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Piazza Statuto

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Forse la cifra della bellezza torinese è racchiusa in questa piazza. Piazza Statuto. Le arcate dei portici segnalano a chi si trovasse  a passare, l’alternarsi dei tempi: passato, presente, futuro. Piazza Statuto e “i fatti di piazza Statuto”.  La storia sindacale. La lotta. Le “conquiste”. Di un movimento e personali. Quante volte abbiamo sentito, a scuola, in qualche circolo dove abbiamo esplicato o esplichiamo una sorta di militanza, politica o sindacale, o semplicemente una narrazione storica,  “i fatti di Piazza Statuto”? E per restare in tema,  da queste parti trovò casa, per un po’ di tempo, anche uno dei  sindacati, la Uil. Una esperienza breve, a dire il vero.  I portici della piazza, tre livelli di finestre, le mansarde. Quelle due tonalità di colori.  Il rossiccio, il biancastro o grigio. L’angelo che domina la piazza, in cima al monumento, nell’atto di spiccare il volo. Il cinema a due passi, il posteggio dei taxi e “lo stallo” delle bici del comune. Il gabbiotto dell’atm dove  si potevano comprare i biglietti e informarsi, ma che ora non esiste più, e non esiste più a dire il vero neanche l’Atm (ora Gtt).  La famosa pizza al taglio, con le varie “gradazioni” di prezzo e le panchine sulla piazza dove poterla mangiare, in santa pace. Le due  fontanelle, l’acqua. Una delle ultime cose  gratis. Una tempo, all’interno della piazza, sotto i portici, c’erano molte più edicole. Ora qualcuna ha abbassato la saracinesca. Si, si comprava Stampa Sera, colore verdino, con formato ridotto. La sorella più piccola de La Stampa. La si trovava in edicola nel primo pomeriggio.  Altri prodotti, di questa realtà locale, conoscevano “fratelli o sorelle”, più piccoli. Un po’ come accadeva per le passioni dei bambini verso  le “figu“. Le Panini, erano in edicola a inizio scuola inoltrata; prima, pero’, potevi contare su di un “surrogato”, un fratello minore, meglio,  sorelle minori: le Edis. Tanto non importava, i giocatori che si trovavano appena scartate le bustine erano sempre gli stessi del campionato di calcio.  Incorniciati in modo diverso. Ma sempre loro. E la cornice delle cose, spesso, è insipida. E’ il contenuto che “conta”. Come per un’opera artistica. Era il “logo” la marca che faceva la differenza. “L’inflazione”, la passione e la febbre  per le “figu” saliva con “l’entrata in edicola delle Panini”.  A piazza Statuto ci si trovava.  E si giocava. Con le figu e con il pallone. E quando terminava il tempo di quel gioco, subentrava quello dell’amore. Gioco o realtà. Ci si innamorava e non si amava mai. O si.  E si sentivano sussurrare i classici “vorrei ma non posso o vorrei ma non so”.   O forse si. Altre volte girava bene e si scrivevano storie d’amore o “colpi di stato permanenti“. Innamorarsi, qui, a Piazza Statuto. Ritrovarsi e ritrovare attraverso gli sguardi quel riconoscimento che da soli si è incapaci di trovare. Una meraviglia di Piazza e meravigliarsi di tutto. Un trovare e ritrovare. Sotto lo sguardo di un angelo e ritrovarselo addosso, sulla pelle. Il suo angelo. O il tuo.  Come un romanzo di Chaderlos de Laclos. Una piazza che e’ bosco narrativo, con i sentieri  di vita da scegliere. Apertura e  responsabilita’.  Forse un Eco. Ma forse, mentre immaginiamo, inconsapevolmente siamo seduti su  una delle tante panchine a leggere letteratura ci aiuta  a comprendere meglio  cio’ che quotidianamente vediamo senza attribuirgli il giusto significato. Piazza aperta e apertura sulla piazza. Piazza grande. Una piazza, non solo degli Statuto, con le loro motorette. Intenti a vincere un festival di Sanremo. E provarci. A suo tempo. Ci si trovava con gli amici, per un caffè, messi a riposo gli amori, da sorseggiare al bar Ideal, Marino o Alice. Qualcuno ha abbassato le saracinesche da un pezzo. Altro resiste o si rinnova.  Al posto del primo, qualcosa di “fast”. Un capolinea di bus, resiste, sempre, a tutto. E altro si aggiunge. Come una pista ciclabile, al centro.  Ma non tutto resiste, o meglio, resiste nella forma; talvolta muta il contenuto. Claudio, che era da un po’ che non passava da queste parti, si è trovato a gustare un caffè, espresso. Entrato in un locale, si è reso conto di aver attraversato contemporaneamente più “epoche storiche” pur restando  nello stesso locale.  Le due insegne, datate, ben conservare e da conservare, da regolamento, ci ricordano che un tempo, lì, c’era un negozio “Drogheria-torrefazione-vini-liquori”. Prima ancora l’abbigliamento  e ora, bar panetteria. In questi ultimi due casi, al numero 4 di Piazza Statuto, identico proprietario. Claudio ha reso noto che il caffè era davvero buono.

