Il 28 ottobre ha le lancette nel segno. L’ora legale ha lasciato il posto a quella solare e l’arrivederci è a fine marzo, quando saremo 6 mesi piu grandi. L’effetto è già evidente, lungo le strade della citta’, sotto un cielo scuro e lattiginoso. Il cielo, al tramonto, non è più rosato e setoso e la pioggia ci ha messo del suo per rendere il tutto più “freddo”. I cappotti si muovono goffi, strada facendo, e qualcuno emana odore di naftalina. Alle 18 in punto, il buio. Le luci artificiali della città cominciano il loro lavoro in attesa dell’aggiunta “Luci d’Artista” che prendera il via e vita il 31 di ottobre. Filastrocche e disegni e nasi all’insù ci condurranno ancora una volta a spasso per le strade e le stelle cittadine. Ma il 28 ottobre ha nel segno e negli occhi un cappellino e due “mandorle”, due calci ad un pallone, in una partita mista dal buon finale. Erano bei tempi, avrebbe cantato Vecchioni. Luci a Valdocco. Anni prima di quelle d’ Artista.
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Recanati
Dopo un breve passaggio a Loreto per un ripasso veloce sul significato delle formelle poste sui portali della Basilica (nascita di Adamo, Eva, nascita del lavoro, teologicamente, uccisione di Abele, cacciata dal Paradiso, caduta, ecc. ecc. ), all’interno della Basilica, sulle sibille e profeti, sul Pomarancio e sul Lotto, d’obbligo era il recarmi ancora una volta presso “Casa Leopardi”, a Recanati, città della poesia. C’ero stato un paio di volte ma ad ogni visita aggiungo un pezzetto di conoscenze che per un motivo o un altro non avevo ben recepito nelle passate visite. Solo un dato si è scolpito bene-bene fin dalla prima visita: la quantità di libri letti dal poeta italiano, catalogati dalla stessa famiglia ed esposti al pubblico. Un gioiello, una biblioteca che il papà di Giacomo avrebbe voluto a disposizione di molti. Un’ altra informazione che voglio condividere e ritengo sia utile a quanti si appresteranno in futuro a fare visita. Nel Palazzo che si apre al turista si manifesta con tutta la sua imponenza con uno scalone monumentale, il primo consiglio-obbligo, utile e’ che non è ammesso scattare fotografie. Nel Palazzo infatti (che vede la prima pietra di costruzione, indietro negli anni, ben prima dell’insediamento del Conte Monaldo), al secondo piano, risiedono ancora i discendenti di Giacomo Leopardi. Unica concessione, si possono scattare foto ma fuori dalla finestra della biblioteca, affaccio direzione piazza e casa di “Silvia”. Il caldo è davvero insopportabile e quel piccolo fazzoletto di ombra prima dell’accesso e inizio percorso con visita guidata, ce lo contendiamo in una quindicina di innamorati della cultura e della storia di un grande uomo, poeta, letterato, e della sua grande famiglia. Nell’attesa che si faccia l’ora esatta per la visita, si sconfigge il caldo con tutti gli stumenti a disposizione: ventagli, acqua e ventilatori portatili, di quelli a pila. Si, anche questi, “ventolatoli” con pile a “mandola”. Troppo forti e simpatici. Gli orientali non si fanno mancare nulla, neanche l’autan contro le punture dei “moschito”.
Tra i 12 mila e i 15 mila, letti dal giovane Giacomo, la sua biblioteca, il ruolo dei precettori, il suo luogo di studio e punto di osservazione per la bella Silvia, cioè Teresa Fattorini. “Ah, Silvia… ” morta così precocemente, nel fiore degli anni, quando a quella età, normalmente si progetta, si programma. Ma “a Silvia” era più che altro la necessità di scrivere, 10 anni dopo la morte di Teresa, un giudizio sulle speranze disattese dei giovani. Questa volta non mi sono fatto mancare una visita presso la residenza dei Fattorini (il papà di Giacomo, Conte Monaldo, aveva promosso a rango superiore quello di Teresa, adibendolo a cocchiere di famiglia), la dimora di Teresa (la Silvia), la sua cameretta, i suoi attrezzi da lavoro. “E l’amore? C’era posto per l’amore tra Giacomo e Teresa? ” Chiede qualcuno tra i visitatori. Certamente i due, Giacomo e Teresa, si conoscevano e probabilmente qualche scritto e qualche occhiata ci saranno stati ma… socialmente erano posti su gradini differenti, quindi, probabilmente, niente amore. Anche se il dubbio, a visita conclusa, a qualcuno, resta.
