Week-end coloratissimo, ieri, lungo le strade e le piazze torinesi. Una marea umana, tinta di rosa, prevalentemente donna. Ma non necessariamente, come testimoniano alcuni scatti. Almeno “otto” in attesa dell’8 marzo. Ideatori della terza edizione “Just the woman I am”, il Cus Torino, il Politecnico, l’Univerdita’. Un abbraccio tra donne e ricerca, meglio, una corsa con “una donna per amico”. In piazza San Carlo almeno 60 mila pronti ad osservare la partenza di 11 mila pettorine o forse piu’ pronte a muoversi lungo le strade cittadine. Addirittura chiuse le iscrizioni per overbooking. Una piazza dove nella storia si sono dati appuntamento sindacalisti, politici, lavoratori e…”Se non ora quando”. Migliaia di palloncini sulla nostra citta’ e occhi puntati verso il cielo. Per una buona e pronta ricerca bisognera’ pur muoversi. Uno spettacolo unico.Tutto rosa, nel blu. Al suono e al canto di “una donna per amico” alle 16.30 il via sotto l’arco gonfiabile. Un via decretato dal sindaco Fassino.
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Prima campanella: per 539 mila in Piemonte (276 mila torinesi)
Torino, 14 settembre 2015, ore 9. Fermata metro. E’ il grande giorno del “primo giorno”. Al via l’anno scolastico. Incontro il prof. Giovanni Carpinelli, che a suo tempo, pazientemente mi ha accompagnato alla conclusione dei cicli di Scienze Politiche. Un’amicizia. Non trovo le parole giuste per dirgli grazie ma ci tengo sia lui a condividere con un caffe’ la mia gioia. E’ quasi una sorta di accompagno (certo li ricordo tutti i prof. delle tesi, Reburdo, prof.Bennardo e dedica). Parliamo del passato, quando questo si fa storia” e del presente. Poi, ci salutiamo, con un arrivederci a presto, da queste parti. E’ ora di “andare”. La scuola, la classe, la campanella e si accede alla…classe. E’ l’ora. Mia. Si spengono i device per due ore. Poi…Una spremuta di emozioni. Un cappello sopra la tesi in tempi di record perche’ fortemente volevo incontrare loro, le classi, gli studenti. Una quinta per due ore, per cominciare. Non potevo chiedere di meglio. Un sogno che si e’ avverato, lungamente atteso, rincorso. Con tutte le forze. Penso ai saluti istituzionali del Sindaco di Torino (in visita all’Istituto Comprensivo Marconi-Antonelli) e allo stesso tempo rileggo le sue congratulazioni per “l’obiettivo raggiunto”. A tempo di record. Il sogno nel cassetto ha lasciato ora solo “il secondo”(il cassetto, nell’aula insegnanti), come contenitore. Due ore scivolate via, nel migliore dei modi. Il registro elettronico, volantini distribuiti all’entrsta da chi compra-vende libri usata, adagiati sui banchi, emozioni stemperate e tanta voglia di raccontarsi. I saluti, i ringraziamenti e l’appuntamento a domani. Certi sogni di sa…si realizzano anche.
Diego Novelli e il libro “Le bombe di cartapesta”
Continuando la conversazione con l’ex-Sindaco di Torino, Diego Novelli gli pongo alcune domande sul perché del libro “Le bombe di cartapesta”.
“Il libro è stato scritto perché mi era stato richiesto dalla Casa Editrice. Lo scopo era quello di pubblicare qualcosa, come già avvenuto per altri autori, tipo racconti inerenti la loro vita, il lavoro, l’ infanzia”.
A Diego Novelli fu chiesto di raccontare la sua storia di Sindaco. “Risposi si con un certo entusiasmo.”
