La storia di Massimo e’stata toccante per molti. In tanti hanno scritto e in molti hanno incoraggiato la scelta di Massimo. Decido, per oggi di restare dalle parti di “Massaua” che per chi e’ torinese sa che e’ una piazza e allo stesso tempo, una fermata della metro. Da queste parti, un tempo, nel cinema Massaua, venivano effettuate le “chiamate” dell’ufficio di collocamento. Il martedi era il giorno delle centinaia di persone che si recavano di mattina presto, libretti alla mano, per un posto, a termine, pubblico. Qualche mese, ma mai piu di 4, perche’ senno’ ripartivi da zero e addio al tuo punteggio. Era l’incontro con la “disperazione” ma qualcuno, un contratto, a casa, riusciva a portarlo, ora come addetto alle poste, ora bagnino, ora bidello. Questa mattina e’ stata la volta di Massimo e di un suo riscatto. Spero di cuore che questo articolo lo leggano in tantissimi, per conoscere la forza e la storia di un riscatto. Oggi pomerigio, un altro incontro.
Con la speranza. L’evento in corso e’ “storico”, ma forse, a dire il vero, ho forzato la penna, meglio, la tastiera. L’incontro e’ in Via Madonna de la Salette, presso la palazzina situata al numero 12 della stessa via dove si trova l’ex pensionato dei missionari de La Salette ora un tetto per rifugiati. L’incontro storico e’ tra il Vescovo Nosiglia, centri sociali quali Askatasuna e Gabrio. In nome dei profughi. Oggi pomeriggio in fase di incontro si sigillato il progetto che trasforma “l’inopportunita’ in opportunita”,
slogan coniato dalla Pastorale dei Migranti e dalla Caritas
che insieme coordinano il progetto.
Una palazzina di quattro piani, circa 70 persone alloggiate, un giardino, meglio, un orto
dove si coltivano ortaggi e si provano a vendere, come frutto del proprio impegno e lavoro. Perche’ la promozione dell’individuo, come viene piu’ volte ribadito, e’centrale, in questo percorso di ” reintegro” e di scrittura e riscrittura personale che non prevede tempo. Si “esce”quando si completa il percorso e si lascia spazio ad altri. Una struttura in comodato, con tanto di regole e norme appese in bacheca.
Una struttura che vedra’ i primi lavori di ristrutturazione in marzo. Una precisazione. Lo stabile, era vuoto ed e’ cosi diventata dimora di una settantina di disperati che saranno di passaggio e che nel frattempo si occuperanno di recupero della palazzina. Insomma, dal recupero al recupero. Dall’altra parte del cortile l’istituto dei religiosi che una mattina hanno conosciuto questo “incontro” e accanto la parrocchia di Maria Riconciliatrice.
La Chiesa, a parere del Vescovo, come anche oggi ribadiva la Repubblica, riportando una affermazione di Nosiglia, “non deve lasciare immobili vuoti”.
Una guida mi ha condotto a visionare la palazzina, in alcune sue strutture. Tra gli interventi, quelli di Nosiglia e Durando e rappresentanti centri sociali.
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Puntine di “classe”
Probabilmente uno degli ultimi posti in cui “resiste” la bacheca, nella sua versione piu’ classica, e’ la scuola. Quante difficolta’ nel reperire poi le famose “puntine” da bacheca scambiate spesso, ora dai ragazzi, ora dai bidelli, per altre puntine, quelle per pinzatrici, utili per “cucire” piu’ fogli. Quante volta davanti alla bidelleria si palesa un ragazzo a chiedere delle puntine senza aver compreso bene se quelle per bacheca o quelle per la pinzatrice. Innescando cosi un via vai comico piuttosto prolungato. Bacheche. Puntine tolte da una parte e aggiunte in un’altra, fogli penzolanti e fogli della bacheca sindacale rafforzata. Oggi, spesso, l’immagine e’ abbinata alla rappresentazione di un “wall” di social network, facebook: uno sfogatoio personale, un viva o un abbasso, un link, di una canzone o di un libro. Come in questo caso, “Un gatto nel cuore di Torino“.
Ma le “puntine” di classe, fortunatamente,resistono, soprattutto in altri ambiti, soprattutto quando rendono noto un qualcosa di importante, uno scritto, una circolare, un appuntamento. “Una puntina“di un qualcosa, un sovrappiu’. Anche Laura Morante, (tanto per restare sulla “piazza”, ovvio, la nostra torinese, in “tempo”di e per TFF) in una scena di un film, ricorreva all’immagine di una puntina di un qualcosa, capace di esaltare il prodotto (era la pasta al forno Esaltata da una spezia?). Altere volte, le puntine, sono di invidia o di ironia. In questo caso, quello di Juri, una puntina di “classe” (Da sempre la stessa, con coerenza. Una delle classi che ci puo’ permettere di ripetere). L’altra puntina o (puntine), la aggiunge il suo nome, la sua storia.
Torino da qualche giorno e’ un concentrato di profumi, di “pizze” restaurate, di CioccolaTo’, di “pane e di stelle”, ma una puntina di profumo, di odore di stampa fresca, di cultura non fa altro che renderla ancora piu’ attraente, la nostra citta’. Dalla macchina di Juri un profumo di stampa fresca e di cultura si spande velocemente nel cuore di Torino. Un gatto, dall’altra parte, osserva i movimenti.
Oggi, con “puntine di classe” vorrei segnalare un libro, scritto da un amico, che di Torino ne conosce abbastanza. Non solo una “puntina”. Abbiamo preso un caffe’, davanti al Comune di Torino (avrebbe potuto essere anche casa sua) presso la Casa del caffe’. Entrambi abbiamo visto passare dalle vetrine del bar “puntine” di ricordi e le nostre puntine di ricordi personali: i suoi, affidati ad un gatto, nel cuore di Torino, i miei, al cuore, questo organo striato che pulsa di storia, di molti, quella di L. e M. Come di tanti altri. Salutato Juri, mi addentro in altra storia, e data l’ora tarda, mi affretto nella ricerca di 90 lire, il costo di una corsa notturna. Mi serviranno per l’emissione del biglietto sul 50….Torino, di notte e’ davvero bella. Anche sperimentando la “solitarieta” del viaggio (si, si, solitarieta”, qualche riga prima, scrivendo di classe, avrei detto, solidarieta’, di classe o semplicemente, solidarieta’. Ma da un po’, viaggio da solo, se per necessita’, piacere, destino, chissa’, ma non e’ uno stato d’animo, semplicemente il, fatto che nella pancia di questo bus, voglio inserirci una storia nelle storie). Anche questa, come quella del gatto, è una storia “vera”. E allora, il cuore, presente, la storia, (soprattutto) non rimane a quest’ora,(insieme a dieci lire di resto) di scovare una panchina…ovviamente, nel cuore di Torino. Per una buona lettura e una buona scrittura.
In “solitarieta”.
