea. Domani, chissà, forse a questo Paese, una volta Bel. O forse lo era solo per pochi.

“Causa guasto tecnico 2”

Partiti da qualche minuto da Chivasso, il treno, è in arrivo a Caluso. Infatti, “da Chivasso, fermerà a…” tutte le stazioni prima di giungere ad Ivrea. Partito con 45 minuti (a dire del tabellone luminoso della stazione di Chivasso)…ma arrivato a Chivasso stessa con “53 minuti diritardo” come annunciato in treno.

Ho provato a chiedere ad alcuni passeggeri e mi hanno riferito che il treno è rimasto fermo nel tunnel tra Porta Nuova e Porta Susa prima che riprendesse il normale percorso.

Genitori: La succursale del Botta non è sicura

Genitori: «La succursale del Botta non è sicura». Il preside: ‘E’ vero’.  Le carenze del plesso sono a conoscenza della Provincia.

Il preside Ugo Cardinale
Ugo Cardinale

IVREA. I genitori degli studenti del Liceo Botta di Ivrea. E’ così genericamente firmata, senza le firme degli estensori, secondo una pessima abitudine che educatori responsabili non dovrebbero avere, una lettera, inviata nei giorni scorsi al giornale, nella quale si denuncia la forte carenza di sicurezza nella succursale del Liceo, prima Istituto Moreno.

Le “mancanze” presentate vengono tutte confermate dal preside Ugo Cardinale e sono a conoscenza della Provincia di Torino, ente pubblico che si occupa degli istituti superiori. Anche al sindaco Della Pepa sono state descritte le precarie condizioni del plesso ed egli ha garantito che, insieme con la Provincia, opererà per individuare nuovi spazi per il liceo, reperibili presso Palazzo Giusiana.

La lettera. In essa si precisa che “a fronte del notevole successo ottenuto dal Botta, con conseguente considerevole aumento del numero degli iscritti, non ha fatto riscontro un’adeguata sistemazione degli stessi, confinati in una succursale situata in un vecchio edificio, in via Siccardi. Lo stabile è costituito da tre piani collegati da una scala stretta e vecchia, non ha alcuna uscita di sicurezza ai piani ma solo tre porte a due battenti al piano terra e i corridoi, in alcuni tratti, sono talmente stretti da consentire il passaggio di una colonna di studenti in fila indiana”.

Nella missiva si ricorda che i genitori più volte hanno fatto presente tale situazione poco sicura, durante gli incontri con gli insegnanti, ed è stato verificato che: “Le prove antincendio hanno dimostrato che l’evacuazione di tutti gli studenti avviene in circa nove minuti”, un tempo davvero lungo nel caso si dovesse lasciare lo stabile in fretta. Si precisa poi: “I corridoi stretti e così pure le scale costituirebbero un ostacolo insormontabile all’uscita delle circa 270 persone ospitate nella strutture”. Il preside Cardinale.

«E’ tutto vero – dichiara il dirigente del Botta -. La situazione della succursale è stata più volte sottoposta a chi di competenza, presso la Provincia, e ci è stato garantito che s’interverrà in tempi brevi per realizzare una scala per l’uscita di sicurezza, opera che risolverà in parte il problema e che ha già ottenuto il beneplacito dei Vigili del Fuoco. Il mio Liceo, che negli anni ha riscosso ampi consensi con conseguente incremento delle iscrizioni, necessita di spazi certamente più sicuri ma pure maggiori per le molteplici attività didattiche che riguardano i corsi sia del Classico che dell’Internazionale linguistico».

Il sindaco. Sta cercando di individuare una soluzione al problema e crede di averla trovata.

«Il Tribunale verrà trasferito sulla sponda destra della Dora, in due stabili, uno in parte già occupato dagli Uffici Giudiziari, l’a ltro a fianco dell’Eutelia. Il progetto è stato inviato al ministero competente e abbiamo chiesto un incontro urgente con i funzionari, per ottenere gli ultimi consensi al trasferimento, il cui avvio spero avvenga già quest’anno. Con questo spostamento, lo storico Palazzo Giusiana si svuoterà e parte dei locali potranno essere così assegnati al Liceo Botta. La ristrutturazione di parte dell’edificio, per renderlo adatto all’attività didattica, sarà a carico della Provincia»
(22 febbraio 2010)

Fonte: La Sentinella del Canavese

Ivrea, la solidarietà Gusta

Martedì 16 febbraio 2010. Oggi, ultima battaglia con le arance, ad Ivrea. Casse e casse piene d’arance pronte, ben posizionate, striscioni, aree delimitate, residui di allegria, pronta a riprendere vita nel pomeriggio, sono i residui delle due giornate appena trascorse. Sull’asfalto i resti della battaglia, all’ospedale di Ivrea più feriti dello scorso anno con un costo per la collettività evitabile, per un carnevale. Un plauso va alla grande solidarietà e sensibilità dei cittadini piemontesi nei confronti dei lavoratori. L’iniziativa di domenica, a Torino, con la vendita delle arance, a favore dei lavoratori Eutelia-Agile ha avuto successo. Ad Ivrea, gli aranceri hanno dedicato molta attenzione agli stessi lavoratori. Speriamo si tengano accesi i riflettori su questa ed altre vertenze. E che molte altre vengano illuminate. Presto. Anche nel mondo della scuola; ieri a Torino hanno manifestato i lavoratori delle cooperative: quasi trecento, a Torino e provincia, rischiano il posto di lavoro causa tagli. Su La Stampa di oggi, infatti, si poteva leggere che alcune scuole sono senza soldi per pagare i supplenti. Coperte, sempre coperte… corte. Ma perché toglierle sempre ai “poveracci”? Cominciamo dall’alto della piramide.