Vento, in via del mare, nuvole di ogni fattezza, e “il vento è cambiato”, si sente surrurrare, in un periodo in cui in tanti cercano il mare e anche la politica ha messo il costume e fa parlare di sé. Sulla spiaggia invece continuetanno a far parlare di loro quei quattro che piazzeranno ombrelloni dalle prime luci del mattino per rendere “bene personale” la spiaggia, bene di tuti. Dalla parte opposta della via, che congiunge una frazione ed un paese che in questo periodo si trasformano in una città unica e compatta, strozzata dal caos e dal caldo, una Chiesa dedicata all’Assunta è aperta, per lasciar passare aria e luce. Penso velocemente a tutte le Chiese dedicate all’Assunta, in giro per l’Italia. Sono mentalmente a Orvieto, a Siena e in tutte le regioni e città che mi accompagnano nelle spiegazioni dell’anno scolastico. Torno qui, “ad ora”, e spazio con l’occhio all’interno della Chiesetta dedicata all’Assunta. L’acqua, come pioggia, è solo accennata, nei pronostici, dopo le quattro gocce quattro di ieri pomeriggio. Non punteggia nessun tipo di strada, né asfaltata né di breccia. Un tempo era piccolina, come struttura ed il popolo dei fedeli era obbligato a partecipare alla funzione anche in piedi, anche fuori, tanto la voce del sacerdote, giungeva anche in quella piazzetta che serviva a quattro auto in parcheggio. Oggi, non più. È grande, spaziosa, ed è stata modificata, mi pare, nel corso degli anni, la struttura, così, osservo, incuriosito,da fuori. La gente da`una occhiata veloce, distratta, sul qui ed ora, ma non sul dopo, sul pranzo, borse della spesa in mano e borse frigo appena riempite, e poi, scivola via, tra la confusione che neanche a Natale in via della Conciliazione a Roma….I bar sono aperti dall’alba ed una gran confusione regna sovrana, tra scontrini, caffè pasticciotti, e code diverse da farsi e spazi ugualmente diversi dove servirsi. È giovedì, giornata di mercato, inoltre è ferragosto, e sulla via si parcheggia come capita, come serve, forse, con poca disciplina abituati a calma e leggerezza. Angurie, fichi, uva, pesche, i prodotti più richiesti, ma la domanda è su tutti i fronti, per il pranzo di ferragosto.
È ferragosto e ripenso a quello di Verdone, a Roma. Verso Cracovia? Buon ferragosto a tutte e tutti.
Ieri mattina faceva freddo su Torino. Ma di quel freddo che e’ gelo e impedisce di parlare per quanto tu ne abbia voglia. E hai voglia ad alzare il bavero del cappotto. Il gelo della paura che si fa strada a prescindere dalla montagna di vestiario che ci cuciamo addosso. Ieri mattina era programmata con i ragazzi di una 5 una breve visita presso in un luogo di culto, per provare a leggerne l’architettura e il radicamento nel territorio. Per alcuni il tema dominante era sempre lo stesso: la paura, il terrore, il non voler uscire. Alcuni. “E’ proprio quello che vogliono” dicevano altri. “Infonderci paura”. Gia’. Pensavo a quelle belle facce pubblicate su La Stampa in mattinata.Visi giovani, belli, pieni di vita e speranza. Visi di tutto il mondo pieni di speranza e di vita.Vita. Qualunque Dio e’ della vita! Penso a Valeria, cosi bella, giovane, ricercatrice, piena di speranze. Guardo loro e cerco in tutti i modi di parlarne, della vita, del Dio che qualunque esso sia e’ della vita, dell’amore, della misericordia. Ripenso ad una frase e ad un disegno di Fred le Chevalier, la sagoma di una ragazza col cuore rosso fuoco: “Fai la guerra nel tuo cuore”. Penso ai due lampioni innamorati nel cuore del Valentino, qui a Torino, alla loro luce e a quella che dovranno passarci. Per forza di cose. Penso alle parole, che ci servono, per ripartire.