Sono qui per scrivere in questa bacheca il lavoro di Juri Bossuto: ” una storia vera”, Editrice Il Punto. Piemonte in Bancarella. Auguri, Juri.
Dalla scuola. Una passione che…”brucia”
Uscito da scuola, una signora mi avvicina e mi dice: “Buongiorno, l’ho riconosciuta. Lei è blogger. Vorrei raccontarle una storia“. Impietrito. In ogni caso mi fermo e ascolto. E’ sulla scuola. Il tema “La scuola” ha sempre qualcosa di allegro, in sè. Ascolto e annoto. Penso che la scuola sia un ambiente che “brucia” di passione, di passioni. Tempo fa avevo pensato che le circolari di una scuola potessero essere un modo per “ricostruire” storia e storie. Un archivio, una “biblioteca” in proprio, al pari della civica o di qualsiasi altra. Una biblioteca pubblica, la scuola, senza dover uscire dalla mura dell’edificio, senza mettere in moto tutta quella burocrazia relativa ai permessi, “declinazioni di responsabilità” del tipo…”Io sottoscritto, genitore di tizio, autorizzo la scuola a…”. In questo modo, tutto si ritroverebbe all’ interno della scuola. La ricostruzione di una comunità, di persone, organi collegiali, di un quartiere attraverso le circolari. Fattore economico o culturale? Ad esempio, i mercatini di Natale nei pressi di una scuola. Una scuola per scrivere bene. Ancora. Quanti scioperi, quanti consigli straordinari, attività, manifestazioni. Un mondo. Un’officina culturale. Eppure, complice la signora che mi ha riconosciuto chiamandomi “blogger” ho pensato che in realtà qualcosa in più, oltre, a quella mia idea già pensata, elaborata, proposta in seguito ad un articolo sulle relazioni nella scuola, pubblicata su La Stampa (e proposta alla scuola) poteva e doveva esserci, all’interno di un edificio scolastico. Bisognava solo riflettere. Magari era sotto gli occhi e nessuno se ne è mai accorto o mai ci aveva pensato. Mi giravo e rigiravo all’interno di una classe, per vedere se era tutto a posto, in sicurezza, in previsione di una grande mostra che si terrà domani e mi dicevo: qualcosa dovrà pur esserci”. La mia scuola è davvero d’arte. Qualcosa, di sicuro, la conserva. I suoi studenti, sono artisti. Per un attimo, i miei occhi, guardano verso il basso. Avevo trovato. “Potevano brevettare la più grande invenzione nel mondo della comunicazione”. O forse quello a cui stavo pensando è un patrimonio comune, alla scuola. Sto parlando di quei “messaggi” con brevi caratteri che si chiamano i “cinguettii”. Il papà di Twitter era sotto i miei occhi. Già. perché davanti o sotto, o nei pressi di una fonte di “calore”, che brucia, perché non esisteva un tempo (forse anche ora in molte scuole) la possibilità di regolare, si trovano micro-temi. Uno, in particolare mi ha incuriosito. “Credo ancora nell’amore, nonostante i cerotti sul mio cuore“. Mi son fermato. Riflettevo. Se erano cerotti sul cuore o nel cuore. Il messaggio era datato. Come tanti. Una storia, datata, nel vero senso della parola. Tante storie, datate. Passioni che bruciavano ma che bruciano tuttora. In molti, in tanti potrebbero rispecchiarsi in quelle narrazioni. Cambiano i soggetti, restano identici i sentimenti. Mentre dipanavo i miei pensieri quella signora raccontava a “blogger” ma la testa, non era lì. Le mie “orecchie” non erano attive. Pensavo e ripensavo. Un messaggio, un altro, un altro ancora. “Gressoney, 29 maggio”. ” Ancora: “2007” e poi una infinità di “Buco” per via dei numerosi buchi al lobo che lo hanno reso una finestra da cui guardare il mondo, ecc.ecc. Micro temi svolti su muro. Uno dietro l’altro. Anni scolastici lasciati ai posteri. Nomi, in quantità. Aggettivi, a “pennarelli”. Inizi e fine. Anniversari e luoghi. Prime e ultime volte. Caloriferi. Generatori di storie. Vicino la puoooorta. E chi la porta nel cuore. Caloriferi emettitori di storie e calore. Che bruciano a scuola. E carte di merendine con rispettive calorie. Bruciate.La signora continua a parlare. “Perché quella volta, qualcuno aveva perso all’interno dei fori del calorifero un euro. I ragazzi chiesero il permesso per andare a chiedere a qualche bidello un bastoncino, qualcosa di affilato, per provvedere al recupero di quell’euro, così necessario, così indispensabile allo studente. Si immagini gli studenti, una seconda. Venti, tutti intorno al termosifone. Il righello o cosa fosse, di mano in mano. Colpo dopo colpo, da sotto il calorifero, insieme all’euro, finirono sul pavimento a decine di biglietti. Micro temi, cinguetti su carta indirizzati chissà a chi”. Oltre ovviamente, carte in grande quantità di merendine di ogni tipo, tipologia: dalla marmellata alla nutella. Stagnole, carte di pane, pizza e …..molto altro. Uno di quei micro temi aveva colpito la signora. “Credo ancora nell’amore, nonostante i cerotti sul mio cuore“. Di colpo fu come svegliarmi. Un soprassalto. La signora lentamente aveva ripreso la sua strada salutandomi. “Buongiorno, blogger”. Misi la mano sul cuore. Apparentemente, in superficie, non c’erano cerotti. Dentro, si. Mi allontanai, rendendomi conto che il micro-tema calzava a pennello. In più, avevo perso la mia identità. E mentre mi allontanavo, mi scoprivo a ridere, per un “buongiorno blogger”.
