La pioggia, oggi, è davvero incessante, e ogni goccia che cade allarga le pozzanghere e dilata ricordi. Era il ’94, era il 2000, eravamo a Borgo Dora, e ai giardini Cavour, erano 20 o 30 i centimetri caduti di pioggia e i Murazzi chissà come stavano e come erano messi. I ponti chiusi, e per Sassi e per via Cigna e per corso Principe Oddone mentre e le fabbriche annunciavano e ponevano le marstranze in libertà. Alle macchinette del caffè, tra una pausa e l’altra, un paio di giorni dopo, si discuteva se la messa in liberta sarebbe stata pagata come cassa integrazione dallo Stato o dalla regione. È la forza dei ricordi. Non ho avuto tempo e modo, e forse voglia, di abbozzare qualcosa, ieri, come ogni 23 di ottobre, “Mi ritorna in mente”, puntuale, come un orologio svizzero, un episodio di vita scolastica. Protagonisti, un bimbo ed una gomma, di quelle blu e rosse, buone non per cancellare ma per creare perugi sul goglio, gomme rigide, che ha rallegrato l’infanzia di quanti non conoscevano ancora i bianchetti, che per molti oggi non sono altro che un bel bicchiere pomeridiano e per gli studenti invece, un tratto bianco a copertura dell’errore fatidico. Bene, o forse no, quella gomma si rompe, proprio a metà, e, alzandosi in piedi, prendo le mosse alla ricerca di una colla pastosa, forse vinavil, che, forza dei ricordi dilatati, ricordo quella boccia bianca enorme, come un contenitore di ammorbidente posto sopra la lavatrice. E forse, pure quelle, dilatate dalla forza dei ricordi, come l’urlo, stile Tarzan della maestra, colpevole io, di essermi alzato. Terrorizzato e impietrito, rimasi senza colla, senza gomma, senza parole. Vasco Rossi, l’avrebbe cantata anni dopo.
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“Sonja”
Terra Madre
Torino 24 settembre 2016. Piazza Castello, Piazza San Carlo, il Valentino e oltre e altro. Una giornata tra gli stands diffusi di Terra Madre, tra Presidi, Regioni d’Italia e mondo, gusto, gusti, biodiversita’, camminando tra “casupole” bianche, tra 7 mila delegati provenienti da 143 Paesi Diversi. E’ l’ONU dei popoli della terra, agricoltori, allevatori, pescatori. E’ una bella manifestazione diffusa. Riuscita. Un assaggio qui, uno li, semi, prodotti e costumi che si incrociano e una Babele di lingue che comunica. È tutto semplicemente bello. Anche… Aspettando l’ultimo bus… o.. “waiting… for the last bus”
Anche io ho voluto partecipare a questa festa compiendo il tragitto da Palazzo Esposizioni ai Murazzi che costeggiano il Po passando per il Valentino fino ad arrivare a Porta Nuova per immettersi nel “fiume” umano che da Piazza San Carlo confluisce in piazza Castello attraversando via Roma. Non ho visto semplicemente un ghiottone curioso ma migliaia, fermarsi ad assaggiare, si, molecole o atomi di prodotti. Poi si, i banconi degli stand provvedevano alle degustazioni e non saprei dire se tanto o poco di prodotto o tanto o poco di costo. Certo trovarsi pezzi di un’ Italia che riceve identita’ col cibo è un’esperienza unica. Notevole. E certo anche vesti e turbanti e pensa gli al collo e pettorina “volonteer” e “delegate” fino alle “sentinelle dei rifiuti”. Profumi poi, non ne parliamo: “fermiamoci e dolcemente” accumuliamo panzerotti pugliesi (che mi ricordano tanto Giovinazzo), formaggi, prosciuttidi ogni tipo, pomodori, baccalà, alici, la tigella e olio di ogni tipo. Punto. O forse punto a capo o meglio i due punti che continuano l’elenco. Poi ognuno come desidera: a piedi, in navetta gratuita o ” Tobike”.
Bugie a portata di mano
“Una volta, al mondo, non c’era il fuoco. Gli uomini avevano freddo e andarono da Sant’Antonio…” Sul tavolo, in ordine sparso, farina, zucchero, marmellata, latte, ricette, fiabe di Calvino e bugie in divenire.