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“Io siamo, 10 e lodo”

I metalmeccanici non abbassano la testa“, questo era il grido di un operaio, venerdì. “Fermiamoli” era lo striscione indicativo di una volontà di ripresa. Del proprio destino. Del proprio futuro. Insieme ai metalmeccanici, altri, lavoratori del pubblico impiego e scuola. Fra questi, noi, io e l’amico Daniele. Un giorno in più, di lavoro, per poter pagare il biglietto del treno, che non contempla i ritardi, quasi quotidiani. Non saranno certo i soldi di una giornata di sciopero a modificare il nostro destino. Ma almeno le idee, quelle, non le vendiamo e in un mondo dove tutto è in vendita non è cosa da poco. “In 250 mila per il lavoro: stop ai licenziamenti”, titolava Liberazione di venerdì, a pagina 2 (articolo di Federico Gamberini). “Fabbriche vuote, piazze piene: 250 mila metalmeccanici manifestano da Milano a Palermo. Riesce lo sciopero proclamato dalla Fiom contro il “contratto dimezzato”, per il blocco dei licenziamenti e la democrazia in fabbrica. “Vogliamo votare piattaforme e accordi”. A Roma operai e studenti protestano davanti alla Rai contro il silenzio dei media”, titolava il Manifesto della stessa giornata. (articolo di Antonio Sciotto). Sì, non solo tute blu, ma anche ragazzi, studenti, lavoratori della scuola. E tra questi, noi. Quotidianamente cerchiamo di ricordarci a vicende le nostre radici, la nostra provenienza. Quotidianamente siamo vicini, come possiamo, agli operai, a chi è in cig, a chi è in mobilità, a chi il lavoro lo ha perso. Stiamo un pochino meglio, forse, anche se non troppo. Con le nostre nomine annuali, con uno stipendio che non vede mai i “mille”, e a questi dobbiamo decurtare il prezzo del treno, “per la nostra gita quotidiana”. Senza mensa, senza nessun tipo di rimborso. Con gli occhi assonnati, come voi, che avete scioperato venerdì, e per questo, ci siamo uniti a voi, anche se, eravamo davvero pochi. “Perché aderisci allo sciopero?” era la domanda ossessiva che ci veniva posta. Perché fino a quando qualcuno continua a crederci davvero, in una prospettiva, in un cambiamento per tutti, bhe, allora un altro mondo è possibile. Sono belle giornate, queste, di solidarietà, dove noi, abbiamo cercato di lasciare la nostra “tranquillità” dei “mai mille euro” per essere più vicini a voi, per non farci inglobare dall’individualismo. Sono giorni in cui anche i grandi sono finalmente più vicini a noi. Una costituzione sempre da difendere, da tutelare, da ricordare, da studiare e da ripassare. A tutti i partecipanti delle manifestazioni di venerdì, un bel dieci e lodo.