” L’ idea di rimettermi alla macchina per scrivere mi entusiasmava. Unico neo, il tempo. L’occasione mi fu fornita da un viaggio di lavoro negli Stati Uniti. Allora ero Presidente della Federazione mondiale dei Sindaci delle città unite con sede a Parigi, un incarico della durata di tre anni. Ero stato invitato ad un convegno sulla pace nel mondo, alle Nazioni Unite. Salgo sull’aereo per recarmi a New York dicendomi: perché non usare questo lungo viaggio per scrivere il libo? E così è stato. Una telefonata da parte dell’editore proprio alla vigilia del volo mi aveva creato un certo imbarazzo… Ed eccomi qui a bordo. Un libro scritto quasi in diretta su un DC dell’Italia volo numero 615 alla volta degli Stati Uniti. Sono le ore 12. 30 di un giorno qualsiasi del mese di giugno. L’aereo sta rollando sulla pista quando la nostra hostess ci comunica che il nostro volo durerà 7 ore e 50 minuti dal decollo. Ci provo. Mi ci butto. Non leggerò giornali o riviste non mi farò distrarre da nessuno perché voglio cercare di mantenere l’impegno assunto. Pronti via…Sono nato il 22 maggio…e inizia la storia della mia famiglia, da bambino, di mio padre, Direttore Generale di una grande azienda. …Io non ero ancora nato, quando sotto il fascismo uno dei provvedimenti presi dal regime fu quello delle misure contro le imprese straniere che operavano sul nostro territorio. Quella di mio padre era una azienda belga che fu, in seguito a quelle disposizioni, costretta a chiudere i battenti. Trovare lavoro a Torino per uno che sdegnosamente aveva rifiutato la tessera del partito fascista era praticamente impossibile. Così, dall’agiatezza economica che aveva conosciuto la mia famiglia siamo caduti in indigenza se non proprio in miseria. E lì, a completare il quadro, sono arrivato io. L’ultimo di tre già nati, ospite tardivo e inopportuno, sono nato io, Diego. La passione di mio padre per il melodramma spiega i nomi dei quattro suoi figli: Walter, Edgardo, Alfio, Diego”.
E così Diego snocciola date e ricordi. La scuola, la Cesare Battisti, la maestra, i compagni di scuola, la guerra. Il dieci giugno del 1940. La povertà, la radio, il discorso del duce in un bar di zona San Paolo…Riannoda il filo e riparte…” e poi quando siamo arrivati mio padre viene a sapere che mio fratello, il primo si era arruolato volontario per andare in guerra. Un colpo duro, per mio padre, che si era sentito tradito. Il regime imbottigliava la testa. Poi, mio fratello, ha fatto la guerra ma dopo l’8 settembre ha fatto il partigiano con l’altro fratello. In queste poche pagine racconto quando la sera dell’8 dicembre del 1942 siamo stati colpiti nel rifugio dove eravamo, da una bomba, e fummo sepolti da una casa. Io, piccolino e magrolino, fui il primo a uscire da quel mucchio di macerie, tra morti e feriti”.
Diego poi passa a raccontare lo sfollamento e la guerra della Resistenza. “Non avevo più voglia di vedere altri morti prodotti dallle guerre e anche per questo motivo mi trovavo su quell’ aereo diretto negli Stati Uniti. Andai negli Stati Uniti dal Segretario Generale dell’Onu, per consegnargli un appello scritto con il sindaco di Madrid a nome della Federazione Mondiale delle città unite”.
A quell’ appello risposero oltre tremila città di 90 Stati dei cinque continenti… “Nonostante le le tante cose che vorrei dire, la radio di bordo ci dice che stiamo per arrivare”…ma della professione di Sindaco dissi ben poco…tranne che il mestiere di Sindaco, Diego non l’ha scelto.
