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30 ottobre 2019

20191030_171926Ottobre lentamente volge al termine e là  dove oggi si apre una grande autostrada cittadina, in corso Principe Oddone, ieri c’era il trincerone, il treno (oggi scorre sotto il ventre del corso) e  a pochi passi staziinava  la palina con le fermate dei bus 49, 46, 52) rispettivamente verso Settimo, Mappano Leini e Torino zona corso Grosseto. Il tutto illuminato  dalle luci della storica farmacia “Dell’Ausiliatrice”. C’era il walkman al posto dello smartphone che allietava il ciondolare dei lunghi viaggi, dal centro alla periferia, su quei bus ( che se ti fosse capitata la fortuna di trovare posto sui sedili, sei, tre e tre che obbligavano a guardare i passeggeri, dal vago sentore di un viaggio sulla lavatrice) passando dal Reba, mitico posto salesiano, grande piazza dove convergevano via Cigna, corso Vercelli e Corso Grosseto con un albergo vicino che aveva qualcosa nel nome, vago, di vacanza. Omen nomen? E  una volta scampata via Nino Oxilia e il confluire lento dentro corso Giulio, si apriva la porta poi verso Milano coi suoi due grattacieli visibili da via Ivrea. Oltre, la Falchera coi suoi campi da gioco. Divisa in   nuova e vecchia, raggiungibile  da un bus soltanto, il 50. Come le lire. Campi da gioco illuminati a giorno e sopra i due cavalcavia un odore ancora presente al ricordo. Estate e inverno. Altri tempi. C’era del romanticismo a passare sotto il ponte di ferro, dove tutto questo viaggio aveva inizio, in corso Principe Oddone, quando sopra le teste, il rumore del treno assordava tutto, inghiottiva molto, perdeva alcuni, delle voci, e non si capiva nulla, tanto che da piccoli, ci si perdeva nelle mani, rassicuranti,  di mamma o papà,  da grandi in quelle femminili, di un’amica, o di una storia importante, e a quel rumore il tempo si fermava, tempo di un bacio, dolce, un  pochino bagnato da labbra e acqua proveniente dal ponte maestoso, in ferro.E  quando pioveva e gocciolava addosso ai passanti, in quella striscioline di via, sotto il ponte, non c’era posto per tre o quattro. Ti fermava e lasciavo passare. C’era del romanticismo sotto il ponte, con le luci della ferramenta che giungevano, fioche, impercettibili, nei pressi. Da  piccolo, la filastrocca di papà,  in attesa, “passa il lupo sotto il ponte….”, da adolescente, l’amore. C’era del romanticismo, li sotto e poi nei pressi della  palina, a due passi piu due da Valdocco, quando nell’attesa del bus non ci si ricordava il gusto del bacio di prima e tutto ricominciava. “Poi, quando arrivi a casa, chiama. Sono le 19, a che  ora arrivi?” “E, deve spaccare tutta Torino, la lavatrice. È poi, se trovo la cabina del telefono occupata?” C’era una volta, ma esiste  anche l’oggi  e ora è  tempo di caffè.

