Con anticipo di qualche ora ecco fare la sua imperiosa presenza il nuovo inquilino del calendario, cauzione “caldo e bolla africana”, soffrire e tacere, scadenza 31 giorni incorporata. Detto cosi
, senza pensarci molto, il primo pensiero va alle case del mare, all'insegna del"quando non c'era", senza pinguino Delonghi, condizionatori, umidificatori, al massimo due pale rumorose di ventilatore recuperate chissa` dove e fissate "nel cielo della stanza", della casa, di quelle con due finestre, che in fondo erano due occhi, una porta al centro, che ne era la bocca e cartelli arancio sbiadito, a riempire "il viso"con "affittasi prima e seconda quindicina", di un anno incertto,sempre incerittato a furia di mutarne l'anno. E un alberello in cura dimagrante da sempre, faceva la sua presenza, come un gendarme di frontiera,a sorvegliare il tutto. "Qualcosa da dichiarare?" Queste "quindicine" mi incuriosivano, da piccolo, soprattutto nei cambi, il 15 stesso in una imprecisata ora, quando una famiglia usciva e l'altra si disponeva all'ingresso, per l'entrata trionfale "nella quindicina". Cercavo, piccolo io, ma sempre pronto alla curiosità, questi avvicendamenti, di non perdermeli. Erano sempre ricchi di contenuti e storie, ma non dozzinali, anzi. Gli ingressi e le piccole verandine delle casettine, forse costruite proprio per tale scopo, quello dell'affitto, e generare ricchezza, umana, erano sempre intasati e procedere ai traslochi non era una cosa ordinaria. Cassette frigo, giochi, materassini gonfiati e da sgonfiare, ombrelloni chiusi e aperti, macchine, portapacchi carichi e da scaricare, palloni, fresbee e tamburelli, infradito, zeppe, espadrillas, passaggi di consegne, chiavi, tra chi prima, padrona al centro e chi dopo, e le grida della proprietaria mani al centro del suo enorme corpo,coperto da zinnale, amministratrice e proprietaria, allo stesso tempo, inveiva gridando, per segnare la strada agli altri, "avete consumato tantissima acqua, dovevate fare meno docce", e ancora "la bombola del gas, avete cucinato troppo" , e ancora, "ora dovete integrare, e ora guardiamo insieme quanti piatti, bicchieri e forchette avete rotto. E chi ha rotto, paga". E intanto da uno dei due occhi della casa un televisore portatile cercava di uscire mentre un altro, senza perder tempo, voleva fare il suo ingresso. Avete presente i treni del sud in partenza da Porta Nuova negli anni '60-'70 e i bimbi calati come proiettili dai finestrini nello scompartimento ad occupare posti per un lunghissimo viaggio? Ecco, proprio cosi.E poi, volete mettere in tutto questo il "Lessico famigliare"? E quando senza uscire dalle rispettive case, (durante le quindicine)per il troppo caldo qualcuno aveva dimenticato qualcosa, e gridava dall'altra parte "Suntiiii le tieni do oe?"(Assuntina, le hai due uova?").Questo si che era degno di nota e scrittura. Dialetti di ogni tipo. Ah, potessero raccontare quelle case "da quindicina"....potevo già avere crediti formativi dal Miur senza saperlo. Ogni quindicina una storia e ognuna di queste, un libro. Appena sveglio, dalla radio, alcune note di una nota canzone si prepagavano per casa, ma il ricordo è andato subito ad altri luglio, quelli senza internet e senza airbnb.it, senza cellulari ma con la ricevuta della cauzione per una quindicina di luglio, spedita a Pasqua. "Luglio col bene che ti voglio vedrai non finirà, ya ya ya ya, luglio m'ha fatto una promessal'amore porterà ya ya ya ya, anche tu, in riva al mare tempo fa amore amore, mi dicevi "Luglio ci porterà fortuna"..." e chissa
come andrà a finire questa storia
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Social Media e Cyberbullismo
Torino. Dalla palina del bus, dove un tempo il concessionario di auto svolgeva la sua parte, luccicando ora qua’ ora la’, piovono ricordi e cambiamenti. Cambiamento. Un “festival” nella comunicazione. Mi rammento che “Quel che c’era da fare e richiesto e’ stato svolto”, mi ripeto, in attesa del bus. Compito portato a termine. Lunedi si comincia, dalla cattedra, non piu’ e non solo tra i banchi. Pagina di storia scrutta e descritta. La strada da fare sara’ lunga ed e’ appena cominciata. Con la laurea di luglio sembrava tutto terminato, e invece.. “Quanto manca alla vetta? Tu sali e non pensarci”. Corso Principe Oddone, in via di assestamento, Via Cigna, piazza Rebaudengo, Istituto Rebaudengo. La Biblioteca Marchesa e’ alle spalle, Sally di Vasco Rossi, pure. Centri commerciali lungo la strada, aperti, da aprire che apriranno. Una stazione ferroviaria, da queste parti, che non ricordavo e che non c’era. Il futuro. Come cambia il volto Torino. Come cambia la societa’.Sul bus alcune ragazze mi salutano e domandano: “Lunedi sei da noi?” Prima di “scaldare” i motori dell’anno scolastico un convegno merita orecchio e attenzione, dopo il corso universitario, prima della patente della laurea-titolo a sua volta patente necessaria per la cattedra: “Social Media e Cyberbullismo”, presso il centro Salesiano Rebaudengo. Interventi della senatrice Elena Ferrara
e dell’Assessore all’Istruzione, Regione Puemonte, Giovanna Pentenero
. Interventi tra altri di avv. M. Alovisio, Dott.W. Bouquie, Avv. M.G. D’Amico, Dott.ssa E. Panto’, Avv. M. A.Senor, Ing. S. Giupponi. Nativi digitali, nuovo disegno di legge in materia di bullismo e cyberbullismo. Considerazioni, problematiche, positivita’, criticita’ e senso delle relazioni. Gia’, le relazioni…e poi ancira Facebook, “comunita’” da un miliardo di persone, utenti, virtuale e reale, cio’ che e’ vero e cio’ che e’ falso, responsabilita’, consapevolezza, attori e ruoli tra famiglia, personale della scuola, gruppi di pari, expertise, forma breve, forma lunga. Sono le 17. Il convegno va a terminare e la prima campanella per 500 mila si avvicina. Anche per me. Una cattedra, sotto il cappello.
