Si fa veramente fatica ad addormentarsi e quando ci si sveglia, nel cuore della notte, il tempo passato a rigirarsi tra coperte che oramai, pensi, anche per loro è giunto finalmente il “distanziamento socile”, tale per cui bisognerebbe presto “confinarle” negli armadi, almeno fino a ottobre. O almeno, con un Dpcm, di volta in volta. E di giro in giro, tra le mura domestiche di giorno, tra lenzuola e coperte, che proprio di dormire non se ne vuole sapere, si resta in silenzio, in ascolto di qui soli tic tac tic tac tutti sfasati delle uniche 3 sveglie che resistono in altra stanza. Il lamento delle ambulanze, fortunatamente si è attenuato mentre sullo sfondo, impercettibile, resta quello della polizia. Lo sbuffare dei bus, quelli che dal deposito Venaria si smistano e diluiscono perso la città alle prime luci dell’alba, oramai non se ne sente quasi più; solo l’impresa di pulizie,ha anticipato, da parecchio e di molto la pulizia degli ambienti, il che mi coglie preparato tra le pagine dei giornali che la sera prima mi ero detto “domattina approfondisco”. Cosa c’era da approfondire? Il sito “La voce.info”. Ne avevo sentito parlare della sua esistenza, ai tempi belli, quando sempre era primavera, da un professore di Scienze delle finanze, durante gli anni di Scienze Politiche, il cui cognome ricordava una catena di supermercati del torinese. E così, di tanto in tanto…o sempre buttato un ocvhio a qualche articolo, e insieme a questo ho dato un’occhiata al rapporto Oxfam che prevede mezzo miliardo di poveri in più nel mondo mentre in Italia, le stime, parlano di 10 milioni di possibili poveri in più (notizia rilanciata da Repubblica, a pag.29). Già il titolo della testata non prometteva nulla di buono: “10 milioni a rischio poverta”. Ma delle notizie da “ripassare” nel qual caso la sveglia naturale avesse bussato alle porte del mio sonno, poco profondo, a dire il vero, avevo tenuto anche l’articolo di Corrado Augias su di una Roma ed i suoi silenzi e il ticchettio della sua storia. Quella di Roma e quella di Augias.Un articolo davvero realistico che ha avuto l’effetto di riportare Roma in ogni suo punto. Bellissima descrizione, davvero, in questo periodo di immobilità è riuscito col suo scrivere a rendermela vicina, evidente e presente, con le sue fontane ed i suoi colli, i suoi profumi, glicini, aquilegie, memorie storiche.Poi, a rasserenare tutto e farmi sorridere ci ha pensato la mail, divertente, leggera, di altruismo, attenzione, simpatia, della studentessa di medicina Verdiana Lamagna, dal titolo “Una proposta inaspettata” (di Concita De Gregorio)….”Oggi è la seconda volta che porto la spesa al signor Giovanni, 87 anni…” così è l’inizio… un incipit di una studentessa in medicina che dipana in maniera assolutamente divertente, curiosa, una storia di Cuore, di quelle che lo scaldano e fanno ben sperare. “Stai a vedere che in isolamento forzato, quarantena, lockdown, ho trovato marito. Vado a dirlo a papa’”., è il yermine del racconto. Divertente, leggera…ci voleva proprio….del mio sonno, invece, manco a parlarne. Non ne vuole proprio sapere. Chi l’ha visto? Mi vado a preparare, è quasi arrivata l’ora del “meet”. Per chi suona la campanella? Per la dad. E allora, anche questa è storia da “meet”.
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XX Settembre
Il calendario e l’orario dei treni in arrivo e in partenza da Torino Porta Susa
mi ricorda che oggi è il 20 Settembre 2015. Una data che è stata ed è una “porta” (e breccia). Una data che ha fatto Storia ed è stata “via” ( in un paio di sensi) per una storia. Piccolina, personale, ma storia. E che storia. “Mi piace”. Perche’ l’ho scritta io. “Buongiorno Prof“. Sembra il titolo di un libro e lo e’ come quello ricevuto in dono dal prof. Giovanni Carpinelli, nel mio primo giorno di scuola. Da prof. Ma quel “buongiorno” è stato, oggi, il saluto di una studentessa che ha colto l’occasione per presentarmi la sua famiglia. Ero appena “sbucato” dalla “balena” spiaggiata, in vetro, che è Porta Susa quando sono stato “investito” dal suo divenuto più largo, saluto. Su uno dei tavolini del bar di quella avevo raccolto idee per una breve riflessione. “Comunità e prossimo”. Una riflessione. Riflettere su se stessi, sulla comunità e di cambiare mediante l’empatia. Quale comunità? Domani proveremo a dargli corpo, con la riflessione e la scrittura. Con “la fedeltà a un impegno e la purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo…” (ricordando Italo Calvino).
Dall’ “inopportuno” all’opportunita’. Una “storica” alleanza tra soggetti
La storia di Massimo e’stata toccante per molti. In tanti hanno scritto e in molti hanno incoraggiato la scelta di Massimo. Decido, per oggi di restare dalle parti di “Massaua” che per chi e’ torinese sa che e’ una piazza e allo stesso tempo, una fermata della metro. Da queste parti, un tempo, nel cinema Massaua, venivano effettuate le “chiamate” dell’ufficio di collocamento. Il martedi era il giorno delle centinaia di persone che si recavano di mattina presto, libretti alla mano, per un posto, a termine, pubblico. Qualche mese, ma mai piu di 4, perche’ senno’ ripartivi da zero e addio al tuo punteggio. Era l’incontro con la “disperazione” ma qualcuno, un contratto, a casa, riusciva a portarlo, ora come addetto alle poste, ora bagnino, ora bidello. Questa mattina e’ stata la volta di Massimo e di un suo riscatto. Spero di cuore che questo articolo lo leggano in tantissimi, per conoscere la forza e la storia di un riscatto. Oggi pomerigio, un altro incontro.
Con la speranza. L’evento in corso e’ “storico”, ma forse, a dire il vero, ho forzato la penna, meglio, la tastiera. L’incontro e’ in Via Madonna de la Salette, presso la palazzina situata al numero 12 della stessa via dove si trova l’ex pensionato dei missionari de La Salette ora un tetto per rifugiati. L’incontro storico e’ tra il Vescovo Nosiglia, centri sociali quali Askatasuna e Gabrio. In nome dei profughi. Oggi pomeriggio in fase di incontro si sigillato il progetto che trasforma “l’inopportunita’ in opportunita”,
slogan coniato dalla Pastorale dei Migranti e dalla Caritas
che insieme coordinano il progetto.
