Le conchiglie che danno corpo ai numeri del mese, inserite all’interno di un piccolo giardino al centro di una rotatoria cittadina, sono stati “girati” nella notte: 1 agosto 2018. Sarebbe interessante conoscere l’addetto a questo lavoro e ugualmente interessante conoscere se quel “datario” è modificato anche in inverno, il 25 dicembre, a mezzanotte, per esempio, o il primo gennaio, spumante alla mano. Curiosità. La fontana è a due passi, pronta a disettare la moltitudine dei passanti che rasentano la rotonda per immettersi nelle vie dello struscio in questi giorni e serate tanto anni ’50. La fila degli stabilimenti, e i loro numeri “civici” comincia ad animarsi, di primo mattino, tra aroma di caffe’ e brioches, tra chi corre e chi suda, e chi non corre e suda ugualmente, chi passeggia e chi va in bici nell’apposita pista, chi gioca a pallavolo in minuscoli campetti adiacenti la spiaggia e chi invece semplicemente guarda e attende. Gli “occhietti” dei numerosi alberghi lentamente si aprono: “cra, cra, cra… “, il rumore delle finestre che si aprono, dopo aver tirato su, e lasciar passare luce, e riflettere ogni cosa, dopo la notte che ha sigillato e trattenuto il fresco, grazie ai condizionatori e alle pale dei ventilatori o semplicemente, grazie alla notte. Il sole si sta affacciando sul mare, lato Grecia, e alle 8 il sole e’ gia alto e fa caldo come fossero le 12. Alla stazione, a due passi, i treni, a sera si svuotano di tante ragazze e ragazzi “anni ’50” riempiendo i sortopassaggi della stazione e le vie della cittadina, tra la Rocca e il centro storico e le vie che danno sul lato mare. E sempre festa, qui, a Senigallia. È l’avvio del Festival Summer Jamboree.
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C’era un caffè, prima della fabbrica
Le tre auto convergevano simultaneamente verso parcheggi ampiamente disponibili, nella notte ancora fonda, con l’alba distante da noi, chiusi, nei nostri pensieri, mentalmente, e nelle “scatole” di latta, fisicamente. Avevamo da poco lasciato le calde case e comodi letti, per sorbirci “otto ore di turno” (da leggere rigorosamente in maniera fantozziana!). Alle nostre spalle, e delle auto, la collina, Chieri e compagnia, bella, “e brutta”. L’unica, rada, luce che illuminava pochi metri d’asfalto, era quella gialla, con la scritta “BAR”, in orizzontale. Tutte e tre le auto, si disputavano il posto in prima fila. Metalmeccanici contro tessili. Arrivare prima significava non aspettare. Ma il risvolto, poteva anche essere negativo: poche “battute” della Bialetti e caffe’ non proprio al massimo. Capitava, delle volte. Poche battute delle nostre, “come stai?”. Avremmo voluto essere a casa, in quell’istante, cosi vicina e distante, da noi, distesi, ancora, sotto le coperte, liberi “da catene”. E invece, nasini all’insu’, ma non cin la classica posa da turista. Cosa acremmo potuto osservare? La scritta Bar? E invece quelle catene, ci attendevano per 8 lunghissime ore ( da leggere fantozzianamente). Ogni auto, davanti al bar, ne scaricava quattro, di passeggeri. Mani in tasca, ed il primo che allungava il braccio, apriva la porta del locale. Per tutti. Come i caffè. Dodici accessi in una porta non girevole ma girevolissima. Tutti avvolti nei nostri giubbotti, qualcuno per fare in fretta, con la tuta da lavoro addosso ed il logo. Della fabbrica. Scarpe anti-infortunistiche incorporate. Il barista aveva acceso la sua macchina del caffè da poco, e ci dava le spalle. Dalla bocca del fornetto a micro onde, aperto nello stesso istante in cui entravamo noi, nel locale, minuto, si perdeva un buon profumo: croissant appena sfornati; una parte di quello (il ptofumo) era sequestrato nel locale, un altro ricercava velocemente la via d’uscita, come un gatto che non sognava altro che il ritorno alla sua liberta’, precaria. Dalle nostre bocche, sbadigli, occhi stropicciati, e tanta stanchezza nelle ossa. Caffè per tutti, due parole, il contratto, lo stipendio, i toc. I saluti, l’arrivederci, al mattino dopo e i 12, in macchina, ancora una volta, verso la loro “bolla”. Entro le 6. Poi, chi al tessile, chi al frigo, chi al meccanico. Da questa sera, in tv sento che a fare il ” frigo”, cioe’ il suo mototino, all’ Embraco, forse, non ci andranno piu’. E cosi al caffè. Prima del turno. Anche il Vescovo Nosiglia ha promesso il suo interessamento e vicinanza. Ha detto che scrivera’ al Papa. Intanto, chi comanda, dice “Amen”
