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Ma “quale lavoro? ” e “1956”

torino-21-11-2016-foto-borrelli-romanoDalla fermata Lingotto alla scuola di amministrazione aziendale il passo e’ breve.  In via Ventimiglia si accumulano foglie secche e ricordi vecchi,  fuori e dentro la Saa,  scuola di amministrazione aziendale. 20161121_121820Era da un po’ di tempo che non assavo da queste parti,  la metro non c’ra ancora ma M. e M. c’erano.  E c’era pure la neve! E forse pure “Gliz”.  Altri tempi.  Il tema dovrebbe essere il lavoro e l’Europa. A due passi da qui,  il “tempio”,  il Lingotto a 5 piani dove lavoro’ mia madre all’assemblaggio del “fiorino”. L’elica,  la pista,  la cassa,  la ristrutturazione,  il lavoro che migra, il lavoro che manca,  il chiosco dove mio padre comprava le  “super brioches” dopo aver accompagnato mia madre per il primo turno. Profumo di dolce e fatiche. Lingitto,  la “bolla”,  lavoro.  E qui da noi? Dopo Agorà di sabato,  il lavoro.  Saa. C’era una volta una lei,  anche qui,  al corso di economia. Incontri e lezioni. Di vita,  d’amore. Competenze,  conoscenze,  alternanza lavoro. Ci sarebbe da scrivere e forse innescare una dialettica ma… Quel che serve e’ cercare di restituire qualcosa ai maturandi della mia scuola.  Il lavoro,  gli operai… Un’oretta di convegno tra politici,  parlamentari,  funzionari e studenti. Esco,  no pienamente soddisfatto tra studenti e studentesse chini su libri,  appunti,  evidenziatori tra le dita. torino-polo-900-foto-borrelli-romano Nel pomeriggio,  una lezione sul ‘1956 torino-21-11-2016-foto-romano-borrellipresso il polo del ‘900: relatore,  professor Giovanni Carpinelli.  E qui è  tutta un’altra. . . storia.

Tempo

Torino, Piazza Statuto. Foto, Romano Borrelli.Tempo. Che passa velocemente. Nove anni, la prova per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali. Qui, a Torino. Passion lives here. Tempo, più recente. Mattarella Presidente della Repubblica. Che fa, “Big snow”, neve su Torino (fiocchi che si son fatti strada lentamente tra minuscole goccioline d’acqua), l’influenza che si prende il suo posto affianco al mio e riempie i “pronto soccorso” (o i letti: chi non ha un conoscente in questo periodo che a domanda”come va” ci risponde, “a letto, con l’influenza”), dal petto un colpo, di tosse, nel petto, una passione nel tempo, e tempo di dolce Sida, “dolce, in principio, fin dal mattino”  per  i 99 di Torre Giuseppe, il più anziano sacrista salesiano, forse d’Italia.Torino 3 febbraio 2015. Per i 99 anni di Torre Giuseppe. Foto, Romano Borrelli Tempo. Che passa. Di riflessione. Ne rivorrei un pochino indietro. Di tempo. Che sarà. Dolcezza che verrà. Tempo al tempo. Intanto, che tempo fa?

ps. Auguri di buon anno ai cinesi.Torino, Piazza San Carlo sotto la neve. Foto, Romano Borrelli