“Librarsi”…su Valdocco
Eppure….d’accordo, i periodi in italiano, non dovrebbero iniziare con un eppure…pero’…Accarezzo da tempo l’idea di dedicare energie e spazio a nuove iniziative, mettendone tra parentesi altre, eppure, certi oggetti, certi “scatti”, talune intuizioni, personaggi, segni, sono loro, a cercare te, noi, per essere “formati”, narrati, cooperanti, bisognosi di un qualcosa, di qualcuno che li ascolti e dia loro vita, forma. Talvolta, dopo l’ascolto, capita che si assembli il tutto per diventarne un racconto per molti, per tutti. Un libro, da librare. Talune passioni proprio non possono essere spente e sicuramente non lo devono. Al più da ravvivare. Hanno necessità di essere illuminate, inquadrate nel modo giusto; ascoltate, ravvivate, messe a fuoco, incontrate. La profondità, la via, la vita, bambin*, ragazz*, uomini, donne, anziani. Le panchine. Storie come piante, bisognose di acqua, per crescere e far crescere, ossigeno, come segno e simbolo, assetate loro e assetati noi, perché hanno sempre qualcosa da insegnarci e da comunicare. Certe passioni non possono essere spente. E altre, dovrebbero essere educate ma anche educate per troppo deficit di “ineducazione sentimentale”. Le passioni hanno bisogno di librarsi, di dedizione, alla causa, al sentimento, in famiglia, a scuola, in fabbrica, nella lotta per un posto di lavoro, nella società, per la tutela dei diritti. Storie per essere viste, da tutti. E devono raccontare e raccontarsi. Devono poter fare luce, su persone, accadimenti, situazioni. Ve ne è bisogno. Come della cultura, dei libri, per spegnere l’ignoranza. Librarsi. Entusiasmarsi. Gioire. Dopo aver fatto rete, le braccia in alto, gli occhi al cielo. L’abbraccio dei compagni.
Dopo la rete, si sorride. Anche dopo lo smarrimento, impigliati nella rete, si trova sempre l’occasione di ritrovarsi e sorrideci su. Se dopo una lettura, una parola, o una parola di una lettura, di una lettera o di piu letture o di piu lettere e di un abbraccio caldo, bhe’, ancora meglio.
Eppure…Risalire. Approccio faticoso, fantasioso, mica poi tanto.
E’ una bella giornata di sole, a Torino. Cammino al fianco di mio padre. Ha il viso roseo, disteso, sereno. Le rughe sul suo viso si sono dissolte. Distese. Non sono più il percorso di una vita ma vie di molti e per molti. Hanno assunto nomi: via Sassari, via Ravenna ( profumo di cartone proveniente dal cartonificio Gherardi”. Ah!quanti presepe abbiamo costruito noi bambini del quartiere con il suo cartone! Un uomo gentile, sabaudo, con il suo grembiule nero, mani dietro la schiena, attento ad osservare le sue maestranze, anche 40, durante la pausa), via Brindisi, via Maria Ausiliatrice, via Salerno, via Cigna, via Pesaro, Corso Cirie’, e oltre. Altre. Distese e impregnate di odori e profumi, legname (era Mautino?) e caffe’ (era Eurocaf, oggi a Druento), pane e Chiese nella citta’ e nel “quartiere” dove “resiste” Gramsci, in quel che era “Taglione”. Aziende a conduzione famigliare che si danno il cambio nello stesso cortile. Spezie, cibi cotti, cous–cous e the alla menta, pronti per essere serviti, famiglie intorno alla tavola. Un asilo (Lessona), una elementare (De Amicis), una media (Verga), oltre il fiume, una superiore. Palazzi e case di ringhiera. Ballatoi. Scale vecchie e scale nuove. Una a caso. Una due, tre rampe. Ringhiera in ferro battuto. Alcuni piani, arranco, il fiato si fa fumo, nonostante la bella giornata e padre al fianco. Scale, in pietra, di quelle che si trovano in antichi palazzi sabaudi, muniti di portineria, guardiola, passo carraio. Occhio sveglio, di una custode, lettere alla mano. Il loro contenuto di un tempo: “buone referenze. Puo’ esser assunto”. Oggi come ieri resistono le comunicazioni del parroco. Se anche le forze dell’ordine davano l’ok, insieme a quello del parroco, il lavoro era assicurato. Un tempo, occorrevano certe referenze, per ottenere il lavoro. Oggi, basta un profilo facebook per valutare il profilo e la candidatura. Pero’, continua a funzionare “lo sportello” del parroco. Insieme ad altre evenienze. Guardiola. Al pari di una bidelleria. Dagli appartamenti, lungo il ballatoio ci vengono incontro voci, suoni, talvolta il gracchiare di una tv sempre accesa. Attori che domandano, rispondono, amano, e fingono il tutto, senza saperlo, per chi sta a guardare. Portineria, guardiola. C’era mentre ora esiste