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È tornato il 3

Finalmente è ritornato il 3 tram! Arancione no, verde! Come una volta, bei tempi. Ogni volta che lo prendo o lo osservo nel suo lento fluire, andare e ritornare, ciondolando come le borse, anzi, carrelli spesa stile traslochi sopra il metro, penso a tutte le analisi sociologiche e politiche e articoli di giornale che ne hanno fatto sul suo “corpo” metallico. Soprattutto, dopo le elezioni. Avrebbe dovuto essere una metropolitana leggera (c’erano, prima,di queste “scatole” arancioni dei bei tram che sembravano trenini ,con 8 porte e che ora avrebbero contribuito decisamente a stare tranquilli senza alitarci e respirare addosso! E chissà se sono abbastanza distanti e chissà se….Chissà che fine avranno fatto quei jumbo tram!) quando Torino vestiva la 54 ed era piu larga e corposa (ora, dopo la cura dimagrante, sarà
arrivata alla 48 ma veste saio alla francescana, nelle sue tasche, penuria di lavoro) ma non lo è stata: rovinarono con la griglia, un bel capolinea, su una collinetta quando era il “2”, e poi, per non farci mancare nulla, rovinarono lasciandolo al suo destino, pure quello del 3, con le scuole superiori li vicino e una caserma. “Cosi ridevano”, film) raccontava una Torino anni ’60 proprio da queste parti. Negli articoli di giornale ci raccontavano questo lungo tragitto e dei profumi di frutta e verdura che trattiene-tratteneva il 3, passando da porta Palazzo, a cominciare dalle angurie di Brindisi. È tornato il 3, ci sono le macchinette rosse per fare i biglietti, nel qual caso avessi dimenticato il biglietto. Poi, il gazometro che fa tanto Roma Ostiense, il campus universitario e dalla parte opposta, Palazzo Nuovo, che di nuovo aveva poco, in realtà e la Mole si specchiava addosso, e gli studenti si che….come i lavoratori che presenziavano agli ultimi corsi del giorno: diritto del lavoro, sociologia, sociologia del lavoro, economia internazionale, poi, il rondò, un altro rondò, della forca, Valdocco, zona ospedali, il trincerone e poi di corsa verso….dove c’era il Delle Alpi. Così ridevano…il tre, prosegue la sua corsa, verso zona Delle Alpi, ma li non gioca nessuno e nessuno canta…

“I miei martedi col professore” (M.Albom)

Due mesi dagli inizi delle lezioni e dal primo suono della campanella a.s. 2019/2020.  Tutti insieme, con e senza zaini, come immagini di Topolino: Puff puff, pant pant e “Pfi”, Uda, debiti, crediti..Dum dem dum….Non so esattamente cosa stessi facendo trenta anni fa tra un passaggio di tv e l’altro, a vedere ragazzi della nostra eta a cavallo, su di un muro, ad abbattere confini, ma sicuramente nel frattempo ero impegnato in qualche “mastrino” da poter chiudere per il giorno dopo, come una chiusura di partita doppia e dare e avere  e mai pensando di ritrovare alcune cose, oggi. Detto detto. Il muro di Berlino crollava e noi, studenti, ragazzi, ne avremmo parlato per molto tempo, molti anni. Al Ginzburg,  libro di storia contemporanea, economica, sociale, con una ruota su di una pagina bianca,  quella iniziale, ne sarebbero state aggiunte molte altre,  negli anni successivi.  Oggi. Il calendario di “Frate Indovino” rammenta che ricorre la festa   della Dedicazione della Basilica Lateranense.

