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La scuola si racconta

Palina Gtt. Fotro Romano BorrelliIn tantissimi lettori  hanno chiesto alcune fotografie di Cristina Corgiat, a corredo della sua storia e del panificio. Impossibile, almeno per il momento. Si potrebbero pero’, riannodare i fili del racconto e provare ad immaginare come poteva essere la Torino negli anni ‘ 70, il trenino Torino- Ceres-Torino utilizzato  per andare a lavorare, magari, facendo un salto alla Torino-Ceres di Corso Giulio Cesare e osservare qualche treno che staziona; ancora, la palina Gtt  M. Ausiliatrice nei pressi della panetteria e della Basilica di di don Bosco, a Valdocco.  Provare infine ad immaginare Cristina da giovane, in cammino verso Torino, con il carico di gioie, fatiche, sofferenze  in agguato, lungo il corso della vita, superate con determinazione per amore del prossimo…Il forno, le scuole, i ragazzi, prima e dopo le lezioni, in attesa della loro pizza. Le scuola. La scuola.

Basta poco. Immaginare, puoi, uno slogan, certo. Ma l’immaginazione, corredata dai racconti dei ragazzi, talvolta trasforma una giornata ordinaria, monotona, uguale a tantissime altre, in una più allegra, spensierata, a tratti, da ridere. Forse loro, i ragazzi, in fondo, sono gli unici che non cambiano mai. Artefici di destino. Di molto. Di tanto.  Sempre allegri e mai privi di fantasia. A volte, in abbondanza. E allora, mentre sei in coda, appoggiato al bancone, in attesa della stessa identica e buona pizza, servita da anni sempre con le buone maniere, gentilezza e delicatezza da Cristina, loro, con i loro racconti, diventano gli artefici di un cambiamento d’umore, ritrovandoti a ridere ancora e ancora. Dalla scuola, insomma, sorrido sempre.

Panetteria .Corso Principe Oddone 38. Torino. In attesa, che la pizza sia sfornata, insieme ad un gruppo di ragazze e ragazzi. Un saluto a Cristina, e renderla partecipe della sua storia, che  è piaciuta, si  scopre che quella che poteva essere una giornata come tante altre, di colpo tendendo  l’orecchio ai  discorsi di quella gioventù,  talvolta esagerati, ma non sempre, la giornata, per incanto prende un corso diverso, si trasforma, divenendo  lieve, leggera, divertente. Ragazze e ragazzi che si raccontano. E pare di vederli, mentre il racconto prende l’abbrivio, mentre dipanano gesticolando ogni loro gesto compiuto qualche minuto prima. A scuola.  Si materializzano, prendono forma e forme.