Da Caronte a Circe. Afa, acqua, tregua…almeno fino a….lunedi in una buona fetta d‘Italia alle prese con le partenze. E qui? Qui, da noi, Torino, tra Valdocco e …La pioggia ha alzato il calore mentre lo scritto (del blog, di ieri, del piattino) ha sollevato curiosità in molti che a loro volta vorrebbero alzare il “velo” e scoprire se i capelli della giovane sacrista torinese (nascosti da un velo grigio), sono a coda di cavallo, raccolti a chignon o raccolti a treccia o se nulla di tutto cio’ perché frutto solo di una fantasia. Molto probabile che sia così. Insomma, vorrebbero metterci il naso, nella storia, ficcanasi come sono. Come che sia ha acceso in piu’ di qualcuno una lampadina: quella della curiosita’ spicciola e della voglia mai soddisfatta di guardare dal buco della serratura. Curiosita’: accendere le lampadine a zona a seconda degli argomenti o della “funzione” non è un lavoro anche da sacrista? Ma allora e’ o non e’? Immaginiamo il momento esatto in cui dopo aver provato ad immaginare la “funzione” del piattino la giovane sacrista si dedichi ad altro, altra funzione avvicinandosi sempre con le stesse movenze gentili al tabellone luci della chiesa: “clic” , un gesto e con questo semplice e umile clic dia forma, da questa “macchina della luce” ad altra luce. Le luci della Chiesa trasformate in un enorme riflettore da stadio al pari di un microfono generatore di voce per gli ultimi e dal fondo (ovviamente non poteva che essere cosi) dove e’ presente una sola persona comincia a parlare inanellando parole in una sorta di comizio: “Imperiali Gasparri”. Questa e’ una storia di sfruttamento, di emarginazione e di lotta per ottenere un mondo diverso….dove un mondo diverso e’ possibile”. …La funzione ha inizio…..Si parla di una citta’, Torino, ovviamente, di una via, Varano, di manutenzione, di lavoro, lavori, lavoratori….
Luce, che trasforma tutto.
Ps.Non posso sapere come sono raccolti i capelli sotto il velo così come non posso dire se sia fantasia o realta’
E alla fine venne la pioggia. A Torino. Annunciata. Sperata. Dopo il caldo killer ecco affacciarsi in locandina “temporali tropicali” in un luglio di fuoco ma con “la tregua alle porte“. Pare il titolo di un film, andato, “Il nemico alle porte”. Ma non lo è, in questo luglio senza mezze misure. In lontananza il cielo torinese è grigio (sembra altro film, il cielo sopra Berlino) e il vento alza polvere mentre le nubi non annunciano nulla di buono. Una, due, dieci gocce insistono e dopo tanto insistere daranno forma a pozzanghere di varia entità. Corso Principe Oddone e corso Regina Margherita divengono nel giro di un battito di ciglia “corsie olimpiche“: gente al ritorno dall’ufficio, mamme con “pupi” al seguito, giovani in libera uscita e saggi che contemplano le trasformazioni della città su questa “spina” dorsale. Corrono, giustamente, tutt*. Ripiego velocemente verso la Sida alla ricerca di un tetto, di un riparo. Sarà un temporale breve, penso, passeggero, estivo, come certi fuochi d’amore. Ordino un’acqua e menta, come una “saggia” anziana torinese, abitué del posto. La polvere osservata fuori dalle vetrine “alza” all’interno della sala polverosi ricordi letterari e frammenti di storie e di vite personali”. Poi chino il capo sul moleskine e roteo la penna che si pronuncia in stanghette e svolazzi vari fino a comporre frasi. Quasi due secoli fa, da queste parti, a Valdocco, qualcuno era alla ricerca di una tettoia divenuto il primo cortile poi dieci poi cento cortili…La Sida mi offre riparo, una penna e un blocco. “Se il maltempo si protrae bhe’, nell’attesa, qualcosa scriverò…” così ho pensato .Intanto osservo fuori dalle vetrine mentre “va ora in onda una maratona continua”. Tutt* infatti corrono sotto la pioggia, ormai fradici e zuppi. Senza misure. Mentre scrivo penso alla Chiesa di ieri, luogo di rifugio e di frescura che aiuta altri a ripiegare oggi, cosi immagino, probabilmente ad verso altro “riparo” così come un 31 agosto di un po’ di anni fa. Da qualche parte (in quella Chiesa) la giovane suorina- sacrista avrà lucidato a dovere il piattino argentato pronto a contenere e raccogliere “corpo glorioso“. Un gesto che si trasforma simbolicamente nel suo “raccoglimento” di vita nel suo incontrare: il piattino non ha anche la funzione di raccogliere quanto di più sacro possa esistere nella storia di una persona? Mi piace pensare quelle movenze gentili della suorina in questione rotesa verso l’accoglienza del prossimo, al servizio di persone che si raccontano si raccolgono e si accolgono e mettono tutte se stesse in quel…piattino. Un gesto reciproco, come bozzoli che si aprono dispiegandone le ali della libertà. A turno, in coda, Senza “perderne” una…briciola di quel pane che si chiama vita, degli altri. E allora mettersi in coda e immaginarie una sorta di Esodo non potrà che essere un piacere.
Poi, dal mio punto di vista, osservare una “coda”, (di cavallo!) è sempre un “Belvedere” (ah! la mia Belvedere a Porto Cesareo!) oltre che…un piacere per un’estate da…”ponytails“….Ci raccontiamo su qualcosa?