Oggi. Libro. Lettura. “I miei martedi col professore” di M. Albom. Non conoscevo libro ed autore. L’ho appena terminato. Matita per stenografia, Tirone, di quelle del mio biennio di ragio”, per sottolineare le parti piu importanti. Una conoscenza casuale, un suggerimento, un consiglio e onestamente dalla lettura del titolo pensavo ad altro. Il titolo mi piaceva  e  molto. Rimandava ad una sorta di ricevimento, di quelli, tanto per intenderci riservati alle tesi, alle code in qualche piano di Palazzo Nuovo con la conesgna di un capitolo nuovo e la restituzione di quello vecvhio, corretto dal professore o suo assistente. Quindi, incontri finali, prima della discussione finale. La tesi o tesi, difatti, c’erano nelle pieghe del libro,  di quelle gia discusse. Qui, si parla di una nuova tesi.  16 anni dopo una tesi in sociologia  un ex studente laureato incontra il suo professore.  E quale incontro! Mi è  piaciuto molto e lo consiglio. Nelle pagine del libro ho avuto modo di reincontrare situazioni, luoghi,persone a me care, per esempio, mio padre. Ne consiglio la lettura. Difficile trovarlo, ma si riesce. Ne ho prese alcune copie, da donare a persone care. Un libro, una pista di discussione sulla religione, religioni, valori e temi importanti. Che affrontiamo tutti noi. Prima o poi.

Al via i saldi

20190706_183738Ieri, 6 luglio, son partiti i saldi ma lo “sciamare” e la caccia al miglior pezzo al costo piucontenuto non mi è  parsa  una attivita` così inflazionata. Ma solo impressione, magari la realta è  andata e andrà diversamente.  Alccuni negozi sono stati impegnati in un extended play, cosi mi riferiva A. che oramai ha in mano il polso della situazione di molti negozi o catene della nostra città. 6 luglio, via i saldi e via le discussioni di laurea, dopo le sedute di maturità. In tanti, ragazze e ragazzi, in questo periodo, 3 volumi sotto il braccio e sotto un sol leone, li vedi avviarsi, scarpe lucide e vestiti e vestitini, incapsulati all’interno di bus e tram, o a piedi, verso  altro rito di passaggio, quello che “In nome del popolo italiano si è  dichiarato dottore in….” E a proposito di discussioni, di tesi, di laurea, in tutti quei volumi ricchi di storia e di storie, qualcuno la fa, riscattandosi, aspirando al salto e al balzo di un ascensore sociale fermo. E quando il tram li espelle, in quei posti che fino a pochi secondi fa li conteneva, e raccoglieva, pare sia rimasto un alone di qualche riga di quei volumi in pelle blu,  ricchi di  storia che valeva davvero la pena chiedere ed ascoltare. Un 6 luglio, in qualche tram, devo aver ladciato anche io qualche riga della mia…una giornata calda e torrida, calzini bianchi, scarpette, giacca blu e camicia, e tante cose da raccontate ad una commissione. In una oretta circa…