Una palazzina di quattro piani, circa 70 persone alloggiate, un giardino, meglio, un orto
dove si coltivano ortaggi e si provano a vendere, come frutto del proprio impegno e lavoro. Perche’ la promozione dell’individuo, come viene piu’ volte ribadito, e’centrale, in questo percorso di ” reintegro” e di scrittura e riscrittura personale che non prevede tempo. Si “esce”quando si completa il percorso e si lascia spazio ad altri. Una struttura in comodato, con tanto di regole e norme appese in bacheca.
Una struttura che vedra’ i primi lavori di ristrutturazione in marzo. Una precisazione. Lo stabile, era vuoto ed e’ cosi diventata dimora di una settantina di disperati che saranno di passaggio e che nel frattempo si occuperanno di recupero della palazzina. Insomma, dal recupero al recupero. Dall’altra parte del cortile l’istituto dei religiosi che una mattina hanno conosciuto questo “incontro” e accanto la parrocchia di Maria Riconciliatrice.
La Chiesa, a parere del Vescovo, come anche oggi ribadiva la Repubblica, riportando una affermazione di Nosiglia, “non deve lasciare immobili vuoti”.
Una guida mi ha condotto a visionare la palazzina, in alcune sue strutture. Tra gli interventi, quelli di Nosiglia e Durando e rappresentanti centri sociali.
Dal cappello, una storia. Con tanto di …cappello. Almeno per un giorno
Domenica mattina. Torino, 30 novembre. Pioggia insistente, ma non fastidiosa. Ho programmato di ritagliarmi alcune ore di tempo, di questa mattina, per imparare a “farmi compagnia”. Un po’ di libertà da utilizzare per terminare la piacevole lettura di un libro, suddividendone il piacere, meglio, quel che restava del godimento di quella lettura, in termini di pagine, tra le due stazioni ferroviarie di Torino: Porta Susa e Porta Nuova. Una lettura, non sotto le coperte, tempo permettendo, ma comunque al coperto. Una buona lettura, ripara sempre. Protegge. In entrambe le stazioni, la prima di passaggio, la seconda terminale, ho cercato una “buona terrazza”, una di quelle di uno dei caffè in esse presenti. Via vai continuo di gente. Scale mobili, tavolino, pila dei giornali. Oggi è domenica, e il Corriere della Sera ha un allegato, Lettura. Repubblica, al suo interno, propone alcune recensioni di buoni libri. Poteva mancare La Stampa. Certo che no. Mi sistemo, come fosse uno scompartimento di un treno. Davanti alcuni turisti aprono come una tovaglia la cartina di Torino. Butto l’occhio. Sembra di volare sulla nostra città. Riconosco corsi e viali alberati e so esattamente quali scuole sono localizzate in alcuni tratti. Il lavoro, non se ne sta mai tranquillo. Dietro, alcuni ragazzi alle prese con tabacco e cartine. Al mio fianco, qualcuno estrae una carta. Da cinque. Pronto per il conto. Torno sulla mia, di carta, del libro. Dieci pagine a testa per stazione, per la par condicio. Terminate, pago, e compero uno degli ultimi biglietti della metro, shopping, tre euro per la durata di quattro ore. Tempo di utilizzo, dalle 9 del mattino alle 20. Recupero le scale mobili, attraverso la “dorsale” della stazione, altre scale mobili. Poche fermate e sono nell’altra “pancia”, a Porta Nuova. La metro ha lanciato un fischio. E’ ripartita, direzione altra stazione. Lingotto. Peccato che il Lingotto in questione, sia un centro commerciale. Il Lingotto stazione ferroviaria, è altrove. Dall’altra parte del muro. Recupero la penultima scala mobile. Sono nell’atrio. A destra, piove. Alcune transenne perimetrano la potenziale “vasca”. Sento un profumo famigliare. Odore di stampa, di libri e di brioches. E’ la Feltrinelli.
Ho tempo. Dieci pagine in fondo si leggono velocemente. Entro, mi piace la disposizione, l’odore dei libri. Mi muovo a mio agio, tra i libri. Ne annoto qualcuno. Un paio nella mente, altri, sulla memoria del cellulare. Mi piace passare da qui. Quando devo viaggiare, ma anche no. Così, come capita. Appena uscito dalla libreria recupero la scala mobile. Una terrazza, un tavolino. Mi sistemo. Come è cambiata Porta Nuova. Sempre bella. E’ una bella signora che non mostra la sua età. Un po’ di trucco sulla facciata e qualche lacrima al suo interno ci possono stare. Il resto è in ottima forma. A tratti, splendente. Al tavolino, sedute appena dietro, un paio di ragazze si scambiano le “news” della serata torinese appena trascorsa. Non recepisco se immerso troppo a fondo nella lettura del libro o se in fondo le ragazze che si scambiano le loro confidenze, con un timbro alto siano una realtà di fatto. Fatto è che ieri, a Torino, si è concluso il Tff e all’uscita da una delle sale di proiezione, di una tal sezione, un ragazzo che era in compagnia di una delle due si è dichiarato, proprio come capitava una volta, con il permesso di un bacio. Tanto di cappello. Forse, non era un caso il voler terminare la lettura del libro, proprio qui, fra viaggiatori e sognatori, nel momento esatto in cui leggo “quanto effettivamente sia lungo il minuto passato con la mano sul fuoco di cui parla Einstein (al contrario di quello, superveloce, che viviamo baciando qualcun*”).
E dal cappello non soltanto ne è nata una storia e il biglietto, dopo quello del cinema, per un viaggio nella vita. La cosa curiosa è che ad un certo momento ho sentito le tazze dei cappuccini “baciarsi”, questa volta, senza dolcezza, e sentire dire la ragazza, alzandosi in piedi: “Io non viaggio più da sola”. Sorrido, chiudo gli occhi, e ripongo il libro. In copertina, una bellissima ragazza, abbraccia un trolley. Il titolo? “Io viaggio da sola” (Maria Perosino. Super ET. Einaudi).