Torino 2015

Torino 1 gennaio 2015, Lingotto, foto, Romano BorrelliAl risveglio Torino è capitale europea, dello Sport. Torino 2015. Torino 1 gennaio 2015, Lingotto, ex mercati generali, foto, Romano Borrelli Nove anni dopo le Olimpiadi. Torino 2006, Torino e le notti bianche, Torino e la passion.  Il tempo corre, velocemente. Qui sopra, si corre. E i maratoneti domenicali anche. Un apasserella che sovrasta un’area grande 17 mila metri quadri a ridosso della ferrovia. Era Torino 2006, arcate piene, oggi vuote, domani probabilmente “poli” universitari pieni. Svoltato dietro l’angolo, mogio mogio, l’anno appena trascorso si e’ trasformato in un archivio personale e non solo, di ricordi. Davanti, pagine da scrivere.Torino 1 gennaio 2015, Lingotto, foto, Romano Borrelli (2) Una passerella unisce il centro commerciale 8 Gallery (appello: si possono rimettere in sesto, nell’ordine, ascensore, che presenta le porte aperte, il sensore di una porta che continuamente apre e chiude la porta tra il centro commerciale e la balconata che da verso la passerella e la passerella stile aereoporto-tapis che non funziona) e quindi la fermata della metro (una Pinacoteca, Agnelli,  una pista) agli ex mercati generali e Piazza Galimberti (oltre, le montagne).  Torino 1 gennaio 2015, Lingotto. Foto, Romano BorrelliE poi, via Giordano Bruno. Qui, una città nella città, anni addietro. Muletti, camion, gente. Il giorno era la notte e la notte era il giorno. Lavoro, a volontà. Mercati, che ricordano un film. Di  tanto in tanto si ha l’impressione che le linee della giardinetta e della Lancia siano ancora in funzione (ora  tutto in un archivio, http://www.lingottoierioggi.com), invece, è il rumore di alcuni  Eurostar, fermi, che ricaricano le pile, per una nuova corsa, metropolitana d’Italia. I treni, sotto la passerella, sfrecciano, alcuni, rallentano la marcia , in prossimità della stazione Lingotto. Altri, a ricovero, pronti per una marcia pendolare lungo la dorsale tirrenica o adriatica. In fondo al fascio dei binari si nota la facciata di Porta Nuova. Oltre, la torre di Piazza Castello. La ricerca di un bar, per un caffè, si fa affannosa, ma con un risultato. Poco lontano da qui, un po’ di Sud, un po’ di Lecce. Sarebbe stata un’accoppiata vincente tra sport e cultura. Invece…Come si sa, la cultura è andata a Matera. Va bene ugualmente. Torino 1 gennaio 2015, Lingotto, passarella. Foto, Romano BorrelliMi accontento di un buonissimo caffè ed un pasticciotto che per un attimo fa scordare freddo e gelo. Per pochi istanti sono in Salento.Torino 1 gennaio 2015. Un caffè...leccese a Torino, corso Orbassano 96, pasticceria Elba. Foto, Romano BorrelliUna buonissima pasticceria leccese, Caffè Elba, in corso Orbassano 96,  a Torino. Non sono sicuro ma forse La Stampa ne fece una recensione. La pasta frolla è davvero ottima e così la crema. Ci si puo’ trovare di tutto, delle bontà salentine. Basta andarci. Pochi metri di Salento incastonati lungo un corso dove un tempo sferragliava un tram diretto al Comunale. Sorseggio  il caffè.  Alla parete, un orologio, cattura la mia attenzione.  E’ uno di quei tanti che si possono notare a Lecce. Una Q.Torino 1 gennaio 2015, pasticceria Elba, corso Orbassano 96 b, Torino. Foto, Romano Borrelli Non staccherei mai ” di dosso gli occhi”. Come ipnotizzato vedo il mare, il sole, la terra rossa. Il caffè pero’ ha fatto  il suo onesto lavoro. Mi ridesta. E’  ora di …correre. E’ quasi ora di pranzo. La maratona  di tale tipo, in questi giorni, è piuttosto lunga.