La scuola prestata alla politica
La scuola prestata alla politica. Dalle parti della Dora, di scuole prestate alla politica se ne contano un po’. Fa un certo effetto vedere i corridoi, le aule, l’atrio, le scrivanie dei bidelli, “occupate” dal popolo sovrano elettore. In ogni sezione, al suo interno, la suddivisione, con i cartelli vergati a mano. Elettori, elettrici. Banco per le donne, banco per gli uomini. L’alternanza. Registri, numeri. Uno scrutatore diligentemente controlla, verifica i numeri corrispondenti tra tessera e registro e sigla. Registri, che vagamente ricordano quelli della scuola, sostituiti nel tempo, con quelli moderni, elettronici, talvolta non funzionanti. Nelle sezioni, numero in blu in bella vista, sull’uscio e all’entrata dell’edificio, le lavagne, pulite con diligenza dai bidelli, sono ora trasformate in nomi “di cose” e percentuali, puntualmente “attualizzati” durante la giornata di voto. Le cabine, tipo mare, “spiaggiate” contro il muro, al fondo dell’aula, con le loro luci “volanti”, per quando si farà sera. Posizionate contro il muro luogo in cui quotidianamente prendono posto, da mesi, gli studenti arrivati prima, ad inizio anno scolastico per esserne gli ultimi. All’epoca fu la prima corsa ad ostacoli: evitare il presidio dei bidelli. “In fondo”, dal fondo, si vede meglio. Forse, l’acustica è anche migliore. Cabine, tipo caselli. La uno, la due, la tre, la quattro. E via con l’immaginazione. A pensare queste aule piene di ragazze, ragazzi, mette un po’ di nostalgia. La presenza del “vigile” non è come quella del bidello, quando gli studenti scattano in piedi non appena bussa, circolare in mano. “Si esce prima?”. La domanda più in voga. Al mattino, l’appello, con qualche ritardatario che ci prova comunque ad eludere la sua sorveglianza e contare sulla magnanimità del professore. Di tanto in tanto, quando qualche professoressa ligia al proprio lavoro, solerte, si accorge che il registro elettronico non funziona “invia” immediatamente qualche alunno a cercare il “signore” del pc. Ragazzo che puntualmente staziona sull’uscio dell’aula, forse in “attesa” che il pc “resusciti” o forse, perché, in “religioso silenzio” medita e cerca comprensione o complicità negli occhi di qualche compagno: “cosa, faccio? Ne approfitto e vado al bar?” Poche frazioni di secondo e senti dal lato opposto del corridoio “la puortaaaaaaaaaaa“, con l’eco mimato da studentesse e studenti che fanno il verso alla professoressa. Due, tre, cinque volte…….Una porta che diviene ventaglio nel suo “si chiude non si chiude”. E dopo vari tentativi, giunge il momento. Il ragazzo ha deciso. La classe anche. Cercherà il signore del pc e il modo per reperire il suo “panino quotidiano”. Il “tempo zero”, sarà per la prossima volta. Un’occasione per uscire, si troverà sempre. Anche nell’epoca delle lavagne elettroniche, il gesso lo si dovrà pur sempre rimediare, in uno di quei cassetti dei bravi e saggi bidelli. Gesso riposto e spezzettato all’interno della cassettiera, in un involucro da caramelle “ricoperto” da strati di cibarie varie. Da consumarsi al bisogno. Le ore sono lunghe e la fame è sempre da placare.
E all’interno della sezione, mentre sei in coda, carta di identità alla mano e scheda elettorale, ti accorgi di quante cibarie, come quelle della bidelleria sono posate su di un doppio banco, appositamente congiunto. Sembrano i “regali di nozze” ricevuti” dalla sposa pronti per essere fotografati. Biscotti di ogni tipo, posizionati tipo “banco autogrill” su banchi della scuola, termos di ogni formato, con caffè, latte, cappuccino, thè, perché si sa, l’umidità è in agguato, “potrebbe piovere”, e le ore sono davvero parecchie. E la fame incombe sempre, anche qua. A proposito di termos. Ricordo una “bidella” (ma io vorrei chiamare questa categoria con il proprio nome omettendo bidello o bidella) che aveva con se sempre il termos di caffe alla sua portata, nei pressi dello sgabuzzino. E in tanti, quando la vedevano sorseggiare, ne chiedevano un “sorso”. La sua bontà, gentilezza premura è stata proverbiale e scritti per sempre nella memoria dei ragazzi. Anche questa, è stata relazione, al pari di quella professore-allievo. Anche questa, resterà. Per sempre.
Fino alle 23, la vedo dura. La chiusura dei seggi. Quello che colpisce in questa scuola prestata alla politica è che anche gli odori sono quasi identici a quelli che emanano i bar delle scuole. Di cibo. Panini dai nomi più disparati e ragazzi al banco sempre più disperati. Una ventata di odori e sapori che dal bar, velocemente salgono a raggiungere chiunque. Bidello compreso. Panini, pizzette, brioches tenuti in braccio come un bambino da coccolare, da qualche allievo volenteroso, solidale con i compagni. Non si sa mai, tutto potrebbe terminare. Meglio pensare in anticipo. E così, mentre la “puoooooorataaaaaaa” si riapre e si richiude, insieme al rientro dell’allievo volenteroso fanno il loro ingresso odori e sapori, avvolti da carta stagnola. E mentre la professoressa spiega, il rumore o meglio, i tintinnii di monete, in caduta libera dai banchi, involontariamente, naturalmente, si “spargono” e si liberano nell’aula. Poi, dopo la semina di uno, la raccolta di tutti coloro che possono dando prova di forte solidarietà nell’aiuto. Compito a cui partecipano anche quelli seduti dalla parte opposta- Tutto per la “processione” del cibo, o meglio, la sua distribuzione. A P. andrà questo, a G. quello, a M. quell’altro. Poveri professori. Poveri bidelli. Povera…pooortaaaaa! Quei due banchi sembrano davvero un catering. Intanto, dal corridoio, altre urla, “la puortaaaaaa” e capisci che, altri pc hanno subito un infortunio. Bisognerà richiamare il signore del pc. Dopo questi pensieri, lo scrutatore chiama, è giunto il momento. Passo vicino a quei due banchi, uniti congiuntamente. Le ore passate in quest’aula hanno conferito a quelle cibarie rimaste o cominciate un che di vissuto. Dopo aver riposto le due schede nell’urna, riprendo la carta di identità e la scheda elettorale, e mi ritrovo a pensare che davvero lavorare nella scuola è il lavoro più bello del mondo. Varco la porta e ‘istinto mi verrebbe da chiuderla. Uno scrutatore mi raggiunge dicendomi: “la puooooooooortaaaa“.
La scuola si racconta
In tantissimi lettori hanno chiesto alcune fotografie di Cristina Corgiat, a corredo della sua storia e del panificio. Impossibile, almeno per il momento. Si potrebbero pero’, riannodare i fili del racconto e provare ad immaginare come poteva essere la Torino negli anni ‘ 70, il trenino Torino- Ceres-Torino utilizzato per andare a lavorare, magari, facendo un salto alla Torino-Ceres di Corso Giulio Cesare e osservare qualche treno che staziona; ancora, la palina Gtt M. Ausiliatrice nei pressi della panetteria e della Basilica di di don Bosco, a Valdocco. Provare infine ad immaginare Cristina da giovane, in cammino verso Torino, con il carico di gioie, fatiche, sofferenze in agguato, lungo il corso della vita, superate con determinazione per amore del prossimo…Il forno, le scuole, i ragazzi, prima e dopo le lezioni, in attesa della loro pizza. Le scuola. La scuola.
