Piazza Statuto

DSC00448

DSC00447

Forse la cifra della bellezza torinese è racchiusa in questa piazza. Piazza Statuto. Le arcate dei portici segnalano a chi si trovasse  a passare, l’alternarsi dei tempi: passato, presente, futuro. Piazza Statuto e “i fatti di piazza Statuto”.  La storia sindacale. La lotta. Le “conquiste”. Di un movimento e personali. Quante volte abbiamo sentito, a scuola, in qualche circolo dove abbiamo esplicato o esplichiamo una sorta di militanza, politica o sindacale, o semplicemente una narrazione storica,  “i fatti di Piazza Statuto”? E per restare in tema,  da queste parti trovò casa, per un po’ di tempo, anche uno dei  sindacati, la Uil. Una esperienza breve, a dire il vero.  I portici della piazza, tre livelli di finestre, le mansarde. Quelle due tonalità di colori.  Il rossiccio, il biancastro o grigio. L’angelo che domina la piazza, in cima al monumento, nell’atto di spiccare il volo. Il cinema a due passi, il posteggio dei taxi e “lo stallo” delle bici del comune. Il gabbiotto dell’atm dove  si potevano comprare i biglietti e informarsi, ma che ora non esiste più, e non esiste più a dire il vero neanche l’Atm (ora Gtt).  La famosa pizza al taglio, con le varie “gradazioni” di prezzo e le panchine sulla piazza dove poterla mangiare, in santa pace. Le due  fontanelle, l’acqua. Una delle ultime cose  gratis. Una tempo, all’interno della piazza, sotto i portici, c’erano molte più edicole. Ora qualcuna ha abbassato la saracinesca. Si, si comprava Stampa Sera, colore verdino, con formato ridotto. La sorella più piccola de La Stampa. La si trovava in edicola nel primo pomeriggio.  Altri prodotti, di questa realtà locale, conoscevano “fratelli o sorelle”, più piccoli. Un po’ come accadeva per le passioni dei bambini verso  le “figu“. Le Panini, erano in edicola a inizio scuola inoltrata; prima, pero’, potevi contare su di un “surrogato”, un fratello minore, meglio,  sorelle minori: le Edis. Tanto non importava, i giocatori che si trovavano appena scartate le bustine erano sempre gli stessi del campionato di calcio.  Incorniciati in modo diverso. Ma sempre loro. E la cornice delle cose, spesso, è insipida. E’ il contenuto che “conta”. Come per un’opera artistica. Era il “logo” la marca che faceva la differenza. “L’inflazione”, la passione e la febbre  per le “figu” saliva con “l’entrata in edicola delle Panini”.  A piazza Statuto ci si trovava.  E si giocava. Con le figu e con il pallone. E quando terminava il tempo di quel gioco, subentrava quello dell’amore. Gioco o realtà. Ci si innamorava e non si amava mai. O si.  E si sentivano sussurrare i classici “vorrei ma non posso o vorrei ma non so”.   O forse si. Altre volte girava bene e si scrivevano storie d’amore o “colpi di stato permanenti“. Innamorarsi, qui, a Piazza Statuto. Ritrovarsi e ritrovare attraverso gli sguardi quel riconoscimento che da soli si è incapaci di trovare. Una meraviglia di Piazza e meravigliarsi di tutto. Un trovare e ritrovare. Sotto lo sguardo di un angelo e ritrovarselo addosso, sulla pelle. Il suo angelo. O il tuo.  Come un romanzo di Chaderlos de Laclos. Una piazza che e’ bosco narrativo, con i sentieri  di vita da scegliere. Apertura e  responsabilita’.  Forse un Eco. Ma forse, mentre immaginiamo, inconsapevolmente siamo seduti su  una delle tante panchine a leggere letteratura ci aiuta  a comprendere meglio  cio’ che quotidianamente vediamo senza attribuirgli il giusto significato. Piazza aperta e apertura sulla piazza. Piazza grande. Una piazza, non solo degli Statuto, con le loro motorette. Intenti a vincere un festival di Sanremo. E provarci. A suo tempo. Ci si trovava con gli amici, per un caffè, messi a riposo gli amori, da sorseggiare al bar Ideal, Marino o Alice. Qualcuno ha abbassato le saracinesche da un pezzo. Altro resiste o si rinnova.  Al posto del primo, qualcosa di “fast”. Un capolinea di bus, resiste, sempre, a tutto. E altro si aggiunge. Come una pista ciclabile, al centro.  Ma non tutto resiste, o meglio, resiste nella forma; talvolta muta il contenuto. Claudio, che era da un po’ che non passava da queste parti, si è trovato a gustare un caffè, espresso. Entrato in un locale, si è reso conto di aver attraversato contemporaneamente più “epoche storiche” pur restando  nello stesso locale.  Le due insegne, datate, ben conservare e da conservare, da regolamento, ci ricordano che un tempo, lì, c’era un negozio “Drogheria-torrefazione-vini-liquori”. Prima ancora l’abbigliamento  e ora, bar panetteria. In questi ultimi due casi, al numero 4 di Piazza Statuto, identico proprietario. Claudio ha reso noto che il caffè era davvero buono.