Storia, libri, istituzioni…Memorandum
Non riesco a stare seduto per tanti motivi ma soprattutto davanti a tanto sapere, conoscenza, conoscenze, storia. Mi alzo, lascio posto a loro, ai libri, al sapere, alla storia, all’istituzione. Mi alzo in piedi, come accadeva un tempo, quando entrava in classe il professore. Dal balcone vedo Torino, nel suo lento modificarsi. Da qui Torino e’ bella, avvolta nella sera. Di tanto in tanto un pallone, per pochissimi istanti si alza sopra la rete della palestra sottostante e se ne immaginano, sotto, in quel luogo, i passaggi e il,”set vincente”. Il mercato, oramai a luci spente, o il Borgo, con le sue strade lucide la sera, dopo il lavaggio quotidiano. Strade lucide di giorno, di questi giorni, in questi giorni, sferzate dal vento e da un clima poco consono a questa stagione. Torino. Il passare del “tempo piccolo” che ritorna al suo quotidiano ritmo, le statuine riposte nei loro involucri e ormai pensionate, almeno per questo anno, ad aspettare che qualcuno le richiami, al momento giusto. Il tempo di ringiovanirsi. Statue piu’ grandi, di ogni fattura, al medesimo posto, ricordando Paesi e pagine di Paesi e paesi lontani. Pagine scritte. Il passare degli anni, di giunta in giunta. Gli operai che entravano e uscivano e col passare del tempo finivano per uscire soltanto. Ma Torino resiste. Da sempre. Torino e’ anche lui, con il suo viso quasi timoroso, timido, empatico con ciascuno e con tutti. Una penna scrive un addio, un’altra lo commenta. O vorrebbe commentarlo. E dalle statue giungono versi, e il rumore di un’ acqua che non esiste quasi piu: idrolitina. Poi, 2 colpi, sulla pancia, e via. A “tutto gas”. Ma questo non si puo’ scrivere, o meglio, non in certi frangenti. Da istituzione a Istituzione. Ma sono rumori creati da una penna torinese, che resiste agli acciacchi. Il commento viene giudicato forte, da chi, di comunicazione se ne intende. Ma la comunicazione è un conto, la politica di chi la continua a fare, un altro. La penna scrive, una dedica, su di un libro. “Auguri più fraterni per il suo futuro di studioso a impegnato sul fronte del progresso e degli ultimi”. I libri non sono accomodati, sono semplicemente stazionati, vissuti, letti, commentati. Il mio, ricevuto in dono, ha un valore speciale. Istituzionale. Chi mi sta davanti non ha solo due gambe, due occhi, due braccia, ma mille, diecimila gambe, occhi, braccia. O forse piu’. Quelli di tutti noi, di chi c’era prima e di quanti ci saranno poi. Centinaia di migliaia di incontri e centinaia e migliaia di pagine scritte, lette e lasciate da leggere.
Il mio un saluto, un arrivederci, da persona…..”ordinaria”. L’ospite si gira, con un sorriso, mi dice: “originale”. Si, ma volevo vederefino a che punto la stanchezza smussa le parole e l’attenzione.Niente da dire. Si e’ Istituzionali per sempre. Un po’ come capita quando ti “affibiano ” il nome. Un po’ come certi amori, quando ti lasciano il segno come una seconda pelle. Per sempre. Un po’come quando diventi Presidente della Camera, o della Repubblica. O il Sindaco di una grande citta’. Per sempre.
Il tutto mentre si aprono i giri di valzer. Per un nuovo settennato.
Diego Novelli. “Memorandum italiano”. a cura di Marta Tondo, introduzione di Angelo D’Orsi.
Il tramonto in una tazza
Una lettera che fa scuola e che merita una pagina.
” E’ bello poter pensare che ognuno di noi abbia una missione nella vita ed io sono alla continua ricerca di segni propiziatori, come li hai definiti, che mi facciano capire chi sono e cosa posso fare. Qual è il mio posto nel mondo. Credo che la storia di Suor Lucia possa ispirare tutti quanti su molteplici aspetti, laici e/o religiosi: il ruolo FONDAMENTALE dell’insegnamento e della scuola nella società, l’Amore per i giovani, il rispetto e la coltivazione dei propri talenti, messi a disposizione degli altri, perchè dobbiamo sentirci parte di una società e portatori di un contributo al cambiamento. E poi, ricordarsi sempre che c’è quel vuoto incolmabile, che non ci fa bastare a noi stessi e che dobbiamo riempire di spiritualità. Qualsiasi altro espediente risulterebbe illusorio e fallace. “

E’ una delle tante considerazioni arrivatemi via mail. Una bella lettera, degna di una L 28. Non si commenta, perché contiene tutto. Una di quei pensieri che meriterebbero di portarle ” un tramonto in una tazza”.