«Non applicheremo l’accordo separato»

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«Non applicheremo l’accordo separato»

di Antonio Sciotto

Fiom all’attacco sulla firma di stasera. Anche la Cgil ribadisce il no. Caso Ggp: così le deroghe a perdere

ROMA «Quell’accordo non è stato firmato dalla Cgil ed è bene che si sappia da subito: noi non lo applicheremo». Il messaggio di Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom, è più che esplicito e cade direttamente sul tavolo che si riunirà questa sera, presso la foresteria di Confindustria, per siglare in modo definitivo il patto separato sul modello contrattuale firmato nelle linee generali il 22 gennaio. Faccia a faccia siederanno la Confindustria, Cisl, Uil, l’Ugl, avrà il benestare dello stesso governo – dato che viene applicato anche al pubblico – ma sarà presente pure il segretario Cgil Guglielmo Epifani, che comunque ieri ha ribadito che non firmerà. In ogni caso, il «paesaggio» che si prospetta da domani è evidente: in tutte le fabbriche, quell’accordo sarà ingestibile perché la gran parte dei lavoratori – vedi il referendum Cgil con 3,6 milioni di votanti e il 96% di no – non lo ha digerito, dunque anche per le imprese il calice sarà amarissimo. Senza contare che lo stesso contratto collettivo dei meccanici, in scadenza a fine anno, rischia di partire con due piattaforme diverse e aspre divisioni. Se poi si aggiunge la crisi, la prospettiva è di una conflittualità tutta a salire: ieri a buttare benzina sul fuoco ci ha pensato il segretario Cisl Raffaele Bonanni, che ha accusato la Cgil di essere «ambigua» sui «rapimenti» dei manager che si stanno susseguendo Oltralpe con cadenza settimanale: tanti in Francia, ma ha fatto parlare molto quello dei dirigenti Fiat avvenuto in Belgio. Secondo Bonanni, che ha sparato praticamente a freddo su Epifani – forse infastidito dai grandi numeri portati in piazza il 4 aprile dalla Cgil – il segretario Cgil «liscia la tigre della rivoluzione e soffia sul fuoco».

Lo spirito del 22 gennaio è già vivo La Cgil ha risposto che «Bonanni ha ormai passato il segno», mentre Rinaldini ha spiegato che «il problema non è avallare o meno quei gesti, ma bisogna capire che con tutti i licenziamenti c’è esasperazione: a me impressionano di più i tanti suicidi o i gesti disperati di violenza che avvengono negli Usa. E non è forse più violenta la dismisura tra lo stipendio di un manager e il licenziamento di un operaio? Io dico: attenzione, perché per chiudere certe fabbriche in Italia e lasciare migliaia di persone senza posto ci vuole l’esercito».

C’è un contratto che la Fiom ha portato a esempio di quello che può significare la deroga ai diritti sanciti dal contratto nazionale, possibilità che viene istituita dal patto separato del 22 gennaio: è l’integrativo siglato in una grossa azienda, la Ggp di Treviso, che produce tosaerba. La Ggp ha un personale fisso di 625 persone, ma nella stagione di massima produzione – da settembre a giugno – grazie agli stagionali «gonfia» fino a 1200-1300 persone. Il 75% del personale stabile è composto perlopiù da uomini italiani; al contrario, la gran parte dei precari è fatta di donne e immigrati. La mole di stagionali, fino a oggi, è stata gestita attraverso i contratti a termine. Nel contratto dei metalmeccanici è previsto che chiunque compia 36 mesi di lavoro (o 44, se inclusi i periodi di interinale) maturi il diritto al tempo indeterminato. Analogamente, il Protocollo welfare del 2007 dispone l’assunzione dopo 36 mesi, con al massimo una sola proroga; ancora, la legislazione Ue prevede che non si possano ripetere all’infinito contratti a termine presso la stessa azienda. Ebbene: la piattaforma unitaria proponeva di non gestire più gli stagionali con i contratti a termine, ma di passare gradualmente a tempi indeterminati con part time verticale: cioè vieni pagato solo i mesi che lavori, ma almeno hai la garanzia del posto fisso (utilissima per gli immigrati, per il permesso di soggiorno) e, in proporzione, hai come gli altri i premi di risultato (2400 euro annui, negati ai precari). L’azienda ha detto no, e con le sole Fim e Uilm, e con la maggioranza delle Rsu, ha firmato un integrativo che deroga al contratto nazionale, introducendo la ripetizione all’infinito dei contratti a termine. Aziz Bouigader, delegato Fiom, spiega che «già 168 operai hanno maturato il diritto al tempo indeterminato, ma così dall’1 aprile sono fuori». Maurizio Landini, segretario Fiom, aggiunge che «la Fiom, che propone sempre il referendum per dirimere le divisioni, in questo caso non è disposta a votare contro diritti indisponibili dei lavoratori: faremo causa in forza del contratto nazionale, della legge del nostro paese e delle norme Ue».