Dopo aver riposto il tutto, giornali, libro, e biglietto, esco per un attimo solo dalla stazione. Ovviamente, restando in tema, caffè espresso. Il tempo di attraversare il corso, e proprio accanto all’Hotel Roma ( fa sempre breccia il profumo di un grande della letteratura, Pavese.) e centinai di cappelli esposti nella vetrina, in vendita, solo per oggi compaiono alla mia vista. (Alessandro Finessi, temporary shop per un giorno) E dal cappello, una storia. O meglio, dal cappello di quella storia un tema che si svolgerà a quattro mani: qualcuna (e qualcuno) da ieri sera non viaggia (viaggerà) più da sola. E per la storia del bacio e del permesso richiesto (e accordato): togliamoci il cappello. Almeno per un giorno.
Ps. è piacevole pensare che il viaggio non termina ma comincia.
Ancora un grazie alla scrittrice Maria Perosino, per questo lascito. Si sente molto la sua mancanza.
Ps. Oggi su La Stampa, in evidenza La Ristonomia. Pagine colazione consigliata. Vot0 7. Felice di esser andato quasi un anno fa. Mi è sempre piaciuto il clima famigliare e …………la sala giornali e riviste poi……..
Piovono luci
Un piccolissimo scorcio di Torino, una piazza, il Comune, alcuni taxi, le luci, bentornate, nello stesso identico posto di altre edizioni. Dietro di me, l’entrata al Comune, dove di giorno, stazionano due o più vigili. Le scale, che sembrano interpellare ad uno ad uno i nomi dei freschi coniugi, frutto di matrimoni civili celebrati durante l’anno. Sabato pomeriggio, come molti altri. Riso, battito di mani. Videocamere, macchinette fotografiche, tavolette di ultima generazione, cellulari trasformati in macchinette fotografiche. Gli amici che leggono fogli stropicciati, scribacchiati velocemente e ripiegati malamente in tasche da abiti da cerimonia. La narrazione di come si sono conosciuti gli amici novelli sposi. Quale canzone, la gita, il primo bacio, il mare, la montagna, chi ci credeva e chi no. Chi diceva si, chi diceva no. A ritmo di Vasco. E chi sapeva già come sarebbe andata a finire, perché lo sentiva e lo sapeva già. E quindi, giù di foto: con i parenti, con gli amici, con i colleghi, con i compagni di classe, con i vicini di casa. Le “mappe” distribuite al termine della cerimonia, per trovare quel ristorante e ritrovarsi, perché qualcuno, sempre, smarrisce la strada, nonostante i navigatori. All’interno, del palazzo, la Sala delle Colonne, dove un tempo risuonava la politica, i convegni della politica. La Sala Rossa, gli interventi, gli auguri allo Statuto dei Lavoratori. Pare rivedere e sentire Diego Novelli e Marco Revelli. Davanti al Comune, sulla piazza, piovono luci. Le pozzanghere formatesi per la pioggia insistente formano una sorta di specchio. Impressi sul selciato prendono così forma i visi dei tanti volontari “Torino for you”, di memoria olimpiaca, le felpe rosse, in attesa che qualcuno si affacci al balcone per immortalarli con una foto. Quanto rosso. Davanti “il naso della mole” grattato dalla pioggia. Continua a piovere colore. In attesa che si tramuti in neve. Prima o poi.
(le luci tornano dove erano state messe e incontrate, “pubblicate” su La Repubblica il 29 dicembre 2009)
Landini, uomo dell’anno. Landini al governo
Non si conoscono con esattezza i numeri, dei presenti alla manifestazione, a Torino, se quindicimila o ventimila o cinquemila. Poco importa. Come nella vita, di molte cose non si conosce mai la verità. La coerenza e il rispetto non sono per tutti. Chi ha partecipato allo sciopero, al corteo, alla manifestazione, puo’ chiudere la giornata con la coscienza a posto. Sereno, tranquillo, per aver dato voce ad un malessere. Il Paese reale scende in piazza. Il Paese reale, quello che è stanco di esser preso in giro, che continuamente spera che domani…. domani….La scuola, ad esempio.
La scuola 2.0 arriva. Dove e in quanti istituti non è dato sapere. O forse si, forte dei 77 mila tablet distribuiti, in edifici vetusti, del novecento, o anche prima. Edifici che richiedono manutenzione “urgente e necessaria”, come i requisiti per un decreto legge (vero, nuovi dirigenti scolastici, che chissà quante volte vi è stata posta questa domanda). Forse dove si passa il badge e l’insegnante rileva le presenze (o le assenze) utilizzando registro e rete, non sono molti, anzi, pochissimi, mentre sono tantissimi gli istituti dove manca personale e questo non è qualificato per le nuove domande che una società fortemente mutata impongono. A cosa servono i cinque nuovi spazi se manca il personale per i tagli subiti? Quando è che torna al cento il lavoratore (con la sua dignità?)…E andare a scuola in infrastrutture colabrodo, o con suppellettili, strumenti idonei per i lavoratori che ricordano l’800?
Era una giornata di fine agosto. In tantissimi eravamo alle nomine. A tantissimi fu detto “quest’anno si stabilizzeranno circa duecento persone”. Il periodo degli annunci su Intenet lasciavano intravedere spiragli di speranza…Le riunioni sembravano dovessero mettere a posto ogni cosa………….Ma, quest’anno quando? Siamo al 15 novembre….e ancora non si è mosso nulla. Eppure ogni giorno pretendono, (dalla catenda di comando), lavorativamente parlando, da una persona, mansioni che fino a poco tempo espletavano in due. Ridicoli. Ma venite a dare un’occhiata, come si lavora… I Presidi (Dirigenti scolastici) freschi vincitori di concorso, e “anziani” che si apprestano ad affrontare una “gita”a Genova, in visita al salone dell’educazione “ABCD” lo hanno stipulato il loro contratto, giusto? Noi? UMILIATI E OFFESI!!! E ora,signori, alzate il vostro grido a tutela dei vostri lavoratori. Ho aderito allo sciopero, ma voglio, esigo sapere perchè non si stabilizza come promesso. Possibile che La Stampa, La Repubblica non sappiano dare voce, intervistare uno che è uno, del giro dei governanti, politici, che sappia dare una risposta senza infingimenti? Possibile che nessuno dei governanti si domandi cosa voglia dire vivere ogni giorno con la speranza che il giorno dopo qualcosa è davvero mutato rispetto alla condizione di precarietà? Forse,ascoltando un l’intervento di un manifestante in piazza Castello, qualcosa poteva indurre a riflettere, a ritroso: “La prossima volta so cosa votare: Alì Babà, almeno i ladroni erano solo quaranta e non così tanti”. Ladri di futuro, di sentimenti, di fatiche quotidiane… di posti di lavoro non stabilizzati e da stabilizzare! A conclusione della giornata, un ricordo, in particolare, e un lungo applauso vanno a Maurizio Landini e agli operai Fiom.