Si, la storia di suor Lucia, mi è piaciuta, come mi era piaciuta quella di Torre Giuseppe, (con gli auguri per i suoi 98 da parte di Fassino, e quindi della città di Torino) di Corapi Antonio, di Angela la partigiana.……e altre ancora. Provare ad ascoltare le storie e lasciarti coinvolgere. Tante storie, tanta realtà, a volte complessa. Come quando misi un articolo contenente le istruzioni per la richiesta dei sussidi di disoccupazione. Mai avrei pensato di ricevere tantissime mail con situazioni davvero complicate. Storie di persone.
L’amore per i giovani…Sul comodino “riposa” un libro, anzi a dire il vero, ne riposano due. L’infinito viaggiare, di Claudio Magris e Lettera al padre, di Kafka.
Il primo è quello a cui sono affezionato. Forse per una questione di maturità, di tema, di scuola, di ragazzi che si apprestano a compiere gli ultimi viaggi, a scuola, dopo cinque anni. Libro che ha viaggiato con me e continua a viaggiare. Spesso. Insieme abbiamo conosciuto la bellezza del viaggio in tutte le condizioni atmosferiche: caldo, freddo, aria condizionata, a volte il gelo, treni, scompartimenti, sale d’attesa, passeggeri, mare, spiagge, ombrelloni, Sud, albe e tramonti, notti, mare, Alpi, e albe. E tanta grande bellezza. A volte ha avuto un posto tutto suo, nello scompartimento, come un passeggero a tutti gli effetti. Non poteva certo “accomodarsi” sul semplice tavolino. No. aveva bisogno di altro. Una volta comprato e iniziato a legge viaggia, e stabilisce un patto, con il lettore. Forse di essere guardato, letto e capito. Pagina dopo pagina, giorno dopo giorno. E’ un bel libro. E poi, diciamoci la verità: quando gli occhi si posano sopra il titolo, provi un misto di gelosia ma anche di felicità. Una grande bellezza, va scrutata. Con discrezione. Con alcuni capitoli dell’intero corpo della lettera davvero interessanti. Il libro, quello, che è stato anche di una maturità. Quella dello scorso anno. Nella scuola, forse, qualcuno avrà cominciato a contare quanti giorni mancano. Alla sua conclusione. Per altri, son sicuro, non è così. Dalle cronache cittadine, intanto, scopri anche spaccati di realtà piacevoli, come chi rinuncia alla gita per dedicare qualche giorno al volontariato o chi va a portare letteratura e poesia a chi vive la sofferenza del carcere.
Tornando alla lettera, invece, dice tanto; di amore per la scuola e giovani. Quando la campanella suona e i ragazzi entrano a scuola o consumano i loro intervalli o escono, insieme al loro carico di studio e di libri, bhè, trasportano anche tutta la loro la grande bellezza: la vita. Insegnamenti, stili di vita, educazione e non soltanto, nozioni. Portano con loro valori e chi li ha instillati. Educatori, insegnanti. (anche se a volte, l’esuberanza…diventa tanta, questo, onestamente, bisogna ricordarlo). Ecco perché a mio modo di vedere i ragazzi insieme alla scuola sono la “grande bellezza“. Portano “orme” all’interno delle quali si sono inseriti. Ognuno ne ha una propria, da migliorare, come tutti, del resto.

Chi pane e politica, chi una primavera, chi una tazza con dentro un tramonto e chi nella tazza vorrebbe vederlo, il tramonto; chi corre e chi rincorre amore e amori, chi li giudica impossibili e chi fa il tifo per le cose impossibili; chi il lavoro, saltuario, e chi pensa continuamente al lavoro e non in maniera saltuaria, chi concentrato al recupero per una maturità e chi la scoprirà, forse, quando tutto sarà finito senza rendersi conto che poteva essere più di un passeggero in questa grande bellezza che si chiama scuola.
La campana suona. Con in testa la maturità e in testa di tanti “Iolavoro”, un’occasione, a Torino, per lasciare un curriculum e sperare nella sorte. Quando un biglietto, anzi, un curriculum, puo’ cambiarti la vita. Un tentativo di togliersi il gesso di dosso in una scuola ingessata.
Giuseppe Torre da 80 anni sacrestano a Maria Ausiliatrice
Torino, 21 febbraio 2014. Eccovi – come promesso – il bel racconto del Nostro “Sig. Torre” nella odierna edizione de La Stampa scritto dalla giornalista MARIA TERESA MARTINENGO.