Rinaldini ha concluso: «La Fiom non firmerà mai quell’accordo, anche contro il parere dei propri iscritti: perché una maggioranza non può decidere il licenziamento di una minoranza». Sull’accordo separato del 22 gennaio, Rinaldini ha ribadito che «per la Fiom non esiste» e che «contano le regole in vigore, la cadenza biennale», profilando la possibilità di presentare la piattaforma in ottobre, 3 mesi prima della naturale scadenza (31 decembre); mentre le nuove regole, al contrario, la fisserebbero 6 mesi prima, cioè in giugno. Deciderà comunque il comitato centrale Fiom del 28 e 29 aprile.

15.04.2009

Fonte: Il Manifesto

13 Febbraio 2009: Tutti a Roma, Piazza San Giovanni.

Oggi avevo deciso di fare un giro per Cuneo e provincia. Prima, però, dovevo incontrare alcuni ex colleghi di lavoro, amici, compagni. Alcuni di loro sono arrivati all’incontro a piedi, ed erano “s-Fiat-ati“; altri con una macchina, che spesso negli ultimi quattro mesi, va “controsterzo”. Mi hanno raccontato dei primi giorni di lavoro al rientro dalle vacanze forzate, con poche prospettive e pochi soldi in tasca. Mi hanno raccontato che i problemi sono tantissimi, mi hanno chiesto più volte se fosse vero che la cassa integrazione copre l’80% dello stipendio, e così, per dare una risposta esauriente abbiamo letto insieme “il Manifesto” del 27 gennaio a pag 5, che così diceva:” L’indennità è per un terzo livello al 63%, per un quarto al 61% e per un quinto al 57%; in un trimestre la perdita netta in busta paga può superare i 2700 euro.” Per quanto mi riguarda, ho detto loro quanto in mia conoscenza: “curva a U” o “curva ad L”, sempre di stagnazione si parla: sono i tempi della timida ripresa che non sono chiari e, paiono allontanarsi ogni giorno di più a giudicare dai dati diffusi. Ma, nel frattempo tantissimi hanno già perso il posto di lavoro, quelli a cui non è stato possibile rinnnovare il contratto a tempo determinato; “game over” cantava Elvis! In più, ieri si parlava del settore auto con 60 mila posti a rischio. A questi ci aggiungiamo i molti del pubblico impiego, qualcuno direbbe centomila posti di lavoro in scadenza a giugno e forse, qualcuno dice, non rinnovabili. A tutto ciò aggiungiamo il clima di divisione che qualcuno sta operando da tempo; fortunatamente in fabbrica nessuno ascolta le voci di chi indica nei lavoratori del pubblico impiego dei “perfetti grattatori di pancia”; anzi, fabbrica e pubblico impiego cominciano a stringersi le mani, ad abbracciarsi ed unirsi, idealmente, accerchiando la leva del potere: l’appuntamento è il 13 febbraio, a Piazza San Giovanni, in Roma.
Per quanto mi riguarda l’accordo firmato da cisl e uil non è accettabile. Qualcuno mi ha chiesto qualcosa? Questa è democrazia? Ricordo per quanto riguarda il punto relativo allo sciopero, che questo è un diritto individuale esercitato in maniera collettiva. Se non ricordo male, dovrebbe essere tutelato dalla costituzione. Forse che questa è cambiata nel giro di poche ore e qualcuno si è dimenticato di dirmelo? Eppure dal Parlamento non mi pare sia uscito nulla a riguardo. Democrazia, partecipazione…sono anni che continuano a decidere sulla nostra pelle: quando capiranno? Non aggiungo altro, penso che qualcuno prima di firmare dovrebbe tornare tra i lavoratori e sottoporre a verifica, chiedere se si è d’accordo oppure no; in altre parole: Referendum.
Non voglio far perdere tempo, voglio solo che si rispettino le procedure, i passaggi. Ma dico, possibile che siano sempre contenti di pagare la tessera senza “porli in discussione”? Sfiduciamoli.
Dopo aver discusso, parlato, incoraggiato ed infuso speranze nei miei colleghi, prendo il treno e mi dirigo in provincia di Cuneo. Amico Dalmasso, hai ragione: Cuneo è bellissima, e la sua provincia idem. Paperino si è sbagliato! Sergio, grazie per avermi fatto conoscere una realtà bellissima, ricca di luoghi di grande interesse turistico come Mondovì, Saluzzo, Bra….