22 ottobre 2016

Fa freddo. Il convegno su adozioni,  affido,  bes,  dsa  ecc. volge al termine. Una lunga giornata trascorsa seduto su una delle tante poltrone di questa aula magna (di un grande Istituto di Scuola  Superiore),  cartellina in una mano,  come tutti,  e biro stretra in pugno,  teso ad ascoltare  specialisti e non,  che restituiscono esperienze personali,  socializzate dal palco, su adozioni,  affido e crescita famigliare-scolastica-sociale negli anni nei vari ambienti scolastici con altri esperti a “snocciolare” dati e  disposizioni normative e linee guida. Sotto la Mole e  a  due passi da questa,   appena fuori da qui, una  “fabbrica scuola” a volerla guardare nella sua non indifferente “mole”; un po’ di ore che scorrono via,  veloci,  inframnezzate da una piccola pausa,  cercando sprazzi di luce,  per far pace con le emozioni; nel pomeriggio, nella sala attigua il barista pulisce la macchine del caffè  facendo fuoriuscire grandi getti di vapore:”sffffff”   intento alla pulizia del macchinario che sbuffa e cosi lui,   mentre ripone nello scaffale le ultime tazzine di una giornata lunga,  come i molti caffè  “lunghi” che da dietro il banco ha servito per ore. Chissa’ quante storie avra’ sentito raccontare e se a qualcuna in particolare ci avra’ prestato l’orecchio. Perche’ si sa,  “per certe cose,  ci vuole orecchio,  anzi parecchio” (Jannacci). Entro, qualche attrezzo di pulizia ‘stazione’ nel limbo,  segnalanudo all’attenzione,  quella esterna nel movimento e quella cognitiva (“ehi,  guardate che qui si chiude).  Ci sarebbe posto per un ultimo caffe? “Si”.  Così mi  accingo alla cassa,  ne ordino uno;  lo scambio è  immediato: euro contro scontrino e la risultante  di questa “transazione” e’ il mio caffè.  Giro il capo verso sinistra e oltre le scope un corridoio a croce. Una giornalista su di una panchina del corridoio appena fuori dall’aula magna sembra stia “confessando” una delle “attrici” del convegno. Sorseggio e termino ripensando alle cose da fare.  Recupero l’uscita velocemente. Respiro,  cambio un po’ d’aria. Dall’altra parte del corso,  sul viale,  il tram doppio,  arancione ha appena richiuso le porte centrli”bam”nonostante le guarnizioni in gomma,  “sfiuuuu” e la ripresa lenta grazue al pantografo lo muove verso Porta Palazzo. Le signorine appena scese sono carine e incappottate e si dirigono a puedi verso il centro con l’aria di chi la sa “universitaria”. Hanno chiome a coda di cavallo, occhiali da studentesse e ridono e muovono il capo come se stessero ripetendo frasi di alcune canzoni. E mentre parlano o cantano sorridono smuovendo la coda. Le chiome degli alberi invece sono di altra bellezza nell’esporre  le loro prime modifiche “cromatiche”. L’autunno ormai ha lasciato le porte ed è  entrato a tutti gli effetti dentro di noi. C’era una volta,  qualche mese fa e anno fa  (nel senso di scritta da Cesare Pavese) “La bella estate” ormai terminata. Domani è  domenica 23 ottobre. Una giornata ricca di storia: non perdiamola. A Porta Palazzo d’ “ora” della festa,  di “sguardi diversi” poetici e belli.

Nel frattempo recupero Feltrinelli per gli ultimi scampoli di questo “Sabato pomeriggio”,  a cavallo tra la poesia,  la musica e il religioso.

Il ’68… a Palazzo Nuovo

torino-palazzo-nuovoUn’inflazione di quotidiani,  tra le mani,  sotto le  braccia,  ad inizio autunno in vista dell’estate della maturita’ 2017. Questo il mio corredo  verso scuola, insieme a libri e agenda,  con gli appuntamenti dei consigli di classe e dipartimenti. La Stampa mi induce al ricordo della colazione dai nonni materni quando durante l’estate la trascorrevo in anticipo sui miei e quando i nonni la sfogliavano a 1200 km da dove si stampava. Ma possibile che mio nonno dovesse comprare La Stampa di Torino abitando nel profondo Sud? Dalle parti di Lecce? Lui la preferiva,  come Enrica,  la signora anziana che invece abitava sotto casa,  che pero’ era torinese e abitando a Torino,  alle 14 scendeva sotto casa per comprare l’edizione pomeridiana: “Stampa Sera”. E io puntualmente scendevo a sfogliare il tutto. Ogni pomeriggio. E ogni pagina,  Enrica mi raccontava pagine di Resistenza,  avendo fatto la partigiana,  qui,  a Torino. E le fabbriche,  il biennio rosso,  il ’68… La Repubblica invece mi ricorda una ragazza che anche lei come la Melloni,  ma poi se e’ la stessa non importa,  aveva una frangetta e un piccolissimo neo e la comprava al sabato,  all’uscita da scuola,  quando al liceo,  il sabato era d’obbligo. Pur non vedendola,  quella casa,  ho introiettato talmente alla perfezione i suoi racconti,  che nella casa di suo nonno è  come ci fossi stato pure io,  a sfogliarlo,  quel giornale,  insieme a lei,  a due passi dal mare. E ogni volta che la compero ritorno alla maturita’. La sua. E alle sue letture,  divenute un pochino anche mie. Giocando a nascondino,  tra una riga e l’altra. Non so perché,   ma i ricordi divengono prepotenti e si affermano tra le aule di Palazzo Nuovo,  all’incrocio tra lettere e filosofia,  all’uscita da un’aula dopo un corso sul ’68. Forse perché  Palazzo Nuovo ha segnato la mia storia,  o forse per lettere,  o filosofia,  o per via di questa Repubblica sotto il braccio. O forse per la fame. Di sapere. E di amore. Per il sapere. Che non abbandona mai.

