Non ricordo con esattezza se fosse settembre del 2015 o inizio ottobre dello stesso anno, quando nel vecchio ospedale Maria Adelaide, a Torino, si tenne una mostra. Siamo nel racconto a due passi dalla Mole, dall’Universita, dai Giardini Reali, insomma, dal centro, e penso circoscrizione 7. L’ospedale, famoso per “l’aspetto” ortopedico, era ritenuto uno dei migliori, tanto che li nei pressi esiste (o resiste) ancora una “officina ortopedica”. Ricordo che i pazienti lo indicavano come il migliore dotato di macchinari per le radiografie. Voci metropolitane, immagino, dato che tali macchinari, dovrebbero essere uguali in tutti gli ospedali. Lo guardo spesso e lo ripenso, con la memoria ed il ricordo, ora che, a viaggiare per la città ci è impossibile. Chissà quanti “collaudi” alle scarpette dei bambini avrà fatto la dottoressa Z. ortopedica, famosa per far correre i bimbi nei corridoi, (di ospedale o asl) al fine di valutare la bontà o meno di quelle scarpette ortopediche. E forse, son sicuro di non confondere, metteva in atto le stesse richieste in qualche Asl di Torino sul finire degli ani ’90 inizio 2000: “cammina dai, corri, invitava ai bambini..”.Ma perché è giunto a me questo ricordo così lontano? Perché nel silenzio poetico di questi giorni ( ma questo silenzio puo’essere davvero poetico?) mi viene in mente il vecchio ospedale Maria Adelaide? Con mio padre, quella domenica mattina, non riuscìmmo a vedere quella mostra; una domenica mattina in cui molti torinesi a dire il vero, ebbero la mia stessa idea, forse perché occasione di rivedere un ospedale, con le sue sale, conosciuto in passato. Eravamo in coda, tantissimi, e ogni volta che ci passo ricordo quei momenti, con quello del viso di mio padre, stanco, che non capiva il perche di quella cod; oggi ripensando a tutto mi chiedo:”Ma perché non deve essere riaperto un ospedale che era funzionante e considerato eccellente? Già, perche? A meglio, perché era stato chiuso?Perché siamo stati costretti a farci tagliare servizi? Il fiume, la Dora, passeggia, stancamente e la domanda diviene pertinente. Tornando indietro, la domanda si rafforza alla vista, dalle parti di via Cigna, prima di corso Novara, di altro ospedale. Addirittura la domenica resisteva una edicola ambulante de La Stampa. Sono sicuro che frugando fra i miei ricordi sarebbero capaci di uscire altri ospedali, chiusi, dimessi….perché??
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Natale e Santo Stefano
Oggi la liturgia ci ricorda S.Stefano, primo martire del Cristianesimo. Un tempo, avremmo trovato neve, uscendo dalle nostre dimore, o dalla Chiesa, dopo la santa Messa, oggi, invece, solo foglie, secche, mucchi di residui trascinate e ordinate dal vento dei giorni scorsi. Un tempo, infilando le lunghe lingue d’asfalto della nostra città, nastri lucidi, bianchi di neve, liberate, meglio, alleggerite dal traffico cittadino, avremmo trovato il piacevole freddo contro il nostro viso. Oggi, non è cosi. Uscendo, la temperatura si aggirava sui 7 gradi. Resta il senso della festa, come interruzione del quotidiano per accedere nello straordinario, tempo di Natale, fino al 6 di gennaio. Poi, sarà “ordinario”. Lungo le strade si contano anche i “resti”, dicono pari al 20 % del cibo comprato, non consumato, o avanzato. Vero spreco e vero peccato, grande, dato i tempi (di crisi economica) che corrono. In giro qualcuno, scarpette da corsa ai piedi, fin dalle prime luci dell’alba, ci prova, correndo, a smaltire qualcosa, delle calorie in eccesso, accumulate da maratone di cibo che non hanno ancora fine. Provarci però è ben diverso dal riuscirci. Giornata un tempo dedicata al cinema, dopo pranzo, e a lunghe “vasche” nei centri cittadini. Cosi ci raccontano i tg e cosi stamperanno le pagine dei quotidiani, domani, dopo la breve parentesi di riposo per rotative ed edicolanti.