14 ottobre
Onestamente. Francamente. Veramente. 14 ottobre. Nella spiegazione sul lavoro a Torino non sapevo da dove cominciare, questa mattina a scuola. Circondato da notizie di Nobel. Qui intorno tutto parla del Lingotto, dello stabilimento, nato già vecchio, coi suoi piani, con la pista, la bolla e il Fiorino e i suoi operai che hanno dato lustro, a tutto, tanto, alla città, ad un prezzo elevato, con le loro conquiste e la sconfitta. Il movimento operaio che vince, perde. Marcia lui e marciano i colletti bianchi poi. “Zitti, parla Bertinotti. Che dice? “. L’80, il 14 ottobre, e la cassa a zero ore. Le buste paga degli operai che sventolano stese come biancheria. Un panino, il caffè, i compagni, le lotte e noi figli a giocare con altri figli e figlie che non potevamo capire tutto quello e questo. Giocavamo, noi. Piangevano, loro. Ridevano, pochi. La grande ristrutturazione. Sembrava il titolo di un film. Non lo era affatto. Qualcuno ci ha lasciato pure, pero’. Che spiegare a questi ragazzi dai visi candidi e speranzosi e che al Lingotto ci vanno per Farinetti o l’8 Galery o a camminare o correre sulla passerella a vedere i treni partire da Porta Nuova e sognare e desiderare di partire anch’essi? Qui si parla di Marconi fermata, e i ragazzi non sanno che e chi c’era in quei due palazzi, di via Chiabrera dove si facevano i test per entrare “alla Fiat”e di un palazzo nei pressi che del lavoro ormai ne porta solo il nome. Che spiegare? Ricordi che intercettano un altro 14 ottobre, del 2000: l’alluvione, la Dora e sulle “sponde” di via Livorno il lavoro. E io a guardare, insieme a viso di donna, braccia sulla staccionata, e domandare se e quando sarebbe esondata. La Dora. Devo spiegare il lavoro e contestualizzarlo.Tempo. Passato e presente. Torino…
16 agosto: san Rocco
Chissa’ se davvero gli alberi la notte russano, se dormono, se si rilassano e si contraggono dopo aver trascorso una giornata intera ad alzarsi in continuazione, fino in cielo, come la Cagnotto. Chissa’ se si abbracciano tra di loro e… Quanto buon profumo ci regalano insieme all’ossigeno grazie a quel processo di fotosintesi (processo attraverso cui le piante usano la luce del sole per trasformare l’anidride carbonica e l’acqua in zuccheri). Ma la notte no. Si riposano. Dormono davvero? Un salto al mare, alle 8 dove ancora regna sovrana la maleducazione: spiaggia da tutto esaurito con ombrelloni e asciugamani ma “mancane li cristiani”. Rientro. martedi 16 agosto, senza giornali: festivita’ di S. Rocco; santo con la Croce rossa sul cuore, abito da pellegrino, mantello, mantellina, borraccia e piaga della peste su di una gamba. Festa molto sentita da queste parti, nel capo leccese. Un santo nato in Francia, a Montpellier nel 1346 circa e morto a Voghera nel 1376 circa. E’ stato il piu invocato nel Medioevo come protettore della peste che all’epoca era un flagello. E’ patrono di molti, contagiati, viandanti, pellegrini, operatori sanitari, farmacisti, volontari, volontari, cani e protettore delle gonocchia e delle articolazioni con le sue ferite e piaghe e il cane appresso con in bocca un pezzo di pane. Da queste parti, in Salento, sono molti i paesi che lo festeggiano e lo ricordano e tantissime le tradizioni culinarie in occasione della stessa perché si sa, il cibo è veicolo culturale, storico… ecc. ecc. Tra i “sentieri del gusto” molti i paesi che lo festeggiano come sano patrono, “luci” accese e colorate in suo onore: Leverano, Torre Paduli, Sternatia e giu’ giu’ nel… “capo”. Santità attribuita dalla Chiesa intorno al ‘500. In tanti possiedono una piccola statuetta di San Rocco, in legno, da qualche parte, in un angolino della casa. Anziane, fazzoletto a coprire il capo, lo pregano e lo invocano, nei pomeriggi estivi. Anziani, sigaretta in bocca, colpo di tosse, tra l’asma e il fumo che ne impedisce il buon respiro biascicano qualcosa, tra implorazione e altro. Studenti che si rivolgono a lui insieme a San Giuseppe da Copertino. A Urbino mi è piaciuta tantissimo la tela del Lotto, fine 1400. E quando penso ai pellegrini, viandanti, automatico è il ricordo alla Madonna di Loreto del Caravaggio (Chiesa di S. Agostino, a due passi da piazza Navona).