Il caldo e l’afa, a Torino, proprio non vogliono mollare la presa e ce li sentiamo addosso. Sulla pelle. Gli eritemi da sudore non si fanno mancare. E si “gratta”. Mica ci facevamo mancare anche questo no? Vorrei continuare a svelare i sogni, miei (un paio) e dei ragazz* annotati in giro nella scuola, ma i fogli di questi racconti preferisco srotolato per i giorni che verranno e così preferisco staccare e rimandarne il racconto e la sua traiettoria a data da destinarsi. Parto dal p.m. (pomeriggio). Sul tram, capita di origliare storie, cosi come al mercato, al tempo in cui tutto si smobilita e tutti smobilitano. Cartoline da Torino. È il cuore del pomeriggio e in queste scatole di ferro grigie e blu che si chiamano tram si contavviene al “divieto di parlare al conducente” e “obliterare entro la prima fermata dopo quella iniziale del percorso”: le macchine obliteratrici, almeno di questo tram, non funzionano. Il via vai interno , direzione conducente, è continuo e i discorsi identici: trovare cioè un’annata simile a questa cosi “condizionata” dal caldo. “Quando il peso delle parole”…”Era da 150 anni”, ” no, era dal 2003″ risponde pronto un altro, “ricordo le vacanze a Roseto degli Abruzzi, l’anno della finale di Champions, Juve-Milan, vista in piazza Castello, e sai, c’era ancora lei con le scarpe regalate da lui, che erano nuove simili ad un tappeto da salotto”….”già hai ragione quell’anno che poi lei lasciò lui…””no”, interviene un altro sullo stesso sfondo calcistico, “è dal 1994, quando si disputava Argentina Grecia ai tempi del Mondiale USA. Ricordo che c’era una pizzata di piazza in piazza Statuto, all’aperto…noi, cioè gli artefici del racconto, davanti ad uno….”screen wall”. Questo è il tema dominante. Potrei continuare ma ad “Università'” devo scendere. Una voce metallica femminile dice: “Università” cosi metallica come ho sentito in altri luoghi e piazze, lontane da qui. Devo ritirare dei libri. La copisteria mi rimanda ai ricordi della tesi, l’ultima, ovviamente, con la prima pagina, la sua scrittura dedicata… Entro, pago ritiro. Mi dirigo verso Piazza Castello: fontane sold out. Il caldo è davvero infernale. Decido di rientrare. La gola è secca. Vorrei un’acqua e menta. Pochi passi e sono alla Sida. Entro.” Acqua e menta, per favore”. Mentre la sorseggio lentamente, in vetrina, in attesa di qualcuno, è in bella mostra una torta simile alla mia, quella della tesi, di due settimane fa. Saprei a chi regalarla per festeggiare e sfogliare ancora la tesi e brindarci su, su quello e questo di record. Di laurea e di calore. Fa caldo. Nei pressi, una Chiesa. Si sa che oltre ad essere luoghi sacri sono anche luoghi freschi. È quasi buio. Entro, mi siedo. C’è una funzione ma non sono qui per pregare: sono soltanto un accumulatore di fresco. Dalla sacrestia entra ed esce una sacrista: una giovane suorina espleta quelle funzioni che un tempo…accende delle luci ed ha un microfono in mano. È gentile nelle sue movenze. Io intanto vago nel tempo e nella storia “mangiando” del tempo, incurante che allo stesso tempo, una flotta di zanzare ha trovato il loro pasto tra i miei piedi. Esco. Oramai è tardi. Il loro dovere lo hanno fatto. E si gratta. Mica poteva mancare questo.
Tutto ormai e’ quasi in fiore.E splosione di colori.Esplosione di boccioli Rosa. Bianco. Ciliegio. Pesca. In una natura che rinnova e si rinnova. Alberi dsi tronchi scuri e chiome frondose e coloratissime che incorniciano il circostante. E poi uova come simbolo di rinascita, di vita. Di cioccolata e sode. Da colorare. Perche’ si sa, colorare ci rende piu’ rilassati, a tratti bambini felici e contenti.E allora, colori amo. Dire, fare, baciare, lettera, testamento. Fiori, colori, festa.