Questa è la mia opzione, passeggiatina, dopo i mercatini di piazza Solferino, la pista di pattinaggio, con lettura finale, non di un libro, ma di pensierini, scritti su carta qualsiasi, riciclata per l’occasione, per i pensierini lasciati sull’albero di Natale, ai torinesi e non, una magia che si rinnova ogni anno. Il pensiero corre veloce ad una coppia che fece notizia qualche anno fa, un amore lasciato “al cancello”, meglio “di una rosa al cancello”: Diego ricordera’ ancora la sua Marilisa lasciando una ulteriore rosa al cancello Rai di Torino, a suggellare il suo lontano incontro d’amore? Almeno per una settimana circa, Torino, meglio, i lettori, de La Stampa, rilessero e vissero uno spirito olimpico nuovo con “Le notti bianche” di Dostoevskij.
Gli auguri di Natale sotto l’albero
Nei primi anni di scuola, li accompagnavo, “i miei”, nella pancia di Porta Nuova, nell’atrio, ad un tiro di schioppo dal cartello luminoso, partenze, arrivi. Sbucati dalla metro era gia un festa. Un’ora di liberta e di “incontro” con l’Altro. Cinque o sei passi e ci confondevamo tra il caos umano la voce metallica degli annunci. Ai piedi dell’albero leggevano tutti insieme “Gli altri siamo noi”, gli auguri degli altri, le aspettative, i conti, gli incontri, le storie, su biglietti del tram, treno, pizzeria, ristorante, fogli di quaderno…Come stava la nostra città con una fotografia dell’albero quell’albero intorno ad esso. Noi la siepe, la citta e oltre la sopra. C’era del romanticismo in quelle storie e noi, come tutti, ce ne appropriavamo. Un pochino come una cacciatrice di orsetti, quali giochi di infanzia. Mi spiegava, la compratrice, che non era all’orsetto che fosse interessata quanto alla sua storia. Un orso come documento storico. Poi, tra un centimetro di ramo e l’altro dell’albero, noi, frequentanti, mettevamo i nostri, di auguri, preparati accuratamente prima, nelle ore precedenti, magari sui foglietti della tipografia salesiana don Bosco. Con l’incentivo di fare bene, chissa se qualche giornalista de La Stampa lo avrebbe in seguito fotografato….E al termine di tutto, lo scompiglio: il panettone o pandoro tagliato sotto altri sguardi e gli auguri, per noi, ai passanti. Ora, quest’anno, niente di tutto questo. L’albero è lì come tutti gli anni, forse nuovo, ma niente scompiglio, niente panettone. Ma per gli auguri ai torinesi sotto l’albero da parte dei ragazzi ci ho pensato io.
Mandato, consegna, ritiro, chiusura del registro, badge, metro, pancia di Porta Nuova, albero, biglietti col cuore. Appena terminata scuola, ho apposto i desideri dei ragazzi. Con i loro migliori auguri di buon Natale. Di cuore. Col cuore.
La tesina va in pensione, seppur così giovane
La sedia della maturità è “lucidissima”
come mai lo è stata lungo il corso degli anni, di forzata e anche sforzata attività, mentre la tesina, con un velo di tristezza, oggi, sta per congedarsi; ad esser chiari, ha conosciuto una brevissima esistenza, la tesina, (la sua), tra alti e bassi, fortune e sfortune, “uccisa”, forse, in culla troppo presto. E ora, che la cronaca diviene storia, di cose da raccontare, quella tesina, certamente ne avrebbe da dare in pasto a noi, consumatori di storie. Intanto, ride e sorride sotto i suoi “4 baffi”, sostegno e stampelle per lei e candidati, di ieri, di oggi e domani. Anche senza tesina. “Lucida”, perché la recente candidata che ho avuto modo e piacere di ascoltare è stata esauriente, brillante, concisa. Lucida, la sedia, per essersi accomodati tante candidate e candidati .