Per chi suona la campanella

11-9-2016-torino-foto-borrelli-romanoI quotidiani nelle edicole di oggi e la tv ci informano e ricordano l’ 11 settembre: del 2001 e del 1973. Le torri gemelle e Allende,  il Cile.  Il terrorismo in diretta e il golpe in Cile.  “Cosa facevo nel 2001? “Avevo un esame,  uno degli ultimi,  ma appena seppi cosa stava capitando accesi la tv,  come tanti altri in quel momento.  Mi inchiodai li davanti,  affondando sul divano,  incredulo,  stupito,  davanti a quelle immagini e tanto orrore. Quanti morti. Di li a poco capi anche che il Movimento no-global avrebbe subito una battuta d’arresto. E così la nostra libertà  di movimenti.  Stop.  E cosi fu. Guardai. Ancora. Spensi la tv. Chiusi la porta. Scesi velocemente con il libretto universitario a sinistra e col mio Nokia a destra chiamai M. per raccontarle e accordarci per la sera.  Mettemmo da parte incomprensioni e litigi e parlammo e lei mi raccontava durante il mio tragitto. Mi avviai verso Palazzo Nuovo.  L’esame… Poi ripenso a oggi,  a domani. Una targa dalle parti di Porta Susa mi dice “qui De Amicis scrisse Cuore”. La scuola. E così siamo arrivati alla vigilia del suono della prima campanella di una lunghissima serie: trilli da 50 minuti che accompagneranno milioni di ragazz* e professori tra passioni,  felicita’,  didattica,  competenze,  sapere,  conoscenze. Visi nuovi e conosciuti,  qualcuno assonnato altri reattivi,  altri abbronzati,  altri innamorati: ansie,  aspettative. Passione,  fantasia,  obiettivi. Chi ci sarà  e chi sarà altrove. Si racconta che il Principe di Conde’ abbia dormito profondamente…. beato lui. Certo non cerchero’ la merendina da mettere nella cartella come il mio primo giorno di scuola,  quello delle mie elementari,  e domani  non sarà mica  tempo di vendemmia come allora o del dopo Santo patrono d’Italia, appena trascorso a casa,  come un tempo accadeva al primo suono della campanella;  resta comunque dentro,  certo,  la stessa emozione di quel giorno.  Tra discussioni degli ultimi giorni sentii bisbigliare “noi,  che dalla scuola non ce ne siamo mai andati… “.  Che dire,  Buon inizio di anno scolastico,  2016-2017. E’ stata una bella parentesi estiva,  “una bella estate”,  iniziata in treno leggendo Pavese,  una ragazza seduta su di un treno affollato diretto verso il mare disegnava  il suo futuro. Una bella matita. Domani incontrero’ altri disegnatori. Buon viaggio. In questo Paese di santi,  navigatori ed eroi.20160911_193910

ps. i libri estivi sono stati davvero ben scelti. Un pochino caro quello su “Quale Francesco” (Chiara Frugoni).

