L’atmosfera, a Torino, città dei tre fiumi, magica, un tempo della Fiat e di tante altre cose, non è delle migliori, e il clima, neppure. Eppure è ancora il tempo in cui, uscendo fra la vie ed i mercati cittadini, riescono a “scontrarsi” le “t-shirt” contro cappottini, cosi come avviene, in spazi ristretti tra le bancarelle dei mercati della 7, (circoscrizione), uva e fichi d’india contro castagne. Profumi a confronti, tra quel che è stato e quel che sarà. Dal fondo delle tasche, recupero nebbia, che avvolge personaggi sfumati, come ritagli di pagine di libri, romanzate, perché si sa, chi non legge, non avra
vissuto abbastanza e chi legge ne avra
vissute mille, di vite, e cosi, capita in quel che era il Borgo del fumo, ora Vanchiglia o Vanchiglietta. Il gazometro mi crea ancora una volta la vaga illusione di un ciondolare perenne nella grande bellezza di Roma, nel tempo vuoto, mio, da riempire, al suono melodico di Baglioni, Claudio, e dei suoi racconti trasformati in dolci canzoni e canzoni dolci, distribuite in pasto all’amore. Un tram, arancione, della serie 28, mi riporta qui, lontano dalla capitale, ad osservare quel carrozzone di ferro che carica e scarica la sua umanità, ogni 250 metri circa, per kilometri e kilometri,da corso Tortona fino alle Vallette, zona periferica conosciuta per quel che è venuto dopo le Nuove. È quella che avrebbe dovuto essere la metropolitana leggera, inaugurata nell’ottobre del 1987 e generata con la famosa “griglia” del maggio 1982. Dove saranno andati a finire i famosi “trenini” con le tanto strombazzate 8 porte? Cosi li chiamava mio nonno: “ciao, vado a fare un giro col trenino” e avrei voluto tanto andare con lui mentre ero con la testa china sui mastrini e al suo dire non dicevo e rispondevo nulla continuando a non capire ancora nulla di partita doppia, di dare e di avere. A ripensarci, e l’ho fatto proprio tanto, potevo andarci con lui, perché tanto, al suo ritorno, i conti, proprio non mi tornavano mai, e ora, che da una vita, il nonno non c’è piu, quei maledetti conti continuano a non tornare, perché in fondo, forse, per non farli tornare, avrei potuto benissimo andarci, ed essere cosi in attivo, almeno in affetto. Del trincerone che “spacca” in due Torino se ne parla ad ogni tornata elettorale con le macchie colorate del giorno dopo: prima rosse, poi rosa, poi gialle, poi verdi, poi chissà. Sono i colori del consenso. Del carico umano e delle periferie, poca cosa, invece, col passare dei giorni. Poi l’Universita, che sembra una nave, o un’astronave, e ogni volta che ci passo, ha il viso di un’estate caldissima, finita troppo tardi e in malo modo, colpa di un albero e di un black out di fine settembre. A pensarci bene, senza quell’albero svizzero, quell’ estate sarebbe ancora continuata fino ad oggi, forse insieme ad un viso di donna. Di quell’ estate però ci restano i condizionatori e le avvisaglie e i figli di un mondo diverso che era possibile. Oggi li trovo in classe, di tanto in tanto parlano di Greta ma non vogliono il voto perche la maggior parte sisente ancora piccola. Altri rispondono:’ma lo abbismo chiesto?” E in sottofondo, altri, senza criterio, vorrebbero sottrarlo, il voto, ai saggi. Ma non è la sola cosa che alcuni grandi , ma non della terra, e nemmeno di un condominio, vorrebbero sottrarre. Questione di coscienza.
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Città aperta
Torino, città delle piazze. Una, fra le tante, o meglio, tutte, se pensate per tutti, Piazza delle medaglie, della gente comune, e da appuntare alla gente comune, che pero’ non gareggia, in uno sport, ma nella vita, a cercare il posto giusto, ma senza competitività, che sciopera, per un domani migliore, per sé, e per altri, talvolta, e si ritrova qua, dopo un lungo corteo, gente che esce dall’Università, e talvolta luogo delle studentesse e degli studenti, che manifestano per i tagli, alla scuola, e qualcuno ne è uscito col dito ammaccato, gente che esce dagli uffici, da scuola, da messa, dalla bellissima Basilica di San Lorenzo, che passeggia, che si innamora, si rinfranca cercando una panchina…che esce dalla Regione….Piazza che installa e gente che si installa. Quando poi, scuola, lavoro e amore confluiscono, come il primo di maggio, è l’apoteosi. Giapponesi e non, sempre con la macchinetta fotografica alla mano e gente che è alla mano. Una piazza nel cuore sempre aperto di Torino. Panchine, libri e giornale cittadino sempre aperti. Coppiette, con trancio di pizza, “focaccia ligure“, quella comprata sotto i portici, o in alternativa, parole, miele, che non è mai troppo, e amore. E’ sufficiente. In lontananza le luci di via Roma e via Po, e via Pietro Micca. Da qualche zaino, di qualche scolaresca, di tanto in tanto, fuoriesce un pallone. Per brevissimi istanti. Ma la piazza è un “quadro” e tale si conserva, e folle di turisti e residenti, sono in coda, per vedere. Una “Sacra famiglia“, come tante altre che girano, qui intorno. Raffaello intanto, osserva con occhio fermo e si lascia osservare. La piazza va fotografata, conservata, “mostrata”. Un pallone, dicevo, talvolta, data la dimensione, è già “fuori”, come il pallone-occhio. Il pallone mongolfiera, e i suoi “mongolfolli”, che staziona a Borgo Dora e che ricorda come siano sempre attuali i livelli di vita; quando il cielo è pulito, si riesce a vedere anche il Sud, e il suo mare, e la sabbia di velluto. Da lassù, Torino: una grande bellezza. Ma occorre anche “stare dentro“, e questa piazza aiuta, a godere di ogni piccolo istante, anche una semplice camminata, la lettura di un libro: una mindfulness. Un “pallone” tirato troppo forte e troppo in aria, ridiscende velocemente, alle spalle di Piazza Castello. Ma, una mano, è pronta ad accoglierlo. Le mani, solo talvolta sono piene. Non mancano mai, nella gente comune, le mani tesi, aperte, pronte all’accoglienza. Città che accoglie. Che ci prova, ad amare. Città che resiste, e che per questo, la sua medaglia, questa si, d’oro, alla Resistenza, la detiene e la conserva. Città aperta. Torino.