Al mattino il sole e’ gia’ alto. Entra attraverso le fessure delle finestre e allaga ogni centimetro quadrato. Le cicale mai stanche cominciano il loro instancabile canto che si prolunghera’ fino a tarda sera.”Ma che ora e’? Le 6.30″. Basta. Non si dorme piu’. Un’occhiata al fico e al giardino. Esco e scarpette ai piedi infilo un nastro d’asfalto lungo un paio di km. Oggi regnera’ un po’ di confusione in un anticipo o prova di quel che capitera’ a luglio e agosto. O sta gia’ capitando. La corsa verso centimetri di spiaggia e’ iniziata
. Le macchine lentamente dai paesi dell’entroterra si muovono verso il mare. Vedo le auto sfilare mentre raggiungo velocemente un “pasticciottino” al pistacchio da addentare, appena sotto la Torre
. Mi siedo tra un tripudio di bar: Miramare, Imperatore. “Ane allu Principe” (vai al Principe) mi urla un signore la cui fronte e’ vendemmiata dal sole, e nell’allungarmi la mano per indicarmi la direzione mi scopre calli e anni di terra domata. “Esistera’ questo Principe?” Mi domando tra me e me. Un sorso al caffe’ Quarta, un morso al padticciottino mentre sfoglio il Quotidiano di Lecce.”Nonno Uccio ha sostenuto gli esami”, l’Eurostar o “Freccia Rossa arriva da Milano ma non e’ sufficiente”, “Puglia sold out”…Mi giro. La statua dell’Arcuri e’ sempre al suo posto na le bellezze del luogo non fanno paragone. Porto Cesareo
sembra una cartolina. Colori vivi, accesi. Bellissimi. Profumi di pini, mare, bagno schiuma e creme solari. Un caldo da paura ci avvolge. Un gruppo fa gia’ il bagno. E sono le prime ore del mattino
. Provo una strana sensazione essere qui, ora. Ritrovo profumi, odori, colori di anni passati. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, al perodo dell’infanzia, abituati alla confusione di agosto, nell’eta’ adulta, scandita dal lavoro, o, al piu’ in botte di c. di fine luglio. Ma giugno lo avevo proprio dimenticato, quaggiu’, a due passi da Est, alle 5 con la luce del giorno gia’ accesa, con il rumore delle campane della chiesa arrivato qui dentro grazie ad un vento favorevole, in un tripudio della natura certamente mai cessato, implementato dal passeggio di “trecce” sulla spiaggia in ore piu’ favorevoli in questo senso. Volti mediterranei, capelli scuri, occhi neri e tratti di matita che ne sottolineano le bellezze. E annoto sul calepino questi ultimi tratti.
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Ritornare in treno a Ravenna
Riprendere il viaggio…fiondarsi nella stazione vetro-acciaio di Torino Porta Susa; incontrare lungo il cammino che separa casa dalla stazione solo poche anime. Anime “vagabonde”, in giro per la nostra città, al mattino presto, quando la metropoli dorme ancora e l’estate non vuole ancora bussare alle porte torinesi. Direzione stazione, per poter salire su di uno dei primi treni mattutini e dirigersi verso Sud. Al mare. Pensare di potersi dedicare a buone letture e sorbirsi invece gli influssi e gli effetti della nuova tecnologia e cellulari ultimo grido con cartoni animati incorporati per distrarre i bebè al seguito. Scoprire così che in un’epoca in cui il lavoro scarseggia per molti il treno diviene un’appendice dell’ufficio, trasformando il ripiano posto davanti al sedile in una scrivania tipo Presidente del Consiglio (evidenziatori, penne e blocchi in ogni dove, con tablet e cellulari ultima generazione) e parlare ore e ore di finanza, condomini, polizze assicurative incuranti se tutto questo parlare ad alta voce con persone dall’altro capo del telefono possa dare o meno fastidio al vicino. Una voce di Trenitalia chiede gentilmente di abbassare la suoneria del cellulare ma in realtà, a mio modo di vedere, dovrebbe invitare molti viaggiatori a frequentare corsi di buona educazione, di bon ton. E un