Troppo facile osservare le luci, impariamo a guardare le ombre
Mattina di Natale 2009. Piazza Statuto, Torino. Una delle piazze più belle d’Europa, con i suoi portici a esaltarne ancor più la bellezza. Una corona di colonne che permettono di passeggiare nelle giornate invernali, e non solo. Lungo il percorso alcuni contenitori di raccolta differenziata ci raccontano come per alcuni, anche questo, è stato un Natale opulento. Luci di Natale. Osservo la profondità di questi meravigliosi portici e mi rendo conto che alcuni contenitori son diventati giaciglio per molti: in quei contenitori, trasformati in letto e coperte, molti senza casa han trascorso la notte. Come, non è dato saperlo. Ombre di Natale. Ombre che non vogliamo vedere. Quei contenitori han riempito le pance di molti. Ora il contenuto, muta. Un contenitore che contiene lenti respiri, umani. Quel contenitore ricorderà una catena di persone sfruttate. Prima e dopo. Ombre “scansate”, da molti. Ombre avvolte in contenitori che hanno avuto la funzione finale del far felici molti. Ora, non più: al loro interno si odono respiri, profondi, lenti, continui, umani, ma che procurano fastidio. Nessuno li immortala neppure su Facebook: non aiutano ad incrementare le amicizie. Meglio immortalare con fotografie le luci, fa più cool. Continuo il mio cammino lungo i portici. Appena terminati quelli mi imbatto in un cartellone pubblicitario: un quotidiano torinese mette “in palio” un posto di lavoro e spesa gratuita per un anno. Il paradosso è che un gruppo di persone sta discutendo in quale mensa
potersi recare: sono in cassa integrazione, in mobilità, disoccupati. Alcuni a causa di queste “storture del mercato” hanno perso anche la famiglia. Torino, una città, come ha anche ricordato il Vescovo, conta 50 mila persone in cig e ventimila in mobilità. Non parliamo di quanti precari nella scuola continueranno nella stessa direzione. “E’ il mercato, bellezza”, risponderebbero molti che hanno a cuore solo l’accumulo di capitale e non il proporre soluzioni per evitare l’accumulo di ombre. Che società è quella che mette tutto a concorso? Quanta volontà politica di questo Governo? A mio modo di vedere, poca. Meglio evitare le ombre . Continuo il cammino e incontro alcune persone che discutono su di un nuovo master online, capace di permettere l’accumulo di tre punti in graduatoria senza neppure muoversi da casa. Basta pagare. E il plauso è assicurato da chi ha le spalle coperte, da una famiglia ricca. “E’ il mercato, bellezza”. Vince chi più spende. Spende chi più ha. Una corsa falsata. La corsa dovrebbe terminare con il ciclo universitario, ma va avanti con il sistema a punti, da comprare. “Aziendalizzazione del sistema scolastico”! Tristezza. Prima di arrivare a Porta Nuova sento discutere animatamente alcune persone su alcune visite specialistiche: troppo lunghi i tempi d’attesa. Per altri, meglio ricorrere al privato. Chi più ha, più spende, anche nella sanità. Arrivo finalmente a Porta Nuova. Cerco i cartelloni con i treni: sono curioso di sapere quanti treni sono stati “tagliati”. Molti. Moretti, dimettiti. Venezia, stop. Trieste, stop. Lione, stop: anzi, un
bus ha sostituito il treno. Parigi? Bho! Come numerose altre località. Cerco una delle tante fontanelle per placare la sete. Mi rendo conto che non ci sono più: la privatizzazione dell’acqua è già cominciata. Da Torino Porta Nuova.
Un pensiero in questo fine anno a tutte le ombre: a chi è in cig, in mobilità, disoccupato, escluso.
(Questo articolo è stato pubblicato da: la Repubblica del 29 Dicembre 2009)
Più presìdi, meno prèsidi (o meno soldi)
Ho idea che su molte cose non circoli sufficientemente l’informazione, e, in tal modo, molti sono propensi ad accettare una sorta di “status quo”. Noi, che siamo tra coloro che non accettiamo discorsi contenenti la parola “oramai”, siamo il “braccio operativo” di associazioni, movimenti, partiti che non accettano tagli, che non accettano la cig, la mobilità, che non accettano la distribuzione di aiuti a chi davvero non avrebbe bisogno. Noi siamo e ci mobilitiamo con la speranza che gli aiuti arrivino là dove effettivamente vi è il bisogno.
Noi siamo “Barbara” che non accetta e soffre quando in ogni discorso “ormai” ha sostituito altre parole. Ma noi abbiamo bisogno di essere sostenuti dall’informazione, dai giornali, dai politici che più ci sono vicini.
Cara Liberazione, capisco che in tempi di risorse scarse, anche voi dobbiate fare i conti con i vincoli di bilancio, ma onestamente avrei preferito un titolo diverso da quello odierno: “Fumo negli occhi”, che campeggiava in prima pagina. Più volte ho scritto e vi ho scritto (mai pubblicato!) che a Torino “una nuova disoccupazione era alle porte”. Oggi vi dico che a Torino, da giorni nuovi disperati “sono stati accompagnati fuori dalla porta della scuola”.
Cara Liberazione, cari politici di sinistra, di Rifondazione Comunista, noi siamo i vostri alfieri: ci danniamo per portare voti al nostro partito, non al singolo; al partito a cui vogliamo bene, da morire, ma farsi “superare” anche da La Stampa con un titolo, che è si locale, ma di con un certo impatto nazionale, non va bene. Non va bene! “Tagli, la rivolta della scuola. Così si chiude”. I sindacati: situazione grave, sciopero nell’aria. “Senza bidelli qualche istituto non ce la farà”.
Ma sapete, cara Liberazione e cari politici, cosa affermava La Stampa oggi, dando voce ad uno dei tanti presenti al presidio di Torino?