Basta poco. Immaginare, puoi, uno slogan, certo. Ma l’immaginazione, corredata dai racconti dei ragazzi, talvolta trasforma una giornata ordinaria, monotona, uguale a tantissime altre, in una più allegra, spensierata, a tratti, da ridere. Forse loro, i ragazzi, in fondo, sono gli unici che non cambiano mai. Artefici di destino. Di molto. Di tanto. Sempre allegri e mai privi di fantasia. A volte, in abbondanza. E allora, mentre sei in coda, appoggiato al bancone, in attesa della stessa identica e buona pizza, servita da anni sempre con le buone maniere, gentilezza e delicatezza da Cristina, loro, con i loro racconti, diventano gli artefici di un cambiamento d’umore, ritrovandoti a ridere ancora e ancora. Dalla scuola, insomma, sorrido sempre.
Panetteria .Corso Principe Oddone 38. Torino. In attesa, che la pizza sia sfornata, insieme ad un gruppo di ragazze e ragazzi. Un saluto a Cristina, e renderla partecipe della sua storia, che è piaciuta, si scopre che quella che poteva essere una giornata come tante altre, di colpo tendendo l’orecchio ai discorsi di quella gioventù, talvolta esagerati, ma non sempre, la giornata, per incanto prende un corso diverso, si trasforma, divenendo lieve, leggera, divertente. Ragazze e ragazzi che si raccontano. E pare di vederli, mentre il racconto prende l’abbrivio, mentre dipanano gesticolando ogni loro gesto compiuto qualche minuto prima. A scuola. Si materializzano, prendono forma e forme.
Campana appena suonata. L’uscita, per alcuni. Ma non per tutti. Chi canta, grida, chi inneggia alla Juve pensando che la partita di domenica sia terminata in quel momento, e non tre giorni fa, chi inveisce contro questo e quello, chi pensa all’interrogazione di domani e chi non pensa affatto. E immagini lo sciamare nei corridoi, zaini sulle spalle. Dal racconto si comprende che alcuni, si erano “coagualati” esprimendo una fortissima solidarietà di classe, stile anni ’70, in un posto particolare della scuola evocato dal loro rimembrare, muniti di tutto punto all’attacco di quel posto: il bagno. Le turche. Fili, attaccati alle scope che ricordano canne da pesca, scope raccattate presso la bidelleria, manici di spolverino per i banchi, e attrezzi vari, per una chiara, convincente e determinata lotta continua contro “la turca” del bagno. Tutti per uno, uno per tutti. Tutti per un cellulare o un cellulare per tutti, finito miseramente in acque immobili e stagnanti. Un cellulare, per l’ennesima volta, era scivolato, come tanti altri, in una turca della scuola. Una discesa negli inferi, meglio, nell’acqua stagna, per un metro circa. Ma non importa. Nei loro racconti, sono determinati e convinti nel portare avanti una vera “rivoluzione”: quel che è in basso, scaricato, scivolato senza chiedere permesso, sarà innalzato, ricaricato. Una rivoluzione perfetta. Tutti insieme, racchiusi in un paio di metri, alla riconquista di un’appendice fondamentale, per sentirsi un po’ vivi. Il recupero di “un’alta fedeltà”. Smanettoni amputati del loro preziosissimo oggetto. Stupito mentre ascolto quel termine, “fedeltà, quando il più delle volte si è propensi a “cestinarla” e mai “salvarla“. Una spina nel cuore. Davvero strano il linguaggio 2.0. Nel racconto li immagino assimilando a ” operai e ingegneri”, con tute blu o bianche, recuperate chissà dove, con guanti fino all’avanbraccio, stesi, pancia a terra, a misurare fin dove il braccio riesce ad arrivare in quel “vuoto”. Un compito specifico, li attendeva. Un recupero. E i recuperi, sono attività che vanno per la maggiore, in questo periodo, in ogni scuola. Ma questo salvataggio, doveva essere memorabile. Doveva entrare nella storia. A ripensarci, chissà quante prove di questo genere a noi sconosciute sono entrate nella storia della scuola. Facile immaginare quel gruppo, suddiviso in operai, team-leader, capi ute e ingegneri a conteggiarne la produzione. Alcuni “armeggiano” seguendo fedelmente le istruzioni impartite da altri, gli “ingegneri” del gruppo, teorizzando idee davvero fenomenali. Altri rannicchiati o sempre pancia a terra mentre provano in continuazione a far suonare il cellulare di ultima generazione, così, “per vederlo accendere e rianimarlo un po’, come fosse una persona”. Forse con l’intento chiaro di fargli sentire il calore nel momento del “bagno”. Poi, dal racconto del gruppo, sconsolati dalle difficoltà dell’operazione e dalle lancette dell’orologio che correvano diversamente da come corrono quando sono a lezione, qualcuno comincia a proporre idee alternative e tra queste chi proponeva “un furto” della turca completa e chi invece, nel rispetto della legalità, suggeriva di provare a chiedere alla Preside, se possibile staccarla e portarsela a casa. Per smontarla con più tranquillità. Con la promessa che il giorno dopo l’avrebbero riportata e rimontata. Garantito. Nel caso, accompagnati anche da mamma e papà, oltre lo zio, che in quel caso, era anche muratore. Qualcun altro passava poi a suggerire di passare dal piano sottostante, entrando in contatto con la turca del piano sottostante. I loro racconti, dilatati, assumevano una dimensione temporale differente. Eventi accaduti, non nello spazio di alcuni minuti, ma in una giornata intera. Forse, un anno scolastico. Un altro aveva suggerito di trasformare quel bagno in una cabina di seggio elettorale. Sigillarlo alle estremità, con le firme di chi teorizzava la rivoluzione e chi l’avrebbe dovuta compiere. Mancavano i rappresentanti di lista, poi, tutto sarebbe stato identico. Dal loro racconto, si capisce che qualcuno, disturbato da tanto rumore, avrà impartito il rompete le righe, forse esauto o forse perché dalla bidelleria, qualcuno cominciava a fare la voce grossa e rumoreggiare. E immagini frotte di grembiuli blu, chiavi in mano, a gridare “scendete giù, ragazzi, ma che fate” e ancora, “Ehi, voi, con le scope, voi, con la pancia in giù, tiratevi su“. E dire che un tempo, sulla pancia, c’era molto da dire e ridire, perché portata in giro, a prendere un po’ di aria nei corridoi della scuola e non per il recupero di un cellulare. Dai racconti dei ragazzi, si percepiva che il grido finale sarebbe stato un “non finisce qui” richiamando alla memoria il bravissimo presentatore di un tempo, Corrado Mantoni. E forse anche quella raccontata dai ragazzi, era davvero una corrida. Probabilmente, non era terminata li. Uno degli “ingegneri” infatti aveva inoltre proposto di far girare la voce, il giorno dopo, che nel cellulare che aveva preso la via del bagno, forse stancatosi di stare sempre attaccato a qualche gonna, erano conservate “foto da spiaggia della proprietaria“. Un’idea. Questa si che sarebbe stata una canna da…cellulare. In tal caso, l’indomani, con ogni evenienza, tutta la scuola si sarebbe ritrovata in bagno e con quella, idee a non finire per il recupero finale e strepitoso. Idee per una vera rivoluzione. Di classe. Di scuola.Dal basso.