Da Torino…Genova

Torino 19 luglio 2015. foto Borrelli Romano. Dai CappucciniMi piace. Molto. Salire e risalire o scarpinare fin qui sopra. I Cappuccini. Meglio di un caffè, troppo caro, rispetto ad altri luoghi o città. Così dicono. Battutaccia a parte, da quassù Torino è ben visibile e riconoscibile in ogni suo luogo, piazza, monumento, nonostante i lavori “Torino non sta mai ferma“,  nonostante il calore, il risveglio di certi colori e ricordi e nonostante certa musica resti ancora nell’aria, nonostante il tempo:  ne vale davvero la pena impregnarsi di sudore e avere Torino tra le proprie mani. Il Valentino, i Murazzi, la Mole, fino in cima alla sua stella appena sotto la stella, dentro la sua pancia, dal 2000 come in un museo, l’ascensore, il terrazzo panoramico e la stella sopra, il museo del cinema,  le sue poltrone rosse, la Gran Madre, il tram storico, con l’idea che il tempo sia sospeso, come una storia d’amore, sospesa, e ancora Superga, il terzo Botellon  nella nostra città, l’ultimo appena concluso per festeggiare il termine della sessione estiva, degli appelli universitari, l’avvio verso il mare, le vacanze, la libertà: tutti e tutto avvolti in questo luglio afoso.

Da quassù si rilegge volentieri la storia, anche la propria, con Palazzo Nuovo sullo sfondo, il quarto piano, le aule di storia, le discussioni e le tesi. E si ricorda Genova per noi. Genova 2001. Genova e il G8.  Genova e i no-global. Un altro mondo era possibile.  Un altro mondo è possibile. Correva il 19 luglio 2001 quando il tutto aveva inizio. Si poteva scrivere …Poi…il termine. Degli studi, il prof. Carpinelli, una tesi, la sua discussione. Genova. Per noi. Per sempre. Poi, col tempo, un blog…Torino dai Cappuccini, 19 luglio 2015. Foto, Borrelli Romano

Artisti e luci. Luci d’artista

Torino 1 novembre 2014. Il Comune. Foto, Romano BorrelliUna Torino in clima di festa, oggi, a Torino, prima che si accendessero…”le luci”…Poi, festa continua…Torino. Il Municipio. Luci d'Artista. Foto, Romano Borrelli 19 per 17, installazioni per edizione numero. Da Porta Nuova, piazza Carlo Felice, il ritrovo alle 17.15, una “scia”luminosa le accendera’ una per una al passo di una maratona. Mi trovo davanti   al Comune, il Municipio di Torino, dove solo qualche metro piu in la esiste un piccolo porticato  e vi “stringeva la pancia”il 50  (bus) prima di riprendere il, suo normale percorso.Torino. Incrocio via Milano con via Garibaldi. Dove una volta passava il 50. Luci d'Artista. Foto, Romano Borrelli Alle spalle. O davanti, il che e’ lo stesso, un piccolissimo bar, di quelli che ci ambienteresti un film o bellissime pagine per un racconto. Bar dove confluiscono impiegati terminato il loro lavoro, oggi come ieri, più ieri che oggi, a dire il vero, dove nella Torino degli anni ‘ 70, una impiegata poteva incontrare di sfuggita il suo amore ed esternarlo con delicatezza, per un giovane militare, riuscito a scendere velocemente da quel camion   proprio grazie   a “quella pancia” che ne rallentava l’ andatura, dell’automezzo.Torino, incrocio via Garibaldi-via Milano, Luci d'Artista, foto, Romano Borrelli Potrebbe chiamarsi l’amore di Laura per Mario. Una storia d’amore e di un amore che viene da lontano, dagli occhi piccoli ma curiosi ed entusiasta per un mondo nuovo. Chissa’ che la penna….Scrivere e’ nascondere qualcosa diceva Calvino, per essere poi scoperto da qualcuno. O forse lasciarlo nel mistero. E a proposito di libri,  proprio qui, l’amico Juri, che nelle intenzioni di molti avrebbe dovuto risiedere qui, dove ora il 50 e nessun altro bus si stringe la pancia, ha appena terminato il suo, di libro. Cerchi. Che ricordano quelli olimpici. Figure geometriche.Torino 1 novembre 2014. Foto, Romano Borrelli