DSC00449

“Quelli veri fioriranno qui a primavera”

???????????????????????????????Piove da parecchie ore, oramai, su Torino. Insistentemente.  Ascolto e vedo la pioggia, (da dietro la finestra) scendere dal cielo ed emettere suoni, in continuazione. Suoni disparati, a seconda di dove si va a raccogliere l’acqua. Piovana. I notiziari dicono che la temperatura sia scesa. Parecchio. Freddo fuori e “raffreddato” dentro.

Riposti Viola, Carlo, Luce, in un angolino della stanza,  e richiusi all’interno delle loro pagine, ora si guarda oltre.  I personaggi  menzionati sono solo alcuni del libro “Un uso qualunque di te”, di Sara Rattaro (Giunti Editore).  Personaggi “pronti” per essere ripresi, al momento giusto per un’occasione altrettanto giusta. Ognuno di quelli, per un motivo o per l’altro, non si sono  soltanto “appoggiati”, sulle, dita delle mani, sulle pupille, nei pensieri del lettore. Piuttosto e semplicemente “sprofondano“, nel cuore del lettore. E ci restano. Pagina dopo pagina.  Qualcuno ci è rimasto e sicuramente ci resterà più di altri. E lascerà qualcosa. Un alternarsi di tempi nei capitoli. Presente, passato, presente, passato. Un ultimo, il futuro, la speranza. La velocità, aerea. Del vento. Di un aereo. Pronto al decollo. Verso il futuro. Ma con “radici” ben solide nel corpo della Luce.  Luce, uno sguardo nel futuro e sul futuro. Grazie all’amore materno.  E il cuore, quel cuore disegnato sulla copertina del libro e’ un cuore grande riposto all’interno del libro, nel cuore del libro, nel cuore dei protagonisti. E il cuore è il filo conduttore dei capitoli. Ognuno ne mette un pezzo del suo. O forse, tutto.  Perché quando ci si butta a capofitto in una passione, non la si vive risparmiandosi. Così in amore. “Ogni donna spera che sia l’ultima storia; ogni uomo spera che sia lui, ad essere ascoltato, per la prima volta”. Un cuore rosso vivo. Che arde. Brucia. Che fa male. Ma fa male e “uccide” per una ragione: continuare a vivere. Ora, al termine della lettura, è chiara anche la copertina. Una “comunicazione” efficace. Senza cuore, l’uomo non puo’ nulla. Un bellissimo cuore  in evidenza, sullo scamiciato di una ragazza;  tantissimi fili, al posto dei capelli. Fili che sono pensieri, incrociati, interrotti, disegnati in modo tale da dare l’idea di un  “sezionare”  in due la testa della ragazza. Fili come linee di matita. Per  provare a “disegnare” la storia. Diversamente da come era iniziata. E probabilmente per  sezionarla  in due, la trama, la sezionano davvero. I fili.  Come i tempi.  E i fili, servono per tessere. Per tesserla. Tessere di una storia, da collocare e rimettere al proprio posto, come un puzzle. Provare e riprovare, con pazienza,ostinazione, calma, quando una tessera sembra non andare al posto giusto. Come la calma di Carlo. Anche il cuore, sembra avere un filo, “tirato”, da qualcuno, fuoriuscito dallo scamiciato e dalla giacca. E si viene a trovare in una zona chiara-Luce, bianca. Una percentuale di pagina da scrivere, come quando una nuova vita comincia.  Dall’altra parte del capo due piccolissime ali. Di farfalla? Già. Farfalla. E prima di diventare farfalla? Due ali che sembrano una “v” di vita. Appunto. Nuova, pur essendo identica a prima. Con qualcosa di meno e tutto di più.  All’altra estremità la “v” è capovolta, è il tratto terminale del cuore. Sotto il cuore. La radice del cuore di tutta la narrazione.  Una v che unisce.  Come la vita, come le vite. Le mani della ragazza, nel disegno, cambiano colore e sono in netto contrasto con il viso, bianco, bellissimo. Una maschera. Forse, quele che spesso indossiamo, per paura. Non per mancato amore.  (interpretazione personale e libera della copertina del libro, quindi, le mie scuse).