Nel frattempo, la teglia con la pizza rossa, calda e fumante appena uscita dal forno ha interrotto ogni tipo di narrazione. Peccato. Quei ragazzi hanno allietato davvero la giornata che era iniziata come tante altre.
Più presìdi, meno prèsidi (o meno soldi)
Ho idea che su molte cose non circoli sufficientemente l’informazione, e, in tal modo, molti sono propensi ad accettare una sorta di “status quo”. Noi, che siamo tra coloro che non accettiamo discorsi contenenti la parola “oramai”, siamo il “braccio operativo” di associazioni, movimenti, partiti che non accettano tagli, che non accettano la cig, la mobilità, che non accettano la distribuzione di aiuti a chi davvero non avrebbe bisogno. Noi siamo e ci mobilitiamo con la speranza che gli aiuti arrivino là dove effettivamente vi è il bisogno.
Noi siamo “Barbara” che non accetta e soffre quando in ogni discorso “ormai” ha sostituito altre parole. Ma noi abbiamo bisogno di essere sostenuti dall’informazione, dai giornali, dai politici che più ci sono vicini.
Cara Liberazione, capisco che in tempi di risorse scarse, anche voi dobbiate fare i conti con i vincoli di bilancio, ma onestamente avrei preferito un titolo diverso da quello odierno: “Fumo negli occhi”, che campeggiava in prima pagina. Più volte ho scritto e vi ho scritto (mai pubblicato!) che a Torino “una nuova disoccupazione era alle porte”. Oggi vi dico che a Torino, da giorni nuovi disperati “sono stati accompagnati fuori dalla porta della scuola”.
Cara Liberazione, cari politici di sinistra, di Rifondazione Comunista, noi siamo i vostri alfieri: ci danniamo per portare voti al nostro partito, non al singolo; al partito a cui vogliamo bene, da morire, ma farsi “superare” anche da La Stampa con un titolo, che è si locale, ma di con un certo impatto nazionale, non va bene. Non va bene! “Tagli, la rivolta della scuola. Così si chiude”. I sindacati: situazione grave, sciopero nell’aria. “Senza bidelli qualche istituto non ce la farà”.
Ma sapete, cara Liberazione e cari politici, cosa affermava La Stampa oggi, dando voce ad uno dei tanti presenti al presidio di Torino?
“Se la scuola torinese fosse un’azienda in crisi con 847 lavoratori disoccupati si sarebbe già mobilitato mezzo mondo”. Dobbiamo salire anche noi su qualche tetto di qualche scuola? del provveditorato? cosa dobbiamo fare? Potete dedicare, nella vostra magrezza, una pagina che è una, ai precari della scuola? Oggi, subito! Ma qualcuno ha scritto due righe sulle chiamate effettuata a Torino riguardanti il personale A.T.A.? Alcuni, sostengono che “saranno alla fine 300-350 i precari che non avranno il posto” (tratto da La Stampa di oggi, cronaca di Torino, pagina 48, articolo di Maria Teresa Martinengo). Qualcuno era presente il giorno 31 agosto 2009 presso l’I.T.C. “Russel Moro” in Corso Molise 58 a Torino? Le chiamate, per i collaboratori scolastici terminavano con il numero 4700. Qualcuno si è chiesto quanti quel giorno sono rimasti senza lavoro? Quanti sono tornati a casa disperati? Quanti altri iscritti erano presenti quel giorno, con un punteggio superiore e quanti negli anni scorsi hanno ottenuto un posto di lavoro pur avendo un punteggio superiore al 4700?
Negli anni scorsi, si arrivava anche a chiamare il numero 8000. Possibile che non ci sia stata un’azione forte, incisiva, una dichiarazione tesa a dire:”per quest’anno niente tagli alla scuola, lasciamo i lavoratori nelle stesse scuole”. Possibile che si è pensato ad aiutare altri soggetti?
I lavoratori e ora disoccupati non hanno voce. Non hanno avuto voce, cara Liberazione: nessuno ha colto le lacrime di tutta quella gente che ci sperava in quel posto di lavoro. E penso a quanti, a torto, hanno in passato e continuano, ora, a “concertare” sulla pelle dei lavoratori.
Sono stati dei rulli compressori.
Davvero non ci vogliono bene. Si concerta in situazioni del genere? In situazioni così drammatiche?
Anche la Repubblica dedicava un articolo alla complessa situazione che insiste sul territorio torinese: “Guerra di cifre sui tagli ai prof. Presidio sotto gli uffici del Miur”. I sindacati chiedono di recuperare 250 posti. (cronaca di Torino, pagina 3, mercoledì 2 settembre 2009).
Noi continueremo ad essere sempre gli alfieri del nostro partito, io, mi sento un “funzionario” della mia area, e sono fortunato che il gruppo regionale di rifondazione comunista è sempre attento e sensibile a tutto ciò che capita nel nostro mondo regionale.
Juri Bossuto, Sergio Dalmasso, e altri sono sempre in prima fila e ricordo che già nel mese di dicembre avevano presentato un’interrogazione su questo tema. Ma, cara Liberazione, non basta essere magri, bisogna essere anche agili e correre là dove il bisogno e i bisogni chiamano. Non è dimagrendo che si aggiustano i conti, invertite rotta!!