nei pensieri, o nei ricordi. Qualche grida, di tanto in tanto. Ma sono nei ricordi. E’ di chi il telefono lo aveva che chiamava chi non lo possedeva. Da sopra, qualcuno talvolta rispondeva. Se non dormiva, dopo il turno di notte. Più tardi, quel posto, lo avrebbe lasciato a chi svolgeva il turno di giorno. Oggi, il cellulare, i messaggi. Uno, due, tre, dieci, venti scalini, in pietra scura. Uno, due, tre, dieci, venti anni fa. Anche più. Scale. Un pensiero a chi le lava, ora, venuto da lontano, e chi le puliva e lavava, venuto dal Sud, nella Torino degli anni ’60, ’70, del boom economico. Fatica e gioia nell’aver raggiunto la vetta, la cima, di questa costruzione priva di ascensore ma con diritti in costruzione, ieri. Oggi, in bilico. Lo ricorda una scritta: “Finchè la barca va’“, scritto da chissà quando e da chissà chi, ma più che mai attuale. Presente e passato continuano a salire sotto braccio, un po’ come me, in compagnia di mio padre. “Vietato introdurre biciclette nell’androne” , “Il parroco passerà giovedì pomeriggio per la benedizione delle case” e “Vietato giocare nel cortile, tranne nelle ore stabilite in assemblea condominiale”: ma noi, nel passato, presente e futuro, fortunatamente, a Valdocco, un cortile, lo abbiamo sempre avuto, lo abbiamo e lo avremo ancora.
Scritte che danno la cifra del tempo, insieme ad un calendario, consumato dal tempo, lasciato in un angolino di questo condominio, cartone rigido, in origine blu stellato, con macchie giallastre e “con gli auguri del portalettere” davvero cimeli. Oggi i calendari li fornisce direttamente il tablet. Alcuni bimbi, per via del regolamento condominiale “giocavano in casa”, e molti continuano, ancora oggi, perché non le graduatorie degli asili si sa, non hanno molti posti in serbo. Bimbi. Alcuni ridono, qualcuna piange. “Marta piange ancora“, forse. Certamente la canterà Vasco. Appartamenti con i gabinetti sui ballatoi, profumi sprigionati e sparsi lungo le scale da baracchini poco chiusi, ermeticamente , causa guasto guarnizione usurata per i troppi apri e chiudi quotidiani (senza contare le vivande da portare il sabato e la domenica nel garage da custodire. Si sa, i soldi non bastavano mai, e “vi era bisogno del lavoretto”, per far quadrare, ieri, ma anche oggi senza lavoro e senza lavoretto e allora non ci resta che il fazzoletto. Fortunatamente, il padre, non offre solo il braccio al figlio, in questa faticosa salita, ma anche la mano, “allungandola” nel momento del bisogno). Il porta vivande che prendeva il via verso uno dei piu’ grandi “scatolifici” mondiali, capaci di assemblare migliaia di pezzi mobili al giorno oggi è un cimelio, chiuso ermeticamente. Ieri si apriva, la’ dove si incontravano per 8 ore “I compagni”. Oggi, resta chiuso. Mense e ticket restaurant, per chi lavora, fanno la loro parte. Da un ballatoio, osserviamo ancora un momento Torino, avvolta nel passato, presente, futuro. Solo un attimo, anche se pare passata una vita. Poi, è ora di ridiscendere. Ci viene incontro il profumo del latte caldo mischiato a quello di sapone di marsiglia, odori che scendono giù per le scale, dopo averle risalite, tutte d’un fiato, piano dopo piano, o piano piano, profumi che si appiccicano addosso e musica che di sottofondo…Yesterday, all my trobles seemed so far away, now it look as though they ‘re to stay, oh i believe in Yesterday….Domenica. Il riposo, il film, un tango, o “ultimo tango a Parigi..”, le pulizie trascurate in settimana, i libri, il libro, “La donna della domenica”.
In via Ravenna si trovava una fabbrica, di luci, di lampade e lampadine: Osram. Lampada Osram era una canzone. LO è ancora, come questo quartiere. Dolce, romantico. La fabbrica, quella, non esiste più da tempo. Le luci, si. Non sono mai state spente. La Luce, sempre accesa. Chiusa parentesi…eppure era ieri…L’importante, ora, e’ che “Stanno tutti bene”. Ovunque siano stati, ovunque siano, ovunque saranno. Ieri, oggi, domani. Con la speranza nel cuore e un cuore che trabocca di speranza. Un saluto, ciao-ciao.
Poca Intesa per il 59? Un caso di scuola
Abituati a guardare il bicchiere mezzo pieno, o mezzo vuoto, osservo ” la balena “spiaggiata, trasparente che ingoia continuamente persone e sogni che viaggiano. Che paradosso, eh? Spiaggiata eppure viaggiano, i viaggiatori. A ciascuno il suo. Per restare in tema di libri, ormai a “portici aperti”.