La candidata alla maturità si presenta alla commissione e al pubblico presente per assistere e “assisterla”con una bellissima tesina dal titolo che promette bene. Orecchie e occhi ben aperti, perché l’argomento scotta fin dagli inizi della narrazione, cioè, dai tempi di Marx”: “Dalla Storia alle storie”(candidata V. M. indirizzo socio-sanutario). È il racconto di tre generazioni operaie (identica famiglia) nella stessa fabbrica, zona sud del torinese, a cavallo tra Moncalieri e Trofarello. “Tempi duri”, ci chiarisce la candidata, per tutte e tre le generazioni ma anche dolci, i suoi, il suo tempo, i “suoi tempi”, accordati tra studio e attesa, nell’attesa che i turni terminassero . Le storie, “quelle non solo della domenica”, (come giustamente cita la candidata) ma di una settimana intera, per una vita, tra presse, grasso dei macchinari che cola, olio e tute blu, al lavoro e lavate e appese ad asciugare ad un sole che ha solo il gusto del presente. Si, tute blu. E dire che qualche storico ne sosteneva la fine, della storia, teorizzandone, di conseguenza la fine, del lavoro. La Storia, raccontata attraverso le storie delle tre generazioni, a cominciare dagli scioperi di marzo del 1943 a Torino. Poi ancora l’accordo italo belga del 1946, la tragedia di Marcinelle (8 agosto 1956) , il ritorno agli scioperi operai del marzo 1943, considerati il “seme della Repubblica”, e “seme della Costituzione”. Gli scioperi del marzo ’43, la “grande spallata” alla caduta del fascismo. E ancora, la Resistenza, la Costituzione (sostanziale e materiale, come richiedeva uno dei titoli del tema e come la candidata chiarisce il senso della traccia pur avendo preferito il tema sulla “solitudine”), Marcinelle, Mattmark, cause, conseguenze, la ricostruzione, italiana, il boom economico, il movimento studentesco del 1968, quello operaio del 1969,( e “La meglio gioventù” ), lo Statuto dei lavoratori, la sua struttura. Il mondo del lavoro oggi e i lavoratori, letto attraverso le lenti e articoli della Stampa, le delocalizzazioni e la finanziarizzazione dell’economia, la globalizzazione, i mercati. La tesina cominciava con una frase di Olivetti, e guarda caso, recentemente, a Ivrea è stato conferito il titolo di “patrimonio” umano… quando si “dattilografava” era tutto così bello… Una bella tesina, e una sedia “lucida” perché oramai, la sedia tornera’ sotto il banco mentre la tesina, la povera tesina, seppur cosi giovane sta per andare definitivamenre in pensione. Un vero peccato. La candidata continuava a raccontare poi, (per una parte in inglese) le storie al lavoro in un mondo che cambia. Dal lavoro al nuovo voncetto di lavoro, avrebbe detto altro candidato. Poi psicologia (il lavoro in carcere e forme di retribuzione) diritto (cooperative, snc… ) italiano (Ungaretti, decadentismo), storia (resistenza, partigiani, 8 settembre, armistizio) fino ad esaurire la sua prova in modo davvero…. maturo. I suoi libri trattengono tutti gli odori della fabbrica, e si spargono, con classe, la sua, da pagina 100. Vorrà dire e dirci ancora qualcosa?