“Se la scuola torinese fosse un’azienda in crisi con 847 lavoratori disoccupati si sarebbe già mobilitato mezzo mondo”. Dobbiamo salire anche noi su qualche tetto di qualche scuola? del provveditorato? cosa dobbiamo fare? Potete dedicare, nella vostra magrezza, una pagina che è una, ai precari della scuola? Oggi, subito! Ma qualcuno ha scritto due righe sulle chiamate effettuata a Torino riguardanti il personale A.T.A.? Alcuni, sostengono che “saranno alla fine 300-350 i precari che non avranno il posto” (tratto da La Stampa di oggi, cronaca di Torino, pagina 48, articolo di Maria Teresa Martinengo). Qualcuno era presente il giorno 31 agosto 2009 presso l’I.T.C. “Russel Moro” in Corso Molise 58 a Torino? Le chiamate, per i collaboratori scolastici terminavano con il numero 4700. Qualcuno si è chiesto quanti quel giorno sono rimasti senza lavoro? Quanti sono tornati a casa disperati? Quanti altri iscritti erano presenti quel giorno, con un punteggio superiore e quanti negli anni scorsi hanno ottenuto un posto di lavoro pur avendo un punteggio superiore al 4700?
Negli anni scorsi, si arrivava anche a chiamare il numero 8000. Possibile che non ci sia stata un’azione forte, incisiva, una dichiarazione tesa a dire:”per quest’anno niente tagli alla scuola, lasciamo i lavoratori nelle stesse scuole”. Possibile che si è pensato ad aiutare altri soggetti?
I lavoratori e ora disoccupati non hanno voce. Non hanno avuto voce, cara Liberazione: nessuno ha colto le lacrime di tutta quella gente che ci sperava in quel posto di lavoro. E penso a quanti, a torto, hanno in passato e continuano, ora, a “concertare” sulla pelle dei lavoratori.
Sono stati dei rulli compressori.
Davvero non ci vogliono bene. Si concerta in situazioni del genere? In situazioni così drammatiche?
Anche la Repubblica dedicava un articolo alla complessa situazione che insiste sul territorio torinese: “Guerra di cifre sui tagli ai prof. Presidio sotto gli uffici del Miur”. I sindacati chiedono di recuperare 250 posti. (cronaca di Torino, pagina 3, mercoledì 2 settembre 2009).
Noi continueremo ad essere sempre gli alfieri del nostro partito, io, mi sento un “funzionario” della mia area, e sono fortunato che il gruppo regionale di rifondazione comunista è sempre attento e sensibile a tutto ciò che capita nel nostro mondo regionale.
Juri Bossuto, Sergio Dalmasso, e altri sono sempre in prima fila e ricordo che già nel mese di dicembre avevano presentato un’interrogazione su questo tema. Ma, cara Liberazione, non basta essere magri, bisogna essere anche agili e correre là dove il bisogno e i bisogni chiamano. Non è dimagrendo che si aggiustano i conti, invertite rotta!!
La vita non è un fumetto di Topolino
Prima di cominciare a scrivere qualche pensiero su tre questioni che ritengo essenziali vorrei scrivere due cose. La prima: ringrazio tutti coloro che sono “passati” di qua per esporre problematiche e richieste inerenti il “sussidio di disoccupazione”. L’intento, il mio, era quello di fornire una informazione: l’esistenza ed i termini di scadenza (con appositi moduli relativi alla richiesta) del sussidio di disoccupazione. Avete formulato numerose domande, ed ho cercato, nel bene e nel male, di leggerle, e rispondere, quantunque non fosse il mio “lavoro”. Volevo parlare e far parlare di storie di fabbrica, cassaintegrati, politica, e dare voce a quei soggetti. Si sono così affiancate “storie marginali” e poco conosciute ad altre storie, quelle operaie, poco di moda in questo particolare momento; forse perché molti hanno creduto “che la condizione operaia non esiste più” (consiglio loro di andare a leggere il bel libro “Operai” di Carmen Santoro, Nutrimenti, pag. 95, euro 10). Colgo ancora l’occasione per ripetere a tutti coloro che hanno scritto e posto quesiti (tantissimi), di recarsi presso un patronato Inca Cgil: a nessuno sarà imposto di sottoscrivere la tessera e tutti riceveranno ascolto. Mi dispiace che molti abbiano aspettato un po’ di tempo prima di ricevere anche una piccola risposta; allo stesso tempo, mi dispiace anche che molti abbiano fatto perdere del tempo: persone inesistenti che ponevano domande con “indirizzi mail inventati”. Io non sono un professionista della politica, né tanto meno un lavoratore del patronato, quindi…
La seconda cosa è che ringrazio alcuni commentatori di questo Blog, Barbara, Daniele S., ……che rispondono e commentano in maniera molto educata e puntuale, oltre che denotare una correttezza linguistica e conoscenza di ciò che affermano; il ringraziamento nei loro confronti diviene ancor più grande quando le loro risposte sono dirette a qualcuno che ha difficoltà ad incanalare la propria rabbia e “strafora”. Tutti viviamo la stessa condizione, nella identica crisi: che non abbiamo generato noi e che non vogliamo pagare. La “rabbia” deve essere sempre incanalata e in voi vedo anche una mediazione “del conflitto”: grazie. Un conflitto che fino ad una ventina, venticinque anni fa, era, normalmente, di tipo “verticale”: era cioè la contrapposizione capitale- lavoro. Ora, i conflitti, sono divenuti sempre più di tipo orizzontale: colleghi di lavoro contro colleghi di lavoro, operai contro operai, contratti a tempo indeterminato accusati da quelli a tempo determinato di avere garanzie, di pensare al proprio tornaconto; pensionati “fortunati” contro giovani, “sfortunati”, italiani lavoratori, contro polacchi o romeni (magari vicini di casa, e benestanti, vero? A chi commenta superficialmente). In ogni caso, figure dietro le quali sussistono persone, in carne ed ossa: né redditieri, né padroni, né percettori di rendite. Anche nelle scuole, dove di norma si incontra un altro tipo di produzione, quella cioè del sapere, la “produzione culturale” si perpetuano questi contrasti: collaboratori scolastici contro collaboratori scolastici: uno che viaggia col mansionario sotto braccio, l’altro, a cui si chiede e si dice che “la scuola è cambiata”, “la scuola non è più come venti anni fa”, lavoratori che riscuotono lo stesso stipendio, solo che spesso “entrano in conflitto orizzontale”, perché