Anna

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Cosa ci rende diversi l’uno dall’altro? Cosa nella mente dell’uomo? E’ cambiato qualcosa, in meglio o in peggio nella società liquida? Ci si allontana da “strade classiche nella psichiatria? E di quest’ultimo tema si parla nella nostra città in vista del congresso della Sopsi, la società italiana di psicopatologia per il suo diciottesimo congresso.  In realtà, pensavo a qualcosa di simile, appena uscito da scuola,  quando, “chiuso un cancello”, la felicità di una donna si irradiava come una sorta di sole in ogni vicolo del Borgo. E la sua felicità era contagiosa. I “raggi” di quel sole chiamata felicità avevano la forza di appiccicarsi sulla pelle e dare un senso di levità.  Sul suo volto, la felicità, “un’inviata speciale”, alla ricerca, di ciascuno di noi. Una bambina, con il coraggio di dire cose.  Raccontare qualcosa di sè che a noi, a metà strada, sfugge, persi nlle nostre confusioni, nelle nostre assenze, nelle nostre assenze di consapevolezza. “Dall’altra parte del cancello”,  Anna, non dietro, davanti. Sorridente, allegra. Comunicativa. Per poco. Per tanti. Per tutti. Ma come  vedono se stessi  i torinesi? Come vedono  gli psichiatri i torinesi?  E restando al tema del congresso, come è la situazione attuale che vede allargare la sfera dei disturbi “sottosoglia”, ovvero quelle condizioni a metà strada  fra malattia e disagio? E la depressione, che colpisce 350 milioni di persone nel mondo? E la scuola, come si attrezza dal momento che già a 14, come spiega l‘Oms,   emergono alcune patologie mentali? E in una società di anziani?  Quali i modi di vivere? Siamo espansivi? Comunicativi? Silenziosi? Sentiremo, leggeremo gli esiti finali del convegno.

In ogni caso, era da un po’ che non vedevo questa “bambina” per Torino, anzi, dalle parti di Borgo Dora. Forse settembre. Felicità nel rivederla e poter scambiare qualche chiacchiera, così, su Torino, sul Borgo, sulla politica regionale, dove, tra l’altro, mi sembrava ben preparata sulle ultime questioni riguardanti la nostra regione. “Ciao, come stai?”  e  “Cosa hai mangiato?” Viene da chiedere”. Forse tanto, poco o nulla. Forse non ricorda. Ma un gelato, ci sta.  Un gelato, solo un banalissimo gelato, accompagnato da  un grazie, per quanto e come esprime nel suo spalmare tanta felicità in ogni angolo di questo Borgo. La donna-bambina più felice del mondo.  O forse no, nel suo mondo, a suo modo. Non vagava, semplicemente aspettava.  E mentre aspettava, ballava. Serenamente. Con gioia. Senza musica. Mentre noi, perennemente in attesa, insoddisfatti, senza sapere mai cosa e come scegliere, perché anche non scegliere è una scelta. Persone in attesa. Semplicemente. Ballare, ridere, comunicare, sappiamo farlo, ma un po’ meno di Anna. Anna, come sono tante. Tre anni fa, la ricordavamo esibirsi in un gran ballo, al centro di una problematica lavorativa, nel centro di Torino. Con un’arancia tra le mani. E si sa, giocare con le arance, non è come giocare con i lavoratori. Come spesso fanno magistralmente certi padroni delle ferriere senza più ferriere tra le mani. Padroni di una volta, manager di oggi. Che al posto delle arance maneggiano con molta facilità lavoratori caduti in ogni tipo di crisi. Anna, “che dallo sguardo che se perde qualcosa”, è  per darlo al prossimo.  “E la luna è una palla ed il cielo il biliardo. Quante stelle nei flipper? Sono più di un miliardo”. E Anna non perde mai un ballo.  Dalla, così cantava, ieri e oggi.   Con una luna di città.  Che stazionava nel pomeriggio, sul Duomo di Torino. Per ritrovarla, ancora a sera, immobile, sul Comune del capoluogo. Davanti al Municipio. Lampadine colorate, come “braccialetti rossi”. E davvero in quel frangente,  con quei giochi di luce, il cielo di Torino era un bellissimo tappeto colorato. Un palco rovesciato. Con una luna piena. Dove solo da quella parte  del cancello, la vita pare veramente tale, senza affanni e qualche sorriso in più. E loro, ne erano le stelle. E forse lì, nulla è più liquido. E sarebbe davvero bello, vederli ballare, tutti, compresi quei 350 milioni, in mezzo a quel palco, mentre domandano, a noi che li giudichiamo: “E allora?” .

(Ps: il gelato, presso la gelateria popolare, è davvero buono).

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