Un giro per Torino

Bellissime immagini nel Cuore di Torino.Davanti alla sede del primo Parlamento Subalpino. Piazza e palazzo avvolti da un pallido sole di ottobre.  Immagini, visi partecipanti di una Terra Madre, un evento biennale  che porta (e portera’  sotto la Mole, a Lingotto Fiere, dal 23 al 27 ottobre) a raccolta, qui, a Torino,  allevatori, contadini, pescatori, agricoltori di tutto il mondo. In una atmosfera quanto piu’ possibile, equa, pulita, giusta. Un evento iniziato una decina di anni fa, al palazzo del lavoro. Un incontro biennale gemello e parallelo al Salone del gusto. A Palazzo Nervi ricordo quel primo appuntamento di Terra Madre20141010_174222, dall’altra parte della via tagliata dal “18” e dal tram 1, oggi “interrata” con la metropolitana torinese, il palazzo del lavoro che fu, con i suoi piani, la sua pista, e le piste che sarebbero arrivate, a Cinque Cerchi. Passion lives here.  passion lives….”livid…” there. Oggi, Un centro torinese  davvero in fermento. Librerie piene, i portici pure. La carta, da qualche giorno, e’ tornata al proprio, domicilio, traslocando domenica sera, dai portici. Via vai continuo in quelle che sono corsie dello shopping o del solo buon osservare. Vasche su vasche e fontane in piazza Cln con il, Po e la Dora che osservano tutto questo lento incedere. I tram sferragliano,  portando ora di qua ora di la, gente talvolta distratta, comunque leggera, da sabato pomeriggio, senza tanto stress addosso. Ci si parla e confronta. Con tanta intesa. Quella un po’ opaca, a mio svantaggio e  per pochi altri che invece e’ rimasta attaccata al tram. Il futuro e’ un buco nero in fondo a un tram, cantava Jannacci. Senza 59 nell’intesa, tutto come prima. A gruppi le discussioni da bar dello sport, ma mica poi tanto, che accompagnano  ogni movenza  sono quasi le stesse, il tfr, tutto, dell’ultimo anno, al mese, accantonato al bilancio o al fondo e chi al fondo vorrebbe mandarcelo. In fondo in fondo. In lontananza sembrano puntini e solo nei loro pressi ci si rende conto che hanno eta’ diverse fra di loro ma con argomenti in comune: saggezza e meglio gioventu’ a braccetto e quest’ ultima reduce da una giornata, quella di ieri,  di manifestazione e corteo per reclamare davvero una buona scuola. Gioventu’ con sopraciglia piegate ad arco, preoccupate, angeli  custodi sopra i figli, i loro occhi, che scrutano il mondo e le sue bellezze. Occhi grandi, di ogni colore, vulnerabili, belli. Occhi nocciola, capelli intrecciati, insieme ai ricordi, tenuti fermi da una penna che non scrive più, e tempi e modi ne definiscono la sostanza delle cose. Ancora, partito liquido, con tessera, senza tessera, comitato elettorale, sfoltimento dei contratti e contratti a tutele crescenti. Articolo18. Ma quando tornera’ questo benedetto lavoro? il lavoro. Fosse un film o un libro, si chiamerebbe la tenuta, ne sono certo….poco distante una coppia canta “io senza te, tu senza di me”…Tutto come prima. Sembra una giornata da libro, o da libri, con “il passato che e’ in me”. In effetti, un giro lo avevo fatto, nel cuore di Torino, per un libro. Era da un paio di giorni che ripetevo come un mantra, e mi ripetevo che “un giorno devi andare”. In effetti il libro scelto,  riguarda una tanto attesa, “Attesa di Dio”, di Simone Weil. Ora non mi resta che sfogliarlo. A casa, pero’.
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Il dopo-cena in bianco

Torino, piazzetta reale. Foto, Romano BorrelliArchiviata la cena in bianco,  tutto e ognuno sono ritornati a propri   posti, a Torino. Anzitutto.  Uno, nessuno, centomila. E…anche gli 11 mia autoconvocati. Tutto pedala come di consueto. Lavoro, studio, esami. In tantissimi ne parlavano, ne discutevano, questa mattina. Della cena di ieri. In positivo e chi con sufficienza. In ufficio e a scuola, tra una tesina e l’altra, la cena in bianco era l’argomento ricorrente e più richiesto. Tra i ragazzi. Film, musica e colonna sonora erano identici. All’interno dell’aula, film e protagonisti mutavano trama e narrazione. Il film della maturità continua coi suoi…tempi.