Il resto, copertina e contenuto, conviene scoprirlo da sé.

Una parvenza di primavera da un po’ di giorni, la segnalano alcuni fiori, composti di carta,  un luogo dove con la carta si costruiscono castelli e tanta buona cultura. “Quelli veri”, annuncia il cartello, arriveranno poi in primavera. I fiori. Intanto, da queste parti, fioriscono, ogni giorno dell’anno: belle parole, belle lettere, bei libri. Storie interessanti e storia da amare e raccontare. Storie di cuore. Grande. Come “Un uso qualunque di te”. Al termine, è solo il tepore della stanza e il chiuso dell’appartamento che non portano a confondere le gocce d’acqua, con una, meglio identificata come umor acqueo.

Il progetto dei fiori, volto al recupero di un ‘francobollo’ di terra, posto davanti alla biblioteca centrale di Torino, merita davvero un plauso ed un ulteriore riflettore, magari uno ‘spazio cartaceo’ sul nostro caro giornale cittadino. Un plauso diretto a tutti quei volontari senoir che con dedizione si dedicano ad attivita’ di grande rilievo oltre che di recupero di pezzi importanti della nostra citta’. Una idea, un progetto che  prevedeva un momento ufficiale, solo momentanamente slittato cosi come una possibile inaugurazione legata allo ‘sbocciare’ dei fiori. Un progetto che nasce con l’ impegno dei Volontari Progetto Senior Civico e della citta’ di Torino. Ancora un grazie e un bravi a tutti coloro che hanno partecipato nel rendere piu’ bello questo angolo della nostra citta’.

DSC00442IDSC00450

“Se non ci sei ti aspetto”

DSC00440Nell’epoca della societa’ liquida, basta un niente, un click sbagliato e ti ritrovi tempo zero, in altro luogo o in un non luogo. Ma capita anche che con i click sbagliati ci si ricamino sopra le storie, vere o fasulle che siano. Come una maestra non piu maestra diventata nel frattempo professoressa, prestata sempre alla scuola, ma in modo “superiore”,o, ancora, dello studente divenuto professore nella stessa identica scuola dove si era diplomato poco tempo prima. E questa sì che e’ una grandissima gioia e storia di riscatto personale. I casi da raccontare e snocciolare sarebbero tantissimi. Ma questa volta , in questo caso, in questa storia, lasciata ai bordi di una strada, “il mondo non è leggero’ o liquido, ma è davvero pesante. Tutta colpa di una  innocente cartolina, recapitata in un luogo sbagliato. Quindi, non, un non luogo, ma in effetti, un luogo, ‘a tutti gli effetti’. C’era tutto. Combaciava tutto. Solo il destino ci mise , lo zampino. Una lettera e un biglietto raccontano una odissea. Di pezzi di carta e di persone. Una cartolina che una persona ignota ha deciso di consegnare nel posto dove avrebbe dovuto esserla. Consegnata. Con l’odissea di un viaggio non calcolato. La raccontava alcuni giorni fa, lasciando su strada alcuni stralci della sua esperienza.