Porta Susa. Rifletto, prima che gli uffici pubblici aprano e facciano passare luce su quei pochi spiragli che esistono, per portare a casa un sogno. Ed è proprio dagli spiragli che la luce comunque passa. Almeno, mi consolo così. Uno spiraglio, luce nella luce. E luce nella luce sono gli amici con cui vicendevolmente ci sosteniamo in una situazione che ha del paradossale.
Per il momento lo spiraglio, della luce, perviene da una amicizia consolidata. Spesso sfogliamo un libro, “insegnanti al timone”, noi che vorremmo, noi che forse potrmmo, non che non lo siamo e forse non potremo. Noi, che col 59 potremmo davvero stare al timone. Noi che siamo pochi. Quanti? Forse tre, quattro. Ma una norma non dovrebbe essere oltre che certastratta e… anche prevedere che….Vabbe’
.
Un oratore parla: “una non scelta è una scelta”. Penso che talvolta si è nella condizioni in cui non si possa scegliere. A volte alcuni tracciano una strada, un po’…superficialmente, capace solo di portare al punto di partenza, dopo tanti sacrifici. Hanno raccontato che con la laurea, e con tanti sacrifici, bhe, saresti riuscito ad insegnare. Sacrifici tuoi, di chi sta intorno. Il tempo passa, le stagioni, gli anni. Tutto ruota intorno ai tempi stretti, del dopo lavoro, lo studio. Centellinare tempo, spazio, risorse. Di ogni tipo. Poi, una volta arrivati al traguardo, qualcuno ci ha raccontato che forse, quella laurea li, “classe di concorso…” sarebbe meglio toglierla perché insufficiente per insegnare e inserirti in graduatoria di terza, seconda, prima fascia.
Al che, resti fuori. “Si accomodi”.
Arriva poi nel frattempo qualcuno che ti consiglia, “bhe, hai fatto 30, fai 31, continua a studiare, prendine un’altra”, non si sa mai. Come fosse un ricostituente. E studiare è bello, davvero. Oggi discutevo con un amico innamorato dei libri, come me, di quanto vorremmo leggerne ancora e ancora. Recuperando il nostro tempo, nel frattempo sottratto da lungaggini di chi modifica percorsi. E mettere a disposizione questo sapere di chi lo vorrebbe sapere.
Altri tempi, scelte, altri sacrifici. Intanto lavori, studi e i quotidiani annunciano che forse il tfr andrà in busta paga. Poi, “in nome del popolo italiano….” qualcuno ti conferisce, dietro altri sforzi, un altro titolo di studio, solo che, anche questo, non basta ancora e sei fuori, ancora, dalle classi di concorso.
Che fare? Ottobre è il mese delle rivoluzioni, sostiene la storia. Nel frattempo comprendi, a furia di stare tra le aule, che è davvero bello lavorare nel campo della scuola, dell’educazione, con i ragazzi. Dalla scuola di massa alla scuola di massa. Ti inventi progetti, percorsi, nonostante tutto. Scopri che la scuola e’ la piu grande biblioteca che possa esistere, con le tesine, raccolte e depositate in qualche luogo sicuro. E ti verrebbe voglia di metterci mano e provare a leggerleee vedere in dieci anni come sono cambiati i ragazzi e come si sono modificate le aspettative, come concepivano il mondo del lavoro e come lo hanno trovato, e poi come si pensavano e ccme hanno dovuto ripensarsi. Di tanto in tanto ti capita una circolare tra le mani e mentre qualcuno immagina una “lotta” di piastrelle e di classi, leggi la data, il protocollo e pensi a come la comunita’, quella comunita’ si e’ modificata negli anni. Una fotografia, della scuola, con lenti sociologiche..Fotografia. Vedi il prof di fotografia e di italiano e suggerisci loro di provare ad immaginare un percorso in cui i ragazzi, knsieme alle classiche fotografiele del giorno della laurea, del matrimonio, si applichino su un percorso piu lungo, istoriato, narrato, perche’ no, romanzato, accompagnato dalle fotografie Degli sposo, dei testimoni, amici di un tempo. Soggetti, oggetti, relazioni. Tornare alla scuola di massa partendo dalla scuola di massa. Modalita’ nuove, al passo. I ragazzi sostengono che “il miur dovrebbe sapere che esiste questo sapere nel corridoio, un po’distante dalla classe”. Cosa? Mi rivedo come in un film la scrivania del professore di storia dell’Universita’ di Torino, Giovanni Carpinelli, ricolma di tesi, laureand* in fila a chiedere consigli, titoli, abbozzi di tesi. E lui, la sua passione per il lavoro di insegnante ancora al lavoro a formare “libri” , da scrivere e da leggere. E da correggere. Una passione, capitolo dopo capitolo, fino alla conclusione del volume.Ma riprendo il filo di un sogno. E davvero diventa un sogno, e lo insegui. Intanto, si cambia lavoro e tutto fa scuola. Tutto si tiene. Qualche anno in giro, per la provincia, a vedere come cambiano i campi, le coltivazioni, le insegne dei paesi, le stagioni, dal treno, dal bus, dalla macchina. Capisci che davvero insegnare è una passione, un sogno. Ci credi, senza se e senza ma. Ma… E allora dici, vabbè, proviamo. Diamoci ancora una possibilità. Trovi una “intesa”. Con te stesso e ancora una volta coi tempi, col lavoro. Passi di ruolo di un certo profilo, e qualcuno, mentre lavori, prova a sottoscrivere un’altra intesa. Su, ai piani alti, del Palazzo. Intanto lentamente ti stai avvicinando all’ennesimo traguardo. Stai diventando “nozioni” che camminano. Pensi: questa volta ci vado, ad insegnare. Sta arrivando il mio turno e ho dalla mia, non i numeri, ma il numero: il 59. Con questo, posso conservare il mio posto, e cominciare a realizzare il mio sogno. Manca poco. Uno spiraglio. E proprio su quel poco si gioca tutto. Quel poco, che è rimasto nella penna, nella fretta del e nel Palazzo. E così, per l’ennesima volta, per una questione di giorni, “dal fine lezione” al “termine attività didattica”, il numero fortunato, che permetteva un po’ di pratica, di esperienza, senza costi aggiuntivi per lo Stato, capace di far mantenere il posto di lavoro al dipendente, resta nella penna. Un numero che permetteva il sogno. Non un 13. Ma il 59. Il 59 non è applicabile. Ti dicono che devi scegliere. O di qua o di là. Dove di qua, è tenere un posto, a tempo indeterminato, (senza attivare, come capita per altri, un articolo, per accedere al profilo superiore, e tornare al proprio, una volta terminate le lezioni), o di là, andare si, ad insegnare, ma, al termine delle lezioni, a giugno, rientrare nella giostra della disoccupazione prima, del precariato poi. E tutto perché è mancato qualcosa. Nell’intesa. Pensavo fosse terminato il tempo del si deve. Pensavo fosse cominciato il tempo del vorrei…
Ho pensato che se non posso con il 59 magari con il 18, comma tre…..In soldoni mi dice che si, posso, potrei, a patto che non sia un costo aggiuntivo per lo stato. E quindi, non posso, perche’ il mio posto dovrebbe essere sostituito da altro lavoratore della scuola. Senza costi aggiuntivi….ma col 59 non ve ne erano!!!!!!
Se “Cei sei ” batti un colpo! Perche’ forsee’ un casi di pochi, per pochi, e pochi sicuramente lo siamo, ma e’ un “caso che fa scuola”.
Nel frattempo non si contano le mail e i soggetti interpellati. Ma chi era, Monti? Ma, non era un governo tecnico? Perche? Il Presidente del consiglio, attuale, sostiene che si possa utilizzare la modalita’ on line per segnalare “una buona scuola” e la scuola e’ buona per chi la fa.Tra le mni gira e rigira una nomina di insegnante, che vorrei, mi piacerebbe, ci tengo, ma mancano gli spiragli, rimasti nella penna, ai piani alti. Mi sa che domani dovro’ svegliarmi da un sogno lungamente e troppo brevemente accarezzato. Per colpa di chi, cantava Zucchero, non lo, so. Mi sa che domani non saro’ ancora professore. Ma quando arriva domani?
La testa e’affollata di numeri, e pensieri poco intesi e che non aprono strade, ma non ho voglia di seguirla, quindi, buonanotte.
Arrivederci…dalla scuola
Torino. Ultimo giorno di scuola.
Non ho fatto in tempo a dirvi, a tutti, proprio tutti, un arrivederci. Buone vacanze. Una stretta di mano, una pacca sulle spalle. Non saprei dire neanche se sarà un “arrivederci a presto”. Il mondo della scuola, dei lavoratori della scuola, è simile ad “un viaggio”. La meta non la si conosce ma tanto questo non è importante, è il viaggio quello che conta. Incontri. Fondamentali. Orme. Frasi dette, mancate. Domande, risposte. Mi sono limitato ad osservarvi da quassù. Una finestra. Due mondi apparentemente distaccati ma congiunti. Adulti, ragazzi. Una finestra. Un brivido ricorre ad altra finestra. Il ricordo di Recanati, dello studio di Leopardi. Il suo guardare con un po’ di malinconia o nostalgia. La finestra dove ognuno di noi, fin da piccoli, eravamo scrutati da un occhio vigile e attento, ora da un padre ora da una madre nel nostro lento, incerto incedere e attraversare la strada della vita e per andare a scuola. Ecco. Forse un occhio vigile e attento, potrebbe essere il simbolo che racchiude il guardare da questa finestra. Strade che si separano. “Cose che restano”. Avete salutato la fine della scuola con una festa fatta in casa come succede in molte famiglie e la scuola è stata la vostra. Lo è e continua ad esserlo. Avete aspettato il suono dell’ultima campana per poi andare. Prima avete messo in comune qualcosa da mangiare e da bere. Compagni. Per una volta, azzerate differenze e gruppetti vari che durante l’anno vi hanno contraddistinti. Prima vi siete abbracciati, qualcuno ha pianto, altri hanno riso. Abbracci. I migliori, quelli che arricchiscono, non si riescono proprio a raccontare. Non ci si riesce proprio. Lasciano qualcosa dentro. Un misto di emozioni che non si riescono a raccontare. Non si possono, raccontare. Siete andati. Oltre. In mare aperto.
Arrivederci, buone vacanze e buona maturità.
Ps. Domani qualcuno racconterà delle fontane, dei bagni e gavettoni. Ma con “occhio” freddo come l’acqua fredda e ghiacciata delle fontane del centro di Torino, in piazza Castello. Acqua che “lava” via un anno di scuola e altro ancora. Raccontare non basta. Bisogna viverle, quelle emozioni. E le emozioni non durano un attimo. Una fotografia, due righe su un giornale, qualche notazione a margine non saranno mai sufficienti. Bisogna viverle, impastarsi con centinaia e centinaia di emozioni differenti. Che appartengono ai ragazzi e le scambiano. Che durano un anno. Cinque anni. Non due righe. Anche queste non saranno mai sufficienti e non renderanno sufficientemente giustizia.