Dopo le feste dei vicini, la festa in bianco. Occasione per tornare in piazza. Le notti, bianche, c‘erano già state. Già con Dostoevskij e poi in periodi Olimpici. Ora, per la par condicio, con gli eventi sportivi, qualcosa di bianco, ha vestito la nostra città in tempo mondiale.  Da poco, infatti, si sono attivate le cene. Forse è  stata un’occasione, un’iniziativa di tipo culturale  per ricostruire qualcosa. Riconnettere un sentimento. Penso sia una buona iniziativa. Osservare alcuni gesti come lo spezzare il pane, dividerlo, condividerlo e accompagnarlo con formaggi, salami, prosciutti penso sia stato un condimento di semplicità. Perché no allo scambiarsi delle ricette? Perché no gustare dei cibi ricchi di sapere dei quali non ne conoscevamo neanche l’esistenza? Perchè non trovarsi o ritrovarsi? Perché vestiti di bianco? Va bene, proviamo a cambiare colore. L’anno prossimo andiamo vestiti come ci pare, senza autoinvitarci. Lasciamoci libertà, ma torniamo a parlarci, a scambiare opinioni, idee.  Magari su più piazze. Torniamoci, comunque, in piazza. Rendiamoci protagonisti. Non puo’ che essere un bene, dopo anni di isolamento davanti la tv, dove il potere è stato nel telecomando. E indietro tutta già ci diceva come sarebbe andata. A terminare.  Andiamo avanti. La maturità sforna giorno dopo giorno quasi maturi.  Una volta usciti dall’aula, chi conta, crediti su crediti, chi pensa all’Università e chi pensa alle vacanze. Altri, solo a dormire. Maturità è…quando la sedia si esalta per aver sentito Quasimodo, Pascoli, Ungaretti, Verga, esposti bene, benissimo. Vero, verissimo. Verismo. Ma maturità è anche quando la sedia, cade dalla sedia per aver collocato Stalin prima di Lenin. Decadente, decadentismo. La caduta. E dopo esser caduta, protagonista la sedia,  insieme ai punti dei consumi, dell’inflazione, dei posti di lavoro, sentirla dire, con un impeto di ribellione: “Non Pos-sumus”. Gia’. il pos per i pagamenti. “Dazio” lo paghera’poi. Il povero ragazzo non aveva il bancomat con se’.   Magari all’universita’, Candeloro di storia alla mano. Sedia, povere. Povera sedia. Vorrei alzarla, incoraggiarla, provarle a dire che in fondo, era solo emozione. “Son ragazzi. Il resto è andato tutto bene”. E poi, male che vada, esiste, come in tutte le scuole, “un luogo sicuro” dove si depositano gli oggetti smarriti. E questo andrà a finire li dentro. E così le cadute. Lo sgabuzzino, esiste, e forse il deposito che raccoglie per nove mesi oggetti perduti, anche. Parrebbe, dopo la lettura di un bellissimo libro, che quel posto esista davvero,  situato a Parigi. Ma, ripeto, idealmente, è presente anche nelle nostre città. E di sentimenti, ne è davvero pieno. Nessuno se ne accorge. Dei demoni altrui, nessuno ne vede.  Lasciati incustoditi, poi, fanno sempre una brutta fine.  Qualcuno pero’, di tanto in tanto se ne ricorda e passa a riprenderseli. I ricordi. Come nulla fosse stato. E forse poteva essere tutta un’altra storia.

Lettera 28. Continua…

 

 

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Torino. Monte dei Cappuccini. Romanticismo notturno.

Il caffè, quel caffè, era il nostro rifugio.  La piazza e la stazione nella quale aspettavamo un treno, il nostro treno. Due luoghi, due spazi, fulcro della vita culturale. Non era la nostra vita quotidiana, ma ci provavamo, a farla diventare. Nostra.  In tutti e due i luoghi, i  libri ci accompagnavano. Sempre. Ci aiutavano nella nostra libertà. Loro incontravano noi e noi incontravamo loro. E ogni incontro, un’esperienza unica. La loro con la nostra. La nostra e la loro. Con loro in nostra compagnia, superavamo confini e saltavamo angoli che la realtà ci costringeva o meglio, ci costringeva a vivere in luoghi angusti, e lavorare con un “abito” non nostro. Ma fortunatamente, come lo storico della domenica, ci scrollavamo di dosso molto, del passato, dall’ultimo incontro a quello nuovo. Torino era nostra. Piazza Castello, al pomeriggio. In lungo e in largo. Mano nella mano.  Avevamo vinto lo scudetto. Il nostro. Una giornata di festa e tripudio. Festa, cori, trombe e bandiere.  Uno scudetto appuntato sul petto, al termine  di un campionato. Era l’andata. Il ritorno sarebbe stato più duro. Come tutti i ritorni. Una trasferta lunga, con il fattore campo che certo non aiutava. Ma intanto, quello, era il nostro scudetto. Laureatici campioni, in piazza, a festeggiare, come dopo un esame. In un campionato a due. Lo scudetto, quello nostro, era l’abbraccio e le mani intrecciate. Le trombe, due cuori esultanti. La bandiera era un enorme foglio bianco sul quale scrivere la storia. Il tamburo, il nostro cuore. Un cuore solo, fuso. La nostra storia. Piazza Castello, per l’occasione, e per tutte quelle a venire, diventava, o meglio, ridiventava la Medal Plaza. E noi, orgogliosi, la appuntavamo, sul nostro petto. Da li, ai Cappuccini, occhi gettati verso l’alto e da qui, a Superga. La città era nostra. Ai nostri piedi. Il ritorno, lento ma veloce. Uno sguardo all’orologio. Il tempo passa. Troppo velocemente. La riconquista della Piazza. La scelta del caffè, del bar, per l’aperitivo.  Cosa che avremmo ricordato, il giorno dopo, in stazione, prima del congedo. Due mani, domani,  formeranno un cuore.  L’umor acqueo, fornirà l’inchiostro. Le dita, saranno i tasti, per scrivere qualcosa che non si puo’ dire in poco tempo, in pochi secondi. Quel tamburo continuava ad emettere lo stesso suono. A distanza. Di tempo.  Il treno, velocemente veniva  inghiottito dalla galleria cittadina. Cominciava il girone di ritorno. Tum, tum, tum…il cuore batteva il suo tempo e questo non ne rallentava mai quel battito.