Lungo il 3

L’atmosfera, a Torino, città dei tre fiumi,  magica, un tempo della Fiat e di tante altre cose, non è  delle migliori, e il clima, neppure. Eppure è  ancora il tempo in cui, uscendo fra la vie ed i mercati cittadini,  riescono a “scontrarsi” le “t-shirt” contro cappottini, cosi come avviene, in spazi ristretti tra le bancarelle dei mercati della 7, (circoscrizione), uva e fichi d’india contro castagne.  Profumi a confronti, tra quel che è  stato e quel che sarà. Dal fondo delle tasche, recupero nebbia, che avvolge personaggi sfumati, come ritagli di pagine di libri, romanzate, perché si sa, chi non legge, non avra vissuto abbastanza e chi legge ne avra vissute mille, di vite, e cosi, capita in quel che era il Borgo del fumo, ora Vanchiglia o Vanchiglietta. Il gazometro mi crea ancora una volta la vaga  illusione di un ciondolare perenne nella grande bellezza di Roma, nel tempo vuoto, mio, da riempire, al suono melodico di Baglioni, Claudio, e dei  suoi racconti trasformati in dolci canzoni e canzoni dolci, distribuite in pasto all’amore. Un tram, arancione, della serie 28, mi riporta qui, lontano dalla capitale, ad osservare quel carrozzone di ferro che carica e scarica la sua umanità, ogni 250 metri circa, per kilometri e kilometri,da corso Tortona fino alle Vallette, zona periferica conosciuta per quel che è  venuto dopo le Nuove. È  quella che avrebbe dovuto essere la metropolitana leggera, inaugurata nell’ottobre del 1987 e generata con la famosa “griglia” del maggio 1982. Dove saranno andati a finire i famosi “trenini” con le tanto strombazzate 8 porte?  Cosi li chiamava mio nonno: “ciao, vado a fare un giro col trenino” e avrei voluto tanto andare con lui mentre ero con la testa china sui mastrini e al suo dire non dicevo e rispondevo  nulla continuando a non capire ancora  nulla di partita doppia, di dare e di avere. A ripensarci, e l’ho fatto proprio tanto, potevo andarci con lui, perché tanto, al suo ritorno, i conti, proprio non mi tornavano mai, e ora, che da  una vita, il nonno non c’è  piu, quei maledetti conti continuano a non tornare, perché in fondo, forse, per non farli tornare, avrei potuto benissimo andarci, ed essere cosi in attivo, almeno in affetto. Del trincerone che “spacca” in due Torino se ne parla ad ogni tornata elettorale con le macchie colorate del giorno dopo: prima rosse, poi rosa, poi gialle, poi verdi, poi chissà. Sono i colori del consenso. Del carico umano e delle periferie, poca cosa, invece, col passare dei giorni. Poi l’Universita, che sembra una nave, o un’astronave, e ogni volta che ci passo, ha il viso di un’estate caldissima, finita troppo tardi e in malo modo, colpa di un albero e di un black out di fine settembre. A pensarci bene, senza quell’albero svizzero, quell’ estate sarebbe ancora continuata fino ad oggi, forse insieme ad un viso di donna. Di quell’ estate però ci restano i condizionatori e le avvisaglie e i figli di un mondo diverso che era possibile. Oggi li trovo in classe, di tanto in tanto parlano di Greta ma non vogliono il voto perche la maggior parte sisente ancora piccola. Altri rispondono:’ma lo abbismo chiesto?” E in sottofondo, altri, senza criterio, vorrebbero sottrarlo, il voto, ai saggi. Ma non è  la sola cosa che alcuni grandi , ma non della terra, e nemmeno di un condominio, vorrebbero sottrarre. Questione di coscienza.

Vasco e Sally

Ieri sera la tv commerciale ha riproposto i recenti concerti di Vasco, a Milano. Immediato il ricordo di Milano, luglio ’90, stadio esaurito, impensabile, maturità alle spalle per tanti e caldo e zanzare sulla pelle, l’estate entrata di diritto nelle vite di tanti. Poi, i ricordi accelerano con la musica, i mesi pasano e l’anno pure, giungendo cosi, (un anno) dopo, al  Delle Alpi, il tram 3 per raggiungere la Continassa, il prato già  pieno di fans da “dirlo alla luna”,  il telo a coprire il prato di uno stadio nuovo di zecca. Il primo concerto di una lunga serie di tram e treni e metro  tra Torino e Milano, eppure, tra le canzoni ascoltate ieri, una, Sally aveva un pochino il gusto della pioggia, la nicchia di una Madonnina in corso Vercelli, un bus, il 46,  l’odore dei libri di una signora  Marchesa biblioteca,  il freddo “riparato” da un abbraccio, il caldo dell’estate di Barriera, l’urlo di San  Siro ed il cielo lasciato ai passeri. Mentre noi, stavamo con i piedi per terra. “Da da dan….senti che fuori piove…senti che bel rumore….da da dan…..”