“Fausto e Anna”
Una bellissima storia nella Storia, quella della lettura appena conclusa del libro di Carlo Cassola, “Fausto e Anna”. Due parti, 5 capitoli ciascuno, la Toscana, tra Grosseto e Siena, la guerra, la Resistenza, l’amore, trovato, perduto, ritovato e ancora, il suo destino. Grosseto libera, prima citta’, dopo Roma, estate 1944. Grosseto, cittadina bella. Mi e’ piaciuto tantissimo, il libro, i personaggi, i sentimenti descritti. Tanti pensieri ritovati. Una marea di titoli e libri letti, altri sentiti, consigliati, imposti dalla professoressa di lettere, Luisa M. insegnante delle medie!!! Capelli bianchi, la sua penna, La Stampa, quotidiana, le sue sigarette, (chussa’ la marca!)per dopo la scuola, la Resistenza sulla sua pelle e nelle parole. Mai come in questo periodo la ricordo e ne rimpiango i suoi insegnamenti, e oggi penso che avrei potuto-dovuto darle piu’ ascolto, nei suoi consigli. Il pensiero vaga al suo borsone che portava a “tracolla” ogni giorno e in quello un libro al giorno per noi studenti che banco dopo banco ci passavamo, di mano in mano, di riga in riga, capitolo dopo capitolo, giorno dopo giorno. Ricordo che le dissi che avrei voluto fare lettere e storia…poi, chissa’ perche’, a quell’eta’ si finisce sempre per scegliere altro. Un consiglio sbagliato, un modulo compilato per mancanza di coraggio e…. al posto delle lettere finisci a fare conti. Ho preso l’abitudine di avere con me una borsa-zaino e libri ogni giorno, da scegliere e proporli, e cosi ho ritrovato i suoi titoli, consigliati…Distribuisco parole, ci provo, date eventi ma non come lei, la prof.ssa Luisa. Lei era eccezionalmente brava! L’altro giorno passavo dal centro citta’. Guardavo la Facolta’, di Lettere, l’attraversato e attraverso…frugo nel borsone e nei pensieri e sento pero’ che mi manca qualcosa…un titolo.
Quando il sorriso allaga il mare
Profumo di mimosa, e l’occhio si allarga, e le narici dilatano, su quel fiore appuntato al bavero del cappotto. L’occhio della mente si dilata, fino a Ventimiglia e da li in Provenza e poi mare, tanto mare, nella giornata della donna. Un piano bar e le note di Cammariere Sergio si diffondono nell’aria. E dimmi, di che mese sai? Si, “sai”. Il tuo viso roseo ha un profumo intenso che quando si allarga, allaga il mare. Questo mi capita di pensare, osservando sbocciare un fiore che si apre come il tuo sorriso, ogni qual volta osservo il mare. Certo, vorrei scrivere di mimose e di storia, di “E tre”, articolo del blog, al quarto anno del suo compleanno, oppure del convegno, dell’altro ieri, a Torino, su don Milani e la figura dell’Idr. E che dire del sig. Antonio Corapi, artista, sarto approdato a Torino da “Gasperina” omaggiato da Bruno Gambarotta su Torino Sette? Che bello il primo, e il “tre” , le emozioni per una bella pagina di storia, personale, che a pensarci bene, nessuno ci avrebbe scommesso un euro su. Ma le cose piu’ belle sono le piu’ difficili. Il parka blu, il vento, il sorriso, un volume rosso tra le mani. Torino era mia. Cerco di “chiudere” il volume. Ma il mare allontana molto e avvicina te. Il Profumo di mimosa, sul bavero e in ogni dove, nella giornata-festa-ricorrenza della donna.