Accordo separato per spezzare la forza contrattuale dei lavoratori

Riceviamo e Pubblichiamo:

La Rete28Aprile chiama alla massima mobilitazione contro l’accordo della complicità tra Confindustria, Governo, Cisl e Uil

Firmato ieri l’accordo separato sulla riforma del sistema contrattuale. La gravità dell’attacco ai diritti richiede lo sciopero generale. Come prima risposta la Rete28Aprile opera affinché allo sciopero del 13 febbraio delle lavoratrici e dei lavoratori metalmeccanici e pubblici, con manifestazione nazionale a Roma, partecipino altre categorie e altri luoghi di lavoro.
E’ necessaria una lotta lunga e duratura, perché la rottura è di una gravità senza precedenti e mette in discussione i principi fondamentali dell’iniziativa sindacale e dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. L’accordo della complicità apre la via alla distruzione del contratto nazionale e alla totale flessibilità del salario; minaccia ancora di più la salute dei lavoratori con il vincolo della produttiva del salario; estende la precarietà e l’incertezza dei diritti.
Si apre così una fase nuova nella quale bisognerà rovesciare l’accordo categoria per categoria, luogo di lavoro per luogo di lavoro.
Vogliono eliminare il conflitto sociale; invece dovranno raccoglierne una quantità tale da sconfiggere il loro disegno di far pagare integralmente la crisi al mondo del lavoro.

Roma, 23 gennaio 2009

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“Cambia il tempo” da il Manifesto del 13 dicembre 2008

Oggi avrei voluto iniziare commentando alcune pagine di un paio di libri iniziati l’altra sera. “Acciai speciali“,  sempre per continuare sul filone del ricordo della tragedia Tyssen, libro scritto da Alessandro Portelli,  Donzelli Editore, e, con un altro libro, “Largo all’Eros alato!“, di Aleksandra Kollontaj, casa editrice il Melangolo. Il primo, perchè rientrava nella seconda parte dell’incontro tenutosi al Circolo dei lettori di Torino (subito dopo la proiezione del film di Mimmo Calopresti) e presentato a noi in quell’occasione. Volevo soffermarmi su alcuni punti e commentare e, o, suscitarne altri. Il secondo era un libro che avevo ordinato da tempo e che avevo scordato di ritirare dalla libreria. Ma, di entrambi, ne parlerò in seguito. In realtà, ho anche altri due libri dei quali vorrei parlare: il primo è di Andra Bajani, “Domani niente scuola“;  in settimana ho avuto la possibilità di scambiare qualche chiacchiera (presso  la libreria “la Torre di Abele“, dove il sig. Rocco, il proprietario, è sempre pronto a darmi suggerimenti su qualsiasi tema, mi ha dato modo di incontrare l’autore. Ho chiesto alcuni lumi per capire questa generazione. Il secondo libro  è intitolato “La vita bassa” di Alberto Arbasino, casa editrice Adelphi. Ma, di tutto ciò ne parlerò in seguito. Ora vorrei soffermarmi sulla giornata di ieri. Innanzitutto i numeri, dato che qualcuno continua a guardare ciò come si si guardasse dal buco  della serratura, oltre che minimizzarli  in continuazione. La Repubblica titola a pag. 6:  “Sciopero, in piazza il popolo della Cgil. Un milione e mezzo in 100 città“, La Stampa, a pag. 12: “Sulla crisi staneremo il governo“, Epifani: “In piazza un milione e mezzo di lavoratori“. Cisl e Uil: “No, è stato un flop“. Il Manifesto –  giocando un po’ con il titolo – : “Cambia il tempo” in prima pagina, ovviamente per dare risalto alla grandissima e bellissima manifestazione avvenuta in 108 città d’Italia. Nella foto campeggiano tanti ombrelli con dei cartelli al riparo che riportano: “Più lavoro, più pensione, più sanità, più scuola“….che analogia, almeno per me, con quell’apertura di pagina di tanti anni fa, del 1994 con su scritto “Che liberazione“, con una Milano sotto la pioggia. A pagina 2, continua con “I lavoratori insieme contro tutti“, e poi, nelle pagine 5 e 6 una immagine che dice tutto solo a guardarla. Un operaio con un casco, di quelli usati per la sicurezza con su scritto “Metalmeccanico al 100%“. Liberazione, in prima pagina riporta: “Sciopero, la Cgil vince la sfida“.  Rinaldini: “Crisi mai vista“, e ancora a pagina 2, “La Cgil vince la sfida. Riuscito lo siopero generale“.