Sabato pomeriggio: auguri sopra-sotto “l’albero”
Sono stato a Torino Porta Nuova, ieri, stazione centrale, o di testa- terminale, ove nell’atrio è posizionato da un paio di anni (sotto le feste natalizie, ovviamente) un maestoso albero di Natale. Tre anni fa, mi pare, avrebbe potuto contendersela con “spelacchia” che “troneggia” in piazza Venezia, a Roma. Oggi, fortunatamente, non è cosi. Questo non è un albero da frutta, e le mele al piu’, potrebbero crescere e raccogliersi poi, in seguito. Ora e’ tempo della semina. Le richieste, fine delle discriminazioni di ogni tipo, felicita’, spensieratezza, un sorriso spontaneo, una carezza “libera” e bella, capace di toccare il cuore, un pensiero ai nonni, e un pensiero e desiderio per tutti: ali per volare tre metri sopra il cielo.
Qui in realta’ non si deposita soltanto. Si lasciano, e si prendono anche, pensieri, propri e altrui. Inflazionatissime le richieste di 30 all’Universita (neanche poter passare un esame), il tema lavoro poi, è presente ad ogni modo. Poi tanto amore
, pace,
voglia di papa’ senza coraggio in fuga, e tanto coraggio di un (o piu) figlio da infonderglielo, purche’ faccia ritorno,
e l’anzianità, ma non di servizio, ma di status single, che dovrebbe aprire al diritto di avercelo, l’amore.
Fermate poetiche
Mi sono reso conto che la “produzione” del blog ha conosciuto una “fermata” da piu’ giorni. Eppure di cose interessanti che hanno suscitato curiosità e riflessioni ce ne sono state. E quindi, “inchiostro”alla penna. E anche di numerose, oltre che interessanti. Capita. A volte. Di rilassarsi e dedicarsi ad altro. Per esempio alla lettura. Per non parlare poi dei “buoni consigli” della scuola. E quest’anno sono davvero tantissimi. Ma partiamo dai fatti da accennare. Dalla “sVentura”, alla panchina Ikea, a livello “nazionale”,
prodotta virtualmente sui social dopo il fischio finale di Italia-Svezia. “Luci a San Siro” spente, o mai accese. Lacrime di Buffon per un viaggio mancato. Lasciamo pero’ tutto cio’ e dedichiamoci alle bici verdi e arancioni che spopolano a Torino (grazie ad una app è possibile prendere a noleggio una bici con pochissimi centesimi e lasciarla non necessariamente in stalli o stazioni ben delimitate come accade per le bici gialle”comunali”. L’importante è non intralciare strade, vie, ecc.ecc.). Nello snocciolare gli eventi, non mi sono fatto mancare un’uscita presso l’oratorio della circoscrizione, ora gestito dai Salesiani, e una breve spiegazione sulla validità del sistema pedagogico del Santo sociale torinese. L’oratorio e il cortile come elementi necessari alla costruzione e conduzione della casa e/cosa comune. Ogni casa salesiana possiede un cortile e una sala giochi. Iniziativa apprezzata e lodata tra giubilo di un pallone che entra in rete, come metafora di una buona vita, ed una pallina che entra nella porta di un calcio balilla. Insomma, un’ora buona e dolce di buone pratiche e una fetta di pane e nutella a condire gioia ed entusiasmo adolescenziale. Le curiosità e le novita’, certamente, sul percorso cittadino, non si fanno certo mancare.