Bruno Gambarotta
Realizzo ora che son trascorsi alcuni giorni dall’ultimo scritto. Distratto dalle notizie che la tv rimanda nelle case, relative alla tragedia del treno dei pendolari nei pressi di Milano e dal caso “”Zhong Zhong e Hua Hua” (scimmie clonate) avevo scordato di raccontare un pochino di scuola. A scuola, nella mia, in una seconda, Bruno Gambarotta è “salito in cattedra”. Magistrale. In una delle ultime giornate di vacanze natalizie, avevo intercettato, tra una pagina e l’altra, tra un libro e l’altro, nei locali della Civica Torinese, il giornalista “ciclista” Bruno Gambarotta. Un saluto, veloce, un ricordo dell’incontro precedente (anni fa, di ritorno, io, da Vernante, sul treno), e, “Bruno, pisso chiamarti Bruno, vero?”. E lui. “Certo, mi chiamo cosi. Ma se vuoi chiamarmi Filippo”…Troppo forte! E io: “Senti, ci verresti da me, a scuola, a raccontare qualcosa? Magari nelle seconde…”.E lui, in piemontese .”Esageruma nen…”.Fortissimo!! Bruno e’ stato ospite di una classe dell’Istituto. Avevo accennato, nel corso delle mie lezioni, alla tragedia di Vermicino, la vicenda di Alfredino Rampi, il ruolo dell’informazione-comunicazione, la diretta televisiva, 72 ore, l’annuncio della vicinanza alla famiglia e la presenza sul luogo dell’evento di Sandro Pertini, scavalcando ogni protocollo, come talvolta era suo modo di fare e procedere; una vicenda, quella e Vermicino e tragedia, “sfuggita di mano” all’informazione…e da questo punto in poi, Bruno ha preso “il largo” e ha cominciato a raccontare, il suo punto di vista sulla vicenda, sul suo ruolo in Rai, in quel periodo, del suo lavoro, di scrittore, del come è perché, …giornalista, studente, lettore, padre, nonno…insomma, grazie a Bruno, è stata una bella mattinata. Ovviamente un sentito grazie per aver accettato l’invito. Bhe’, gia’, come mi faceva notare durante la pausa caffè, altrimenti “avrei potuto tagliare le gomme”. Della sua bicicletta.
Costituzione, Lavoro e buon 2018
E così, lentamente, ci si avvia ad archiviare il 2017. Per le strade del centro, nel pomeriggio, passeggiate, chiome lucide, cappottini e vestitini, rivestono e ornano strade “pettinate” da torinesi e turisti, nella camminata pre “aperitivo” del cenone. Al fondo di via Garibaldi si apre piazza Castello, col suo albero “elettrico” ed il presepe.Sullo sfondo svetta maestosa la Mole Antonelliana “vestita” a festa, illuminata ed illuminante. Oltrepasso le bancarelle e un paio di “cantanti” al ritmo della musica “Regia”. Entro nel cortile della Cavallerizza, e lo spettacolo e’ affascinante, oggi come ieri. Mi dirigo sotto la Mole Antonelliana, un paio di foto e faccio ritorno. Rasento gli uffici Rai e riconosco il cancello, dove Diego un giorno lascio’ in una notte bianca la sua rosa per la sua Marilisa. E mentre penso a tutto cio’, a Dostoevskij e agli innamorati, alle pagine della Stampa e la storia e le cronache su quella benedetta rosa senza saperne l’epilogo, mi passa vicino il Presidente della Regione Chiamparino. Penso di augurargli un buon anno ma sabaudamente non dico nulla, taccio, e osservo l’Universita’ e tutti gli esami sostenuti, la Laurea e i trionfi. Da qualche balcone “piove” nonostante il divieto qualche “petardo”, ma si sa che…In alcune citta’, Torino compresa, piazze blindate e cin cin a casa. Unica “guerra” ammessa, tra Panettone e Pandoro e intanto, nell’attesa, tv e Fantozzi, un classico da sempre. Prima del solito trenino e dell’ormai inflazionato “pepepepepe’….”alla chiusura del 3-2-1….
Alla tv, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha da poco concluso il suo discorso agli italiani, a reti unificate. Nel discorso, i punti fondamentali, sono il riferimento alla Costituzione, carta fondamentale, bussola di una comunita’, fondata sul lavoro. Proprio 70 anni fa, come in questi giorni, i Padri Costituenti avevano terminato il loro lavoro, donandoci questa bellissima carta fondamentale, dalla sovranita’ appartenente al popolo che la esercita nei modi e nelle forme stabilite dalla legge. Il decreto, appena firmato, relativo allo scioglimento delle Camere, e di conseguenza, le elezioni il 4 marzo, rappresentano l’ appuntamento per esercitarla, la sovranita’. Il lavoro: che ve ne sia uno almeno in ogni famiglia. Il ricordo a chi non puo’ o/e non riesce a festeggiare, per poter garantire i servizi essenziali. Devo dire che mi è molto piaciuto il discorso del Presidente. In alcuni frangenti mi ha ricordato quelli bellissimi, di Sandro Pertini.