mio suggerimento potrebbe essere quello di suddividere questo eccesso di lavoro con chi ancora non lo ha. Un nonno anziano fa la spola, dal sud al nord per accompagnare i nipoti al mare. Da anni in pensione conosce a memoria gallerie, scambi, stazioni, fermate, coincidenze. Vedo passare velocemente Reggio Emilia, Bologna tante cittadine a me amiche. Faenza, Imola, Rimini, Cattolica, abbinando a quest’ultima un ritardo di fine estate con continuazione del viaggio in macchina, lungo l’autostrada per uno di quei viaggi che non si dimenticano, direzione Sud, verso Ascoli. E poi ancora Pesaro! Rimini, Ancona, la sala d’aspetto, prima, dopo, durante, persone silenziose e meno, manovratori, uomini di fatica e guastatori. Lettere scritte, consegnate e consegnate al volo su di un treno in partenza. Un giro del mare per arrivare a Ravenna. Il pensionato ferroviere comincia il suo racconto di una Italia che fu coinvolgendo quante più persone: di quando c’era il vagone postale incorporato nel treno e dentro si lavorava (conoscendo esattamente la composizione di ogni treno, classi, cuccette, vagone lette, postale) eccome se si lavora. Delle “balille” ( brutto nome, ma le chiama così, contenitori in ferro) in attesa alle stazioni, lungo le banchine, suddivise in posta in arrivo e posta in partenza. Il suo racconto ci ricorda che il ferroviere, quello posto nel vagone “buttava” giù i sacchi e un altro ferroviere, sotto, lungo la banchina, “tirava” su, e poi, su, quando il treno ripartiva, si smistava. Una catena di montaggio. Solo che a muoversi era il treno. E il pensiero correva a tutti quei pacchi, e non tanto al contenuto, che non si saprà mai, quanto elle emozioni che potevano contenere tutti quei contenitori che emanavano profumi, di montagna e di mare, di pizza e di torta, e di mille altre cose. Le attese, le speranze, l’arrivo. E poi scartarlo. Il pacco. Chiedere al telefono se era arrivato o meno, se si faceva in tempo a prenderlo o no, prima che la posta chiudesse. E le emozioni all’atto dell’apertura di quell’oggetto che avrebbe sostituito così una relazione non a distanza. Tutto questo fino a quando non arrivo’ il pacco celere a rovinare tutto quel piccolo mondo antico…insieme ai cellulari, ovviamente. “Ci sarebbe da distruggerli sotto i piedi”. E difatti, qualcuno lo fa, o lo ha fatto. Racconta, racconta, racconta…..quanta gente ha visto viaggiare e attendere l’alba per il primo treno. E’ un “Pozzo orario” vivente questo signore. E’ coinvolgente, e con lui si riesce ad essere pazienti. Tutti. Racconta di quando il personale era in abbondanza e “i ferrovieri erano ferrovieri” , quando formavano una classe, fino a quando…Il mercato non impose i suoi tagli e un modo nuovo di viaggiare. “Ma chi è il mercato, domanda?” Pero’ conosce il periodo delle lenzuola d’oro e degli scandali. Poi passa una signorina, giovane, carina, capelli ricci e rossiccia, efelidi sul viso, a controllare i biglietti, pinzarli e augurare buon viaggio a tutti. Lui le mostra la sua tessera da ex ferroviere e quindi, viaggio gratuito ma meritato. E’ raggiante. Si dichiara suo collega, nonostante abbia 80 anni. Le ricorda di come si era assunti una volta, mentre ora le signorine sembrano tutte assunte, appena terminato il concorso Miss Italia, direttamente da Salsomaggiore. “Sa, signorina, lei è proprio bella, come le sue colleghe”, le dice. Attira simpatia e pazienza e, pazienza se ripete le stesse cose. Non fa nulla. Addirittura riesce a strappare un applauso. Per aver fatto un pezzo. In questo Paese. Un pezzo importante sui binari della vita. Al riparo da massicciate. Il suo racconto per un po’ di tempo mi aveva indotto a dimenticare per quale motivo stessi tornando a Ravenna…C’era una cassettiera e una scultura che….