A tratti sembrava di esser tornati a frequentare le scuole medie: “una circonferenza inscritta...”. Cerchio nel cerchio all’interno di un altro cerchio, in muratura.  A vederci ancora meglio, ci si potrebbe vedere un paio di occhiali, e un…neo. Il neo della luna.  Non nascondo il fatto di aver pensato anche a Gramsci. Il suo viso, i suoi occhialetti, il suo pensiero per farlo confluire, di cerchio in cerchio in cerchio, in ogni conversazione possibile.  L’universita’ e i suoi anni, Palazzo Nuovo e Scienze Politiche, la politica e la militanza (no, non sto scrivendo di Gentiloni, da pochissimo “all’estero”, anzi, agli Esteri) le lettere e le lettere dal carcere. Di Gramsci. E il cerchio e il pensiero inevitabilmente mi portano alla musica della poesia, “Nel cerchio di un pensiero”, di Alda Merini, scomparsa proprio in una giornata come oggi, il 1 novembre 2009.  Qualche negozio aperto, fiume di gente e caldarroste in abbondanza. Per le strade e per le case. Molti infatti conservano l’ abitudine “di quando c’era la zia” di ritrovarsi in casa raccolti intorno ad un tavolo e, per chi la possiede ancora, vicini ad una di quelle stufe antiche, per cuocere castagne e condire storie di altri tempi, lasciando scivolare via il tempo in armonia. Per le strade inoltre, non mancavano fuoriprogramma, ancora con i costumi di ieri addosso. E un paio di bravi musicisti. Anzi, artisti. In via Garibaldi.Torino. Via Garibaldi. Luci d'Artista. Foto, Romano Borrelli Le luci, si accenderanno solo… “più tardi”…dopo la corsa. Anzi, durante. Strada facendo.Torino 1 novembre 2014. Via Garibaldi, caldarroste. Foto, Romano Borrelli Luci al seguito, torce o pile, in attesache durante il cammino si faccia luce, sopra e davanti. Luci, luce, sembra tornare al punto di partenza anche se a quest’ora il percorso e’ ormai ultimato. Alla poesia di Alda e  alla sua “santita’: bisogna essere santi per essere anche poeti”. Il caos ci abita, la poesia gli conferisce un suo ordine. Torino 1 novembre 2014. Foto, Romano Borrelli.Torino 1 novembre 2014. Foto, Romano Borrelli (2)

Domani niente scuola

Torino 27 giugno 2014. Maturandi in attesa. Foto, Borrelli RomanoMaturità. Quanta ansia tra le scale della scuola  e quella sedia. Proprio quella, in quell’aula.  L’ultima “seduta”  anche se le domande mai prenderanno riposo. Dopo tanto allenamento, di lunga durata (un lustro) è arrivato il “giudizio finale”. Domande. E’ bene porsele sempre, le domande.

