Faro Giuseppe, il suo lavoro, la sua storia

Dalle vetrine e dalla porta di uno dei tanti negozi storici (e non solo) incastonati in una delle piazzette più belle di Torino, fuoriescono, suoni, saperi, musiche antiche e attuali, sapori, “testi” che hanno scritto e continuano a farlo, in un lento fluire di eventi, la storia di una famiglia all’interno di altra Storia: quella di Torino e altro ancora. Ognuno di noi è portatore di una storia personale, unica, autentica, originale. Portatore di relazioni, buone, costruttore, anche di pace, a volte basta un sorriso.

Il negozio e artefice della storia da raccontare, provare a descrivere, è la Macelleria Faro ed il protagonista è il sig. Giuseppe, proprietario di quella, insieme ai figli: la storia di una famiglia prima che di una impresa famigliare. La Storia più grande vede il negozio situato su uno dei lati della piazzetta, un “fazzoletto” di terra che rasenta la rotatoria dove fa capolinea, ora, il 13, rotatoria, attraversata la quale da una parte si raggiunge Villa della Regina e dall’altra verso piazza Vittorio. Po, Piazza Gran Madre, che raccoglie la Chiesa stessa al termine della piazza Vittorio, la “più elegante, grande, bella, d’Europa”. Così si dice. Attraversato il ponte, la “magia” della Chiesa, i Cappuccini con le sue luci da una parte, Superga dall’altra. Insomma, un posto bello, adagiato su alcune grandi bellezze torinesi, dove il lento fluire del fiume Po, la distesa di una lingua di parco, un tempo ex zoo, foltre la lingua e nastro d’asfalto, che divide piazza e piazzetta, fanno da cornice al bel quadretto della macelleria in questione. In questo periodo, poi, luci, atmosfere natalizie, strade pedonalizzate, lento fluire, incedere di ragazze, ragazzi, ora a caccia di qualche capo a buon saldo e gente di ogni età, che curiosando, camminano, fanno pensare, a ben socchiudere gli occhi ma munendosi di una buona dose di immaginazione, di essere catapultati in una piccola Betlemme, città del pane, come nutrimento in tutti i sensi, e della carne. Pane e carne, antico e nuovo per fini teologi, Già, perché il negozietto, una vetrina, una porticina fanno pensare immediatamente ad una boutique della carne, accessibile a tutti. Un luogo, un negozio, che semplicemente e brevemente descritto è la macelleria Faro, “di padre in figli”. Una piccola bomboniera della carne prossima a diventare o entrate nella storia. Il sig.Giuseppe, infatti, il giorno in cui Torino (e non solo) è in festa per il santo sociale, don Bosco, festeggerà i suoi 70 anni e tutta una vita al lavoro.

Difatti, l’entrata nel mondo del lavoro e’ al ritmo di una delle canzoni vincitrice al Festival di Sanremo con “Ragazza del Sud” , di Gilda, e difatti Giuseppe è anche lui, ragazzo del Sud, terra ricca di aranci e oleandri, e dotati, Giuseppe, di grandi speranze nel cuore, distributore di grandi sorrisi a chiunque incontrasse (e incontra) ancora nella sua “storia”. E pure Giuseppe, la vince

Nei suoi occhi di ragazzo, di quegli anni, 1975, dimorava la speranza, con uno sguardo sul futuro appena iniziato e radici ben piantate nel suo presente È un apprendista, in negozio lontano da qui, e sul lavoro è come si diceva allora “un macellaio fatto” (in realtà si diceva “finito” ma il termine suonerebbe male davanti a chi ha contribuito e contribuisce ad erogare storia e dispensare sorrisi). Lontano lavorativamente, ma qui, in questo borgo ha la sua residenza

Intorno alla piazzetta, alla piazza, dentro la città e attorno a Giuseppe, in quegli anni, tutto rumoreggiava. Cortei, scioperi, rivendicazioni salariali di sapere: la richiesta di scuole per gli operai, e di una moltitudine che molto aveva da dire, dare, avere, col proprio lavoro. E Giuseppe, rifletteva, osservava imparava anche lui, da loro, dal suo lavoro, nella fame di sapere, lavorava e contribuiva a scrivere la storia, nel suo piccolo, diventato sempre un po’ più uomo. Ancora oggi ritiene che un apprendista debba imparare o saper “rubare” il lavoro: postura, piede, braccia, mani, taglio, ascolto, sorrisi. Mima il tutto, mentre in uno di questi giorni in cui il negozio è chiuso e lavora, dietro al bancone, per prepararlo al grande rientro, lunedi10 gennaio. Si addobba il negozio, si smontano alberi e presepi. ” Così e cosi”, mima, mi descrive e lavora davvero mentre io scrivo e ammiro un uomo da una vita al lavoro. Il tutto, negli anni in cui Giuseppe cominciò, in una Torino che forse già non cresceva piu ma che vedeva lontano, e forse neanche lo pensava, quel che molti oggi chiamano ” inverno demografico”. E mentre fuori le contestazioni riguardano anche i rapporti padri-figli all’interno delle università, (chissà, forse cosi per Bobbio figlio-padre, Revelli foglio-padre), Giuseppe, “per amore del padre” e assoggettarsi alla sua richiesta, forse poco richiesta ma molto “invitante” ” trasloca” e muta residenza lavorativa; si trasferirà qui, dove lo troviamo ora, alle dipendenze di un “padre-rigido, Alessio-Pietro, ma buon maestro” come si diceva allora. Nel 1981, il sig. Alessio Pietro, si risolse a cedere, a titolo definitivo, dopo 6 mesi di “coadiuvanza” il suo negozio proprio al sig. Faro Giuseppe, che da quel momento in poi, riprenderà a quella “benedetta primavera” che in qualche modo gli cambiò definitivamente la vita. Certo, “tu cosa fai stasera” non poteva essere una canzone adatta a lui, col carico di responsabilità che si apprestava a ” caricarsi sulle spalle”. Ma i risparmi c’erano, la volontà pure e la voglia di lavorare, anche.

Dal 1985, l’amore per il suo negozio, attività è tale che punta tutto sul colore della proprietà anche dei muri. “Se mi innamoro sarà di te”, insomma, o ricchi, o poveri, o entrambi. E così, dal 1985 è anche proprietario di quei muri di quella che è una bella boutique della carne.

Oggi, a sua volta, Giuseppe è coadiuvato, dai 2 figli, Alberico ed Emanuele (Edoardo, il piu grande, anche, prima degli studi universitari) e supportato dalle cure, attenzioni, suggerimenti della moglie, Emanuela, che, guardate un po’, e’un amore nato proprio a due passi da qui. Faccia a faccia. Snocciolare nomi di clienti conosciuto sarebbe ingiusto verso alcuni e ingeneroso verso altri. “Tutti sono uguali e s tutti devo dire grazie in egual modo”. Un pochino come quando si è ospiti di qualcuno. Appena usciti da quella casa che ci ha ospitati, ciechi e muti bisognerebbe diventare, per nobilitare proprio coloro che ci hanno accolto nella loro dimora. Le storie sono tante, originali, uniche, tutte da rispettare.

Caro sig. Giuseppe Faro, per gli auguri, abbiamo tempo.

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