L’Italia che si muove
L’Italia che si muove, sotto la pioggia. Non solo il barometro politico segna tempesta o brutto tempo. Piove a catinelle, a gran velocità.
Viaggiatori che cercano vie d’uscita a gran velocità. Come tantissimi giovani. Impressionante il numero dei laureati, specializzati, che han cercato lavoro altrove, negli ultimi anni. Cambiano le valige, non piu’ di cartone. Trolley alla mano, tablet, I-phone, smart phone e ogni altro tipo di estensione umana. L’Italia che si muove. Eppure, sembrerebbe ferma, soprattutto se si leggono le serie statistiche di ogni ricerca. Se è in movimento, sembrerebbe farlo, come i gamberi. Si corre restando fermi. Cosa non capita di pensare nella stazione nuova di Bologna. Bologna sotterranea. Due piani sotterranei. Scale mobili. Di corsa. Tutti di corsa. Verso l’altra stazione, quella tradizionale, quella bella. A metà, panchine, dove riposarsi. Cosa non capita di pensare alla stazione centrale di Bologna. Complice il freddo e il colpi d’aria che di tanto in tanto generano treni ad alta velocità che non si fermano. Le canzoni di Vasco Rossi, Guccini, Morandi, scala mobile dopo scala mobile, fino ad arrivare al caro vecchio corridoio, con le macchinette self-service, i distributori automatici, e poi i la cara Bologna Centrale, dove un tempo passavano, e si fermavano i “treni sportivi” di un Cesena Bologna, o di un Bologna Parma la vecchia biglietteria, il piazzale stazione e poi i negozi, i portici. Sotto, nella nuova stazione, metropolitana cittadina, i treni non stop Roma Milano e viceversa. Si sale. In ritardo. Il display segnala il punto esatto in cui si trova in quel preciso momento il treno in corsa. Velocità e ultimo ritardo.280. 285. 297. La freccia sul monitor si muove. Le automobili sull’autostrada sembrano macchinine telecomandate. Qualche gocciolina taglia di traverso l’enorme finestrino. Visi protesi verso quel visore, posto in alto, a metà corridoio. Ritardo che cumula minuti su minuti. Incomprensibilmente. Le arcate della Centrale di Milano cominciano a comparire. Il treno si assesta. Le porte lentamente si aprono. Tabelloni luminosi, in fondo, e desk assistenza clienti. Treni ad alta velocità in ritardo, gente che corre e regionali che non aspettano. La Svizzera è a due passi da qui. Ma qui non è la Svizzera. Almeno oggi. Viaggiatori destinati a prendere il treno successivo. Cosa resta? Il Resto del Carlino da sfogliare, come il Corriere della Sera e La Stampa. L’informazione sale su questa Metropolitana d’Italia. Frenesia restando in piedi. Immobili. Cartellone elettronico che aggiorna in continuazione treni in arrivo e treni in partenza. Poco piu’ avanti, la torre della disperata difesa ad oltranza dei treni notte e dei posti di lavoro. Nuvoli di ricordi retroproiettano i pensieri: concerti di Ligabue e Vasco Rossi al limite della mezzanotte. San Siro è distante, da qui. La stazione, teatro del mondo. Luogo di vita, per alcuni, per una coppia che si abbraccia. Non sono alla ricerca di un bar o dell’ufficio reclamo. Semplicemente di un nido, da ricavare nell’incavo tra viso e spalla. Almeno fino a che il tabellone luminoso non indichi il binario per il dolce rientro a casa: ” Il Freccia bianca proveniente da Trieste, diretto a Torino è in arrivo al binario…”. Si rientra…