E non solo il venditore di fiori e piante sommerso da quelli e queste sotto il suo tendone multicolore mentre accoglie l’uscita dei fedeli dalla Santa messa. Le campane in ogni luogo annunciano la Pasqua. La gente accorre per fruire “dei Beni spirituali”. Rinascita, Risurrezione dopo tanta Passione. Le Chiese traboccano di gente e le campane a festa dettano i ricambi per ogni santa messa per i fedeli. Chi entra e chi esce. Quotidiani, fiori e colombe sono indicatori che la gente si riappropria, oggi, del proprio tempo libero. Un’infilata di case su case, profumi di cibo dalle piu svariate provenienze e una babele di lingue aiutano a comprendere quanto affacendate siano ai fornelli tante casalinghe. Fa freddo, parecchio. Un caffe, espresso, ristretto, un dolce di distensione, made in Sida e una buona Pasqua a tutt*
Nel pomeriggio l’atteso concerto dal balconcino nella sua veste sempre calda e accogliente nonostante qualche goccia di pioggia annunciata. Il benvenuto e gli auguri per tutti fin quasi sul limitare della via dei Mercanti. Strette di mani da parte di tutti gli attori di questo spettacolo che va avanti da…140 domeniche e per ognuno dei presenti un bicchiere di rosso per rendere più famigliare l’incontro che scivola via come sempre piacevolmente. Tra musica, canti, canzoni, poesia e cantiche su Porta Palazzo e gli ultimi, i barboni, senza valigie, esclusi o autoesclusi come difesa della propri autonomia e identita e ancora comicità e altro ancora per uno spettacolo “dal basso ” e democratico oltre che partecipato. Bello osservare inoltre la partecipazione del pubblico. Universitarie, universitari, pensionati, opera*, impiegat*, insomma un pubblico variegato. Sul finire ombrelli aperti e struscio per le vie del centro torinese.
Sul fronte cittadino e dell’offerta culturale da registrare “nell”uovo”la sorpresa di un quasi tutto esaurito nelle strutture di recezione: l’85 % infatti e’ stato prenotato.
La storia di Massimo e’stata toccante per molti. In tanti hanno scritto e in molti hanno incoraggiato la sceltadi Massimo. Decido, per oggi di restare dalle parti di “Massaua” che per chi e’ torinese sa che e’ una piazza e allo stesso tempo, una fermata della metro. Da queste parti, un tempo, nel cinema Massaua, venivano effettuate le “chiamate” dell’ufficio di collocamento. Il martedi era il giorno delle centinaia di persone che si recavano di mattina presto, libretti alla mano, per un posto, a termine, pubblico. Qualche mese, ma mai piu di 4, perche’ senno’ ripartivi da zero e addio al tuo punteggio. Era l’incontro con la “disperazione” ma qualcuno, un contratto, a casa, riusciva a portarlo, ora come addetto alle poste, ora bagnino, ora bidello. Questa mattina e’ stata la volta di Massimo e di un suo riscatto. Spero di cuore che questo articolo lo leggano in tantissimi, per conoscere la forza e la storia di un riscatto. Oggi pomerigio, un altro incontro. Con la speranza. L’evento in corso e’ “storico”, ma forse, a dire il vero, ho forzato la penna, meglio, la tastiera. L’incontro e’ in Via Madonna de la Salette, presso la palazzina situata al numero 12 della stessa via dove si trova l’ex pensionato dei missionari de La Salette ora un tetto per rifugiati. L’incontro storico e’ tra il Vescovo Nosiglia, centri sociali quali Askatasuna e Gabrio. In nome dei profughi. Oggi pomeriggio in fase di incontro si sigillato il progetto che trasforma “l’inopportunita’ in opportunita”,slogan coniato dalla Pastorale dei Migranti e dalla Caritas che insieme coordinano il progetto. Una palazzina di quattro piani, circa 70 persone alloggiate, un giardino, meglio, un orto dove si coltivano ortaggi e si provano a vendere, come frutto del proprio impegno e lavoro. Perche’ la promozione dell’individuo, come viene piu’ volte ribadito, e’centrale, in questo percorso di ” reintegro” e di scrittura e riscrittura personale che non prevede tempo. Si “esce”quando si completa il percorso e si lascia spazio ad altri. Una struttura in comodato, con tanto di regole e norme appese in bacheca. Una struttura che vedra’ i primi lavori di ristrutturazione in marzo. Una precisazione. Lo stabile, era vuoto ed e’ cosi diventata dimora di una settantina di disperati che saranno di passaggio e che nel frattempo si occuperanno di recupero della palazzina. Insomma, dal recupero al recupero. Dall’altra parte del cortile l’istituto dei religiosi che una mattina hanno conosciuto questo “incontro” e accanto la parrocchia di Maria Riconciliatrice. La Chiesa, a parere del Vescovo, come anche oggi ribadiva la Repubblica, riportando una affermazione di Nosiglia, “non deve lasciare immobili vuoti”. Una guida mi ha condotto a visionare la palazzina, in alcune sue strutture. Tra gli interventi, quelli di Nosiglia e Durando e rappresentanti centri sociali.