Un saluto.
Dalla scuola. Una passione che…”brucia”
Uscito da scuola, una signora mi avvicina e mi dice: “Buongiorno, l’ho riconosciuta. Lei è blogger. Vorrei raccontarle una storia“. Impietrito. In ogni caso mi fermo e ascolto. E’ sulla scuola. Il tema “La scuola” ha sempre qualcosa di allegro, in sè. Ascolto e annoto. Penso che la scuola sia un ambiente che “brucia” di passione, di passioni. Tempo fa avevo pensato che le circolari di una scuola potessero essere un modo per “ricostruire” storia e storie. Un archivio, una “biblioteca” in proprio, al pari della civica o di qualsiasi altra. Una biblioteca pubblica, la scuola, senza dover uscire dalla mura dell’edificio, senza mettere in moto tutta quella burocrazia relativa ai permessi, “declinazioni di responsabilità” del tipo…”Io sottoscritto, genitore di tizio, autorizzo la scuola a…”. In questo modo, tutto si ritroverebbe all’ interno della scuola. La ricostruzione di una comunità, di persone, organi collegiali, di un quartiere attraverso le circolari. Fattore economico o culturale? Ad esempio, i mercatini di Natale nei pressi di una scuola. Una scuola per scrivere bene. Ancora. Quanti scioperi, quanti consigli straordinari, attività, manifestazioni. Un mondo. Un’officina culturale. Eppure, complice la signora che mi ha riconosciuto chiamandomi “blogger” ho pensato che in realtà qualcosa in più, oltre, a quella mia idea già pensata, elaborata, proposta in seguito ad un articolo sulle relazioni nella scuola, pubblicata su La Stampa (e proposta alla scuola) poteva e doveva esserci, all’interno di un edificio scolastico. Bisognava solo riflettere. Magari era sotto gli occhi e nessuno se ne è mai accorto o mai ci aveva pensato. Mi giravo e rigiravo all’interno di una classe, per vedere se era tutto a posto, in sicurezza, in previsione di una grande mostra che si terrà domani e mi dicevo: qualcosa dovrà pur esserci”. La mia scuola è davvero d’arte. Qualcosa, di sicuro, la conserva. I suoi studenti, sono artisti. Per un attimo, i miei occhi, guardano verso il basso. Avevo trovato. “Potevano brevettare la più grande invenzione nel mondo della comunicazione”. O forse quello a cui stavo pensando è un patrimonio comune, alla scuola. Sto parlando di quei “messaggi” con brevi caratteri che si chiamano i “cinguettii”. Il papà di Twitter era sotto i miei occhi. Già. perché davanti o sotto, o nei pressi di una fonte di “calore”, che brucia, perché non esisteva un tempo (forse anche ora in molte scuole) la possibilità di regolare, si trovano micro-temi. Uno, in particolare mi ha incuriosito. “Credo ancora nell’amore, nonostante i cerotti sul mio cuore“. Mi son fermato. Riflettevo. Se erano cerotti sul cuore o nel cuore. Il messaggio era datato. Come tanti. Una storia, datata, nel vero senso della parola. Tante storie, datate. Passioni che bruciavano ma che bruciano tuttora. In molti, in tanti potrebbero rispecchiarsi in quelle narrazioni. Cambiano i soggetti, restano identici i sentimenti. Mentre dipanavo i miei pensieri quella signora raccontava a “blogger” ma la testa, non era lì. Le mie “orecchie” non erano attive. Pensavo e ripensavo. Un messaggio, un altro, un altro ancora. “Gressoney, 29 maggio”. ” Ancora: “2007” e poi una infinità di “Buco” per via dei numerosi buchi al lobo che lo hanno reso una finestra da cui guardare il mondo, ecc.ecc. Micro temi svolti su muro. Uno dietro l’altro. Anni scolastici lasciati ai posteri. Nomi, in quantità. Aggettivi, a “pennarelli”. Inizi e fine. Anniversari e luoghi. Prime e ultime volte. Caloriferi. Generatori di storie. Vicino la puoooorta. E chi la porta nel cuore. Caloriferi emettitori di storie e calore. Che bruciano a scuola. E carte di merendine con rispettive calorie. Bruciate.La signora continua a parlare. “Perché quella volta, qualcuno aveva perso all’interno dei fori del calorifero un euro. I ragazzi chiesero il permesso per andare a chiedere a qualche bidello un bastoncino, qualcosa di affilato, per provvedere al recupero di quell’euro, così necessario, così indispensabile allo studente. Si immagini gli studenti, una seconda. Venti, tutti intorno al termosifone. Il righello o cosa fosse, di mano in mano. Colpo dopo colpo, da sotto il calorifero, insieme all’euro, finirono sul pavimento a decine di biglietti. Micro temi, cinguetti su carta indirizzati chissà a chi”. Oltre ovviamente, carte in grande quantità di merendine di ogni tipo, tipologia: dalla marmellata alla nutella. Stagnole, carte di pane, pizza e …..molto altro. Uno di quei micro temi aveva colpito la signora. “Credo ancora nell’amore, nonostante i cerotti sul mio cuore“. Di colpo fu come svegliarmi. Un soprassalto. La signora lentamente aveva ripreso la sua strada salutandomi. “Buongiorno, blogger”. Misi la mano sul cuore. Apparentemente, in superficie, non c’erano cerotti. Dentro, si. Mi allontanai, rendendomi conto che il micro-tema calzava a pennello. In più, avevo perso la mia identità. E mentre mi allontanavo, mi scoprivo a ridere, per un “buongiorno blogger”.