“Alcuni kg fa, decise che sarebbe partito. Una puntata aggiunti e del tutto personale della trasmissione “posta per te” .Un’improvvisata. Una sorpresa. Forse. Decisa già fin dalle prime luci dell’alba. Il treno era quello delle 21.05. Numero 791. Il numero e il posto della carrozza, bhe’, quelli sono importanti per la trama. E forse per nessuno. Le luci della stazione contribuivano ad illuminarla tutta nella sua maestà ottocentesca. Era immensa.  Forse un ministero, agli inizi. Alla fine, un imbuto. Per pochi. Una strozzatura, in fondo. Un nodo. Come quei nodi nella gola che ti prendono, e non ti lasciano più quando a circolare non sono i treni, ma i pensieri. I distributori elettronici, fuori uso. Da fuori si vedono merendine, panini e altro che mai, nel cuore di quella notte, si potevano avere.   In fondo, o agli inizi, il cartello elettronico, con l’orario di partenza e un pannello rosso e bianco, sui due ammortizzatori. Peccato fosse uno degli ultimi treni posizionati sul fascio dei binari. E forse sarebbe stato uno degli ultimi treni in partenza,  prima di “rottamare” i treni notturni. All’interno, freddo, gelo. Il buio della carrozza conciliava e obbligava a dare il benvenuto al sonno. La notte era lunga. Metà, la si conosceva. In compagnia del dondolio e di altoparlanti che annunciavano l’arrivo in stazione e di quelle che sarebbero venute incontro. Il resto della nottata, una sorpresa.  E così fu. Per metà tempo, seduto, su di un sedile in pelle e braccia incrociate sul bracciolo. Tendina chiusa, per lasciare fuori occhi intrusi e curiosi. Arrivò. Nel cuore della notte.  Una rampa di scale, un sottopassaggio, ancora una rampa di scale, in salita. Qualche sbandato, sdraiato a terra. Oggi, gli sdraiati, sono sdraiati tra le pagine di un libro. Anche. Altri vagabondavano, per sentire meno il freddo, che entrava nelle ossa. Un soggetto poco “rassicurante” guardava una “balilla” per i giornali. Anche per questi, era ancora presto. Per uscire. Forse, ancora  sdraiati nelle culle delle rotative. Il profumo del mare lo sentiva ed entrava nelle narici. Era li, a due passi. Navi con le bocche spalancate,  simili a balene spiaggiate, ma vive, come affamate di automezzi, che ad uno ad uno inghiottivano, per vomitarle  dall’altra parte, oltre il mare. Le luci della collina erano nitide. Di tanto in tanto, il rumore di qualche moto, pareva entrare nell’atrio e nella sala d’attesa. Lentamente, molto lentamente, il tempo al bar Dante, passava. Tra posta elettronica e qualche giornale datato. Cronaca cittadina di quel posto. Cominciava a farsi alba. I primi treni regionali cominciavano a partire e risalire la dorsale. Di li a poco, anche il suo. Di tanto in tanto, gli occhi gli si chiudevano, e quando no, una domanda gli balenava in testa. E se………….ma oramai, la famosa  cartolina doveva essere recapitata al posto e al destinatario giusti. Il tormento se nonostante gli anni, quella persona abitasse ancora li era come una ggccia d’olio che lentamente si instillava nel cervello e lentamente si apprestava ad avvolgere ogni minuscola parte del suo corpo, immobilizzandolo. Ma di li a poco, una risposta se la dava e si rassicurava.  cosa avrebbe fatto se nessuno…Bhe la risposta l’ha fornita lui direttamente. Armato di spry, avrebbe lasciato il suo segno, una z di  zorro notturno, o qualcosa di simile. Alla fine, dopo aver pensato e ripensato scrisse… “Se non ci sei, ti aspetto”. Sapeva che con quel viaggio notturno aveva risparmiato la bellezza di 54 kg di CO 2, ma aveva anche contribuito a trasformare un muro in un foglio di carta. Sciupando per sempre un edificio così bello.  Forse c’era ma non c’era, o se c’era, non voleva esserci. E allora, Se non ci sei, ti aspetto. Fiducia concessa. Intanto, la cartolina, il soggetto ignoto, e’ riuscito a trasformarla in un muro. In questo caso sarebbe stato meglio trasformarlo in un wall del virtuale. L’ unico dubbio e’ che  on ci e’dato sapere sequella cartolina e’ srarfinalmente consegnata. Alla persona giusta.