“Sonja”

E`da molto che non scrivo. Mi riprometto “domani lo faro”, in realtà, le giornate e le serate trascorrono pigramente tra studio, schemi, mappe per il giorno dopo senza produrre nulla. Poi, una riflessione in classe, un evento ela tastiera riprende il suo corso. Lentamente.
La bellezza salverà  il mondo”, scrisse nel 1800 il grande autore russo, Dostoevskij.  Eppure, prestando ascolto ai notiziari o sfogliando le pagine dei quotidiani, si scopre che la bellezza, nella psiche di qualcuno, non salva affatto il mondo, ma contribuisce a ucciderlo. Già,  perché l’omicidio dello scorso febbraio, avvenuto in quella zona di Torino che fiancheggia il Valentino, il polmone verde della nostra città,  ha da oggi un colpevole. Quale il motivo di tanta crudeltà? Un coetaneo uccide un suo pari, con un colpo alla gola, semplicemente perché “aveva l’aria (così sostiene chi ha sentito i notiziari) di un ragazzo felice, spensierato, sereno”, colpevole solo di passare da li, diretto al suo lavoro, un sabato mattina, diverso e cosi uguale a tanti altri. I Cappuccini sulla collina, la Gran Madre oltre il ponte, la scaletta che rasenta il fiume, i tira tardi del venerdì sera rinchiusi in uno dei tanti bar del centro, coppiette sorprese dai primi raggi solari che annunciano primavera esponendo centimetri di pelle per lasciarsi baciare e bruciare  la pelle e i sentimenti dalla grande Stella, del cielo, o di turno, lo sferragliare rumoroso e lento dei tram che stordisce e culla i passeggeri al suo interno. Tutto sembra prendere o riprendere vita mentre un ragazzo di trent’anni sta per lasciarla. È sereno, felice, nessuna traccia del suo passato lascia intendere quel che da li a poco succederà. Un lavoro, una famiglia, amici. Fatalità, un incontro che non è  neanche uno sfiorarsi. Siamo oramai abituati ad una vita frenetica, porte girevoli da autogrill,in questa società liquida, senza legami, con tanti contatti e pochi amici, ma, che qualcuno possa essere infastidito dalla felicità di altri, questo, ancora non era mai capitato nelle lunghe serie di fratture e bruttezza che inquinano l’animo umano. Fin dalla notte dei tempi, del mito delle origini, siamo  abituati a tanta cattiveria dell’uomo che lo abbruttisce sempre più;restiamo e speriamo in un nuovo Umanesimo -Rinascimento, una nuova ecologia, che mai più produca morte verso un suo simile o un Capidoglio spiaggiato, morto con 22 kg di plastica ingoiati, buttati in mare da un uomo che produce e consuma senza criteri e senza attenzione e cura a ciò  che dovrebbe amministrare nel modo migliore. Senza parlare della discarica rinvenuta nei fondali dello stretto di Messina. La contabilità  delle bruttezze che inquinano l’uomo ed il suo habitat potrebbero continuare, snocciolando dati e prospettive. Oggi, piu che di bellezza che salvera’ il mondo, pare  aver letto gran parte di “Delitto e castigo”. Siamo in attesa di una Sonja, per ciascun uomo. Quella si, che sarebbe capace di salvare il mondo. E con la sua bontà, forse anche  l’uomo.