Ansia nella notte prima degli esami, per la prima valutazione da insegnanti esterni, mai visti. Ansia per la prima volta in cui ci si mette in gioco e  si parla in pubblico. Poi, ci si siede, lì, su una sedia che è stata di tanti e tutto svanisce. La Mole Antonelliana e l’Università distano poche fermate di tram, da qui.  L’anno prossimo, in quel Palazzo, o nel nuovo campus, in  molti avranno già sostenuto tantissimi altri esami e quello di oggi, di questi giorni sarà derubricato a ricordo. Per molti, sbiadito, sarà stato un semplice  esamino. Per altri invece si presenterà lungo il corso degli anni e busserà, senza chiederne il permesso, cogliendoci a sorpresa  durante il meritato riposo. Molti si sveglieranno dal terrore di essere a giugno, quando magari nel momento in cui si dorme è dicembre o gennaio, vetri appannati e riscaldamento a tutto andare. Ci si sveglierà sudati, freddi, pensando di  non aver studiato bene, con cura, o di dover ancora cominciare a leggere. Tutto. Molti sogneranno un commissario o un presidente di commissione che domanderà al candidato  quanti grassi contiene un latte intero, uno parzialmente scremato e uno scremato. E in tanti  saranno perseguitati da quel 3,5% davanti ai supermercati o una semplice latteria. “Ma se intero  ha 3,5%  di grassi quanti ne conterrà invece  uno parzialmente scremato?” E poi, dopo aver smaltito questo incubo, questo passaggio a ritroso, porsi la domanda: “Ma non è che per caso merceologia non si studia piu’?” Per non parlare poi della composizione del vino. Chissà in quanti, già maturi da anni, ricorderanno durante qualche cena di famiglia,  o una rimpatriata presso una bocciofila, la composizione del vino. Ne guarderanno l’etichetta, la bottiglia, il grado alcolico. Un’attenzione fissa, una fotografia alla bottiglia e all’annata. Di maturazione. Pardon. Di maturità. E allora, compariranno “in alto, in piedi, gli stangoni, accovacciati e seduti. Ai lati, i ct di classe che li hanno accompagnati alla matura” con il solito ritmo: “mi ci si nota di più se vado o non vado, o se dico di non andare e poi ci vado?” Un incubo o un dolce ricordo che ritornerà quando un sindaco o un prete, o un pubblico ufficiale leggerà articoli del codice civile, del codice canonico e il futuro sposo sospirando chiederà una “sospensiva”: “Qualcuno ha una penna che fa clac, clac? Prima del si e della firma, ho bisogno di allentare la tensione. La firma è un optional. E così il vincolo. Ora, necessito del clac clac”. Un clac clac che perseguita dalla maturità e non ne allenta la tensione e la morsa. E continua a mordere.

Maturità. Ultima seduta Un ricordo, bello, piacevole, da coccolare e da sorriderci su o far sorridere anche davanti le macchinette, durante una pausa lavorativa. O, sempre come un incubo, il viso di un ct nazionale che a mo’ di elenco fa risuonare la voce come il tintinnio di una monetina. “Venti centesimi. “Forme uniche della continuità nello spazio. Boccioni. Moma…” E tu, come don Abbondio nei Promessi Sposi, ti trovi sveglio a chiederti: “Boccioni, chi era costui?”…e ricorderai di averlo scambiato per…Botticelli, o, azzardando per…Balotelli.

In conclusione, la maturità, almeno per alcuni, è andata. Si è concluso un lungo viaggio. Stagioni, dell’amore comprese. Alcune si chiudono, altre si aprono.Maturandi torinesi. Torino 27 giugno 2014. Foto, Borrelli Altre resteranno,  per sempre. E’ il viaggio per un amore: la scuola. Il francobollo è stato apposto. Il timbro pure. Un vestito, una giacca. In molti ricorderanno una camicia stirata dalla mamma, una cravatta posta con cura da lei, e in tutte le mattine che verranno, allo specchio ci sarà sempre il suo viso, il ricordo del suo viso. Per altre, la figura del padre, lì, al fianco. Con tutta la sua forza. Per ora, domani, niente scuola.

Buon primo maggio.