15 anni di 20 luglio
La veranda ripara dal sole, dai rumori, e oltre persone e personaggi. Chiudi gli occhi e il passato filtra attraverso le stesse fessure.
Con M. non prendemmo in considerazione di andare a Genova, alla manifestazione contro il G8, o forse non ci pensammo quantunque da un po’ scrivevo sulle contestazioni, sui movimenti di protesta e neo-liberismo, FMI, Banca Mondiale movimento No Global e cominciavo a “scolpire” la mia tesi. E adoravo la politica. Mi piaceva seguire il Social Forum, le piazze tematiche, come si stesse organizzando il corteo dei migranti e se il movimento no global aveva “messo il cappello” su di una forza politica di sinistra o se fosse il contrario. Mi entusiasmava il linguaggio politico di B. e come comunicava. E mi piaceva scoltare i dottori, S. e A. e il portavoce C. e, o ma, il movimento operaio? E noi, operai, e studenti-lavoratori, facevamo confluire le nostre discussioni in fabbrica con il bicchierino di plastica in mano nella pausa caffe’. Un altro mondo era possibile. Quel giorno M. mi accompagno’ come tantissime altre volte al lavoro, per il turno: pranzo insieme e 30 km di strada, sotto il sole e tanta felicità; la collina torinese, Superga e molto sole erano una bellissima cornice e cominciai cosi a pensare all’amore almeno 8 ore prima del nostro rivedersi come eravamo soliti fare ogni qual volta turno e fabbrica ci separavano. Uscii dalla sua macchina dopo che ci scambiammo un bacio e restai con quel gusto delle sue labbra e di lei per molte ore. L’entrata, gli spogliatoi, la camicia e i pantaloni verdi (gentilmente concessi per il nostro lavoro)e 4 cazzate prima di scendere in reparto, dopo aver girato la chiave del lucchetto dell’armadietto lasciando alle spalle gli abiti civili, Chieri, Torino e.. .Entrando in fabbrica il rumore si conficcava nelle nostre orecchie fin dalle scale e mano mano che attraversavamo i reparti diveniva sempre piu fastidioso e urtcante come una persona fastidiosa. Un saluto veloce con quelli del primo turno, le disposizioni del capo o team leader e via. Un pezzo, due, tre o, in piemontese, al vua con i toc. Una gurnizione, la vite, il tappino, i somma, noie da catena di montaggio, le pause da 10 minuti, chi prendeva il caffe’ alla macchinetta e io che pensavo a M. e al nostro amore.Trascorsero cosi le 8 ore. Ero sempre il primo ad uscire dai cancelli di quella fabbrica e mentre gli altri si auguravano ancora una buona serata, o si pettinavano in auto prima di rientrare a casa, noi due eravamo gia’ figli della luna e del nostro amore: il mondo era nostro. Quella sera fu un tantino diverso. Salutai le guardie fisse al solito gabiotto ed M. era al posto di guida nella sua macchina che mi aspettava, davanti al piazzale. Entrai, mi sedetti, posai lo zaino dietro e mentre lei mi riempiva del suo odore e dell’amore io le riversano addosso quello di olio e di fabbrica. Un velo di tristezza pero’ faceva capolino sul suo viso, un tratto scuro le era calato addosso e i suoi occhi, piccoli e neri eano divenuti ancora piu’ piccoli, quasi a scomparire, quantunque sempre belli. Mi posò una mano sul viso. Mi accarezzo’ dolcemente e mi disse:”hanno ammazzato un ragazzo in piazza Alimonda, oggi pomeriggio, a Genova”. Chiusi gli occhi e i pugni. Dissi solo:”noooo”! Piego’ il suo viso e scomparve nell’incavo tra il mio collo e la mia spalla. Piangendo. La strinsi forte e piangemmo. Eravamo forti e sensibili allo stesso tempo. Avevamo pensato fino a quel giorno ad un altro mondo e che esso fosse davvero possibile. Il mondo lentamente da li a poco cambiava corso. E a settembre avrebbe cambiato connotati. Non so quanto tempo restammo, concavi e convessi tra un sedile e l’altro, così ad impastare lacrime e sogni feriti nrll’animo e nella psiche. Forse una notte intera. Forse 15 anni. Ciao Carlo.