Una nuova disoccupazione alle porte
A volte, alcune notizie ne sbiadiscono altre. Feste, festini, braccialetti a farfalla, escort, e via dicendo, allontanano l’attenzione su preoccupazioni ben piu’ grandi. Di questo parlavo con un mio collega rimasto “intrappolato” all’interno di un treno, causa guasto, sabato pomeriggio. “Guasto manda in tilt le Ferrovie. Ritardi di ore e treni cancellati. Isolate le linee verso Milano, Canavese e Aosta. Passeggeri inferociti”. Questo è capitato sabato pomeriggio. Persone di rientro dal lavoro, e che avrei dovuto vedere alla stazione di Torino Porta Susa, hanno comunicato il loro ritardo all’appuntamento, e di conseguenza, non soltanto la loro presenza al seggio, da predisporre, in vista del referendum e del ballottaggio. Il nostro appuntamento era finalizzato inoltre alle lettura e compilazione delle domande per inserimento nelle varie fasce, terza, seconda, al fine di ottenere un lavoro precario: quello di insegnante. Lavoro precario che si assottiglia sempre più. Proprio sabato, La Rebubblica titolava “Persi 200 mila posti, colpiti giovani e sud“, e, sempre su La Repubblica, un articolo di Tito Boeri citava “La decimazione dei precari“. Così La Stampa titolava a pagina 7 “La recessione lascia a casa quattrocentomila precari” e a pagina 6 “Per i giovani e Sud il lavoro non c’è più‘”. Sempre nella stessa pagina dello stesso quotidiano, in un’intervista a Luciano Gallino, “Ecco la conseguenza di 45 tipi diversi di contratti a termine”, ci chiarisce bene il senso della realtà: ” E’ accaduta la cosa piu’ semplice che potesse accadere: a perdere il lavoro sono stati anzitutto coloro che possono essere mandati via senza dover affrontare alcuna trattativa sindacale”. E, anche se nelle pagine dei quotidiani mancava un nuovo dato, penso che quella frase cogliesse il senso di una nuova disoccupazione alle porte. Italia Oggi di martedì 23 giugno 2009 evidenzia a pagina 11 lo spettro di una nuova disoccupazione: “A settembre 10 mila bidelli a spasso. Niente rinnovo del contratto, i posti non ci saranno piu‘”, articolo di Franco Bastianini e Alessadra Ricciardi. Leggendo l’articolo, si nota che “si tratta del decreto interministeriale di riduzione delle dotazioni degli Ata, il personale ausiliario, tecnico, amministrativo della scuola, attuativo della normativa finanziaria estiva: saranno circa 14.300 i posti che spariranno ogni anno per i prossimi tre anni. Un taglio che a settembre, alla luce anche dei pensionamenti, dovrebbe produrre la perdita del contratto a tempo determinato per circa diecimila bidelli e amministrativi”. Ecco perchè più volte affermavo: “Contratto”, “contratto“, e riaffermavo, a suo tempo, l’utilità degli scioperi contro i tagli. Così come sostenevo la necessità di affiancare i numerosi operai in sciopero, e con la pancia vuota, che magari, con qualche cartello o striscione possono aver offeso la sensibilità di qualcuno, che magari non marciava, perchè tanto aveva e avrà la pancia piena. Noi, intanto, sotto un cielo plumbeo, ferrovie permettendo, ci rivedremo, con le nostre domande già compilate, da consegnare in qualche scuola, e che alla luce dei tagli prospettati, forse, fra qualche lustro, riusciremo in qualche supplenza, temporaneamente. Forse! Presumibilmente senza farci problemi di coscienza; a noi, così, proprio non va, e speriamo sempre in un “altro mondo possibile”.
TUTTI A ROMA
Mentre treni e pulmann fra poco partiranno per Roma, dove una marea di gente confluirà nella grande manifestazione nazionale della Cgil, le preoccupazioni per altri gruppi di lavoratori non fanno che aumentare. Oggi la Repubblica indicava in maniera dettagliata le aziende in crisi. E fra quelle, una in più, la Denso, che a leggere la Stampa di ieri, sta attraversando un brutto periodo. Se qualcuno dei mie ex colleghi avesse voglia, di scrivere, lo faccia tranquillamente.
Proprio oggi, mentre mi recavo presso il Gruppo Regionale di Rifondazione Comunista per raccogliere ulteriori ragguagli su alcune situazioni di aziende in crisi, e portare in quelle istanze, ancora una volta, (in un luogo in cui, tutte le risorse e le energie su questo tema non latitano), le preoccupazioni e le ansie di alcuni lavoratori della Indesit, il Consigliere Juri Bossuto mi ha trasmesso la risposta all’interrogazione scritta sui collaboratori scolastici risposta-interrogazione-collaboratori-scolastici; ringrazio Juri e Rifondazione a nome di tutti i lavoratori della scuola che seguono il blog: grazie Juri, hai raccolto le preoccupazioni di un numero elevato di lavoratori con foschi orizzonti, e spesso, grazie all’insufficienza che si verifica in alcune scuole, fucina di litigi provocati anche da chi punta l’indice, non per indicare, ma per accusare, chi svolge il proprio lavoro, “secondo mansionario”, scaricando altro lavoro su chi “ha compreso che la scuola è cambiata”, mentre non riesce a trasmettere in maniera chiara una cosa sola: “LO STIPENDIO, CARI DIRIGENTI, NON E’ CAMBIATO RISPETTO ALLA COLLABORAZIONE RICHIESTA”.
Buona manifestazione a chi si accinge verso la stazione prima, e verso Roma poi, e un abbraccio e un coraggio, sono con voi, ai lavoratori tutti che resteranno a Torino e nelle proprie città.
La vita non è un fumetto di Topolino
Prima di cominciare a scrivere qualche pensiero su tre questioni che ritengo essenziali vorrei scrivere due cose. La prima: ringrazio tutti coloro che sono “passati” di qua per esporre problematiche e richieste inerenti il “sussidio di disoccupazione”. L’intento, il mio, era quello di fornire una informazione: l’esistenza ed i termini di scadenza (con appositi moduli relativi alla richiesta) del sussidio di disoccupazione. Avete formulato numerose domande, ed ho cercato, nel bene e nel male, di leggerle, e rispondere, quantunque non fosse il mio “lavoro”. Volevo parlare e far parlare di storie di fabbrica, cassaintegrati, politica, e dare voce a quei soggetti. Si sono così affiancate “storie marginali” e poco conosciute ad altre storie, quelle operaie, poco di moda in questo particolare momento; forse perché molti hanno creduto “che la condizione operaia non esiste più” (consiglio loro di andare a leggere il bel libro “Operai” di Carmen Santoro, Nutrimenti, pag. 95, euro 10). Colgo ancora l’occasione per ripetere a tutti coloro che hanno scritto e posto quesiti (tantissimi), di recarsi presso un patronato Inca Cgil: a nessuno sarà imposto di sottoscrivere la tessera e tutti riceveranno ascolto. Mi dispiace che molti abbiano aspettato un po’ di tempo prima di ricevere anche una piccola risposta; allo stesso tempo, mi dispiace anche che molti abbiano fatto perdere del tempo: persone inesistenti che ponevano domande con “indirizzi mail inventati”. Io non sono un professionista della politica, né tanto meno un lavoratore del patronato, quindi…