Tutto mischiato, nel tempo. Mani impastate nei miei ieri e nei miei oggi. Bugie passate e presenti. Polvere di farina sparpagliata come d’estate, spighe al vento, capelli biondi appena mossi…impasto, pulisco e…assaggio. Buone. Un velo ancora, necessario per addolcire e passare oltre. Zucchero a velo come neve. L’ambiente e’ caldo e io accaldato da tutto questo impasto. La luna in cielo e’ un forte richiamo. “Quasi quasi esco” . Dalle parti della Gran Madre, lei, luna, si specchia nel fiume come una bella donna mentre il traffico impazzisce e mi stordisce. Ha un bel viso acceso. Luci dei fari che abbagliano gli occhi e occhi abbagliati da occhi troppo luccicanti e cuore infiammato e luci tremolanti simili a luci di candele accese all’interno di una Chiesa. Un tempo da queste parti, i Muri, si era soliti alzare bicchieri e calici alla mano per brindare a baci e bugie mai troppo dolci. “Sei la mia passione piu’ grande” recita una scritta sul muro, tra strada, Muri e fiume. Mi passa affianco una coppia stretta stretta o forse era solo il tempo, che passa. Passo, passa, passava, passavano, passano, i passi di tutti. Marciapiedi slabbrati. Ricordi frammentati e parecchio appuntiti. Bello da quaggiu’, il fiume ed il suo scorrere con la vita. Altro giro altra ruota. “Venghino signori, venghino” risuona ancora piazza Vittorio, quando il Carnevale passava e si fermava qui: baracconi e profumi di cioccolata e zucchero filato e filarini dietro ragazzine. Cioccolata, Parini e il giovin signore, carrozze, cavalli e signorine. Tutto scorre e tutti corrono. Almeno per un …Po. Mi specchio sulle acque del fiume affacciandomi appena appena, stando attento a non scivolare nel pantano dei ricordi, prima di Roma e prima di che…L’affaccio sul mondo, ieri, oggi e domani, civilta’ globale. Lo fa anche una ragazza con due trecce bellissime e due orecchini la fine del mondo. Sorride. La osservo mentre lei scruta il suo viso riflesso nell’acqua: le trecce paiono due corde sul pozzo, il viso solcato dal fiume disegna rughe bugiarde, lei muove il dito, quasi a volersi ridisegnare. Forse non si piace. E’ carina, nei suoi riflessi rossicci. Non avrebbe bisogno di “truccarsi” col dito…nell’acqua. E’ la ragazza con l’orecchino di perle. Lungo il marciapiede accarezzato dall’acqua “vaporosa” siamo in tanti, a truccarci, o mascherarci. Maschere Di Varnevale. Tutti allo stesso istante. E’ Carnevale. “Puff”. Mi e’ passata la voglia di stare fuori. Corro a casa. Bugie a portata di mano…bugie a/tradimento….il che e’ la stessa cosa. Sul tavolo, un libro ancora aperto. Un ricordo, una filastrocca piemontese: “cesa granda campanun ca fa dun dun…” c’e’ posto ancora per una bugia. “Venghino, venghino…”
Sogni che viaggiano
Si parte in “Quarta”
,come spesso capita (ma questa volta, quando si parte, è con Quarta caffè) quando si parte “fisicamente” ma mentalmente si resta, si parte con una tazzina di “Quarta caffe'” ,
leggendo, tanto (ma anche togliendo la virgola, andrebbe bene ugualmente e forse meglio) per ingannare l’attesa, di un treno che porterà indietro, “su al nord”, corpi arrossati dal sole ma non ancora vendemmiati, sorseggiando il caffe’, riposto all’interno del solito bicchierino di plastica, davanti ad una cartina (quella del Salento) ripensando a tutti i trasbordi di bus e treni effettuati, ma non riportati sulla cartina, (luoghi ideali per distendersi e andare a spasso con se stessi) con un paio di sogni in tasca, sperando che diventino realta’: che il treno sia puntuale e possibilmente non cumuli ritardo durante il, suo sfrecciare e, piu’ che un sogno, la consapevolezza che le cose belle debbano necessariamente terminare per lasciare che ne accadano altre ancora più belle. E così sia. E si continua a leggere, di tanto in tanto, il Quotidiano di Lecce nelle pagine dedicate alle sagre, al cibo, ai buoni sapori e ai bei saperi, o letture piu impegnative di tanto in tanto messe tra parentesi per dare una occhiata a paesaggi che continuamente mutano, e che intrecciano passato, presente, futuro.