A Torino, nella mia città, La Stampa, nella cronaca cittadina, afferma: “cinquantamila in piazza. No alla tessera del pane” (sciopero di pensionati, operai e studenti). La Repubblica nella cronaca cittadina di Torino: “Cgil e Onda: 30 mila in piazza, ma è guerra di cifre con la Cisl. Gli studenti “murano” una banca“. Come al solito, la guerra di cifre su una manifestazione che non piace a loro, direi io…loro, sempre per la …..”concertazione”.

Ma non ho parlato dei libri, o del libro, perchè ripenso, nelnostro sempre vivo modo di “spersonalizzarci” ad alcuni fotogrammi di ieri: operai, stanchi, malconci, con poche illusioni nell’immediato ma ricchi della loro diginità, del loro mangiare pane e sudore in quei posti che hanno contribuito ad edificare, ad arricchire con il loro sapere, e che si chiamano fabbriche. Ed ora, questi luoghi ricchi di memorie personali, intrise d’olio impastate a sudore e amarezze, quei volti, non li vuole più e non li degna neanche di uno sguardo. Penso a loro che incedevano mestamente, stanchi, ma pronti a dire di no ad una social card che li priverebbe di ogni dignità e che qualcuno vorrebbe garantire ai possessori un “ulteriore sconto” del 10% al bar, per la colazione o al ristorante, privandoli ulteriormente della propria dignità. Ma, è possibile proporre una cosa del genere a gente che stenta ad arrivare a fine mese? Ma, chi ha quelle monete in più da poter spendere per una colazione? per una pizza, per un ristorante?

La proposta è stata fatta nella mia città, a Torino, letta sul quotidiano di casa nostra. Ed io, cosa posso pensare, dopo aver distribuito pane ad un euro per molti sabati consecuitivi? Ma, chi propone queste cose, ha idea della realtà? Chi propone di spendere ha idea? Basta fare un’analisi della società: numero di dipendenti fanno tot, autonomi fanno tot, pensionati fanno tot…..quanti in cig?

Ripeto le cifre: a Torino 0 Milano nell’anno: 51943 a partire da ottobre. Tremila i lavoratori chimici; 500 nelle telecomunicazioni, centinaia in altri settori. La Cgil ha scioperato in una realtà drammatica, con convinzione, forza, e forse “cambia il tempo”. Lo sciopero è arrivato dopo aver visto 2 mila assemblee e 120 mila lavoratori che vi hanno partecipato.

La cig a novembre è a più 109% rispetto al 2007.

Quante facce ho visto ieri….e, di alcuni conservo le foto.

Un precario dell’Università laureato con 110 e lode, e tanti, tantissimi altri. Ma davvero tutta questa moltitudine può seguire il consiglio proveniente dal titolo di un articolo de “La Stampa” , “Bar e ristoranti scontati per chi ha la social card” ? Forse è vero, la politica è questione di tempi e luoghi prima che di opinioni, ma io, personalmente penso che a problemi e necessità urgenti bisogna dare risposte immediate, sempre. Forse, dopo questo sciopero, l’identità di questo popolo è visibile, c’è;  sono gli altri a non voler capire, quelli che hanno difeso sempre il mercato. Basti pensare che anche il Papa afferma che “La crisi alimentare è colpa della speculazione“, vedendo in questa affermazione i mandanti di questa crisi.