Da Ottanta anni sacrestano a Maria Ausiliatrice
Novantotto anni appena compiuti e poco meno di ottanta trascorsi a prendersi cura della Basilica di Maria Ausiliatrice ogni giorno. Una vita speciale, quella di Giuseppe Torre, di Villafalletto, classe 1916, coadiutore salesiano (laico con le stesse regole dei sacerdoti), spesa nella cittadella di Don Bosco, vista mutare nel tempo come pochi altri.
Gli auguri del sindaco. Ieri Torre – gentile, entusiasta, sempre pronto all’aiuto – ha ricevuto gli auguri del sindaco.
Glieli ha portati un giovane amico, Romano Borrelli, che ha segnalato a Fassino un torinese schivo ma importante per l’impegno dedicato a uno dei gioielli della città, la basilica di Valdocco. «Torino si rispecchia anche in anonimi portatori di dignità e solidarietà che hanno contribuito a farla diventare la nostra preziosa Torino», ha scritto il sindaco, che ha definito Torre «persona fuori dall’ordinario, attenta e sensibile». …
Ieri, 20 febbraio, riportato il saluto del sindaco di Torino Piero Fassino a Giuseppe Torre, su TorinoClick:
Piero Fassino non lo scordare mai o stai con la Fiat o stai con gli operai
Lo slogan “Piero Fassino non lo scordare mai o stai con la Fiat o stai con gli operai” intonato dai compagni della Federazione della Sinistra nella biciclettata del 12 maggio 2011 assieme al candidato sindaco di Torino Juri Bossuto! Uno stupito Sergio Chiamparino, sindaco uscente di Torino, ode lo slogan mentre si trova a pranzare in un ristorante all’aperto con degli amici. Nel video seguente Chiamparino ripreso dalle telecamere.
Buon primo maggio.

Da qualche tempo ha ripreso a circolare un vecchio tram per le strade di Torino. Il numero 7, colore dei tempi andati, verde. Alcuni di quei mezzi sono doppi, altri singoli, con una sola porta centrale adatta per l’uscita. Altri, serie 28, sono di quelli già circolanti sulle strade di Torino, solo colorati di quel verde anni 70. Effetti speciali. Probabilmente tentare di tenere in vita forme del passato, come quelle, è piu’ semplice che tenere in vita conquiste del movimento operaio. Effetti speciali. Come tantissime notizie che circolano sulla ripresa economica, che non esiste. Come la povertà infantile, privata dei giusti riflettori. Come la disoccupazione giovanile che viaggia al 29%. O ancora il tasso di occupazione femminile, intorno al 48%. Dati che ci pongono lontani dalla media Ocse. Come chi sostiene che la speranza di vita si allunga e 40 anni di lavoro sono “giusti” e che come sostengono alcuni, privi di senso di realtà, continuano a sostenere che “ipotizzando di cominciare l’attività lavorativa a 20 anni, si potrà andare in pensione a 60 anni“. Dimenticando facilmente che in questi 40 anni di mezzo le interruzioni dovute alla precarietà sono davvero enormi. Senza paracadute. Senza ammortizzatori. Impossibilitati a richiedere forme di disoccupazione, un altro pezzo dello stato sociale che se ne va.
Facile salire sul 7. Molto piu difficile sostenere le conquiste del movimento operaio stando, a suo tempo, dalla parte della Fiom.
Forse troppa televisione ci ha davvero zittiti, incapaci di riflettere. Anche sul recente passato.