Quando l’inesperienza incontra la saggezza

DSC00437

DSC00438

Mentre fervono i lavori a Valdocco, a Torino,  un breve salto, al terzo piano di questo bellissimo edificio.  complesso, a salutare la “saggezza”, tutta compresa. Santo edificio! Appena fuori dall’ascensore, il rumore delle posate si fa più intenso. Indice che il pranzo volge al termine. Su uno scaffale, una copia de La Stampa e l’Osservatore Romano. Entro. Due tavolate. Tovaglie a quadretti. Un buon pranzo. Un saluto affettuoso, a tutti, i saggi, che in più giorni hanno “pazientemente” sopportato il via vai per fermare, o meglio, fissare, un pezzo di storia, su taccuini, carta di un tempo, e tavolette di nuova tecnologia. E per non fare torto a nessuno, quale momento, per i ringraziamenti e le scuse di tanto disturbo e tanta sopportazione? L’unico momento in cui, davvero si riesce a dire “permesso, scusate, grazie“, a tutta questa bella gente,  è quello del pranzo.  Compagni di viaggio, del signor Torre. A volte l’inesperienza, involontariamente, porta a non “allargare” la visuale alla ricerca.

Tutti, allo stesso modo, lavorano, tutti faticano, tutti sopportano. Tutti hanno viaggiato. Tutti importanti allo stesso modo. E tutti hanno la propria storia da raccontare.  E noi, il dovere di ascoltare.

Sarebbe interessante un passaggio, qui,  dei ragazzi delle scuole. O altrove, in qualsiasi posto dove si incontra la saggezza.  Imparerebbero ad apprezzare la storia.

I giovani, a scuola, e fuori,  corrono, sono veloci,vanno veloci, e la vita, forse non la colgono fino in fondo (forse), ma allo stesso tempo, hanno un forte senso di cosa sia, la vita. E sarebbe bello, se di tanto in tanto, l’inesperienza riuscisse a passare da qui, o in qualsiasi altro posto, dove è di casa la saggezza.

DSC00436

“Love is a virus”

DSC00429
L’amore è un virus

DSC00432Resiste. L’amore. Come un virus. Qualcosa che ti entra e non esce mai più dal sangue che corre nelle vene.  “Se mi chiedessi in quanto tempo ci si innamora, ti risponderei: in pochi secondi”.  (Un uso qualunque di te, S. Rattaro). L’amore. Un sole rosso che si appoggia all’orizzonte. Anche quando quel rosso si identifica con uno stop, una fermata, una sosta prolungata. Non voluta. Anche quando  quel rosso è dello stesso colore di un cappottino, rosso, per l’appunto, in attesa, in qualche angolo della casa o in qualche angolo nascosto della memoria. Il che è lo stesso. Rosso. Come una passione. Come un regalo di Natale mai ritirato. “Lo ritiro dopo”, o “ritirato mai”. E si resta in attesa, in balia di se stessi. Ma poco importa. Una bugia, g-rossa.  Il bello delle bugie.  Anzi, il brutto. Per chi le ascolta. Perché per una bugia sono necessarie sempre due persone: chi le dice e chi le ascolta. “Pronunciata la prima, le altre si inanellano come le maglie di una catena” (Un uso qualunque di te, S. Rattaro). Poi, dopo, domani, sarà diverso. Dopo una pausa. In lista d’attesa. Ci si innamora in pochi secondi, e in pochi secondi ci si lascia dicendosi che non si sa cosa è l’amore. Quando per conoscerlo bastavano pochi secondi. Forse “c’era del marcio in Danimarca”. O forse no. Eppure il virus è lì.  Affacciato sul balcone. Pare in attesa. Da li si “svincola”, esce, allo scoperto. Come un carosello. Nei pressi di quel palazzo, un tempo, c’erano gli ambulatori della mutua. Forse non è un caso che la scritta sia proprio nei pressi. Carrozzeria di cuori infranti. E’ rimasto l’odore di vita, addosso. Storie di persone e di passioni. Che lasciano il segno. Ma in questo caso, il virus, non passa e non si “spegne” mai. Lì, in attesa, di qualcuna, di qualcuno, di qualcosa. In corso Principe Eugenio.  Da quella finestra, si fantastica la presenza, di una persona in attesa, a scrutare, dietro le tendine. Sentire l’arrivo del tram, che davanti, si attesta, nel suo capolinea. “Scenderà giù da questo?” per poi restare delusa e in attesa, del prossimo. Tanto il virus della passione, è dentro. E’ appiccicato addosso. Come una seconda pelle. Un tatuaggio. Pelle scritta e scritturata che non si lava mai. Virus. Nelle notti bianche.  Resiste, l’amore. Sempre. In qualsiasi cosa. In qualsiasi cosa si faccia. In qualsiasi casa.  Per una persona, per i libri, per la storia, per le storie. Un virus. Sempre sotto i riflettori. Protagonista principale. L’amore. L’amore che si nutre per molti angoli della nostra città. Che racconta l’universo, mentre racconta un angolo di questo borgo. Lettere, sulla facciata di un palazzo illuminato da un lampione. Storicamente datato.  In questa bella piazzetta torinese. Lettere che si lasciano, sperando che qualcuno le ritrovi. Lettere di passione. Passione che vive.  Viva. Pulsa.