Per quanto mi riguarda, ho concluso questi momenti di vacanza terminando alcuni libri (per la verità letti a suo tempo): “Cristo si è fermato a Eboli” ( Carlo Levi); “Fontamara” (Ignazio Silone); “Il giardino dei Finzi Contini” (Giorgio Bassani). Di questi libri, parlero’, scrivero’, dato che saranno proposte per le loro tesine.
Che dire? Un augurio di un 2018 migliore con tanta serenità e gioia nel cuore.
23 Dicembre
Nel mio breve giro, confuso tra confusi “corridori” o “maratoneti” dello shopping forzato dell’ultimo minuto, ho come meta l’atrio della stazione di Torino Porta Nuova. Dopo la visita di alcune classi, e delle loro richieste, in formato letterina, con grande rispolvero delle vecchie ma buone abitudini, oggi è il mio turno: sono sotto l’albero, appena catapultato dalle scale mobili della metro torinese.
Ho un paio di letterine da depositare su qualche ramo, dell’albero: trovare un piccolo pertugio richiedera’ una gran fatica; faccio il “giro-giro tondo” intorno all’albero, ma senza cascare, non io e non il mondo, dando una rapida occhiata di quel che chiedono cittadini, turisti, viaggiatori. Pensando all’articolo de La Stampa di un anno fa, di cosa saremo “In deficit questo anno che ci lasceremo alle spalle tra pochi giorni?” L’anno scorso eravamo, a dire in punta di penna del cronista, in deficit di…gioia. Lascio il mio bigliettino, intestato “tipografia salesiana” e due righe di Gianni Rodari, autore capace di riportare sempre ai tempi e ai luoghi dell’infanzia ognuno di noi. Riportarci al come eravamo: Letterina, fiocco che incorniciava il grembiule, viso sorridente e noi sempre, camera e obiettivo davanti, a far finta di scrivere. Alle nostre spalle la vecchia cartina geografica dai nomi e posti cosi lontani…un albero e un piccolo Presepe al nostro fianco. Ah….le tanto belle scuole elementari…
Lungo il tragitto, tra piazza Carlo Felice e via Roma, proseguendo verso piazza San Carlo e procedendo oltre, verso piazza Castello, è tutto uno sfavillare di luci e alberi. Le orecchie, nonostante il cappello calcato bene bene, raccolgono dagli sportivi delle compere in “area cesarini” menu’ e telefonate fatte e da fare, conti, scontrini, regali fatti, da fare, e se quel parente lo merita oppure no quel tal regalino o anche solo un augurino. Le piu’ belle e simpatiche sono le coppiette che si accompagnano in questo mare di fente e vetrine ch continuamente invitano e richiamano ad entrare. Ah come rileggerei ancora una volta il magnifico “Canto di Natale” di Dickens. Di pensiero in pensiero, un altro corre a Charlie Chaplin: conservo da qualche parte un biglietto d’auguri di Natale datomi da una carissima amica con una sua cirazione. Lo ricordo perché era scritto su di un biglietto a forma di cuore e le cose di cuore, si sa, restano per sempre. Nella testa e nell’andamento delle gambe girano e concorrono ad accompagnarmi musiche e canzoni di De Gregori: fra due giorni è “Natale” e “Gesu’ Bambino”. Testi e musiche bellissimi: strizzo idealmente l’occhio a chi a suo tempo mi condusse all’ascolto del cantautore anche se, a quel tempo, erano altre le canzoni: “Ti leggo nel pensiero” e “4 cani”. Il giro si chiude con una “puntata” al Circolo dei Lettori, dove, sia nell’atrio, sia al Circolo fanno bella mostra bellissimi alberi. Quello del primo piano, è bellissimo. Come sempre. Ci sono tante sedie vuote. Staziono un pichino.In una tasca, approfittando dei tempi vuoti, leggo sempre qualcosa, e oggi, in questo periodo, è la volta de “Il giardino dei Finzi Contini”. Un pochino, a dire il veto, sono rimasto con la testa a Ferrara, avvolto tra la sua nebbia e la grande bellezza, sospeso tra il Castello, i palazzi Rinascimentali, Isabella d’Este e Lucrezia Borgia, è tra Micol, che immagino bellissima, biondina, occhi azzurri, ed il giardino. Dei Finzi Contini.