Nuove “fermate poetiche”sono state installate in via Pietro Micca.Difficile accorgersene, dato il frastuono e la confusione cittadina che hanno anticipato “la vigilia” di Natale. Mi fermo, leggo, incuriosito,
rifletto..all’ombra della Mole e di mille luci di luci d’artista.
Tivoli
Pochi minuti alle 9 sotto l’atrio di Roma Termini. Lascio la capitale con il suo azzurro teso che annuncia solo caldo per tutta la giornata. Solita estete romana. I treni vomitano e ingoiano in continuazione e i giapponesi o orientali i tutta questa girandola sembrano essefe i piu’ felici. Ho evitato la coda alle biglietterie acquistando direttamente dal giornalaio i biglietti A/R per Tivoli. Si, ci sarebbe stato anche il bus da Tiburtina, a… e’ fastidiosa l’aria condizionata. Quindi, treno. Binario 11, per Avezzano. Alcune fermate e di queste ricordo Tor di Nona, Bagni a Tivoli e Guidonia. Dopo un’ora, ecco Tivoli. Direzione,
Villa d’ Este, gioiello Rinascimentale. Durante il tragitto, Roma si allontana lentament e Avezzano e Pescara si avvicinano e mi riavvicinano così i ricordi. Il cielo azzurro e’ teso, e la possibilita’ di una nuvola neanche a pagarla. La prima cosa che mi viene in mente osservando il panorama cullato come un bimbo da questa nenis indotta dal treno è “Pane e Vino”, libro di Ignazio Silone. Che bel libro! Forse l’altura con le sue montagne o forse la maturita’ appena conclusa. Di ricordo in ricordo ecco la cittadina di
Tivoli, la collina, a destra e su in cima una croce, la fontanella della stazione presa d’assalto, l’uscita dalla stazione, a destra, la curva, la strada piu’ lunga per arrivarci, alla villa, (la passerela e’ sconosciuta a chi vi accede per la prima volta), poi Villa gregoriana, pero”, no, io devo andare a
Villa d’Este! . Semmai, poi… Biglietto, entrata e… spettacolo affascinante! Le stanze, con tutte quelle pitture, le storie e le 12 fatiche di Ercole, gli stemmi, la mitologia, la cappella Estense, dove il figlio di Alfonso d’Este e Lucrezia Borgia, Ippolito II d’Este intorno al 1550, dove dal suo convento di Santa Maria Maggiore dove era stato destinato, si rese subito conto di come erano lontani i fasti della sua Ferrara…
fino all’incarico per nuovi giardini e fioriture…
Maturità alle spalle
Da ieri, al via gli esami orali. Il corridoio, l’attesa, la tesina sotto il braccio, la camicia di lino e la giacchetta, l’individuazione della sedia, la firma, la penna, e pronti partenza via per l’ultima corsa. Tre piu tre e il Presidente. Ultimi momenti, seduta in classe prima di disperdersi alla ricerca del proprio posto nel mondo. Tesine belle, interessanti, talvolta proiettate, altre no. Matematica, igiene, psicologia, diritto, inglese, storia, italiano, visione delle prove e domanda delle domande o meglio, “il domandone” al candidato: ” e ora? ” E poi, strette di mano, arrivederci, buone vacanze e io “complimenti per la trasmissione”. L’uscita, la porta che si chiude alle spalle, quella della commissione, riunita, e quella del domani che si apre al futuro. Il corridoio, i compagni, l’abbraccio che scarica tutto, tensioni, ansie, gioie e strizza e poi tutto si scioglie, in lacrime o sorrisi. L’accerchiamento al maturando di quanti, in attesa del proprio turno, ancora a porte chiuse, in silenzio ma anche no, domandano: “cosa ti ha chiesto”… e via a rifare l’esame di maturità appena concluso: Svevo e la sua coscienza di Zeno, Verga e il suo rosso malpelo, Saba e Trieste, Pirandello e… e.. La porta si apre, avanti un altro. “Il treno ha fischiato”, avanti un altro. Gli zaini si svuotano di librie lasciano posto alla liberta’ e all’estate che bussa alle loro porte. E la vita continua, cantera’ questa sera Vasco Rossi.