Che viva per sempre.

Ps. Ultime ore per Renoir a Torino…

(Piazzetta Andrea Viglongo e corso Principe Eugenio).

DSC00431

Nuovi e quasi nuovi negozi per Torino

DSC00407

DSC00434

Lasciati i lavori in corso, dalle parti di Valdocco, dove si sta per chiudere e  aprire un nuovo Capitolo di storia,  la meta, dato che in molto, siamo alla frutta,  è provare a trovare qualcosa di buono, da mangiare, così, per una merenda veloce. Tardiva. Ma naturale. E in via San Francesco d’Assisi  14 a Torino, “I frutti di Gaia” si “presentano” davvero bene. E non solo in vetrina.  Molto da vedere e gustare. E non solo “tutta colpa di una mela”.  Merita davvero “buttarci” un occhio, per poi farsi tentare. Appunto, non solo da una mela e da una frutta. Le cose buone sono davvero infinite. Lo consiglio. Le consiglio. Data di apertura, mi han detto, metà ottobre.  “Mela più”, “mela meno”. Mangiare i frutti di Gaia. Mangiarli, non è un peccato di gola.

Dalle parti di Porta Susa, in via Cernaia una nuovissima yogurteria, “yogurtlandia” ha aperto i battenti da poche ore.  Da ieri. Un buonissimo yogurt “degustazione” prima di cena.  La bontà  e la gentilezza di chi si è cimentato in questa nuova impresa merita certamente un biglietto di ritorno. Per uno yogurt più…voluminoso.

Le luci della stazione e quelle del grattacielo si uniscono in una sorta di richiamo. L’ora della cena è arrivata. Dal capolinea si muovono alcuni bus. Altri ne arrivano. Il giorno ormai cede il passo alla sera. Tra poche ore, da queste parti, molto sarà diverso. Il popolo della notte farà la sua comparsa.

DSC00435

“Se lasciamo parlare oggi tanto il cuore…viene fuori la verità”