Letture interrotte da sguardi rivolti oltre il finestrino direzion e spiaggia dove fervono preparativi per le grandi tavolate poste al riparo da catene ininterrotte di ombrelloni. Letture interrotte da un campanellio tipo Standa che reclamano la nostra attenzione per avvertirci che la prossima fermate è…, oppure che nella carrozza tre è in servizio un mini bar. Ma la novità consiste nella prenotazione della colazione o il pranzo. Una signorina percorre il treno,consegna a ciascun viaggiatore una locandina con menù e prezzi, e noi, dopo aver scelto, nel giro di poco tempo possiamo avere il nostro pasto comodamente al nostro…posto. Pagamento anche con carta o bancomat. Vero. Sogni. Alcuni succede che si realizzino (come mostrato da quel 10,5% su 9.000 iscritti intervistati,della ricerca-sondaggio Linkedin che ha visto realizzato il sogno che si aveva da bambini di poter diventare professionalmente un medico, o giornalista, o avvocato o……. ) come ad esempio l’arrivo del treno a destinazione, come capitato ad una delle tante frecce attese a destinazione e precisamente quello previsto alle 21.40 a Porta Nuova, freccia numero 9824, magicamente apparsa a tempo esatto. Non solo puntuale ma addirittura qualche centinaia di secondi prima, in una città, Torino che ha visto due residenti su tre presenti in questo week-end’. C’era una volta l’esodo… Ora sono rimasti i mini esodo, come capita per certi gelati. Questo del 2014 e’ il mini esodo di ferragosto piu’ basso registrato negli ultimi tre anni. Chi lo sostiene? Il consumo dell’acqua. Quindi, rientri per pochi e arrivi in stazione all’ora esatta. Incredibile ma vero se qualche anno fa blog e Stampa scrissero “il viaggio e’ terminato ” (o qualcosa simile su La Stampa) a proposito di una odissea accorsa ad alcuni turisti di ritorno dalle vacanze.
Su quale treno? Il Lecce-Torino. Chissà se si chiamava Freccia Bianca o Eurostar. Detto questo, per chi è rimasto in città le iniziative e gli intrattenimenti non sono mancati. E neanche un pezzetto di “playa” sui Murazzi, un pezzettino di città trasformata in spiaggia, senza mare. Un sogno, sarebbe averlo. Ci resta solo la possibilità di cantarlo, vamos a la playa. Appena partite in città e a Castelnuovo don Bosco (dove era presente il decimo successore di don Bosco, don Angel Fernandez Artime, che ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Castelnuovo) le celebrazioni per i 200 anni dalla nascita di un santo sociale, di un Santo giovane e dei giovani e, restando in tema, di un sogno. Quello di don Bosco.
La mia Torino


La mia Torino, non confluisce a Piazza Vittorio. Viaggia. E parecchio. Si muove, velocemente. Spazia, tra le piazze e le vie cittadine, spesso omettendo famose categorie. Un metro del tutto personale. Anzi, per la par condicio, una metro, personale cittadina. Piazza San Carlo, ad esempio, sembra una conchiglia, e, nelle giornate, o nelle serate di calma, ci puoi ascoltare il rumore del mare, tendendo l’orecchio sulla pancia della piazza, un po’ come erano soliti fare gli indiani. Per sentire e scongiurare pericoli. Spesso ti pare di ascoltare il mare, ma anche l’amore. In piaza San Carlo, ti puoi imbattere in gruppi di anziani che oziano su una panchina, e parlano dei tempi andati, i loro, e di quelli che verranno, dei bambini e ragazzi, che si trovano a passare; non di rado li trovi cantare, accompagnati da una chitarra o fisarmonica. D’inverno, preferiscono i portici, ma quando la stagione si fa bella, tornano in piazza e sulla piazza, come erano soliti fare. Un tempo. Loro, qualche volta un cappello, abbassato con un fare da galateo se passa qualche signora; loro e una bicicletta sullo sfondo, compongono una stupenda cartolina, come a ricordare qualche posto sperduto del sud, ma anche dell’Emilia Romagna o ancora più giù. A volte, anche della Toscana. Non so perchè, ma viene in mente un posticino particolare…Riotorto. Sarà per via delle biciclette. Nei loro discorsi, tanto passato, tanta nostalgia, ma anche tanta bellezza. E grande bellezza sui loro visi. Quelle mani giunte, dietro la