Una bella fetta di sole addosso, alba oramai distesa da ore, pasticciotto classico per colazione, con un buon caffè, forte, bus e direzione Lecce.Dopo un Salento in bus, la tappa e’ la stazione di Lecce, precisamente, ferrovie Sud Est, direzione Otranto. La biglietteria “Sud-Est” e’ affollatissima, cosi, mancando pochi minuti alla partenza del diretto per Otranto, chiedo di poter effettuare il biglietto a bordo. Concesso. Scopro che anche qui come a Gallipoli il trenino bianco e blu, la famosa littorina, conosciuta anche più a Nord grazie a studenti leccesi fuori sede, ha lasciato il posto a qualcosa di diverso e piu funzionale, con aria condizionata a bordo. Un po’ onestamente, dispiace. Il treno e’ pieno, turisti a go-go un po’ da tutta Italia, un po’ da tutto il mondo.Piu turisti che locali, a dire il vero. Molte pagliette bianche calate su capelli ora raccolti ora lunghi. Come è di moda ora. Magliettine sul Salento e profumo di crema solare che stordisce e cancella quell’odore che solo una stazione emana e appiccica addosso: sentimenti misti, girati e rigirati non soltanto all’interno di un bicchierino da un caffe’. Gente che va, gente che viene. E tanti motivi per tornare. Non è un biglietto da visita, ma la bustina dello zucchero in distribuzione al Bar stazione, che ne attesta la verità. Seduti nello stesso vagone, alcuni, cartina alla mano, conoscono a menadito curve a destra, curve a sinistra. Solo curve. Il paesaggio e’ bello. Terra rossa, alberi su distese sterminate dii fichi e ulivi. Il treno corre velocemente. Vero. Alcune fermate normalmente effettuate da altri treni impiegati sulla stessa linea, non si effettuano. La prima fermata e’ Zollino. Il treno carica su di sé passeggeri sul binario due. Alcuni sostano al binario uno, al riparo da un sole capace di spaccare le pietre. Su uno dei binari di Zollino, e’ricoverato un treno, dei tempi andati. Chissa’ quanta storia si e’ consumata li dentro. Il treno riparte. Al binario tre e’ in arrivo altro treno. Sopra alcuni viaggiatori chiedono come poter fare per arrivare a Galliano e da qui a Santa Maria di Leuca. Nel frattempo, Il treno e’ giunto a Maglie, stazione di interscambio tra un luogo e l’altro del “Capo”. Sento e leggo dalle insegne verdastri nomi carichi, densi di ricordi: Poggiardo, Racale…L’interno di questo vagone si carica di ricordi, di saperi e di sapori: mandorle, cioccolata, “mustazzoli”…Solo un attimo. Ma le narici sono ormai impregnate e così sarà per un bel pezzo. Passato un paese, Bagnolo. dove scopro che il tempo è fermo, almeno per quanto riguarda il lavoro del casellante. Anche altri paesi presentano qualcosa di caratteristici e sarebbe bello avere tantissimo tempo per visitarli tutti e parlare con la gente del posto, dei loro ricordi, del loro lavoro. Studio, sogni, speranze, se esiste ancora nei giovani il sogno del nord e quale nord.Il viaggio e’ terminato alle 10 e 45 circa. La stazione e’ piccolina, ma carina. Termina con tre binari e possiede delle panchine sia nella parte centrale sia ai lati. Consta di una struttura sorretta da sostegni verdi. Appena scesi dal treno si entra nel lato biglietteria, un piccolo botteghino posto al primo piano, livello ferrovia. Per accedere livello strada bisogna scendere di un piano, qualche gradino ed il calore e il sole sono il benvenuto che ci viene offerto da questa splendida cittadina, davvero accogliente. Parecchio caldo, diciamo che e’ una temperatura ideale per cuocere biscotti e torte. (Davvero impressionante la distesa di ulivi in questi circa 45 km percorsi tra Lecce e Otranto. Il pensiero è che questa terra debba rassomigliare alla Palestina.). Butto una ultima occhiata sulla cartina di questa ferrovia Sud- Est e sugli orari da Otranto a Lecce e viceversa e per un momento provo ad immaginare quanti turisti potrebbe portare in giro nel 2019. Appena uscito dalla stazione si procede fino ad una rotonda, ( rassomiglia tanto ad un posto un pochino piu a nord, sede di universita’ ) dove cartelli elencano le direzioni per il porto e la Cattedrale. Già, perché ad Otranto oggi è festa in onore dei santi Martiri. Riti e ritmi non si faranno mancare, insieme alle bande musicali e agli spettacoli pirotecnici. Oggi e’ una giornata di festa per Otranto, la sua comunita’. Festa che va avanti gia’ da due giorni.L’interno e’ davvero da restare senza fiato. Al mio ingresso una funzione religiosa sta per celebrarsi. Esco per poi rientrare in un secondo momento, con piu tranquillita’ e magari piu rispetto. La funzione e’ davvero bella, il sacerdote sta parlando della Puglia, tutta, delle sue Chiese, Basiliche, della giornata di oggi. La Cattedrale di Otranto rappresenta un crocevia di più culture, normanno-latina e bizantina in particolare. Liturgia, canti, solennita’. Cerco di concentrare l’attenzione sul mosaico pavimentale della Cattedrale. Il mosaico ricopre il pavimento delle tre navate e l’opera è attribuita al monaco Pantaleone su commissione del Vescovo di Otranto. Sul pavimento si rappresenta uno dei più importanti cicli musivi del medioevo, Alto