La seconda cosa è che ringrazio alcuni commentatori di questo Blog, Barbara, Daniele S., ……che rispondono e commentano in maniera molto educata e puntuale, oltre che denotare una correttezza linguistica e conoscenza di ciò che affermano; il ringraziamento nei loro confronti diviene ancor più grande quando le loro risposte sono dirette a qualcuno che ha difficoltà ad incanalare la propria rabbia e “strafora”. Tutti viviamo la stessa condizione, nella identica crisi: che non abbiamo generato noi e che non vogliamo pagare. La “rabbia” deve essere sempre incanalata e in voi vedo anche una mediazione “del conflitto”: grazie. Un conflitto che fino ad una ventina, venticinque anni fa, era, normalmente, di tipo “verticale”: era cioè la contrapposizione capitale- lavoro. Ora, i conflitti, sono divenuti sempre più di tipo orizzontale: colleghi di lavoro contro colleghi di lavoro, operai contro operai, contratti a tempo indeterminato accusati da quelli a tempo determinato di avere garanzie, di pensare al proprio tornaconto; pensionati “fortunati” contro giovani, “sfortunati”, italiani lavoratori, contro polacchi o romeni (magari vicini di casa, e benestanti, vero? A chi commenta superficialmente). In ogni caso, figure dietro le quali sussistono persone, in carne ed ossa: né redditieri, né padroni, né percettori di rendite. Anche nelle scuole, dove di norma si incontra un altro tipo di produzione, quella cioè del sapere, la “produzione culturale” si perpetuano questi contrasti: collaboratori scolastici contro collaboratori scolastici: uno che viaggia col mansionario sotto braccio, l’altro, a cui si chiede e si dice che “la scuola è cambiata”, “la scuola non è più come venti anni fa”, lavoratori che riscuotono lo stesso stipendio, solo che spesso “entrano in conflitto orizzontale”, perché ad uno pare di lavorare di più dell’altro. Il punto qual è? Che la scuola, a detta di molti, è cambiata ma gli stipendi, i salari no! Sono quelli di quando i “bidelli” erano il doppio di ora, e forse tutti “viaggiavano con il mansionario”. E quanti conflitti sorgono e rimangono allo stato latente? Però, quando si proclama uno sciopero, per rivendicare un aumento salariale, quanti partecipano? O, forse ci si preoccupa più dei trentacinque euro che si perdono? Ed ecco che quei conflitti si riproducono, perché non mediati, non risolti e vengono, e prendo a prestito un termine che mi servirà successivamente, “reiterati”. E giocoforza fanno alcuni di quelli che “contano”: i “bidelli” sono troppi, inutili e costano. Il problema non va risolto: va abolito. Qualcuno propone di “licenziarli” e di istituire le cooperative: in un colpo solo si risparmia sul personale e sulla “carta” per il mansionario. Parliamo sempre della scuola? Parliamo. Quanti di quei collaboratori scolastici “cadono nel trucchetto” del “conflitto orizzontale” e puntano il dito, contro “l’insegnante di sostegno” che “ruba la sedia e la cattedra” insieme al ragazzo, che viene “sradicato dalla sua classe” per poter svolgere un compito in classe? E la colpa è dell’insegnante di sostegno? Veniamo “inglobati” in questa logica, e magari, quell’insegnante di sostegno verrà accusato due volte: la prima perché ha escogitato il furto della sedia e della cattedra, al collaboratore scolastico, la seconda perché non è riuscito a “ricevere una cattedra”, tutta sua, in classe, magari perché non ha ancora l’idoneità, o manca qualche titolo. E il problema come andrebbe risolto? Chiedere che la scuola si adoperi per LE CLASSI, spazi, sedie e cattedre per i ragazzi diversamente abili e insegnanti di sostegno. E verso chi bisogna dirigere queste richieste? Verso il dirigente! Parliamo dei tecnici? Magari, Daniele, se vorrà, dato che ho capito essere tecnico, potrà dire la sua. Collaborare sempre e soltanto a senso unico? Ma dico, rispondendo a quanti mi dicono, “parla di amore”, vedrai quante visite sul blog. Ma a me non interessano le visite! E se voglio parlare d’amore, lo faccio con la massima delicatezza e riservatezza, e certamente non sul blog. Questa analisi, o critica, o riflessione, invece riguarda le circostanze che ci stanno intorno e che ci stanno modificando e noi, contribuiamo a modificare la società stessa. Passiamo “dall’impegno all’impegno”! e qualcosa cambierà. Ma tutto il circostante è politica e devo osservarlo attentamente. Ad esempio: se la Stampa del 25 marzo mi scrive:”Scuola, saltano 40 mila docenti”, e poi 37.000 i prof. che non rientreranno nelle scuole; 15.000 gli amministrativi”, oppure, la Repubblica, stesso giorno, “Scuola, arrivano i tagli del governo” posso non interessarmi? Posso non aderire ad uno sciopero se proclamato? Posso non rispondere ad un dirigente che magari “liquida le controversie del più basso gradino dei suoi lavoratori” dicendo, tanto dall’anno prossimo ci saranno meno controversie fra di loro perché “saranno tagliati posti di lavoro”? Posso permettere in tal modo “un’esaltazione dell’esternalizzazione” come risoluzione di un mio e non di un suo problema? Devo provare, mettere da parte il “probabile conflitto” orizzontale e “illustrare, raccontare, far prendere coscienza che il “probabile più grande licenziamento” che la storia della nostra Repubblica abbia mai conosciuto” è alle porte: quello nella e della scuola. (dato che ho parlato della scuola, e a me piace leggere, vi consiglio un libro, davvero interessante:”Beata ignoranza”, di Cosimo Argentina, Fandango, pag. 104, 8 euro).
A questa narrazione, simile, ne aggiungo un’altra: i lavoratori del tessile di Prato, i lavoratori metalmeccanici (ad esempio quelli Francesi); bene, con chi si alleano, ora, questi soggetti? Si alleano con il “vecchio” padrone; contro chi? Contro un “altro blocco sociale”. Dobbiamo cercare una risposta “da sinistra” e cercare di instaurare “un sindacato europeo”, perché ora è presente soltanto il vuoto, un vuoto che qualcuno vuole riempire. Come? Lasciando libero sfogo alla competitività “sfrenata”. Un vuoto che genera conflitto, che genera alleanze che non sono più come una volta, cioè lavoratori uniti ai lavoratori contro un “antagonista ben identificato”, ma lavoratori di uno stesso paese con “padrone” dello stesso paese. Il vuoto genera anche paura (basta leggere un commento il vicino, appena arrivato è ricco, io no). Situazioni che generano vuoti, paura e nuove alleanze in un’Europa dove solo sulla carta si hanno pari dignità e stesse azioni,mentre poi, si scopre che uno stato paga un’azienda che licenzia i suoi operai per trasferire la produzione in un altro paese (dopo aver magari preso anche i soldi per le agevolazioni per il sostegno pubblico all’industria degli elettrodomestici). Un domanda: ma perché non eravamo in diecimila al convegno di Rifondazione Comunista, sabato, sulle delocalizzazioni, in una fabbrica, magari dimessa, così anzicchè riempire il blog di commenti contro “noi stessi” avremmo capito di più sul periodo e “sulla guerra tra poveri”? E invece, dovremmo, e qui arrivo alla seconda considerazione, “lottare” quando è