schiena, raccontano una storia, passata e scritta da altre parti. Le rughe, una penna che ha scritto e solcato molto sul loro viso. Torni, frese, linee di montaggio, qualche bar, una partita a carte, un cinema, una gazzosa nelle giornate calde, o un bicerin in quelle fredde, e spesso, qualche vanga, dopo il turno di lavoro, in quei piccolissimi appezzamenti di terra che qualcuno, qui, si ostinava a chiamava “le ville”. La villa. Non aveva nulla a che vedere con una stupenda costruzione. Era l’anello di congiunzione, con la loro terra, con il Sud e il mare. Le ville, poste agli estremi della città, là dove non c’erano i grattacieli e la ferrovia era in superficie. Li, si coltivava qualcosa. Da quelle parti, Barriera di Milano, e nei suoi pressi, il fiume, dove qualcuno, d’estate, si avventurava anche qualche bagno. Confluisce molto, a Piazza Vittorio, terra di un Karaoke, un Fiore all’occhiello negli anni ’90, piazza di canto comune e di “lancio”, di qualche macchina. Non era Cape Canaveral. Era Piazza Vittorio. E il lancio, era decisamente buono. Fuochi d’artificio, e magliette, t-shirt, bianche. In Grande. Punto e a capo. Ma non era ancora Grande. Era solo un Punto. Oggi, locali e gioventu’. Senza codini e Karaoke. La Mole sullo sfondo, l’Università e via Po. Con i ragazzi. Che sembra il titolo di un libro. A pochi giorni dall’apertura, del libro in un salone. Con gli auguri di buona lettura. Piazza Vittorio. Il fiume, l’altro, quello grande, dona l’ illusione di essere al mare. Il fresco delle serate estive poi, con la collina e le sue luci è uno spettacolo incredibile. I Murazzi. Dove si vince e si perde. Dove incontri e lasci e quando lasci non incontri più. Non tutto confluisce a Piazza Vittorio. Vie e pertugi impensati, sperduti. Anche una maniglia fa storia, la sua storia. Bussi, e ti si apre un mondo. Non solo una casa. E a Torino, ti senti sempre a casa. Bussi, entri e ti si apre una storia. Marmi lucidi e saloni. Già, il Salone, dove in alcune zone del sud, era il luogo del barbiere, centro di incontri di politici locali e signori. Anche a Torino, esiste, un salone. Anzi. Un tempo, era il Salone. Oggi, la Fiera. Di qui a poco. La Fiera del Libro. Anche se non è dalle parti di Piazza Vittorio. La fiera del Lingotto. Una fabbrica, un centro commerciale, una fiera, e ora anche una stazione della Metro. Ma qui, è un altro viaggiare. Tempo ristretto, al pari di un caffe’, ovviamente, ristretto, in qualche angolo di Torino, nascosto ai piu’ e trovago o ritrovato per caso. Tempi ristretti in tempi moderni, tutto veloce alla ricerca del temopo, perduto, breve. Ristretto il tempo a dispisizione, come il temp di scrittura o per la scrittura, il che e’lo stesso, quando ti confronti con da “tweet” con chi ha tempo libero e man libera di girare “sulla mia Torino”. Tempi doppi, contro tempi sfretti e ristretti. E allora, prendere o lasciare.

L’amore con gli occhi giusti. O con occhiali, giusti
Aspettando il “colore” cangiante della Mole…arrampicato fin quassù, sul monte dei Cappuccini, a “vedere” una Torino diversa, sotto una luce ancora migliore, sensibile, accogliente, solidale, ancora più bella.Mondiale. Con gli occhiali giusti, seduto su di una di queste panchine, che somigliano a tanti altari iinnalzato, si riescono a vedere i confini della nostra città e punti passati della nostra biografia “storica”.Moncalieri, Rivoli, Caselle, Superga, e per ciascuna di queste centinaia di ricordi, che affiorano, lentamente. Questo piccolo monte e’ una lanterna magica, una macchina da presa, e una macchina del tempo. Una macchina che guarda avanti, con occhi nuovi. Ai nostri piedi, il mito della velocita’, qui, qualcisa di eterno, un incongro con noi stessi e con altro. Una piccola processione, con frate in testa, passa cantando. Giovani che mai avresti pensato passare da qui, a pregare e cantare. Il frate alla testa è di quelli tosti. Lo osservo attentamente. Sul suo viso paiono scritti i versi del Vangelo di Giovanni. E cosi presumo che sia. E li trasmette, con le le parole, i gesti, gli esempi. Tra le mani, una Croce”. Immediatamente