Lascio Il magico Natale di Gianni Rosari.
RODARI, Il magico Natale.
S’io fossi il mago di Natale
farei spuntare un albero di Natale
in ogni casa, in ogni appartamento
dalle piastrelle del pavimento,
ma non l’alberello finto,
di plastica, dipinto
che vendono adesso all’Upim:
un vero abete, un pino di montagna,
con un po’ di vento vero
impigliato tra i rami,
che mandi profumo di resina
in tutte le camere,
e sui rami i magici frutti: regali per tutti.
Poi con la mia bacchetta me ne andrei
a fare magie
per tutte le vie.
In via Nazionale
farei crescere un albero di Natale
carico di bambole
d’ogni qualità,
che chiudono gli occhi
e chiamano papà,
camminano da sole,
ballano il rock an’roll
e fanno le capriole.
Chi le vuole, le prende:
gratis, s’intende.
In piazza San Cosimato
faccio crescere l’albero
del cioccolato;
in via del Tritone
l’albero del panettone
in viale Buozzi
l’albero dei maritozzi,
e in largo di Santa Susanna
quello dei maritozzi con la panna.
Continuiamo la passeggiata?
La magia è appena cominciata:
dobbiamo scegliere il posto
all’albero dei trenini:
va bene piazza Mazzini?
Quello degli aeroplani
lo faccio in via dei Campani.
Ogni strada avrà un albero speciale
e il giorno di Natale
i bimbi faranno
il giro di Roma
a prendersi quel che vorranno.
Per ogni giocattolo
colto dal suo ramo
ne spunterà un altro
dello stesso modello
o anche più bello.
Per i grandi invece ci sarà
magari in via Condotti
l’albero delle scarpe e dei cappotti.
Tutto questo farei se fossi un mago.
Però non lo sono
che posso fare?
Non ho che auguri da regalare:
di auguri ne ho tanti,
scegliete quelli che volete,
prendeteli tutti quanti.
Smog-fog
Smog. Fog…”Non aprite quella porta”, (che sembra il titolo di un film) anzi, porte e finestre, meglio se chiuse; tra una pagina e l’altra della “preghiera laica mattutina”, cosi come sosteneva Hegel, e un orecchio a radio e tv, dopo aver sorseggiato il mio caffè nero bollente, scendo per strada e osservo gente che corre, felpe addosso, indicatori o meglio “riti” di passaggio, che ci segnalano che…c’era una volta l’estate e ora l’autunno. A pochi passi da ieri e da domani. È il periodo giusto per prendere un treno è lasciarsi inghiottire da nebbie padane. Per ora resto e opto per un giro in centro, di Torino, mani nelle tasche, rasentando via Roma, dove c’era La Stampa mentre oggi, a due passi da quel luogo resta solo l’insegna del bar che la ricorda. Osservo di tutto un po’, attentamente, in attesa dell’uscita didattica, presso La Stampa. Un pochino di storia non guasta mai: ma dirigo a piedi e poi in metro da piazza Solferino a via Lugaro passando appunto per via Roma. Di freddo penso solo ai titoli, come a quelli caldi. Al sommario, all’editoriale, alle colonne, di via Roma, e del giornale. All’occhiello
Al rientro, un giro veloce in un supermercato. Una bottiglia, Coca-cola Senigallia, sola soletta, mi ricorda la “bella estate” e altro o oltre. Mi ricorda il mare, la spiaggia, il velluto e lei vellutata, il faro i suoi occhi.Non ho nessuna intenzione di lasciarla sola. Ecco, le faccio l’occhiello, anzi no, l’occhiolino. Ho sempre la scuola “in testa”. La prendo con me e alla cassa pago, insieme ad altre cose. Esco, immerso nella nebbia recupero casa, scala, appartamento. Sprofondo sul divano in compagnia di un litro di buonissimi….ricordi.