DSC00753Temperature in ribasso. Acqua, pioggia, temporale al mattino presto, così come  era successo ieri, nel tardo pomeriggio. In mezzo un arcobaleno. Ah, quanto è stato triste quell’arcobaleno di sei anni fa. Due passi, verso il “salotto” di Torino, con il pensiero in viaggio,  in prospettiva di domani e del domani. Piazza San Carlo, luogo di conclusione del corteo del primo maggio. Pensiero in retrospettiva,  a quando i palchi, posizionati qui, erano impregnati di passione, sindacale, politica, e dove andavano in scena i comizi, gli amori, le auto torinesi.  Quando via Roma era una “vasca”, lo struscio e la piazza, San Carlo, un parcheggio. Mi posiziono a due passi dal cavallo. Questo tardo pomeriggio, non è “circondato”.  Nessun girotondo in atto. Si offre per essere fotografato. Ma non espugnato. Forse fra due o tre domeniche. (Quando qualcuno si cucirà sulla maglia uno scudetto). Osservo altri fotografare.  Incuriosito e silenzioso. Mi posiziono a sinistra. Cerco la visuale alta e di colpo corrono i film delle foto di classe, quelle delle elementari, di fine anno o di Natale. In piedi e seduti. In alto, a sinistra. Per via dell’altezza.  Talvolta delle panche, per quelli “bassini”. In alto. Sia con il fiocco, a far da cornice al grembiule blu scuro con le tasche, sia con il pon pon che dalla terza elementare avevano sfrattato il fiocco azzurro dei maschietti. E sempre a sinistra, in piedi anche in seguito, alle superiori, quando cominciavano ad “uscire” dagli armadi le prime giacche quadri. In alcune cose, forse, esiste una sorta di predestinazione. Forse  per altezza rilevante, fin dal primo vagito. Anche se, sono più propenso a collocare ciò ad un cassetto della nonna, aperto così, un po’ per gioco, un po’ per noia.  Un’estate calda, caldissima. Pomeriggi eterni e tempi lunghi, lunghissimi. Infiniti. Smetti di giocare e cominci a curiosare. E gli occhi di un bambino, che a malapena legge  finiscono su un documento di lavoro, con il nome e cognome del nonno. Lavorare “oltre confine” di quello che poteva essere. in quel “ventennio” il confine. L’espatrio, pur di lavorare e dire di no a  “quella tessera” che era necessaria per lavorare. La scelta di lasciare tutto e tanti, pur di dire  ancora no a quella tessera.  No, no, no. Il diritto a lavorare senza “omologarsi” ad una dittatura.  Un foglio, quel foglio di “espatrio” per non avere la tessera (impronunciabile) era collocata in alto (a me pareva enorme, quel “settimanale”) a sinistra. Forse, è datare in quell’episodio  la nascita di quella posa assunta in tutte le fotografie, ovvero, in alto a sinistra. E a pensarci bene, anche all’università mi collocavo, in quella famosa aula 34, in alto a sinistra di quello che è stato il parallelepipedo di Palazzo Nuovo. Libri di storia del movimento operaio, pagine, documenti, scritti da altri. Da studiare e difendere.  E diffondere. E non solo. Anche in altre, magari più piccole. E oggi, tanto per non smentire, quando chiedono  ai colleghi, dove possono trovarmi, qualcuno risponde: “lo trovi in alto, a sinistra”. In quel cassetto c’era tutto. Una valigia che ti porti dietro, anche quando non viaggi. Pero’, qualcosa di diverso da un’appendice.  A questo pensavo ai piedi del cavallo, a domani, al corteo del primo maggio, a quelli degli anni passati.  Ai diritti da difendere sempre e comunque anche quando qualcuno continua a negarli o vorrebbe abolirli. Con l’arroganza di chi detiene qualche centimetro di potere e pensa di “potere” in virtù di una piccola e misera scala gerarchica, dimenticandosi che, fortunatamente, l’ordinamento, è ancora democratico, almeno in quelle cose, poche, che ci sono rimaste. Che il movimento operaio ha versato sangue. Che in un’ Italia con una disoccupazione  che “viaggia” al 12 per cento, bisogna per forza, andare al corteo, domani, per reclamarlo, questo benedetto lavoro, e per difendere i diritti e cercare di ampliarli, per chi non li possiede.   Andare col pensiero del nonno, che seppe dire di no, ad ogni forma  di oppressione. Dopo aver esaurito questi pensieri, mi dirigo verso la strada del ritorno. I portici, la stazione, la stazione della metro, la metro che arriva. Fischio. Le porte si aprono. Fischio, le porte si chiudono. Occhi su, alla mappa posizionata in alto a sinistra del vagone della metro. Una, due, tre,  cinque fermate. L’arrivo. Le scale mobili. Per la salita. Pur di non tenere quella parte impronunciabile, scalini a due a due. Per tenere la sinistra. In un batti baleno mi ritrovo in alto. Ovviamente a sinistra.

Un buon primo maggio a tutte. A tutti. Così, anche a chi mi saluta, trovando oggi, in alto, a sinistra.