ad uno pare di lavorare di più dell’altro. Il punto qual è? Che la scuola, a detta di molti, è cambiata ma gli stipendi, i salari no! Sono quelli di quando i “bidelli” erano il doppio di ora, e forse tutti “viaggiavano con il mansionario”. E quanti conflitti sorgono e rimangono allo stato latente? Però, quando si proclama uno sciopero, per rivendicare un aumento salariale, quanti partecipano? O, forse ci si preoccupa più dei trentacinque euro che si perdono? Ed ecco che quei conflitti si riproducono, perché non mediati, non risolti e vengono, e prendo a prestito un termine che mi servirà successivamente, “reiterati”. E giocoforza fanno alcuni di quelli che “contano”: i “bidelli” sono troppi, inutili e costano. Il problema non va risolto: va abolito. Qualcuno propone di “licenziarli” e di istituire le cooperative: in un colpo solo si risparmia sul personale e sulla “carta” per il mansionario. Parliamo sempre della scuola? Parliamo. Quanti di quei collaboratori scolastici “cadono nel trucchetto” del “conflitto orizzontale” e puntano il dito, contro “l’insegnante di sostegno” che “ruba la sedia e la cattedra” insieme al ragazzo, che viene “sradicato dalla sua classe” per poter svolgere un compito in classe? E la colpa è dell’insegnante di sostegno? Veniamo “inglobati” in questa logica, e magari, quell’insegnante di sostegno verrà accusato due volte: la prima perché ha escogitato il furto della sedia e della cattedra, al collaboratore scolastico, la seconda perché non è riuscito a “ricevere una cattedra”, tutta sua, in classe, magari perché non ha ancora l’idoneità, o manca qualche titolo. E il problema come andrebbe risolto? Chiedere che la scuola si adoperi per LE CLASSI, spazi, sedie e cattedre per i ragazzi diversamente abili e insegnanti di sostegno. E verso chi bisogna dirigere queste richieste? Verso il dirigente! Parliamo dei tecnici? Magari, Daniele, se vorrà, dato che ho capito essere tecnico, potrà dire la sua. Collaborare sempre e soltanto a senso unico? Ma dico, rispondendo a quanti mi dicono, “parla di amore”, vedrai quante visite sul blog. Ma a me non interessano le visite! E se voglio parlare d’amore, lo faccio con la massima delicatezza e riservatezza, e certamente non sul blog. Questa analisi, o critica, o riflessione, invece riguarda le circostanze che ci stanno intorno e che ci stanno modificando e noi, contribuiamo a modificare la società stessa. Passiamo “dall’impegno all’impegno”! e qualcosa cambierà. Ma tutto il circostante è politica e devo osservarlo attentamente. Ad esempio: se la Stampa del 25 marzo mi scrive:”Scuola, saltano 40 mila docenti”, e poi 37.000 i prof. che non rientreranno nelle scuole; 15.000 gli amministrativi”, oppure, la Repubblica, stesso giorno, “Scuola, arrivano i tagli del governo” posso non interessarmi? Posso non aderire ad uno sciopero se proclamato? Posso non rispondere ad un dirigente che magari “liquida le controversie del più basso gradino dei suoi lavoratori” dicendo, tanto dall’anno prossimo ci saranno meno controversie fra di loro perché “saranno tagliati posti di lavoro”? Posso permettere in tal modo “un’esaltazione dell’esternalizzazione” come risoluzione di un mio e non di un suo problema? Devo provare, mettere da parte il “probabile conflitto” orizzontale e “illustrare, raccontare, far prendere coscienza che il “probabile più grande licenziamento” che la storia della nostra Repubblica abbia mai conosciuto” è alle porte: quello nella e della scuola. (dato che ho parlato della scuola, e a me piace leggere, vi consiglio un libro, davvero interessante:”Beata ignoranza”, di Cosimo Argentina, Fandango, pag. 104, 8 euro).
A questa narrazione, simile, ne aggiungo un’altra: i lavoratori del tessile di Prato, i lavoratori metalmeccanici (ad esempio quelli Francesi); bene, con chi si alleano, ora, questi soggetti? Si alleano con il “vecchio” padrone; contro chi? Contro un “altro blocco sociale”. Dobbiamo cercare una risposta “da sinistra” e cercare di instaurare “un sindacato europeo”, perché ora è presente soltanto il vuoto, un vuoto che qualcuno vuole riempire. Come? Lasciando libero sfogo alla competitività “sfrenata”. Un vuoto che genera conflitto, che genera alleanze che non sono più come una volta, cioè lavoratori uniti ai lavoratori contro un “antagonista ben identificato”, ma lavoratori di uno stesso paese con “padrone” dello stesso paese. Il vuoto genera anche paura (basta leggere un commento il vicino, appena arrivato è ricco, io no). Situazioni che generano vuoti, paura e nuove alleanze in un’Europa dove solo sulla carta si hanno pari dignità e stesse azioni,mentre poi, si scopre che uno stato paga un’azienda che licenzia i suoi operai per trasferire la produzione in un altro paese (dopo aver magari preso anche i soldi per le agevolazioni per il sostegno pubblico all’industria degli elettrodomestici). Un domanda: ma perché non eravamo in diecimila al convegno di Rifondazione Comunista, sabato, sulle delocalizzazioni, in una fabbrica, magari dimessa, così anzicchè riempire il blog di commenti contro “noi stessi” avremmo capito di più sul periodo e “sulla guerra tra poveri”? E invece, dovremmo, e qui arrivo alla seconda considerazione, “lottare” quando è ora, presidiare, presenziare, informare: perché se riporto l’affermazione “Salari fermi dal 1993”, nessuno chiede: ma dove sono finiti allora i nostri soldi? Li avrà il romeno vicino di casa del commentatore? Quanto abbiamo perso? O per caso siamo finiti anche noi nella spirale del “miraggio logo” a tutti i costi anche quando apparteniamo ad una classe che non può permetterselo? O, che è lecito che lo abbia, ma ancor più se nelle nostre tasche avremmo ancora i nostri soldi. “Dal 1995 al 2006 i profitti netti delle maggiori imprese industriali sono cresciuti il 75%” (Liberazione: sabato 28 marzo, 2009). Continuiamo? Magari era sabato, a qualcuno “piace dormire”, o “è sabato anche per lui”; continuo: “i soldi della produttività sono finiti in tasca allo Stato, le cui casse hanno così potuto beneficiare di un introito pari a 112 miliardi di euro, tra maggiore pressione fiscale e fiscal drag. Tutto ciò a spese dei lavoratori dipendenti, ai quali il fisco ha sottratto dal 1993 a oggi la bellezza di 6.738 euro per lavoratore, visto che le retribuzioni nette sono cresciute 3,5 punti in meno (4,2% in meno per il lavoratore senza carichi famigliari) delle retribuzioni di fatto lorde. E chi ci “spinge”, o meglio “esorta” a spendere, ha idea della composizione dei lavoratori? Bene, sempre Liberazione riporta che in base alle dichiarazioni dei redditi presso i Caf Cgil, si ha che: 13,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. 