Lessico Famigliare

Era da un po` di tempo che mi frullavano nella testa alcune cose, incomprese, o comprese a metà, o semplicemente per  il non volerle accettare, in quel nostro essere finiti, come in una mancanza, delle parole o di persone. Volevo indagare, “Morettianamente” scrivendo, come quando nella “Stanza del Figlio” Nanni, si è  infilato in un negozio di attrezzi per sub cercando di capire il perché  non era filtrata aria nel respiratore incriminato per la morte del figlio. Volevo sentire chi ha visto “iddo” ancora una volta, e farmelo raccontare, per sentirmelo ancora vicino, indirettamente,  in un lessico intimo, famigliare, scivolato troppo velocemente nell’incomprensibile, dei nostri incontri quotidiani sempre nuovi. L’infermiera parlava, ripescava dalla sua memoria parole ben curate, pettinate, come fossero la medicina adatta al malessere ingiusto chiamata malinconia, nostalgia o mancanza. Sfogliava parole dai suoi ricordi, di una notte buia, che si affrettava a ad essere tempestosa e fredda. Erano le 5, poi le 6, diventate ben presto e troppo tardi allo stesso tempo,  le 6.53, quando l’orologio si fermò. Le pagine, forse quelle adatte, da sfogliare realmente, potrebbero esssere “Idda” (di Michela Marzano), e “Lessico Famigliare”…Forse. Non restava che lasciare l’infermiera, oltre il tavolo, e portarmi a casa le mie pagine nella mia testa. Perché  chi non ha un lessico famigliare tutto suo? Noi, per esempio,in famiglia, ne avevamo uno. Poi, ne abbiamo avuto un altro, da grandi, quando gli incontri erano diventati sempre nuovi e non restava che conoscerci perché il riconoscerci si affievoliva, giorno dopo giorno. Erano belle quelle parole, che non erano “sempiezzi” e neanche “malegrazie”, ma semplici come acqua e bere erano “brumba”, con i bicchieri di plastica azzurro e arancione. Quelle da grandi,e ultime, le ho dimenticate, per restare in tema, perché mio padre lo voglio ricordare quando il lessico lo dirigeva elo inventava, non quando ha incominciato a subirlo perche ogni parola era diventata sempre nuova.

Pietre d’inciampo

20190122_121935“Gli anni come giorni, son volati via…” pare sentir risuonare Raf, alla fine degli anni ’80, nel raccontare il decennio trascorso,  il tempovolato via. E il tempo vola;  in realtà mancano idee, voglia, foglio, penna, e altro, e uno, non è  che tutte quelle cose, almeno le prime due, se le può  dare, per pensare e scrivere qualcosina. Tornando da scuola, tra la fermata della metro e corso Regina, in via San Donato, interdetta al traffico,  si è  posizionate una  pietra d’inciampo, al numero 27, in ricordo di Vittorio Staccione, antifascista, calciatore, operaio. La folla osserva e ascolta. Poi, Gunter Demnig  si inginocchia e posiziona la pietra a ricordo dell’ultima abitazione di Vittorio Staccione.  Il mio  ricordo va a quella posata in via Vicenza, a due passi da qui,  alcuni anni fa, quando c’era mio padre e molto era davvero diverso. Insieme cercavamo in quali vie avrebbero posizionato la pietra d’inciampo e insieme si andava.

Albero di Natale

Torino, 16 novembre. Ore 10.

La mattina comincia con un incontro “freddo”: il gelo che sbatte con violenza sul mio viso. Frugo nelle tasche che sembrano pozzi senza fondo di ricordi andati. Recupero il cappellino, quello di Lucio Dalla, che tanto impegnò  i miei nella sua ricerca tra mercati e negozi torinesi. Capricci adolescenziali che puntualmente, da trent’anni, di questi tempi, recupero tra gli armadi di casa, riposti nel cassetto  etichettati “indumenti invernali”. Appena recuperato, lo deposito li, nella tasca del parka, dove affonda tra l’immancabile penna, sempre presente: caro amico ti scrivo….ripesco Lucio, gli anni ’80 e un bel pezzo di te, pa’, insieme a tutti i biglietti ancora conservati, rimasti in questo giaccone, delle corse Torino Lanzo, e viceversa, utilizzati per venirti a trovare. C’erano alcune cose che avrei voluto comunicare, come gli annunci della stazione Dora, che avevano la stessa voce di quella leccese, dei nostri luoghi natii. E qui “intaschiamo” i ricordi, tanto, tolto il berretto, di  posto ne abbiamo, Come avrebbe detto Dostoevskij, chiusi in una stanza ci possono stare migliaia di anime. Figuriamoci di ricordi…La camminata procede fino a D’acaja, dove mi imbuco nella metro, diretto a Porta Nuova. Scendo dalla metro, mi fiondo verso la scala mobile e recupero l’interno della stazione, sotto, l’atrio, sotto l’albero, a leggere i pensieri dei torinesi.  Sotto l’albero, doveci troviamo con gli studenti. Sopra l’albero, dove  si raccomandano in molti. Mi perdo tra le richieste. La più bella, quella di una ragazza.”Fa che Stefano mi sposi””. Quanto sono belle queste ragazze con questi desideri.