 

Oggi, come allora, piazza Castello. Sul porfido, la lettera 28, batte gli ultimi tasti.Torino 18 ottobre 2014. Foto, Romano Borrelli Ultime lettere.  Ancora una lettera. Per continuare. A sognare. Il foglio bianco, la nostra bandiera, ormai è divenuto testo scritto. Le dita, le mani, solo apparentemente si distaccano. Le dita, battono e scrivono una storia. Questa piazza sembra, a quest’ora, ha le sembianze di  un bel visino. Occhiali, frangetta e occhi neri, sono quelli di Marina, che così “ricama” la sua storia. Io l’ascolto e la regalo ai lettori.

“Una coppia porta a spasso il suo segreto, nello spazio aperto di Piazza Castello, che induce a prendere fiato per fare un profondo respiro, per un lungo sospiro. Aria di libertà, il sole ravviva i colori e definisce i contorni, la temperatura, mite, rilassa i muscoli (compreso il cuore). Mi piace pensare che quelle mani non siano perfettamente aderenti, che non ci sia il vuoto fra di esse, ma che contengano il frutto dell’amore dei due, il frutto che si portano a spasso nascondendone il sapore al pubblico pur rivelandone la bellezza. E’ questa delicata esibizione di un sentimento, rispettosa del confine fra la dimensione pubblica e privata dello stesso, che suscita in me tenerezza. Strappandomi un sorriso e un pensiero, su quell’avanzare nella piazza come nella vita in due, distinti e diversi, ma l’uno accanto all’altro. Lui non colma le mancanze di lei, lei non colma le mancanze di lui, ma lo attraversano insieme, il vuoto che ognuno si porta dentro. Stando accanto. Anche quando l’amore è attesa e manca la routine per cui si conservano come reliquie oggetti, foto, libri che oggettivano la presenza, l’assenza, di lui o di lei. Basta poco per ritagliarsi un momento di poesia nella giornata. Alzo gli occhi al cielo, lo stesso cielo. Calpesto la stessa terra. E mentre le due mani intrecciate spariscono all’orizzonte in me rimane un retrogusto dolce, di qualcosa che fu, di tutto l’amore divorato, mai assaporato, mai restituito. Vita, torna da me, cavalcando la primavera.”