6,9 milioni meno di mille: dei 6,9 milioni, il 60% è donna. 7,5 milioni di pensionati prendono meno di mille euro al mese. (e fra questi, sappiamo come “sono spalmati”). Il reddito famigliare fra il 2000-2008 registra una perdita di circa 1599 euro nelle famiglie di operai. Infine ricordo come più volte il Segretario di Rifondazione Comunista ha ricordato che “dal 1984 ad oggi ben 10 punti percentuali di Pil siano passati dai salari e dalle pensioni verso i profitti e le rendite: più di 150 miliardi di euro all’anno”. Posso avere un aspetto “più divertente” della società in cui mi trovo a vivere? Posso tacere e parlare magari dei 60 di topolino, e dire, “compriamo topolino, oggi”, magari ci faremo tutti un bagno nel deposito “dello zio Paperone”. Oppure, devo chiedermi qualcosa: se da giugno ci sarà, come ormai si dice, “il più grande licenziamento” (quello della scuola), 500 mila posti in meno, tra il 2009 ed il 2010, che il Pil precipita, posso cercare di conservare qualcosa dai quei 950 euro che percepisco? Io e tanti come me, che non avremo nessun ammortizzatore sociale. Invece dovrei pensare che mentre “nuoto nel deposito dello zio Paperone, il Pil scende, ed il Pia (prodotto interno dell’amore) sale”; ma non è così che ci si arriva alla meta, e la tradizione del movimento operaio lo insegna. Si, cari amici che mi avete indicato il metodo per raggiungere “i più alti contatti di questo blog”; il metodo non è quello di instillare sogni; abbiamo già chi continuamente racconta grandi sogni, “asfalta le strade” , “costruisce le Milano 2, Milano 3, ed ora vorrebbe (ma vorrei sapere con chi) costruire le tantissime Town, che fa tanto cool, che “conduce treni” e come hobby preferito magari ha quello di comprare ville. No, i sogni non conducono da nessuna parte. E’ legittimo avere aspirazioni, si, così come è legittimo che il sogno proibito di nove italiani su dieci è avere 32 mila euro l’anno (La Stampa, sabato 28 marzo 2009, Stefano Lepri), ma ora, sempre per rimanere nell’articolo, dobbiamo rimanere con i piedi per terra:” da 600 mila ad un milione di disoccupati in più pronostica la Cgil; molto più del mezzo milione temuto dalla Confindustria. Tra le tante cifre del rapporto presentato dall’Ires, il centro studi del maggiore dei sindacati spiccano quelle che in concreto spiegano la crisi: “ai livelli medi di paga, la cassa integrazione a zero ore significa dover arrivare a fine mese con 630 -760 euro, l’indennità di disoccupazione con 460 e i precari se perdono il posto non prendono niente” (dati sempre tratti da La Stampa, stesso giorno).
Ultimo appunto, il decreto sulla sicurezza. Alcuni titoli: “Sicurezza sul lavoro, ecco la controriforma” (Sara Farolfi), il Manifesto.
“Lavoro, sanzioni meno severe sulla sicurezza. Via alla riforma Sacconi”. Non abbassiamo la guardia”. Epifani: ”scelta molto grave” (Roberto Mania, la Repubblica).
“La nuova legge sulla sicurezza? Indebolisce le armi dei magistrati” (Federica Cravero), la Repubblica.
“Licenza di uccidere” (Liberazione). “Mentre nasce il Pdl, nel nome della libertà, il ministro Sacconi stravolge il testo unico per la sicurezza nei posti di lavoro. Il reato penale asciugato in un’ammenda. Esautorate le rappresentanze sindacali. Demansionamento per chi si ammala. Da oggi il lavoro è ancora più a rischio. La Confindustria applaude. Durissimi Cgil, Prc, Sd. Critico anche il Pd. La Cisl abbozza, anche su questo”.
“Infortuni sul lavoro, multe più salate ma meno arresti. Punite penalmente soltanto le violazioni gravi”. (Flavia Amabile), La Stampa.
Come si vede, riforma, controriforma, reteirare, plurimo, sanzioni, ammende. Il tutto però incorniciato da alcuni dati che scriverò mentre c’è tuttora un processo in corso, quello della Thyssen, ed uno che sta per cominciare, quello dell’Eternit.
Ogni giorno in Italia ci sono 2.500 incidenti: 3 persone perdono la vita; 27 invalidi in modo permanente; dall’inizio dell’anno: 100 morti; l’età media di chi perde la vita: 37 anni; i settori più colpiti: edilizia, metalmeccanica, trasporti. Nel 2008 gli infortuni non mortali erano stati 900 mila.
Le cause: parrebbero essere “carenza di sicurezza”.
Sabato e domenica si parlava di questo decreto legislativo (tratto da un comunicato stampa), ma le cose che più impressionavano erano le seguenti: si fa riferimento agli eventi traumatici nel decreto, ma per quanto riguarda l’esposizione a sostanze nocive? “Si fa scomparire la cartella sanitaria di rischio che non dovrà più essere comunicata all’Ispesl (istituto per la prevenzione) e la relazione del medico competente delle Asl, facendo scomparire di fatto al tutela delle malattie di origine professionale”; ritorna la visita preassuntiva per verificare l’idoneità al lavoro, ad opera del medico di fiducia del datore di lavoro (si scopre così se una donna è in stato interessante) che lo statuto dei lavoratori aveva abolito. Ed il demansionamento del lavoratore? E le Rsu? E la differenza tra reiterare e plurimo? Reiterare: replicare qualcosa già fatta (reiterazione di una promessa, ad es.). Plurimo: molteplice (un tempo nel sistema elettorale, certi elettori, in base al censo, all’età, o altro potevano disporre di più voti): ma se un’azienda è dispersa in più siti? O magari sussistono subappalti? Di questo si parlava, con la speranza di avere maggiori chiarimenti, ma con la speranza soprattutto che ciascuno di noi, ricomincia a riprendere in mano le fila di un percorso, di una casa, nostra, a sinistra.