Attaccati al tram
Lentamente si avvicina la conclusione del 2012 e pian pianino si avvicina il 2013 all’insegna di Paperino. Le ultime notizie di riportano in continuazione, con toni trionfalistici, la cura dimagrante nel pubblico impiego senza ricordare che i lavoratori rimasti ora espletano funzioni da multitasking. Solo nella scuola, un segno meno: meno dieci per cento del personale. Povera scuola. E pensare che proprio un 31 dicembre di anni or sono, un grande cambiamento si avviava proprio nella scuola. Era il 31 dicembre del 1962 e nasceva la scuola media dando così finalmente seguito all’articolo 34 della Costituzione. E vorrei ricordare la vergogna di chi ha lasciato passare nell’indifferenza questi mesi senza stabilizzare quanto dovuto. “Palle” di Natale che rimbalzano tra Miur, Mef ecc. ecc. Normali cinque, sei anni di precariato nello Stato? Normale lasciar passare centoventi giorni prima di decidere qualcosa? Terminato un anno, e passate le ultime ore a descrivere giochi d’altalena tra chi “scende” e chi “sale”, tra chi Passera che non passerà, chi torna e si posiziona ai piedi dei Monti, ( chi torna, invece, a “grande velocità”, senza per questo perdere tempo e occasione a comiziare, con poca voglia di ricordare), a noi, “umiliati e offesi“, in attesa che si sblocchi una situazione che ormai persiste da tempo………non resta che …attaccarci al tram!
(Tram storico a Torino)
Siopero. No alle politiche d’austerità a senso unico
Torino. Ore 9.30. Piazza Vittorio. Un grido si alza verso verso il cielo, pulito come poche altre volte, e la collina davanti: “No alle politche d’austerità”, solo ed esclusivamente a senso unico, nella giornata di sciopero indetta anche dalla Cgil e dalla Ces, la Confederazione del sindacato europeo. Il lavoro si muove. Anche se strangolato. Come i lavoratori. Strangolati e prosciugati del giusto per vivere. Lavoro. Quello che “La Repubblica italiana è fondata sul lavoro”, e che manca. Quel poco, che vi è ancora, composto da “invisibili” che continuamente, quotidianamente vengono penalizzati. Si parla, si scrive, si descrive lo stato dell’economia attuale e di quello che verrà, nel nostro Paese, in” mare agitato, tempestoso”, come descritto da una relazione europea. E in fuutro, altri duecentomila posti di lavoro si perderanno con una disoccupazione che toccherà l’11 per cento. Per non parlare poi delle condizioni di lavoro, in molti siti, da ferriere anni cinquanta…nonostante le arroganze e gli inganni, di promesse non mantenute. Bene i vigili del fuoco, applauditissimi, al loro passaggio. Un segnale importante, la loro presenza, in un Paese dove la cultura muore, lentamente. Il corteo si dirige verso Piazza Castello, dove nei pressi, un banchetto della Federazione della sinistra raccoglie firme pro referndum ripristino articolo 18, e, nello stesso tempo, in altra zona di Torino, poco distante, in via Pietro Micca, zona Miur, un altro corteo si muove, quello del mondo della scuola….gli studenti,gli insegnanti, i precari della scuola, sindacato di base, collettivi autonomi, centri sociali, per dire no a Francesco, e al suo profumo di inganno (tablet e ancora precari nonostante …), che non piace, che porta sempre addosso. Si puo’ essere geni e mediatori quanto si vuole, e “medagliati” con curriculum da lista della spesa, ma sono i valori che contano…Si puo’ ricevere un applauso per un tablet sapendo che miglia di precari son ancora impallinati?
Un pensiero ai venticinquemila in mobilità e a coloro che hanno perso il lavoro.
Intanto si registrano scontri in alcune città.
Chi l’ha visto, il contratto?