Informazioni
Treni notte fermi .Che gran pena che si prova a vederli in sosta “sonnecchiare”, attestati su binari “morti”, come certe vite, prive di “sbocchi”, di orientamento. Quante storie avrebbero da raccontare. Come gli anziani, “relegati all’esterno” delle nostre vite”. In ognuno di essi, di quei treni, ben visibili in ogni grande stazione, all’interno di ciascuna pancia- scompartimento, visi, voci, occhi, racconti di vita dei tempi andati si perderebbero. Sciarpe a nascondere visi, d’inverno, occhiali da sole a nascondere occhi, lucidi, velati, festosi, di un incontro prossimo o di un addio. Non è dato sapere. Almeno non ora. In quelli, si ricorda tanto di Arpino, nei suoi viaggi tra Bra e Torino. E viceversa. Baracchini che si aprono e sprigionano odori e profumi. Treni veloci che si scontrano, a Roma. Collegamenti tra città che “mancano”, almeno digitando internet; scegliendo un interregionale infatti, potrebbe “mancare” una tratta, non coperta dallo stesso treno, solo perchè il suo percorso è suddiviso in “compartimenti”. Un esempio. Un treno di media percorrenza, che attraversa piu regioni, cambia, tra una e l’altra, dopo una sosta prolungata, (in una data città), il suo “numero”. Come se quel treno avesse terminato la corsa. In realtà il materiale è identico. Riparte dallo stesso binario. Pronto sullo stesso binario. Senza neanche bisogno di cambiare treno si potrebbe comodamente continuare il viaggio. Aspettando un quarto d’ora. Solo che….solo che………i viaggiatori, non sapendo, corrono ad acquistare un altro biglietto, guarda caso, magari, di un treno intercity o ad alta velocità per poter continuare il proprio viaggio. Che strano. In un’epoca dove siamo tutti connessi, le informazioni risultano “monche”……Idem per una tratta, effettuata con una Freccia….se per caso scegliessi di terminare prima il mio percorso, pur avendo pagato fino ad una città di media grandezza,e, poniamo, volessi usufrurie di un treno “lento”, per raggiungere una cittadina piu’ piccola e prossima, sono costretto a pagare nuovamente, nonostante ne sia in possesso già di un altro. Pazzesco. Liberalizzazioni pazzesche in una giornata di Liberazione. Con alcune serrande aperte. Il mercato bellezza, direbbero alcuni. Mentre il Presidente della Repubblica, Napolitano, dal palco di Pesaro, (Marche, terra visitata da numerosi Presidenti della Repubblica……….ah, Pertini!) chiede “rinnovamenteo, fiducia, unità”. Avrei aggiunto molto altro………..certo, abbandonarsi alla cieca sfiducia, non va bene……..ma, avrei voluto ricordare altro, altri, anche.
Consiglio di visionare attentamente le possibilità di spostamento, senza concentrarsi solo ed esclusivamente sugli eurostar. Esistono altre possibilità, magari poco….”visibili”. In epoca di invisibili ed esclusi…………
Treni: “ritardo, indeterminato, soppresso”.