Ieri, a Torino, un interessante incontro al Circolo dei Lettori, “una maratona di parole e danza mute”, con l’Accademia del Silenzio. Nel pomeriggio un intervento mi ha dato modo di riflettere. “Quanti di voi hanno il senso per le invenzioni?” Dalla sala, piena, solo due mani alzate. Una nel pubblico, una del relatore, inventore, anni fa, di una “zanzariera ad ultrasuoni”. La domanda successiva era: “Quanti di voi guardano la televisione?”. Quasi la totalità. E da qui, il confronto su come era la televisione trenta anni fa e come è ora. Un film la settimana, un tempo, e, possibilità di sognare, tra un tempo e l’altro, e, nel corso della nostra vita. Oggi, siamo letteralmente “martellati” dalla pubblicità, onnipresente. Sogni infranti. Incapaci di indignarci. Incapaci di scegliere. Indifferenti. Tutti free-rider. Nella competizione elettorale, qui, a Torino, ampia visibilità e riflettori sempre accesi solo su due o tre candidati. Alla faccia della par condicio. Anche il 25 aprile, nonostante fosse presente, in piazza, Juri Bossuto, candidato per la Federazione della Sinistra al comune di Torino, solo due candidati hanno avuto visibilità. Forse perchè davvero “se abbiamo cose da dire” dobbiamo stare zitti. I riflettori dei mass-media si spengono, e noi dobbiamo essere capace di riaccendere le coscienze, quella sociale, prima, quella politica poi. Sentire un politico che persiste nella sua concezione di “politica conseguente al voto utile” sbarrando la strada ad altre forze politiche, non mi sembra la via giusta. Già Einaudi sosteneva che solo la lotta continua fra ideali in competizione puo’ far vivere un popolo. “Solo nella lotta, solo in un perenne tentare e sperimentare, solo attraverso a vittorie ed insuccessi, una società, una nazione prospera. Quando la lotta ha fine, si ha la morte sociale e gli uomini viventi hanno perduto la ragione medesima del vivere”.
Mi accingo a partecipare al corteo del primo maggio, con la consapevolezza e la voglia di poter avere, in Consiglio Comunale, a Torino, un amico in…..comune: Juri Bossuto. Capace di rappresentare i temi del precariato, dei lavoratori, dei disoccupati, degli studenti, universitari, pensionati, dei beni comuni…degli ultimi, che per essere visibili stanno zitti. Forse, se abbiamo da dire qualcosa, dobbiamo fermarci un attimo. E ripensare.
Buon primo maggio.
A-mobilità sociale
Silenzio. Doveroso. Per Haiti. Paese povero, distrutto. Paese ricco, culturalmente, musicalmente, artisticamente. Pochi lo sapevano. Anche il sottoscritto. Silenzio, ancora per un attimo.
Per l’ennesima volta, proprio nella giornata in cui a Torino, i No Tav hanno in programma una “passeggiata” da Piazza Massaua fino a Corso Marche (luoghi dedicati ai “sondaggi”), il treno delle 7.35 da Torino Porta Susa, diretto ad Aosta, subisce e fa subire l’ennesimo ritardo. La mia, di passeggiata, purtroppo, non è per nulla festosa. Non è una gita. Anzi. Nei pressi di Settimo Torinese il convoglio subisce uno stop. Il capotreno, con voce flautata ci annuncia che “causa guasto scambi nei pressi di Chivasso, il treno subirà un ritardo imprecisato”. A Chivasso, una voce metallica annuncia che “i treni diretti a Milano subiranno ritardo”. Quanto ritardo non è dato sapere. Complessivamente il ritardo effettivo maturato dal treno Torino Aosta, sul posto di lavoro ad Ivrea è di 40 minuti. Come sempre, il ritardo o si recupera, o si monetizza. Prima di apprestarmi a “bollare” il badge osservo il tetto della scuola. Il pensiero va a Roma, dove proprio su un tetto analogo, da 54 giorni, resistono i ricercatori dell’Ispra.
Penso agli operai Fiat, a quelli dell’Eutelia Agile e delle mille realtà sparse per quello che era il “Bel Paese”, ma che oggi non lo è più. Ben prima delle arance di Rosarno. Penso ai disoccupati, giovani e immigrati i più colpiti. Penso ai trucchi, alla magia, di un “Bel Paese” che, “vedete, ha retto meglio degli altri Paesi alla crisi economica”, tranne sapere poi che nel conteggio non si era seguita una certa conformità con gli altri Paesi: la cassa integrazione entra o non entra nel conteggio?