Due pesi e due misure. Come sempre. A chi si bea di aver predisposto tutto per l’ottimo avvio dell’anno scolastico, assegnando le chiavi degli istituti ai vincitori del concorso da Dirigente Scolastico, vorrei ricordare, che, “le pedine” (a cominciare dal calderone Ata) che questi ultimi muovono, sono prive a tutt’oggi di un contratto, fra i lavoratori e la scuola. “Chi l’ha visto il contratto?” Qualcuno dorme. Chi? Possibile che ipocritamente parlino, ai piani alti, di livello di diritti, di democrazia del sapere e nel sapere, di coinvolgimento di tutti i lavoratori al fine di motivarli in base alle loro competenze, conoscenze, attitudini, nella collocazione del posto lavorativo e poi, gli stessi concetti non siano applicati ai diritti del lavoratore a ricevere quanto gli spetta per il suo lavoro, a partire dal suo contratto? (non afferma forse così la Costituzione? o magari, terminati i concorsi ci si dimentica?). Quanti sono quelli che non hanno ancora il contratto con la scuola perchè precari? Perchè qualcuno all’atto del conferimento delle nomine ha dato dei numeri sulla stabilizziazione dei precari, sul passaggio in ruolo e invece nulla di tutto cio’ sta ancora avvenendo? Qualcuno, sindacati, politici, potrebber ricordare ai piani alti, al Miur, che la scuola non sono solo i Presidi che, anche freschi di nomina, muovono le loro pedine, e che per il momento le muovono non avendo somministrato un contratto di lavoro, (magari per “responsabilità” altrui, magari “l’Europa che lo chiede”. Ma l’ispettorato del lavoro non dice nulla?), e quindi privandole di denaro alla fine del mese e quindi non garanti sulla sussistenza derivante dal corrispettivo del proprio lavoro? Già, perchè gli euro dei lavoratori della scuola, non sono “i soli” 43 mila euro lordi l’anno, come tutti i quotidiani si sono mossi a sbandierare giorno della stipula del contratto tra Ministero e Presidi, con tanto di “battito di mani”, ma molto, tantissimo di meno. Questa è una brutta, bruttissima storia, che ogni anno si ripete, con ritardi enormi sull’accreditamento dello stipendio, ma quest’anno risulta essere ancora piu grave. “La scuola è cambiata”, continuano a sostenere, quasi tutti, per giustificare mansioni che rasento il tutto e il di piu’ pur di coprire i tagli del personale. Vedo ogni anno personale della scuola trasformarsi in “infermieri, oss, barellieri…badanti, giardinieri”…di tutto…con una formazione direi allegra, mentre si dovrebbe tenere conto delle sensibilità di chi ci lavora che non sono date una volta per tutte, ma dinamiche, che si evolvono, nel bene e nel male…e solo gli stipendi, continuano ad essere quelli di una volta. Forse il concetto di democrazia e coinvolgimento del personale era bellissimo chiederlo e ascoltarlo durante le commissioni d’esame, dei Dirigenti Scolastici. Poi, tradurlo in pratica, risulta essere già un tantino piu’ difficile. Si, facile consegnare tablet ai ragazzini di prima media, prima superiore……. (tra l’altro, l’assegnazione dei tablet avviene attingendo ai fondi europeri del programma Formez) un po’ difficile prendersi cura dei lavoratori. Non ci siamo. Chi ha visto i tecnici? Forse come sostiene l’amico Daniele, stritolati dai tre anni di tagli, compressi prima dal basso, con la mobilità verso l’alto dei piu’ “bassi”, tra gli Ata, e poi, dall’alto, degli inidonei. Chi sa quale fine hanno fatto i cosiddetti “inidonei”? E se non si sblocca la loro situazione, quella degli altri resterà tale e quale a quella degli anni precedenti? Possibile che si continuino a fare nomine con articolo 40, fino a che l’avente diritto non si presenta? Chi stabilisce tempi e modalità? E se non viene stabilito “il quando” verranno conferite le nomine? Penso che i piani alti dovrebbero essere piu’ seri. Non si puo’ continuamente giocare con la pelle delle persone. Assolutamente. Non ci siamo. La scuola non è piu’ quella di una volta, “il Miur quest’anno ce l’ha messa tutta a farsi trovare al traguardo in condizioni meno difficile del passato…” e così, due pesi e due misure, “utenti” col tablet e lavoratori che ricordano anni andati, con funzioni che non dovrebbero espletare (oltre che essere attualmente nè carne nè pesce, illusi da una stabilizzazione che non avviene. E’ la scuola del futuro, bellezza, con precari, statali, da cinque, sei, sette anni………… .. Complimenti.
Tanto per cominciare, bisognerebbe tenere fuori dal patto di stabilità istruzione e sanità…Situazione creata dall’abdicazione dellla plitica ai mercati, con più disuguaglianza, piu disoccupati, più precari, e meno protezione sociale. E tanti multitasking nella scuola………
Primi giorni di scuola per i dirigenti scolastici
I Dirigenti Scolastici, riusciti nell'”assalto alla scuola” (post blog maggio), hanno firmato il loro contratto all’istituto Avogadro. La cosa piu bella, di questo nuovo ruolo, per molti, “la conoscenza delle maestre e dei maestri”: per chi lavora in una Direzione Didattica, infatti, questa, concede la possibilità di mettere in gioco tanta creatività in un “mondo così colorato e variopinto”, un mondo composto da “tanti mondi”. Ad esempio, la scuola Gabelli, di Torino. Ma tantissime sono in questa “versione”. (probabilmente, quella, sarà visitata dalle istituzioni cittadine). Per non parlare delle scuole belle, ricche, variopinte della circoscrizione 7 di Torino. Una di queste, retta da una nuovissima Dirigente Scolastica, fresca vincitrice di concorso, dopo un’esperienza legata al Miur. Una scelta, la sua, di Cuore, anzi, da Cuore. Una scuola che continuerà a fare scuola su un territorio dal profondo cambiamento. Un concorso, quello per i dirigenti scolastici concluso da pochi mesi, certo non facile, che ha visto domande su materie che spaziavano dal diritto amministrativo a quello pubblico, penale, ruolo del D.S., comunicazioni, presenza dei ragazzi diversamente abili, ruolo del sindaco come ultima “carta” da giocare per il dirigente scolastico, qualora altre orecchie non dovessero funzionare,ecc. ecc. Per molti lo stipendio non copre le responsabilità, moltissime, che li aspettano. Il Dirigente scolastico, infatti, combatte, oggi, con i limiti di badget che non coprono le necessità di una scuola composta da tantissimi studenti. Intanto, pero’, dei tecnici, ancora non si sa nulla. Chi li ha visti? La prima campana sta per suonare. Per loro, i tecnici, speriamo non troppo in ritardo.