DSC00402DSC00405

“Se lasciamo parlare oggi tanto il cuore…viene fuori la verità”…incuriosito da questa scritta, nel centro di Torino, mi soffermo per un po’. A pensarci su. A riflettere. A provare ad immaginare. Chi e cosa. Chi lo ha scritto e a chi e cosa voleva comunicare. Rifletterci. Per il colore della scritta: un verde-giallo “evidenziatore”. Per il posto in cui quella frase è stata scritta. Tra due paletti, privati  della “catena di congiunzione”, che un tempo li univa, così come il cuore lega o legava due persone. E forse, il posto in cui è stato scritto non è a “caso”.  Ma voluto,  e forse cercato. Penso sia stata scritta proprio lì, di proposito. All’ombra di due paletti, non più uniti, ma distanti e vicini allo stesso tempo. Distanziati. Fermi. Immobili. Due colonne in miniatura,  come due persone. Cosa li univa prima? Cosa simboleggiava quella catena che ora è stata dissolta? Dissolta: meglio ora, o meglio prima? Comunicavano meglio prima o ora? E la costruzione di un sogno, del loro, sogno? Due amori, due distanze. Due città. Andata e ritorno. Un viaggio. Incomprensione, comprensione dei pensieri sottili della psiche umana. Un messaggio, prima di un esame. Magari di psicologia. O un esame di vita.  Un messaggio che ci “evidenzia” una  dissoluzione dei ruoli  raggiunta per vivere meglio la propria vita, secondo le proprie scelte,  piuttosto che per  le aspettative e i ruoli imposti. Una “via” per diventare “corso” e fase di vita. Per due, al fine di diventare due sé distinti. Già. Corsi. Di vita. Poco distante da questo messaggio scritto con l’evidenziatore, la panchina di un tempo, innevata. Una montagna di neve. Cuori, neve, notti bianche, frasi, parole appese su “stendi biancheria” di  carta, lasciate ad “asciugare”, dal tempo che passa. Altre parole, altri pensieri non “asciugheranno” mai, perchè scritte dal cuore. Col cuore. Volutamente scritta lì! Quella frase. Fa pensare ad una bellissima frase trovata tra le pieghe di  uno stupendo libro: “ vorrei stendermi nuda nella ne e e attendere il disgelo” (Alice Corsi). Il disgelo. Un termine che racchiude molto dell’uomo e dei suoi rapporti. E della donna. Al riparo dalle catene di un tempo. Oggi, liberi, ma vicini. Senza catene. Perché solo privati delle catene, in amore, si riesce a promuovere una scoperta o riscoperta di sé. “Se lasciamo parlare oggi tanto il cuore… viene fuori la verità”. Due, distinti. Il disgelo. Dopo il disgelo.  Che bello quando il  cuore parla e “scrive” con il pennarello intriso nelpiù nobile  sentimento,  pensieri simili, come questo, sempre scovato tra le pieghe di quelle pagine. “Un albero verde di primavera in mezzo ad un bosco spogliato dall’inverno”. (A. Corsi). E allora, come una filastrocca, “un, due, un due. Due, uno, un due”.Un po’ come capita, da tanto tempo, sempre al centro del cuore della nostra città, per due vie, in una. O una in due. In unione. Senza fusione.  E allora, lasciamo parlare il nostro cuore…amare, un amore che non sia una prigione: lasciate piuttosto un  mare ondoso tra le due sponde delle vostre anime…, come le corde di un liuto che sono sole, anche se vibrano per la stessa musica (Gibran). La nostra città, non finisce mai di stupire. Davvero.

DSC00408

Giuseppe Torre da 80 anni sacrestano a Maria Ausiliatrice

Torino, 21 febbraio 2014. Eccovi – come promesso – il bel racconto del Nostro “Sig. Torre” nella odierna edizione de La Stampa scritto dalla giornalista MARIA TERESA MARTINENGO.

Da Ottanta anni sacrestano a Maria Ausiliatrice

Torre GiuseppeNovantotto anni appena compiuti e poco meno di ottanta trascorsi a prendersi cura della Basilica di Maria Ausiliatrice ogni giorno. Una vita speciale, quella di Giuseppe Torre, di Villafalletto, classe 1916, coadiutore salesiano (laico con le stesse regole dei sacerdoti), spesa nella cittadella di Don Bosco, vista mutare nel tempo come pochi altri.
Gli auguri del sindaco. Ieri Torre – gentile, entusiasta, sempre pronto all’aiuto – ha ricevuto gli auguri del sindaco.
Glieli ha portati un giovane amico, Romano Borrelli, che ha segnalato a Fassino un torinese schivo ma importante per l’impegno dedicato a uno dei gioielli della città, la basilica di Valdocco. «Torino si rispecchia anche in anonimi portatori di dignità e solidarietà che hanno contribuito a farla diventare la nostra preziosa Torino», ha scritto il sindaco, che ha definito Torre «persona fuori dall’ordinario, attenta e sensibile». …

 

Ieri, 20 febbraio, riportato il saluto del sindaco di Torino  Piero Fassino a Giuseppe Torre,  su TorinoClick:

auguri-a-giuseppe-torre-gentile

Gli auguri del sindaco di Torino Fassino a Torre Giuseppe

Fassino
Piero Fassino

Torino, 20 febbraio 2014. Cari lettori, in mattinata, il Sindaco di Torino, Piero Fassino, come aveva promesso, ha fatto pervenire presso questo blog gli auguri al sig. Torre Giuseppe, una vita “al lavoro” e di lavoro, a Torino e per Torino. Il sindaco si è raccomandato che gli auguri pervenissero al sig. Torre in giornata, con le scuse di un piccolo ritardo. Ma si sa, la politica è in fermento. Al nostro giornale cittadino, mi è parso giusto e doveroso segnalare la persona, la storia.  La sua storia è stata raccontata, qui sopra con passione. Ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere Torre, quando ero piccolo. E davvero, la reputo una grande fortuna. Una grande fortuna, ma anche tenacia, sacrifici, e gioia nell’ascoltare una fonte così preziosa come Torre Giuseppe. Il lavoro, lo studio, gli esami, la scuola, gli affanni, la voglia di riscatto. Momenti in cui molto sembra girare come non si vorrebbe. Ma poi, l’impegno e la passione nelle persone prendono il sopravvento. Una passione vivere di passioni e veder realizzato il proprio lavoro. La felicità è stata condivisa nel pomeriggio insieme nello stesso luogo, Maria Ausiliatrice, Valdocco, a Torino, dove il Sig. Torre Giuseppe ha scritto una fantastica storia. Domani mattina anche La Stampa, interverrà sulle pagine cittadine, dopo aver letto il blog, su mia indicazione. Se non è una notizia questa…

Lettera del sindaco di Torino a Giuseppe Torre

Torre Giuseppe
Torre Giuseppe

Ancora tanti auguri, Torre.  E un grazie per i messaggi che hai saputo instillare. La passione nelle cose fatte bene. Anche quando si corre il rischio di essere tacciati di “martellamento”. Ma le storie a metà, non vanno bene. Le storie vere, devono avere la giusta pagina, la giusta conclusione.

Per questa bellissima giornata, vorrei esprimere alcuni ringraziamenti. A chi ha sostenuto la mia persona, nonostante i sacrifici, la famiglia, fratello, l’amico e collega di precariato, ing. Domenico Capano che agli inizi di questo blog insistette tanto affinché cominciassi a scrivere, il prof. Giovanni Carpinelli, che per due volte mi ha dato fiducia seguendomi nelle tesi universitarie, i lavoratori in genere che faticano ad arrivare alla fine del mese e chi il lavoro non lo ha o lo ha perso, i Salesiani che mi han dato accesso ad ogni cosa chiedessi per questa bellissima storia, e Roma, la Pisana, Felice Reburdo, un don da fabbrica, un prete operaio, chi mi ha dato voce e chi no e non ultimo i ragazzi che incontro ogni mattina a scuola, con i loro pensieri, le loro difficoltà, ma anche tanta gioia di vivere. E poi, la sinistra, la fiom per la richiesta, sempre, di giustizia sociale. I loro visi, i loro grazie il loro buongiorno. Inoltre, persone che per passione mi hanno portato ad assorbire – come una spugna – tantissimo, anche quando sembrava tutto difficile  tranne che per me. Anche quando le energie mancano e la passione pulsa. Ancora. Che fantastica storia è la vita…

Allora, lettori, a domani, su La Stampa:

Romano con Giuseppe Torre e la lettera del sindaco Fassino
Romano con Giuseppe Torre e la lettera di Fassino

Negli articoli precedenti del blog raccontata la vicenda del Nostro Giuseppe:

Attenti all’antenna. Vita di quartiere

DSC00391

DSC00390Torino, via don Bosco ore 10.00 circa. All’altezza del civico 18, un paio di automezzi dei vigili del fuoco stazionano nella via. Scala allungata. Vigili del fuoco al lavoro. Questa volta, non è da mettere in salvo un gattino. E neanche, fortunatamente un incendio. E nemmanco qualcuno che, perdendo le chiavi di caso, o dimenticandole, ha dovuto far ricorso ad una chiamata “ai vigili”.  Oggi il problema è un’antenna.  O le antenne. Al centro del problema. Dei problemi. Solo da tendere bene le “orecchie”. Tutto filerebbe via, liscio, come l’olio. Problema di padiglioni auricolari. Di auditel? No, di ascolto in genere. Certo sarebbe tutto più semplice, se nella società liquida, senza fili, si riuscisse a mettere a posto ogni cosa con un paio di mezzi, una scala, che diviene ponticello e “registrare” a dovere  le relazioni e le ricezioni. Comunicazione come impegno. A dovere. Di dovere.

Il lavoro dei vigili è in stato di attuazione. Al momento. Quello “relazionale” anche. Ma sarà molto più lungo, complesso, complicato e duraturo di una “chiamata” al centralino. Dei vigili. Anche quello relazionale è un caso di scuola. Spesso la si riesce a fare. Con tanti sacrifici. Che fanno scuola.