Alla mancanza di mobilità sociale. Passato faticoso e futuro fosco. Presente “paludoso”. Per molti. Un’immagine che stride con quella del turbo capitalismo. Transazioni finanziarie veloci, immediate, da un capo all’altro della terra. Bonus, benefit, denaro evaso che ritorna. Ma nel quadretto, anche persone. Persone ferme. In attesa, Di qualcosa, di qualcuno che ci illustri una redistribuzione delle risorse migliore, giusta. Ma tutto, per un disegno politico congegnato ad arte, pare fermo, guasto, volutamente, come la scala mobile di Porta Susa, come il dispositivo che dovrebbe indicare il passaggio dei bus, spesso mal funzionante; fermo come un semplice “tappeto” su cui correre. Come il treno, che senza neve, senza ghiaccio, si ferma. Mentre si ipotizza l’alta velocità e il sindaco del Partito democratico di Torino Chiamparino, ahimè, chiama a raduno i sindaci a favore della Tav. Tutto sembra congegnato per “correre dietro palle perse”. “Vorrei ma non posso”, sembra dire questo Governo. Guardo il tetto, oggi. Immagino il tetto, ieri. Sotto, vi era una triplice unità: di contratto; di condizione di lavoro, come ci comunica Luciano Gallino; e di unità contro il padrone, un tempo davvero unico. Oggi non più. Una triplice unità, andata in frantumi. Occorre ripristinare al più presto l’unità. Mandando, per iniziare, in frantumi questo governo italiano “incantatore di serpenti”.
Torino-Aosta: ancora una vergogna (lunedì 16 novembre)
Lunedì. Ore 7.30. Giornali in mano: Liberazione, La Stampa, la Repubblica. Mentre raggiungo velocemente la nuovissima stazione di Porta Susa, sotterranea, gli occhi si fissano sulla prima pagina del giornale torinese. “L’alta velocità salta Porta Susa“. Con disappunto del nostro sindaco. Sai che guaio. Tanti soldi spesi…..Invece quando si è deciso di demolire lo stadio Delle Alpi, costruito con i soldi pubblici…..Mentre penso cio’, alcuni compagni diretti ad Ivrea (con il treno delle 6.34) per questioni di lavoro, mi ragguagliano sull’ennesimo guaio al treno: “ritardo di mezz’ora, con sosta a Chivasso”; un guaio al locomotore? si poteva conoscere il cattivo funzionamento già dalla sera prima? Chi lo sa. In ogni caso, non è un freccia rossa e i viaggiatori di quella linea sono “soltanto” lavoratori, operai, precari: gente da meno di mille euro al mese e dintorni di mille. Non sono soggetti certamente rilevanti per certi politici anche se i loro voti al momento opportuno fan sempre gola. Viceversa, se il treno “non dovesse fermare a Porta Susa, i grandi punteranno i piedi”; e lo aspetteranno comunque. Se il treno ritarda a Chivasso e si arriva al lavoro con mezz’ora di ritardo, nessun “grande” si lamenterà. Pazienza. Pagheranno di tasca loro i soliti noti. Ilavoratori e gli studenti che subiscono quel ritardo. Una giornata, quella di lunedì, cominciata male. Peccato, perchè c’era dell’entusiasmo. Liberazione ci informava sugli studenti in piazza, con lo sciopero dell’11 dicembre, le richieste della Flc Cgil riguardanti il ritiro dei tagli agli organici previsti dalla legge 133. Buone notizie, soprattutto per noi, precari. Ma, qualcuno del governo non aveva svolto un tema “elogio del posto fisso”? Si, un tema scritto nell’aria. Qualcuno continua a scrivere delle favole. Molti vogliono sentiresele raccontare. Ricordo che i diritti sono frutto di lotte. Non sono favole. Un altro titolo di Liberazione ci rammenta della lotta di alcuni lavoratori. Come la vertenza Eutelia con gli operai in corteo a Roma. Lottano. Per sopravvivere. Polticamente segnalo “l’apertura del blog” del compagno Claudio Grassi. Sarà come vederlo in federazione tutti i giorni. La lettura del blog mi obbligherà a mettere nell’azione politica gli insegnamenti di due persone che partecipavano molto alle riunioni di area: Mario Contu, e Carla Perasso. Una buona iniziativa. Condivido la scelta e l’intuizione.