Medioevo, un mosaico datato tra il 1163 ed il 1165 incredibilmente bello, una rappresentazione lunga una storia. E’ davvero un labirinto teologico, a seguirlo. L’albero della vita con al suo vertice il peccato originale e la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden, con il serpente, il peccato, che insidia Eva. E ancora, diverse figure racchiuse in 16 medaglioni che rimandano ad animali e figure umane mitiche. Nell’abside sono presenti episodi del libro di Giona ed una scena di caccia al cinghiale. Ancora la rappresentazione di Sansone che lotta contro un leone.: Dio accetta l’offerta di Abele e chiede conto a Caino del suo delitto. La rappresentazione del Diluivio Universale e le gesta di Noè. Del mosaico per quel poco che riesco ad osservare, data la giornata, noto ancora la mano di Dio, “mano parlante” che si sporge dal cielo con il pollice ed anulare uniti, in maniera da accogliere benedicente l’offerta di Abele, alla latina, con anulare e mignolo ripiegati, mentre Dio, come detto, chiede conto a Caino del suo delitto. Da leggere a tale proposito la scritta “Ubi est Abel, frater tuus?” (“Dove è Abele, tuo fratello?”) . La mano divina è utilizzata come una figura retorica, una sineddoche, una parte per il tutto, dato che è sentita come la parte più eloquente del corpo, più del viso. Dipinti meravigliosi. Osservo attentamente. Cerco la cripta, penso alla storia, ai martiri di Otranto.Esco e ne approfitto per dare un’occhiata al mare e al castello.In “Giro per la città” e non so quanta storia si e’ scritta da queste parti. Entro, e noto con piacere che nonostante il, caldo la massa umana attenta all’offerta culturale e’ davvero notevole. Dopo la visita al castello mi reco in un locale a provare la cucina locale. Ottima. Per la precisione il locale si chiama Zia Fernanda. Ottimo cibo e belle composizioni nel piatto. Anche qui, saperi e sapori condensati in un piatto. In più piatti. Personale attento e preparato alle esigenze della clientela.Un giro ancora nel paese, tra bancarelle, con un tripudio di dolciumi e taralli e pensieri a quanti adorano i taralli e li gustano sempre con infinito piacere. Ne prendo un po’ con me, non si sa mai che non si faccia sentire il desiderio piu in la’.Per il ritorno, a sera, quando le “Luci sulla città” cominciano a cambiare colore e a cambiare la città stessa trovo una piacevole sorpresa. Da Otranto, il viaggio di ritorno, verso Lecce, e’ assicurato con un treno nuovo, con aria condizionata. Ma due trasbordi assicurano contemporaneamente ai viaggiatori la possibilita’ sia di dare una occhiata ad alcuni paesi, seppure velocemente, sia ad un viaggio in ….littorina. Immediatamente rivedo mentalmente alcune scene dei film ….A Lecce, un termometro indica la temperatura: 45 gradi. Vero è che è sotto attacco dal sole e quindi, qualche grado potrebbe essere di troppo, ma temo che non si tratti di una bugia. Le temperature, infatti, da queste parti viaggiano sui 40 gradi. Nonostante il gran caldo, i turisti non si perdono l’occasione di sbirciare le bellezze barocche di Lecce, che davvero registra presenze piuttosto elevate. Lecce, capitale della cultura e della movida. In piazza fervono i preparativi per Santo Oronzo. Io ne approfitto per fare un salto all’anfiteatro. Nonostante il caldo.i
Lunedì 2 giugno 2014. Festa della Repubblica. Il pensiero corre “rapidamente” a ROMA, dove ogni anno, il 2 di giugno, e’ in corso la parata ai Fori Imperiali. Una parata con tema “prima Guerra Mondiale”, con il suo centenario. Nei miei ricordi quello di un Presidente della Camera, che dopo tanti “attacchi” (“lo si sarebbenotato di piu’ se andava o non andava?”). Si reco’ con una spilletta della pace attaccata alla giacca. Ricordi. Roma, il Quirinale, i giardini del Quirinale, la visuale che da li se ne trae. Che spettacolo. Gia’, il popolo della pace veniva da manifestazioni oceaniche e …Torino. Ancora festa dello sport con un’ ottica particolare in alcuni punti della città che si prepara ad esserne capitale. Dello sport, nel 2015. Lasciata in piazza Castello (alle dieci l’alzabandiera, alle 18 l’ammainabandiera) la palestra a cielo aperto che vale una “piccola bracciata” per via della piscina, e un grande abbraccio, “plateale” pubblico o privato che sia. Gli effetti sono simili, tra bracciate e abbracci: rilassati e sereni. Da questa piazza ci si avvia verso una riscoperta di alcuni angoli della nostra città. Cominciando dal Salotto buono: piazza San Carlo, dove in un angolino, in altro, sopra l’iscrizione in marmo si puo’ notare una piccola raffigurazione della Sindone, poco distante dalle due Chiese che chiudono (o aprono) la piazza. Dalle parti di via Garibaldi, invece, oltre ad una bellissima composizione di fiori, che impongono un piccolo “stop” ai passanti per sentirne gli odori, occhi in alto per visualizzare antiche scritte che ci ricordano probabilmente il rione. E poi, ancora una puntata dove abitò per un certo periodo Silvio Pellico, fino alla sua morte. Nella foto Palazzo Barolo, dove Sivio Pellico lavoro’ come bibliotecario.