Firenze-Faenza -Bologna
Lasciata Firenze, le sue meraviglie e bellezze, la destinazione e’ Faenza. 100 km di strada ferrata e “quasi mare di colline” e oceano di alberi spogliati e senza parrucca bianca, separano il capoluogo fiorentino con la citta’ romagnola, adagiata quasi al confine con la Toscana. A meta’ strada, un saluto al luogo natio di Dino, (Campana) a quello dell’amore sui con Sibilla, alle rose e al loro “viaggio chiamavano amore”. E uno sguardo quindi al contenitore di tutto cio’: Marradi, terra di sagre e di castagne (tutte le domeniche di ottobre). Un’ultima occhiata a qualche documento, la’ dove studio’ il grande Dino Campana (presso i Salesiani), Istituto non piu’ dei Salesiani e un altro a quel che resta dell’edificio in via di ristrutturazione.
Superato il portone di un antico e nobile palazzo, l’atrio, ecco a sinistra una “manica” dove sono collocate aule, forse luighi per corsi universitari, forse logopedia. Numerose targhe ne ricordano il direttore e i benefattori e ovviamente, il passaggio di Dino Campana
. All’interno del palazzo si apre uno di quei cortili cosi tanto simili ai quelli salesiani, fondamentali nella pedagogia di don Bosco
. A chiedere che ne è stato di tutto cio’ alcuni ne sanno davvero ben poco. Un gruppo di ragazzi si ritrova tutte le sere, nel cortile, un ritrovo, forse ignari di chi era don Bosco. Faenza e’ una bellissima cittadina dotata di una stupenda piazza, “Del Popolo”, colorata al suono di una musica; un loggiato, un Duomo, Cattedrale,
del 1400 (iniziata nel 1474 e terminata nel 1515)circa, il cui vescovo è Monsignor Mario Toso.
Una scalinata, una fontana ed un albero di Natale separano quello della piazza.
Una staffa di cavallo con due porticati e tanti localini uno piu bello dell’altro. Il freddo e’ pungente e nella nebbia ci si perde. Nebbia fitta e luci e dolci melodie si spandono nel centro cittadino. Su molti scalini che dividono porticato e loggiato sostano elfi e babbi natale. A sera la piazza del mercato e’ un posteggio con macchine in sosta per chi ha deciso di consumare la serata in citta’, in centro, scegliendo tra uno dei molti locali aperti. Al mattino, prima di riprendere la strada verso Bologna, non mi faccio mancare una buonissima colazione presso il bar Rossini, gia’ testato in precedenza. Le ragazze del bar sono affabili e professionali. Il locale e’ animato, pur essendo passate da poco le 7 del mattino. Sul bancone fanno sfoggio paste che si presentano davvero buone.
Il cappuccino è servito in un tazzone enorme che andrebbe bene per due clienti. Sui tavolini, ogni tipo di quotidiano aspetta per diffondere a moltitudini di mani le voci del giorno ptima. La Voce e’ uno di questi. Due chioschi di giornali distribuiscono alcune copie di quotidiani a clienti appena arrivati li in bici. Dopo aver pagato e scambiato qualche parola con i giornalai, le bici si perdono, tra le stradine di questa graziosa cittadina. Ma per perdersi, qui, basta davvero poco. Nebbia.
Tutto è famigliare e i rapporti cordiali; animano il centro rare persone a piedi che recuperano il centro della piazza per buttare l’occhio a terra dove luci di ogni colore disegnano chissà cosa di speciale, per poi sparire alla mia vista, verso la lunga via Mazzini, la direttrice che avvicina alla stazione.
La stazione e’ al fondo del viale, subito dopo l’Istituto di ceramica. Il mio treno e’ annunciato. Bologna e’ li che aspetta, come sempre. Faenza e’ bellissima. Ci tornero’. Peccato che l’Istituto Salesiano non esista piu’ dal 1999… Faenza, anni fa la abbinavo ad un treno, una canzone, un viso di una cantante timida, giovsne, una maturanda, degli anni ’90, la Pausini. Ora so che Faenza e’ davvero tantissimo. Molto. Faenza e’..