La Mole allo specchio di un Palazzo Nuovo

DSC00317Davvero curioso osservare la Mole allo “specchio“, nella facciata di una “fetta” di quello che un tempo era Palazzo Nuovo, (ma ancora oggi, chissà perché, continuano a chiamarlo “Nuovo”) oggi, ri-Nuovo-ato. Rinnovato. La Mole, una vecchia signora, sempre bella. Imponente. Luogo di storia, di cinema e di amori del cinema o più semplicemente di amori. Che salgono e che scendono. E altri che si perdono. Alcuni si rinnovano, altri sfioriscono come una “rosa”, altri  si specchiano  un po’ come la Mole domandandosi a che punto siano. Amori infuocati, come quelle poltroncine rosse poste all’interno della pancia da “due centesimi”.  A volte crescono diventando una stella, altre volte, quando va bene, ne faresti un bottone. “Specchi” nuovi e teloni, quà e là a coprirne i lavori. Studentesse e studenti in uscita da un liceo vicino. Studenti alle prese con i tomi universitari, all’uscita dall’atrio di Palazzo Nuovo. Profumo di tesine e tesi, fresche di stampa, ma lunghe nei tempi di elaborazione. Argomenti importanti. Tempo investito nella ricerca, ritagliando quà e là quel poco di tempo che era possibile.  Insieme alle notti, accorciate anch’esse, dallo studio, nelle notti estive già corte e ricolme di pensieri. Tempo breve, ricavato a ” cavallo” tra lavoro, lezioni, e fatiche varie di ogni tipo.  Qualcuno recita una poesia, osservando  il gioco di specchi. Una poesia dolce. Pare una preghiera. “Sii dolce con me. Sii gentile. E’ breve il tempo che resta. Poi saremo scie luminosissime. E quanta nostalgia avremo dell’umano. Come ora ne avremo dell’infinità. Ma non avremo le mani. E nemmeno guance da sfiorare leggere. Una nostalgia  d’imperfetto ci gonfierà i fotoni lucenti. Sii dolce con me. Maneggiami con cura. Abbi la cautela dei cristalli con me e anche con te. Quello che siamo è prezioso…”. Il resto della poesia, mi è sfuggito.  A tratti, in quello specchio, è passato un pezzo di vita.  Un pezzo di noi. Un pezzo di altri. Un pezzo di chi preferisce questa poesia ad altra “musica”. Il tempo passa. Altre Olimpiadi invernali si sono aperte…quanta Passion lives ancora here… DSC00316

Cartolina di Carnevale da Torino

Immag005DSCN2841Due cartoline da Torino, in una giornata particolarmente fredda. Neve in prospettiva. Così sostengono in molti, per lunedì. Sette anni dopo Neve, Gliz e le Olimpiadi invernali. Scuole, per la gran parte, chiuse, in queste vacanze di Carnevale. Concorsone a cattedre rinviato, causa tempo. Naso all’insu’, direzione Mole, dopo aver osservato piacevolmente alcuni volumi freschi di stampa di prossimi laureandi.

Una occhiata con prospettiva diversa per il monumento torinese, prima che venga ripulito del suo “gioiello”, del suo collare.  Scrutarla mi  rimanda al fatto, positivo, che al suo interno,  Museo del Cinema, alcuni lavoratori son riusciti a spuntare, dopo molte fatiche, l’agognata l’assunzione. Tempo determinato. Altri, giu’, al Sud, dopo un periodo di “ristrettezze economiche” e riammessi “di diritto”  a tornare al proprio posto,  hanno creato una cassa di resistenza con la differenza tra quanto percepivano prima, in cassaintegrazione e quanto percepito ora, con il reintegro, chiamata “eccedenza” da destinare ai bisogni altrui.  Forse solo una tradizione operaia, “radicale”, riesce a creare circuiti di solidarietà. Si potrebbero creare tante casse di resistenza, “eccedenze”, in altre posizioni lavorative. Fiom insegna.  Battiamoci per un recupero dell’articolo 18. Per quanto riguarda il nostro contratto, o la nostra stabilizzazione, siamo ancora in mezzo ad una strada. Privati della nostra dignità.  Sulla strada, che pare il titolo di un libro, del ritorno, pensando un po’ a Ulisse, rammento il senso del viaggio. Una bicicletta, (e il suo scampanellare) non la mia, ormai sulla strada del mare, “persa” nella nebbia ingoiata insieme ad altro, mi ridesta: “occupazione” di pista ciclabile. Piu’ avanti, osservo il Bicerin. Non mescolare…Tre strati, da gustare, dolcemente con le sue differenze. Su di un biglietto, una frase di Kant:  “Rispetta sempre l’umanità in te e negli altri come un fine e non usarla mai come un mezzo”…in un mondo che conosce grandi quantità di “geni”….Penso al carnevale, con le sue giostre, sempre in movimento. E le maschere che in questi giorni si confondono meglio. Piatti enormi di bugie con spolverata di zucchero a velo. Dolce che nasconde l’amaro. “Non mescolare”, mi ripete e mi ridesta ancora dall’altra parte del bancone la signora.