Superga, invece, dall’altra parte. Con i suoi ricordi, pensieri, il pronao, le visite guidate, il giardino, la scalinata, la cremagliera….
Grandissima confusione per le vie del centro in una giornata di festa. Unico neo, qualche negozio aperto.
Un profumo particolare, ci coglie, nel nostro piccolo “borgo” torinese, appena “metti il naso fuori” di casa. Un profumo che si allarga, a macchia d’olio. Un profumo ricercato, come i luoghi, ritrovati e racconti. Provare a raccontarli, sapendo della limitatezza del “blog di Romano B”. rispetto ad altri blog, “sponsorizzati” come quelli “stile progetto” della provincia, che “confluiscono” sulla stampa cittadina e nazionale. Pero’, per correttezza, la storia delle circolari a scuola, come documenti, era partita proprio da qui, dal blog di Romano B. (vedere quotidiano cittadino, dicembre). Un intento diverso, questo. Riproporre e raccontare persone e luoghi che davvero hanno scritto e fatto storia. Nel loro piccolo. Storia locale. Provare ad immaginare, una camminata, e far vedere e narrare, e poi appuntare, con la lettera 28, o per la lettera 28, e raccontarla con lei e grazie a lei, e al termine, esserne fieri, di “tanto colore”, dopo tanto bianco e nero. Scriverla e riscriverla. Quando anche un piccolo quadernetto, una rubrica si proponeva come un conto aperto per chi, le tasche, continuava ad averle vuote, nonostante il duro e tanto lavoro. Famiglie di un tempo. Con tante bocche da sfamare. Storia di un quartiere di città. Esci. E non sai più se è l’odore, il profumo o il profumo di un ricordo. Ti assorbe. Lentamente. Un odore, misto, di erba appena tagliata, di colla, appena passata, sui cartelloni elettorali che propongono, ” Alle europee, vota questo, vota quello”. Alle regionali, “vota questo, vota quello”. Odori di passato e di presente, misto a rumori di lavori, di un tempo e attuali. Rasentandoli, quei cartelloni, senti quell’odore, di stampa, di colla, di fatica, di sudore, di attacchini, militanti, magari anziani. E pensi a quante riunioni, fumose e fluviali, consumatesi a loro volta in un fiume di parole. Riunioni a tempo, capaci di celebrare sempre qualche leader di questa o quella mozione. L’ultimo a resistere, e chiudere la sezione, o il circolo, sarebbe stato incoronato leader. Dalla passione, non dalla conta. Avrebbe saputo dire sempre una parola in più degli altri. Di conforto, se la tua area era perdente, di incoraggiamento se la timidezza prendeva il sopravvento. La casa, in fondo, era sempre comune. Come la causa. E il pane che si mangiava, era sempre lo stesso. La Resistenza, continua. Continua la Resistenza, anche nella dialettica. “Care compagne, cari compagni…”. Una prova di forza, di carattere, una prova di ostruzionismo. Gruppi di anziani, nei pressi di una panchina, controllano i lavori degli attacchini. Li avvicini. Discutono. Di 80 euro. Osservi attentamente la piazzetta, con i suoi alberi e ti rendi conto di quanto un tempo questa area sembrava più grande. E non soltanto, l’area politica, di appartenenza, di riferimento. Era l’altra Chiesa. Analogie, somiglianze. Giochi di parole. E anche gli odori, degli stessi alberi, sembrano, ora, diversi, come effettivamente lo sono dal giorno alla notte. In realtà, eravamo noi, piccoli, allora che percepivamo tutto più grande. In realtà, non erano ancora presenti su scala nazionale, le allergie che impedivano di respirare a pieni polmoni e a testarne le differenze. Tra poco, la notte calerà. Luci si accenderanno in ciascuna casa. Alcune di quelle si spegneranno, altre invece resteranno accese. Occhi attenti, occhi vigili. Uno scrutarsi vicendevole. Chi ha terminato il turno, chi lo dovrà iniziare,chi si occuperà, nella notte della farina, del lievito, del forno. Del pane per domani. E pensi a quel profumo di pane che investiva tutto il borgo. Un tempo. E non solo. Strano a pensarci, ma davvero, col pane, i panettieri, non solo portano “la biovetta” o “la michetta” sulle