ora, presidiare, presenziare, informare: perché se riporto l’affermazione “Salari fermi dal 1993”, nessuno chiede: ma dove sono finiti allora i nostri soldi? Li avrà il romeno vicino di casa del commentatore? Quanto abbiamo perso? O per caso siamo finiti anche noi nella spirale del “miraggio logo” a tutti i costi anche quando apparteniamo ad una classe che non può permetterselo? O, che è lecito che lo abbia, ma ancor più se nelle nostre tasche avremmo ancora i nostri soldi. “Dal 1995 al 2006 i profitti netti delle maggiori imprese industriali sono cresciuti il 75%” (Liberazione: sabato 28 marzo, 2009). Continuiamo? Magari era sabato, a qualcuno “piace dormire”, o “è sabato anche per lui”; continuo: “i soldi della produttività sono finiti in tasca allo Stato, le cui casse hanno così potuto beneficiare di un introito pari a 112 miliardi di euro, tra maggiore pressione fiscale e fiscal drag. Tutto ciò a spese dei lavoratori dipendenti, ai quali il fisco ha sottratto dal 1993 a oggi la bellezza di 6.738 euro per lavoratore, visto che le retribuzioni nette sono cresciute 3,5 punti in meno (4,2% in meno per il lavoratore senza carichi famigliari) delle retribuzioni di fatto lorde. E chi ci “spinge”, o meglio “esorta” a spendere, ha idea della composizione dei lavoratori? Bene, sempre Liberazione riporta che in base alle dichiarazioni dei redditi presso i Caf Cgil, si ha che: 13,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. 6,9 milioni meno di mille: dei 6,9 milioni, il 60% è donna. 7,5 milioni di pensionati prendono meno di mille euro al mese. (e fra questi, sappiamo come “sono spalmati”). Il reddito famigliare fra il 2000-2008 registra una perdita di circa 1599 euro nelle famiglie di operai. Infine ricordo come più volte il Segretario di Rifondazione Comunista ha ricordato che “dal 1984 ad oggi ben 10 punti percentuali di Pil siano passati dai salari e dalle pensioni verso i profitti e le rendite: più di 150 miliardi di euro all’anno”. Posso avere un aspetto “più divertente” della società in cui mi trovo a vivere? Posso tacere e parlare magari dei 60 di topolino, e dire, “compriamo topolino, oggi”, magari ci faremo tutti un bagno nel deposito “dello zio Paperone”. Oppure, devo chiedermi qualcosa: se da giugno ci sarà, come ormai si dice, “il più grande licenziamento” (quello della scuola), 500 mila posti in meno, tra il 2009 ed il 2010, che il Pil precipita, posso cercare di conservare qualcosa dai quei 950 euro che percepisco? Io e tanti come me, che non avremo nessun ammortizzatore sociale. Invece dovrei pensare che mentre “nuoto nel deposito dello zio Paperone, il Pil scende, ed il Pia (prodotto interno dell’amore) sale”; ma non è così che ci si arriva alla meta, e la tradizione del movimento operaio lo insegna. Si, cari amici che mi avete indicato il metodo per raggiungere “i più alti contatti di questo blog”; il metodo non è quello di instillare sogni; abbiamo già chi continuamente racconta grandi sogni, “asfalta le strade” , “costruisce le Milano 2, Milano 3, ed ora vorrebbe (ma vorrei sapere con chi) costruire le tantissime Town, che fa tanto cool, che “conduce treni” e come hobby preferito magari ha quello di comprare ville. No, i sogni non conducono da nessuna parte. E’ legittimo avere aspirazioni, si, così come è legittimo che il sogno proibito di nove italiani su dieci è avere 32 mila euro l’anno (La Stampa, sabato 28 marzo 2009, Stefano Lepri), ma ora, sempre per rimanere nell’articolo, dobbiamo rimanere con i piedi per terra:” da 600 mila ad un milione di disoccupati in più pronostica la Cgil; molto più del mezzo milione temuto dalla Confindustria. Tra le tante cifre del rapporto presentato dall’Ires, il centro studi del maggiore dei sindacati spiccano quelle che in concreto spiegano la crisi: “ai livelli medi di paga, la cassa integrazione a zero ore significa dover arrivare a fine mese con 630 -760 euro, l’indennità di disoccupazione con 460 e i precari se perdono il posto non prendono niente” (dati sempre tratti da La Stampa, stesso giorno).
Ultimo appunto, il decreto sulla sicurezza. Alcuni titoli: “Sicurezza sul lavoro, ecco la controriforma” (Sara Farolfi), il Manifesto.
“Lavoro, sanzioni meno severe sulla sicurezza. Via alla riforma Sacconi”. Non abbassiamo la guardia”. Epifani: ”scelta molto grave” (Roberto Mania, la Repubblica).
“La nuova legge sulla sicurezza? Indebolisce le armi dei magistrati” (Federica Cravero), la Repubblica.
“Licenza di uccidere” (Liberazione). “Mentre nasce il Pdl, nel nome della libertà, il ministro Sacconi stravolge il testo unico per la sicurezza nei posti di lavoro. Il reato penale asciugato in un’ammenda. Esautorate le rappresentanze sindacali. Demansionamento per chi si ammala. Da oggi il lavoro è ancora più a rischio. La Confindustria applaude. Durissimi Cgil, Prc, Sd. Critico anche il Pd. La Cisl abbozza, anche su questo”.
“Infortuni sul lavoro, multe più salate ma meno arresti. Punite penalmente soltanto le violazioni gravi”. (Flavia Amabile), La Stampa.
Come si vede, riforma, controriforma, reteirare, plurimo, sanzioni, ammende. Il tutto però incorniciato da alcuni dati che scriverò mentre c’è tuttora un processo in corso, quello della Thyssen, ed uno che sta per cominciare, quello dell’Eternit.
Ogni giorno in Italia ci sono 2.500 incidenti: 3 persone perdono la vita; 27 invalidi in modo permanente; dall’inizio dell’anno: 100 morti; l’età media di chi perde la vita: 37 anni; i settori più colpiti: edilizia, metalmeccanica, trasporti. Nel 2008 gli infortuni non mortali erano stati 900 mila.
Le cause: parrebbero essere “carenza di sicurezza”.
Sabato e domenica si parlava di questo decreto legislativo (tratto da un comunicato stampa), ma le cose che più impressionavano erano le seguenti: si fa riferimento agli eventi traumatici nel decreto, ma per quanto riguarda l’esposizione a sostanze nocive? “Si fa scomparire la cartella sanitaria di rischio che non dovrà più essere comunicata all’Ispesl (istituto per la prevenzione) e la relazione del medico competente delle Asl, facendo scomparire di fatto al tutela delle malattie di origine professionale”; ritorna la visita preassuntiva per verificare l’idoneità al lavoro, ad opera del medico di fiducia del datore di lavoro (si scopre così se una donna è in stato interessante) che lo statuto dei lavoratori aveva abolito. Ed il demansionamento del lavoratore? E le Rsu? E la differenza tra reiterare e plurimo? Reiterare: replicare qualcosa già fatta (reiterazione di una promessa, ad es.). Plurimo: molteplice (un tempo nel sistema elettorale, certi elettori, in base al censo, all’età, o altro potevano disporre di più voti): ma se un’azienda è dispersa in più siti? O magari sussistono subappalti? Di questo si parlava, con la speranza di avere maggiori chiarimenti, ma con la speranza soprattutto che ciascuno di noi, ricomincia a riprendere in mano le fila di un percorso, di una casa, nostra, a sinistra.