Campana appena suonata. L’uscita, per alcuni. Ma non per tutti.  Chi canta, grida, chi inneggia alla Juve pensando che la partita di domenica sia terminata in quel momento, e non tre giorni fa, chi inveisce contro questo e quello, chi pensa all’interrogazione di domani e chi non pensa affatto. E immagini lo sciamare nei corridoi, zaini sulle spalle.  Dal racconto si comprende che alcuni, si erano “coagualati”  esprimendo una fortissima solidarietà di classe, stile anni ’70, in un posto particolare della scuola evocato dal loro rimembrare,  muniti di tutto punto all’attacco  di quel posto: il bagno. Le turche. Fili, attaccati alle scope che ricordano canne da pesca, scope raccattate presso la bidelleria, manici di spolverino per i banchi, e attrezzi vari, per una chiara, convincente e determinata lotta continua contro “la turca” del bagno.  Tutti per uno, uno per tutti. Tutti per un cellulare o un cellulare per tutti, finito miseramente in acque immobili e stagnanti. Un cellulare, per l’ennesima volta, era scivolato, come tanti altri, in una turca della scuola. Una discesa negli inferi, meglio, nell’acqua stagna, per un metro circa. Ma non importa. Nei loro racconti, sono determinati e convinti nel portare avanti una vera  “rivoluzione”: quel che è in basso, scaricato, scivolato senza chiedere permesso, sarà innalzato, ricaricato. Una rivoluzione perfetta. Tutti insieme, racchiusi in un paio di metri,  alla riconquista di un’appendice fondamentale, per sentirsi un po’ vivi. Il recupero di “un’alta fedeltà”.  Smanettoni amputati del loro preziosissimo oggetto. Stupito mentre  ascolto quel termine, “fedeltà, quando il più delle volte si è propensi a  “cestinarla” e mai “salvarla“.  Una spina nel cuore. Davvero strano il linguaggio 2.0. Nel racconto li  immagino assimilando a ” operai e ingegneri”,  con tute blu o bianche, recuperate chissà dove, con guanti fino all’avanbraccio, stesi, pancia a terra, a misurare fin dove il braccio riesce ad arrivare in quel “vuoto”. Un compito specifico, li attendeva. Un recupero. E i recuperi, sono attività che vanno per la maggiore, in questo periodo, in ogni scuola. Ma questo salvataggio, doveva essere memorabile. Doveva entrare nella storia. A ripensarci, chissà quante prove di questo genere a noi sconosciute sono entrate nella storia della scuola. Facile immaginare quel  gruppo, suddiviso in operai, team-leader, capi ute e ingegneri a conteggiarne la produzione. Alcuni “armeggiano” seguendo fedelmente le istruzioni impartite da altri, gli “ingegneri” del gruppo, teorizzando  idee davvero fenomenali. Altri rannicchiati o sempre pancia a terra mentre provano in continuazione a far suonare il  cellulare di ultima generazione, così, “per vederlo accendere e rianimarlo un po’, come fosse una persona”. Forse con l’intento chiaro di fargli sentire il calore nel momento del “bagno”. Poi, dal racconto del gruppo, sconsolati dalle difficoltà dell’operazione e dalle lancette dell’orologio che correvano diversamente da come corrono quando sono a lezione, qualcuno comincia a proporre idee alternative e tra queste chi proponeva “un furto” della turca completa e chi invece, nel rispetto della legalità, suggeriva  di provare a chiedere alla Preside, se possibile staccarla e portarsela a casa. Per smontarla con più tranquillità.   Con la promessa che il giorno dopo l’avrebbero riportata e rimontata. Garantito. Nel caso, accompagnati anche da mamma e papà, oltre lo zio, che in quel caso,  era anche muratore. Qualcun altro passava poi a suggerire   di passare dal piano sottostante,  entrando in contatto con la turca del piano sottostante.  I loro racconti, dilatati, assumevano una dimensione temporale differente. Eventi accaduti, non nello spazio di alcuni minuti, ma in una giornata intera. Forse, un anno scolastico. Un altro aveva suggerito di trasformare quel bagno in una cabina di seggio elettorale. Sigillarlo alle estremità, con le firme di chi teorizzava la rivoluzione e chi l’avrebbe dovuta compiere. Mancavano i rappresentanti di lista, poi, tutto sarebbe stato identico.  Dal loro racconto, si capisce che qualcuno, disturbato da tanto rumore, avrà impartito  il rompete le righe, forse esauto o forse perché dalla bidelleria, qualcuno cominciava a fare la voce grossa e rumoreggiare. E immagini frotte di grembiuli blu, chiavi in mano, a gridare “scendete giù, ragazzi, ma che fate” e ancora,  “Ehi, voi, con le scope, voi, con la pancia in giù, tiratevi su“. E dire che un tempo, sulla pancia, c’era molto da dire e ridire, perché portata in giro, a prendere un po’ di aria nei corridoi della scuola e non per il recupero di un cellulare. Dai racconti dei ragazzi, si percepiva  che il grido finale sarebbe stato  un “non finisce qui” richiamando  alla memoria il bravissimo presentatore di un tempo, Corrado Mantoni.  E forse anche quella raccontata dai ragazzi, era davvero una corrida.  Probabilmente,  non era terminata li. Uno degli “ingegneri” infatti aveva  inoltre proposto di far girare la voce, il giorno dopo, che nel cellulare che aveva preso la via del bagno, forse stancatosi di stare sempre attaccato a qualche gonna, erano conservate “foto da spiaggia della proprietaria“.  Un’idea. Questa si che sarebbe stata una canna da…cellulare. In tal  caso, l’indomani, con ogni evenienza, tutta la scuola si sarebbe ritrovata  in bagno e con quella, idee a non finire per il recupero finale e strepitoso.  Idee per una vera rivoluzione. Di classe. Di scuola.Dal basso.

Nel frattempo, la teglia con la pizza rossa, calda e fumante  appena uscita dal forno ha interrotto ogni tipo di narrazione. Peccato. Quei ragazzi hanno allietato davvero la giornata che era iniziata come tante altre.   Il cammino. Piazza Statuto. Torino. Foto Romano B.

 

 

 

 

 

Piazza Statuto. Torino. Foto Romano Borrelli

 

 

 

 

 

 

 

 

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