tavole di casa nostra. Ma ci stanno essi stessi. Quotidianamente. I panettieri ci restano, nelle case, con il nostro ( e il loro pane quotidiano.).Ci portano una storia, di lavoro, del lavoro, di fatica e di fatica; la loro storia, quelle di altri. Storie che trasudano da qualche rubrica. A, b, c, d…L. E all’interno di ogni lettera, un nome, un cognome, una famiglia, una casa, luci elettriche e luci di candela. Talvolta un numero. Consumi, abitudini, tipologia di pane, quantità, preferenze. Un conto aperto. Un universo. Da quelle rubrica, si aprono altri mondi. Altri modi. Vecchi lavori dei quali ora non esiste più traccia. Una Istat in miniatura. Intimità. Tipologie di lavori collegati a persone che avevano presso quel negozio il “conto aperto”. All’interno di una rubrica, la storia, operaia, di un pezzo di borgo. La storia italiana, la storia di Torino, degli operai Fiat, della continua lotta per la sopravvivenza, e di lotta continua, della lira e di quando la paga era percepita il 15, con l’acconto, e il 30, con il saldo. E il 28, si cominciava, per ogni lettera, a tratteggiare il conto. Il 28, poi, con il saldo, cominciava a bisbigliare sottovoce, il quanto, e che, se si poteva, si chiudeva il conto aperto, raccontato da quella rubrica, che giro e rigiro tra le mani. Con la consapevolezza di non sfogliare pagine, ma “trattare” con persone. “Handle with care”.Una rubrica che racconta “gli terni” di un quartiere, che potrebbero essere di una città qualsiasi. Una “rubrica” che racconta l’interno del vissuto famigliare, ora che delle rubriche, sono rimaste solo nelle memorie telefoniche. Case di ringhiera, ricche di forte umanità e semplicità. Cortili, dove in questo mese si recitano rosari. Con tanta devozione popolare, soprattutto dalle parti della circoscrizione 7, dove anche le “paline” del bus, raccontano qualcosa di devozione.
Spesso, ad ogni lettera, che era una famiglia, una nota a piè di pagina, come si usa fare nei libri, un rimando. “Passerà il mese prossimo”. Brevi commenti, a matita, a penna. Già immagino quelle punte, non fatte, per la mancanza di tempo, per la delicatezza, per la riservatezza, per la coda di chi preme e ha fretta di prendere il pane, e tornare a casa. Le giustifiche apportate, talvolta, sono strazianti. Visite mediche, moglie, figli, qualche viaggio improvviso al Sud per la suocera o qualche congiunto, la prima Comunione di qualche figlio, il padrone che non paga, la cig in agguato. Con il far della mattina, la luce. Una luce leggera, che allontana umidità e nebbia. Un tratto cancella, apparentemente qualcosa. Il pane fresco, appena cotto, caldo, continua a farsi, come una volta, nonostante in tantissimi di quegli interni, ora, si preferisce farselo a casa. Luce nella luce. Entro, in un paio di cortili, a me famigliari. La sfornation, la famosa bici, è poggiata sul muro del cortile. Qualche gatto la osserva, sornione, godendosi i primi raggi del sole. “Giovanni“, non è solo il nome di un materassaio. E’ un nome molto comune, che continua a leggersi e a farsi leggere, e gridare, da un cortile all’altro. E’ comune, come il pane, come la farina, come la storia, come certe storie. La storia di un negoziante, di un borgo, che la storia l’ha scritta, e non solo su una rubrica, che tratterò, perché meritano. Perché hanno fatto la storia. Di un pezzo di città. Che vale la pena scrivere e ricordare. Per il senso di umanità, di solidarietà che l’uomo, quando vuole, riesce ancora ad esprimere in atti concreti.
ps. Non posso non terminare queste riflessioni, questi ricordi con un pensiero a Senigallia. Nel 2000, a Torino, nel borgo, e non solo, l’alluvione fece “irruzione”, lungo le strade cittadine, insieme a tanti disastri. Il pensiero va a Senigallia, colpita duramente. Con il rinnovato augurio che possa riprendersi, insieme a tutta la cittadinanza, affinché possa tornare in forma, più e meglio di prima, per coccolare ogni ritorno e ogni nuovo arrivo.