28 Ottobre

Il 28 ottobre ha le lancette nel segno. L’ora legale ha lasciato il posto a quella solare e l’arrivederci è a fine marzo, quando saremo 6  mesi piu grandi. L’effetto è già evidente, lungo le strade della citta’, sotto un cielo scuro e lattiginoso. Il cielo, al tramonto, non è più rosato e setoso e la pioggia ci ha messo del suo per rendere il tutto più “freddo”.  I cappotti si muovono goffi, strada facendo, e qualcuno emana odore di naftalina. Alle 18 in punto, il buio. Le luci artificiali della città cominciano il loro lavoro in attesa dell’aggiunta “Luci d’Artista” che prendera il via e vita il 31 di ottobre. Filastrocche e  disegni e nasi all’insù ci condurranno ancora una volta  a spasso per le strade e le stelle cittadine.  Ma il 28 ottobre ha nel segno e negli occhi un cappellino e due “mandorle”, due calci ad un pallone, in una partita mista dal buon finale. Erano bei tempi, avrebbe cantato Vecchioni. Luci a Valdocco. Anni prima di quelle d’ Artista.

Dopo Portici di carta

Sotto i portici del centro di Torino, quelli che da piazza Castello si snodano verso Porta Nuova attraversando piazza San Carlo, per intenderci, il profumo della carta da libro è ancora forte e così come avviene per le conchiglie che in un certo qual modo conservano il rumore del mare, qui sotto, si conserva ancora  il rumore delle pagine sfogliate nel week-end da migliaia di mani, da potenziali lettori e compratori. Sicuramente curiosi. Portici di carta, la più grande libreria mondiale all’aperto ha “chiuso da poco i battenti” mai aprirli dato che il tutto, oramai da anni, si svolge all’aperto. Portici come piazza, luogo di incontro tra librai, editori, lettori, come “rilancio” della pratica del leggere in un Paese dove la percentuale dei lettori si assesta su livelli davvero bassi. Portici di carta, nella città del salone del libro, dove la bellezza cittadina si coniuga all’amore per la lettura. E  quest’anno l’edizione  si e` svolta pensando ad un personaggio particolare, con le trecce, lentiggini, i calzettoni, una  scimmietta sulle spalle, le mani e  la sua forza: Pippi Calzelunghe.  Fu proprio il libro fumetto di Pippi che segnò l’avvio personale alla lettura.  Ed è con questo pensiero che percorro i 2 km intervallati dalle colonne del centro. Potevo avere una macchinina, un pallone e senza saper leggere e scrivere scelsi il libro di Pippi Calzelunghe.

30 Settembre

L’autunno entra prepotentemente sulla scena, mentre dalle finestre una musica risuona ancora, da ieri, “29  Settembre”. E le note “seduto in quel caffè” hanno lo stesso gusto di ieri, di oggi, e lo avranno ancge domani, anche se a cantare sono due capigliature differenti: quella del grande Lucio o quella del Principe Vandelli. Perche le cose buone, sono per sempre. Una delle poche certezze in questo tempo centrifugato. Gia’, perche’ a parlare di cafe’, viene in mente quello Hag, un pochino amaro, per i dipendenti e per una storia di “delocalizzazione”.  Alle “porte” di Chieri. Settembre sta per lasciare la scena, e come un rito di passaggio consegna definitivamente l’estate, il mare, le vacanze, all’album dei ricordi. “Bye bye”. Annalisa, con la sua canzone, ha fatto innamorare e  cantare milioni di italiani, scalzi, sulla sabbia, in riva al mare, in discoteca, in casa, e forse l’estate la ricorderemo anche per questo.  Un’ estate in viaggio. Le giornate, ad ogni “numero” del calendario “strappato”, lentamente si accorciano e viceversa le campanelle della scuola ci consegnano un orario provvisorio, “quasi definitivo”. Piccoli ritocchi in corso d’opera. Molti eventi nella nostra città, alcuni terminati, come Terra Madre e altri, (ancora per  poco), in via di chiusura, come Torino Spiritualità. Con una fetta di torta in mano e due gocce di spumante,e profumo di castagne alle porte, festeggio il compleanno di mio padre. Alle soglie del 1 Ottobre.