23 ottobre. Buon compleanno
Fa freddo e piove a Torino. Cielo grigio, plumbeo. Poi smette. La seconda. Mentre resta addosso la prima condizione atmosferica. Dove sei andata a finire, “Bella estate” di pavesiana memoria? N emmanco addosso. L’abbronzatura è lavata via da un bel pezzo. Sfoglio rapidamente il quotidiano. In alto a destra, la data: 23 ottobre 2016. Oggi è un compleanno importante, festa, torta e incontri. La torta e i pasticcini sono della Sida. Porta Palazzo è in festa. Cento anni e li porta bene. “1916” recita la cifra siopra l’orologio della tettoia in questa piazza che era Emanuele Filiberto. Oggi tutto”open”.
Sotto la tettoia dei contadini, dove un tempo stazionava il tram 7, gli studenti del Colombatto, istituto superiore torinese, organizzano una bella attività : cucinano e cucineranno una bella zuppa, un pranzo con offerta libera con un occhio e una mano tesa alle popolazioni terremotate.
Non e’ obbligatorio mangiare ma un’attenzione del cuore, questo si, che sarebbe necessario. Nelsettore coperto, gli stand sono aperti e in festa e la gente compera e assaggia quanto i commercianti offrono in piattini abbondanti e curati.
È festa, sotto l’orologio della tettoia. Per la fiornata sono programmate letture e poesie, a due passi da qui, a Borgo Dora, vicino la Holden. Occorre osservare. Attentamente. Col cuore.
22 ottobre 2016
Fa freddo. Il convegno su adozioni, affido, bes, dsa ecc. volge al termine. Una lunga giornata trascorsa seduto su una delle tante poltrone di questa aula magna (di un grande Istituto di Scuola Superiore), cartellina in una mano, come tutti, e biro stretra in pugno, teso ad ascoltare specialisti e non, che restituiscono esperienze personali, socializzate dal palco, su adozioni, affido e crescita famigliare-scolastica-sociale negli anni nei vari ambienti scolastici con altri esperti a “snocciolare” dati e disposizioni normative e linee guida. Sotto la Mole e a due passi da questa, appena fuori da qui, una “fabbrica scuola” a volerla guardare nella sua non indifferente “mole”; un po’ di ore che scorrono via, veloci, inframnezzate da una piccola pausa, cercando sprazzi di luce, per far pace con le emozioni; nel pomeriggio, nella sala attigua il barista pulisce la macchine del caffè facendo fuoriuscire grandi getti di vapore:”sffffff” intento alla pulizia del macchinario che sbuffa e cosi lui, mentre ripone nello scaffale le ultime tazzine di una giornata lunga, come i molti caffè “lunghi” che da dietro il banco ha servito per ore. Chissa’ quante storie avra’ sentito raccontare e se a qualcuna in particolare ci avra’ prestato l’orecchio. Perche’ si sa, “per certe cose, ci vuole orecchio, anzi parecchio” (Jannacci). Entro, qualche attrezzo di pulizia ‘stazione’ nel limbo, segnalanudo all’attenzione, quella esterna nel movimento e quella cognitiva (“ehi, guardate che qui si chiude). Ci sarebbe posto per un ultimo caffe? “Si”. Così mi accingo alla cassa, ne ordino uno; lo scambio è immediato: euro contro scontrino e la risultante di questa “transazione” e’ il mio caffè. Giro il capo verso sinistra e oltre le scope un corridoio a croce. Una giornalista su di una panchina del corridoio appena fuori dall’aula magna sembra stia “confessando” una delle “attrici” del convegno. Sorseggio e termino ripensando alle cose da fare. Recupero l’uscita velocemente. Respiro, cambio un po’ d’aria. Dall’altra parte del corso, sul viale, il tram doppio, arancione ha appena richiuso le porte centrli”bam”nonostante le guarnizioni in gomma, “sfiuuuu” e la ripresa lenta grazue al pantografo lo muove verso Porta Palazzo. Le signorine appena scese sono carine e incappottate e si dirigono a puedi verso il centro con l’aria di chi la sa “universitaria”. Hanno chiome a coda di cavallo, occhiali da studentesse e ridono e muovono il capo come se stessero ripetendo frasi di alcune canzoni. E mentre parlano o cantano sorridono smuovendo la coda. Le chiome degli alberi invece sono di altra bellezza nell’esporre le loro prime modifiche “cromatiche”. L’autunno ormai ha lasciato le porte ed è entrato a tutti gli effetti dentro di noi. C’era una volta, qualche mese fa e anno fa (nel senso di scritta da Cesare Pavese) “La bella estate” ormai terminata. Domani è domenica 23 ottobre. Una giornata ricca di storia: non perdiamola. A Porta Palazzo d’ “ora” della festa, di “sguardi diversi” poetici e belli.