Ultima campanella
Questa mattina presto, all’ alba, in giro per Torino, si respirava un odore particolare, di legna bruciata, come quando capitava di sentire lo stesso identico odore, giu’, al Sud, spesso, d’estate. Fa caldo, afa. Come capitava giu’ al Sud. E’ l’ultimo giorno di scuola. Ultima campanella. Fra poco. L’anticipo di una liberta’, una campanella che apre le porte dell’estate. Poi, al mare. Giu’, al Sud. In Salento. Intanto bisogna andare. A scuola. Ultimi appelli. Intercetto lo sciopero dei metalmeccanici che obbliga ad altre soluzioni, nel movimento. Li incontro con piacere. Li ammiro a “dare” ancora scioperando pur avendo poco e di molto solo tanta fatica. Forse piu’. Le scale mobili di “XVIII” mi inghiotte. Pochi minuti e sono a scuola. Ultimo intervallo e…”marasma”. Una campanella, la fine dell’intervallo e ancora un’altra. L’ultimissima.
Intanto, ultimi minuti e tutti giu’ in cortile. E’ l’era dei cellulari ma quanto avrei voluto cantare “gira gira il mondo….”. E invece….ma un’ultima cosa: buone vacanze.
Torino Jazz Festival
Fermata Metro Torinese. Davanti: Marconi, Porta Nuova, ecc.ecc. Dietro: Dante, Carducci, ecceteta eccetera. Dentro. A sinistra una signora sulla settantina risponde al cellulare. Voce altissima. Ci porta a conoscenza dei suoi tentativi per una prenotazione ad un tal ospedale. Si sdoppia e mima l’operatrice, l’agenda, il calendario, il dottore e nel giro di poco sappiamo tutto delle sue cartelle cliniche. Condivisione sociale non voluta e non cercata. Solo passivamente sopportata. Cento occhi tutti a sinistra. Verso di lei. “Ti preghiamo, smettila” pensiamo collettivamente. Al centro della metro. Un ragazzo probabilmente in mancanza di una rotella o di un giovedi intero con bottiglia d’acqua in mano da portare a passeggio in pochi centimetri quadrati si avvicina ad ogni passeggero dicendo:”eccoti!” sorridendo. Ma chi e’? Mima le mosse di ciascuno e ognuno. Si abbassa, si alza, ride, sorride, guarda dove osservano i viaggiatori. “Signore e signori, dalla metro torinese va ora in onda Uno nessuno e centomila”, dice urlando e ridendo sotto i suoi baffetti. Mha’. Tra alcune fermate scendero’. Musica e Jazz mi verranno incontro e la musica si fara’ strada, tra le mie e altrui orecchie. Giorni di musica a cavallo tra il 25 aprile e il primo maggio, tra Costituzuone (da salvare!!!) e lavoratori, e lavoro da creare. Velocemente perche’ A.A.A. lavoro cercasi! Urgentemente al reparto 18-35. Il referendum, con i vari cambi di campo stile tennis, strategie di alcuni politici tra una consultazione referendaria e l’altra e’ ormai alle spalle. Chi vince e chi perde, tutti vincono nessuno perde. 32,1 per cento. Quorum non raggiunto. Tredici milioni di si. I No 2 milioni e tot. Vince la Basilicata e il Salento (perche’ far arrivare tubi e tubicini a S.Foca? E allungare cosi di 50 km e arrivare proprio sulla perla del Salento?). L’astensionismo tiene banco. I voti si contano. A ottobre conteremo. Aria di 2006. Sana e robusta Costituzione. Sopra la metro.
Oggi, domani e dopo in piazza a Torino, lungo le strade musica e festa. A ottobre, sara’ tutta un’altra musica. Qualcuno si ricordera’ di un ‘ciaone’. E allora, la corsa e’ finita. Si scende. Ciao. Solo ciao. Ne. Dicono a Torino.
Salento: cheap e chic
Affacciato sulla “terrazza” di Bacino Grande frugo all’interno del mio zaino contenente una quindicina di libri e una trentina di riviste. Dopo aver interpretrato la parte dell’accumulatore di fresco, godendo dell’aria condizionata altrui, scroccandone il fresco a buon mercato, mi ero ripromesso, nell’ultimo periodo, di esserlo anche di quella cultura trascurata nell’ultimo scorcio della mia carriera universitaria. Libri e riviste accatastate a pile e “rimandate” con “sospensione di giudizio” come accade ai ragazzi delle superiori, ad un futuro prossimo, stazionavano in bella evidenza pronte all’uso . Accatastati un po’ come queste sedie bianche, nel mare.