“Avanti popolo”, “con classe”
Presente e futuro. Due tempi, due mondi. Il nostro, il loro. Una speranza, in comune: quella che nessuno di noi, mai più, debba pagare un conto, una crisi, la loro, di quelli che “hanno giocato a monopoli” senza il nostro consenso; una crisi che noi non vogliamo e non dobbiamo pagare. Cosa vorrebbero farci pagare? Lo dicono i giornali di oggi. Ecco il conto che ci presentano: “In Europa, negli ultimi tre mesi del 2008, sono stati persi più di 670.000 posti di lavoro. Pessime le previsioni per il futuro: secondo la Cgil entro il 2010 i disoccupati in Italia aumenteranno di un milione. “(Il Manifesto).
“Crisi, l’Italia un paese di disoccupati e precari” (Liberazione, il giornale da me preferito); all’interno dell’articolo si snocciolano alcuni dati: “Se il 2010 era la data più probabile per il “fine corsa” della depressione economica, per l’Italia non sarà così, anzi. Da qui a quella data, l’Ires Cgil prevede un milione di disoccupati e un prodotto interno lordo ridotto al -4% complessivamente; il tasso di disoccupazione nel 2010 rischia, infatti per la Cgil, di salire fino al 10,1% ed anche nelle ipotesi più ottimistiche di arrivare al 9%. Ciò comporterebbe una perdita di un milione di posti di lavoro fino al 2010: solo nel 2009 si prevede infatti un calo di mezzo milione. I nuovi disoccupati, calcola l’Ires, porteranno il totale dei senza lavoro a 2,3 milioni nel 2009 e a 2,6 milioni nel 2010. Il tutto mentre si allarga a 3,4 milioni di persone l’area della cosiddetta instabilità occupazionale: quel mondo di dipendenti a termine e di collaboratori vari su cui incombe di più il rischio di perdita di lavoro. Un’area di instabilità così suddivisa: “”Parasubordinati” 14, 4 %;
“Non occupati da non più di 12 mesi, 19,3%;
“Dipendenti a termine volontari”, 6%;
“Dipendenti a termine involontari”, 60,3%. Il dato è tratto da Repubblica, a pag. 6, articolo di Luisa Grion, (fonte: indagine forza lavoro-media 2007). Proprio la Repubblica, sempre a pag. 6, titola, “L’Europa perde 670 mila posti. Cgil: verso un milione di disoccupati”. (articolo di Luisa Grion).
Lavoratori e studenti, un appuntamento, per domani ed il nostro domani: a Piazza Arbarello, alle ore 9.30, per lo sciopero indetto dalla Flc-Cgil. Lavoratori, come quelli della Indesit e chissà quanti altri. Studenti, collettivi, ragazzi del Politecnico, precari della ricerca studenti, medi, gruppi di genitori, lavoratori della scuola, docenti, tecnici, amministrativi, collaboratori, ecc. ecc. Uno sciopero che serva a dire ancora una volta che noi, popolo, noi classe, il conto del taglio, non di un pezzo di stoffa, ma “di persone in carne ed ossa”, non lo vogliamo pagare. “NO AL TAGLIO DI 87 MILA DOCENTI E 42 MILA LAVORATORI DEL PERSONALE ATA”. E la “classe”? La classe che prova a “surfare” l’onda si ritrova in un periodo in cui, “nel frattempo il governo ha aggravato la situazione, c’è una legge, la 133 e un dl, il 180 approvati che hanno dato un ulteriore colpo di grazia all’istruzione del nostro paese, già abbondantemente martoriata” (il Manifesto”, pag.7, Stefano Milani).
Il corteo terminerà in Piazza Castello dove saranno presenti e interverranno rappresentanti degli studenti e precari della ricerca, oltre alle associazioni studenti. Le conclusioni saranno affidate al segretario generale della Flc-Cgl Piemonte, Rodolfo Aschiero e al segretario generale della Cgil Piemonte, Vincenzo Scudiere.
Per quanto mi riguarda, domattina sarò in Piazza Arbarello. Ritengo che aderire sia essenziale, per il futuro, nostro e loro. Ancora questa mattina, discutevo con alcuni colleghi sulla necessità di aderire per non morire, “di fame”. Molti avranno la “pancia piena”, perché stabilizzati, perché prossimi alla pensione, o perché ritengono lo strumento dello sciopero poco utile, magari vorrebbero “un anticipo di quello virtuale”; altri, mi riferiscono, timorosi per eventuali ritorsioni, nelle scuole-caserme, da parte di DSGA e Presidi, nel caso in cui risultassero da soli nella lista degli scioperanti. Parrebbe che alcuni non abbiano “insistito” abbastanza nel coinvolgere. Eppure, mi pareva di aver capito il contrario: in ogni caso, rispetto il diritto a non manifestare. Vorrei però, che tutti i sindacalisti Cgil ritenessero opportuno e necessario aderire; per quanto mi riguarda, quest’anno ho aderito a tutti gli scioperi, anche a quelli dei Cobas. Ritenevo e ritengo valido il merito. Non vorrei, da domani, rispolverare, anche per una questione sindacale (e non politica, che a volte ve ne sarebbe bisogno) Georg Simmel, che indicava i “socialisti da parrucchiera” ( gauche caviar), coloro cioè, che stavano a sinistra, ma non vivevano in modo conseguente. Non vorrei, dicevo, applicare questo concetto ai sindacalisti, eletti, ma “assenti”.
Un’ultima considerazione: non so chi si cimenta a leggere il blog, penso lavoratori, precari, disoccupati, e ne sarei contento; non ritengo condivisibile l’etichetta di “vecchio”, nel senso di proporre argomentazioni rimaste indietro rispetto all’evolversi della società. Penso che la risposta stia proprio in quell’affermazione precedente: “gauche caviar”. Penso che il benessere se non correttamente gestito può far male a tanti, e che le comodità, le ricchezza, ma spesso, “le cose inutili” abbiano preso molto presto il posto delle “relazioni”. Vogliamo essere, ma traduciamo il nostro operato in maniera difforme. Questo è lo sforzo, per una sinistra che torni alle origini, e voglia riscoprire il senso della giustizia, dell’equità. Perché molta gente non crede più nelle grandi associazioni quali il partito o il sindacato? Quanta voce diamo alle necessità e quali risposte diamo ai bisogni? In quali territori abbiamo deciso di stare e fare per? Vendere pane di sabato forse, e sicuramente non lo è, sufficiente, ma lo è ancor meno se neghiamo voce e spazio a chi la chiede anche di sabato.
Domani, tutti in Piazza Arbarello.