rifletto sulla cristologia implicita ed esplicita. Chissa’. Periodo di Passione.Sulle panchine qualcuno scarta la sua cena: qualche tozzo di pane, una bottiglietta d’acqua, due chiacchiere, per chi ha poco e nulla più da offrire e di che nutrirsi. Quando la Parola conta.E aiuta a comprendere meglio il senso della parola e interpretare il silenzio di quelle persone che se ne nutrono. Sul cornicione di questa terrazza panoramica che fa tanto balcone di Giulietta e Romeo, coppie che pensano e ripensano l’amore e ridefinendolo finiscono per accoglierlo in maniera migliore. Ah, i contenuti. Da qui, si contempla, e lo si riesce a chiamare e definire in modo migliore, con gli occhiali giusti. Si promettono il mondo, i ragazzi, e gli innamorati in genere e si concedono questo stupendo panorama. E da quassù, uno sguardo alla processione che lentamente termina il suo corso e lassu’, a contemplare, che le cose si spieghino e ce le spieghi in modo diverso. E chi, avvolto in questo cielo torinese c non vedrebbe l’amore con gli occhi giusti? (Non con gli occhiali). Con gli occhi giusti, e gli occhiali, riesci a prendere la vita in modo positivo. Ma quali?Una statua fa ombra, un po’ a tutti. Ma forse, meglio dire, protezione. In lontananza, Superga. Non la si vede molto bene, ma è la, a custodire nitidi ricordi. Il fiume scorre e riflette, luci, vita e amore Lasciata Piazza Vittorio, (dove stazionano degli enormi occhiali Generali) e i suoi locali, sul corso, la villa di un altro “profondo”, “rosso“, diverso da quello di oggi pomeriggio, dopo averlo fotografato e scritto. Dai Cappuccini, la vista è davvero mozzafiato. I Murazzi, le luci, le arcate, il passeggio in un via vai continuo, sotto questo balcone, dall’altra parte del fiume, che pare di rileggere il libro di Alice Corsi. Pagina dopo pagina, personaggio dopo personaggio, universitarie, universitarie, …Tutto così magico. Tutto cosi molto… Passion…Passioni che muovono, anzi, smuovono le persone ad andare oltre.
Torino by night
Alcuni lettori del blog leggendo alcuni articoli precedenti hanno chiesto se era possibile documentare con alcune fotografie, La Gran Madre con i Cappuccini e Piazza Vittorio.
Eccole. Da via Po, a piedi o con il tram storico, verde, il 13 barrato, per poi “approdare” in in Piazza Vittorio, con i suoi bar e i negozi, sotto i portici, e la “fiumana” di gente che passeggiando ne ammira ogni bellezza. Il pavimento che pare lucido, con i binari del tram e le luci che aggiungono bellezza alla bellezza. E poi, sul ponte che unisce la Piazza alla Gran Madre, la visuale del fiume Po, con i Murazzi. Uno spettacolo unico.
Torino by night
Il tram storico, verde, 13 barrato, lentamente si dirige verso il capolinea, dopo aver effettuato un giro intorno alla Gran Madre. Manca il bigliettaio, e sarebbe stata un'”altra storia.” L’uomo, come è stato detto e scritto ” un essere intrinsecamente narrativo“, come un giovane Garcia Marquez soleva ricordare. Siamo tronchi d’albero sulla neve, saldamente attaccati al terreno. Ma le storie, per trovarle e raccontarle, abbiamo tempo. Un’occhiata veloce al grande fiume. Qui, dopo la neve, è tutto a posto. Solo un po’ di gocce, appena accennate nel pomeriggio. In più punti la neve si è già sciolta. I Murazzi sullo sfondo, con le loro luci tipo autostrada; sulla collina, a destra i Cappuccini, lasciandoci Piazza Vittorio alle spalle, a sinistra, molto in lontananza Superga. In via Po, locali “riformulati” e nei pressi dell’Università, dove Palazzo Nuovo sta subendo una bella opera di ringiovanimento, una mano anonima ha postato un “tatuaggio” sulla “facciata” di un palazzo: “c’è chi di indifferenza muore”. Forse ricordando Gramsci: “Odio gli indifferenti“. Indifferenti, il peso morto della storia, palla di piombo e palude…”
Un pensiero rivolto verso Roma e Pisa, dove Tevere e Arno fanno i capricci. O forse, i capricci, li hanno fatti gli uomini, negli anni, disinteressandosi della natura e interessandosi alla speculazione edilizia, costruendo quando era meglio non farlo. Poi, i facili condoni hanno fatto il resto.