Alla rinfusa, a “grappoli” come quel branco di pesciolini, davanti ai miei piedi.
Lo zaino al mio fianco, affacciato al Belvedere alla scoperta di tesori racchiusi fra le righe tra i “Tesori di Terra d’Arneo” ( vedere la guida appena pubblucata “Terra d’Arneo).
Chissa’ quanto saranno lunghe le sue vacanze in Salento”, mi avevo domandato un inquilino forzato del treno notturno Torino-Lecce nello scrutare il mio zaino, carico di libri comprati nel tempo, ultimo, pre-tesi e suggeriti dall’amico Massimo. Ecco, ora nel pensare a quel commento frugo e pesco il libro di Sabrina Rondinelli, “Il contrario dell’amore”, Indiana Edizioni. Di questo sono alle ultime battute….Anche questo lo ritengo un libro davvero interessante.
Ho terminato da poco la lettura del libro “L’Invenzione della madre” di Marco Peano, Edizione Minimum Fax: un libro di un amore unico, grande, immenso. Lo suggerisco, lo consiglio vivamente.
30 aprile
Il passaggio e il ricordo a ridosso di un altro 30 aprile. Poi, profumo piu’ recente: Pisa, la Torre e il corridoio del treno, profumo di corridoio e d’ amore, poi cernobyl, con i suoi dolori e le nostre preoccupazioni, e ancora piu’ recente una stazione dal nome doppio, M.M., cosi tanto immaginata e la sua sala d’attesa e l’attesa di te e la festa del paese, e il, caldo e chissa’ se ci si torna; MM, metropolitana milanese e il tante volte chiesto, “scusi, l’Expo?” E poi, domani, il grande assente, il lavoro; MM, come “mamma mia”…e un pensiero a domani, al 1 maggio, al corteo, allo sciopero del 5 maggio della scuola che non e’ in gita ma ugualmente come l’ allenatore, nel pallone, un po’ come noi, che corriamo e corriamo e corriamo…. All’ uscita di scuola i ragazzi non vendevano libri, perche’ e’ ancora presto. Avrei voluto regalarne invece un po’, quelli sula Costituzione. Domani, probabilmente, un salto al corteo, con la Costituzione, un pochino “stappata” in altri contesti, forse nel silenzio di molti. Ma ai ragazz* un augurio era doveroso: buon primo maggio.
Torino. E’ generale. Sciopero 12-12-2014
Lasciamo parlare le immagini di questa bellissima piazza. Giovani, operai, cassintegrati, studenti, universitari, in mobilita’, e gente costretta a licenziarsi pur di averla ancora e uscire dalla tagliola Fornero, professori, tecnici, amministrativi, collaboratori, disoccupati, vigili del fuoco, donne, uomini per dire e gridare che “non ci siamo”. Una giornata colorata e parecchio, gelata per dire no, che cosi proprio non va.
Lungo il corteo amiche, amici, compagne, compagne…Turigliatto (Franco) in testa, Airaudo (Giorgio) e tantissima bella gente.
Il corteo, “fratello gemello” del primo maggio termina, meglio, “sfocia” in piazza San Carlo con un interessantissimo elenco di articoli della Costituzione e l’intervento della Camusso. Una parte del corteo da Piazza Castello prosegue verso via Pietro Micca per svoltare poi a destra verso il Comune. Da qui, svolta a sinistra verso via Garibaldi fino a dividersi in due tronconi ulteriori…
Ps. Tra questo mare di gente ho potuto constatare che e’ partito ufficialmente il mantra “ci dobbiamo assolutamente vedere prima di Natale…combiniamo dai!”
Oramai la giornata è terminata. Si conta quanta gente ha aderito allo sciopero, quanti erano presenti in piazza e via dicendo…pero’ fa riflettere il fatto di aver cominciato la giornata con un caffè, tra le pieghe di un racconto, di una storia e questa si è trasformata in realtà. Piazza San Carlo sembrava la piazza di altri tempi, di altri anni. Piena, partecipata, colorata, attenta. Ogni parola del comizio non sfuggiva e non doveva sfuggire. Quella parte del corteo, defilatasi, arriva a due passi dello stesso bar. E il cordone dei poliziotti, fermo, sotto l’arco, riflesso contro le vetrine del bar…uno sguardo reciproco e poi…ognuno per la propria strada…via Garibaldi il primo, il Comune il secondo…
Ora non resta che dire: è stata una bella giornata. Buonanotte Torino. Uno sguardo alla Mole e…un saluto alla piazza.