Nel frattempo recupero Feltrinelli per gli ultimi scampoli di questo “Sabato pomeriggio”, a cavallo tra la poesia, la musica e il religioso.
Perugia, buongiorno
Perugia, buongiorno! Per amare veramente una città “non deve essere madre ma amante” scriveva Pavese. Così scriveva Cesare Pavese sul suo diario; Pavese, langarolo doc e innamorato del capoluogo torinese con i suoi km di portici, ideale per passeggiare in qualsiasi condizione atmosferica. Cosi leggiucchiavo tra le mazzette dei vari quotidiani presenti ieri su uno dei tantissimi tavolini, in uno dei bar perugini, dalle parti dell’Università . E allora amiamola questa benedetta citta’, afosa ma insieme opera d’arte, musica, da ascoltare e citta’ ancora da leggete con libri da scambiarsi. Ora, il capitolo di questo viaggio volge quasi al termine. Ma momentaneamente. Certo non si finisce mai di conoscere una persona, una cosa, una città come una disciplina ma Perugia mi è decisamente piaciuta. Fin da subito. E molto anche. È davvero una città giovane. Universitaria e universale. In esposizione. Le cose che mi resteranno dentro sono tantissime (e certo ho già messo in conto un ritorno) ma oggi per questo blog mi soffermero’ sulla descrizione di cose… “perugine” nel senso di… più… leggere. In parte (bacio, scritta muraria, bici). Come la sua metro, appunto (Fontivegge, stazione ferroviaria, Cupa, destinazione),
. Estate, “aperta per amori” fin dall’adolescenza, con l’affiorare della soglia del desiderio e quindi, tempo di baci e bacio che non sia il classico, al cioccolato.
E quando l’amore cresce qualcuno trova anche tempo e modo di dirlo apertamente e scriverlo gridandolo sui muri cittadini che poi l’amore è vita e altro non si possiede (“ha” nelle intenzioni dell’autore, frase però già brevettata e cantata nelle Chiese).
E quando “l’amore c’è ” o è ci si mobilità. Tutti. E’ l’elogio della mobilita’. In bici, in due senza mani, parcheggiandola poi chissà dove, anche sul muro se necessario.
E se poi non fossero disponibile, bici e muro, bhe’, in fatto di mobilità qui la sanno lunga anche se in… “mini”.
Perugia è davvero giovane ed il titolo lo merita tutto. Quale? Capitale italiana dei giovani 2016.
A parte questo e’qui presente una importantissima e conosciutissima Universita’ per stranieri. E poi qui davvero tutto potrebbe essere arte. Vederla e metterla da parte.
E ascoltarla, perché qui è musica dolce
. Molto.
Anche Perugia, la bella statuina della fontana ci ricorda l’importanza delle arti. E anche la lettura fa la sua parte o due. O in due. E poi, non e’ questa la patria di Sandro Penna? E poi, qui, il tempo è nostro. Dimentichiamoci l’orologio.
E allora, che dire? Buon viaggio e… visitate Perugia.
Ora colazione… giornali. E… andare. Ultimissima cosa. Qui a Perugia…