Torino Porta Susa ed Ivrea. Mattina, tardo pomeriggio. Quali termini potrebbero legare due cittadine come quelle o come tante altre nella giornata di oggi? Ritardo, indeterminato e soppresso. Causa neve? causa gelo? causa freddo? Nulla era dato sapere, solo che, le condizioni atmosferiche, in quelle come a Milano erano state ampiamente previste. Tranne che….La giornata, iniziata come tutte le altre, nell’attesa di un treno, ogni giorno sempre precario, in modi differenti, che mi avrebbe condotto verso un lavoro precario, e che alla fine del mese ci consente di vivere una condizione da precario, con un progetto di vita precario, viene scandita da una voce metallica nei sotterranei della mirabolante stazione di Torino Porta Susa. “Treno diretto per Aosta”, ritardo, 15 minuti. Prima che diventino venti, un altro treno viene “ridenominato” a “con ritardo a tempo indeterminato”: quello proveniente da Pinerolo per Milano. Ovvio che la giornata sia cominciata, come molte altre, nella gran confusione. Intanto il Freccia Rossa occupa il binario, quello dove avrebbe dovuto esserci il treno “dei pendolari”. Che ritarda. Ritardo sul lavoro. Minuti, più dei venti, da recuperare, o tolti dallo stipendio del prossimo mese. Ma, come affermava un noto conduttore, prima di ogni “piccolo spazio-pubblicità”, “Ma non finisce qua”. La conclusione della giornata lavorativa non lascia presagire nulla di buono. Nevica. Fiocchi grossi come una mano. Stazione. Per il ritorno. Il tabellone luminoso indica due treni soppressi. Una corsa sostitutiva, con un bus, che aspetta fuori dal piazzale. Ma non copre l’intero tragitto. Solo metà. Per il resto del viaggio, dovrò utilizzare un treno, proveniente da Milano e diretto a Torino. Che viaggia, regolarmente con circa 50 minuti di ritardo. Diventati 60 e passa a Torino. Dove continua a nevicare. Copiosamente. Ormai, la stanchezza ha preso il sopravvento. Sono saltati tutti gli appuntamenti. Divenuti precari. Anche quelli. A fine giornata, Torino risulta essere stata la città più fredda. Ma nonostante ciò non riesco a trovare una giustificazione valida a quanto sopra.
“Bei tempi andati, bei tempi che verranno”; ieri, a Roma
Lentamente il treno ha raggiunto la sua destinazione. Così come i bus. Ognuno rientra nelle proprie case. Il viaggio è terminato. La manifestazione, anche. Tanto rosso, ancora, anche se in Tv si mostra soltanto il viola. Non solo a Roma. In ogni città, una piccola rappresentanza ha organizzato una mobilitazione contro. A Parigi, Londra, Berlino. Italia: Torino e molte altre città contro questo governo di destra. Un’onda, un solo grido: “Berlusconi dimettiti”. Nel treno di Torino, circa trecento persone. Molti altri, in bus. Altri ancora, con mezzi propri. Una nuova generazione, entra in politica. Si affianca ad una più “saggia”. Una generazione, giovane, che speriamo sia bella, “che verrà”. Ma, nelle piazze, vi era anche la generazione dei “bei tempi andati”: operai desiderosi di esserci, che si fiondano, alla fine del proprio turno, sul treno, alla ricerca di un posto; militanti incalliti, pensionati e quelli “da tutte le manifestazioni”. Entrambe le generazioni esprimono con una voce unica lo loro rabbia. Speriamo che questo gruppo possa davvero finalmente cristallizzarsi, dopo un lungo silenzio. Una voce unica. Speriamo che abbiano preso coscienza. Quella sociale, prima, e politica poi. Rabbia, quella espressa in questo come in tanti altri blog. Rabbia dei pendolari, che vedono tirata in grande stile la stazione di Torino, per la partenza di Freccia Rossa, direzione Milano proprio nel giorno del NO B DAY. Con una comparsata, di un Presidente non più amato come i suoi sondaggi affermano. “Piu’ carote meno carotaggi”. Questo lo slogan di molti che dice no alla TAV. Si faccia un giro sui treni della vergogna che i pendolari prendono ogni giorno. Quello e quelli descritti qui sopra, con i loro ritardi, le loro sporcizie. Noi, le sue barzellette , signor presidente non le vogliamo! Ma quale politica del fare! Ma per favore! Contestazione in questo frangente del gruppo No Tav, divenuti No Cav. Per quanto riguarda le novità, della giornata la nascita della Federazione, “un nuovo spazio pubblico per la sinistra diffusa”. Questo e molto altro ancora, si è consumato ieri. La grande sfida è da oggi. Un’Italia, come affermava il Censis nel suo rapporto, è un Paese in apnea, un Paese che non cambia mai. Un Paese in cui il lavoro atipico è stato un danno immediato per i giovani e per la società. L’occupazione diminuisce rispetto allo scorso anno (-1,6%); la disoccupazione aumenta (+1,2%) e le persone in cerca di lavoro aumentano dell’8,1%. Nei casi di necessità sono incrementate le famiglie che hanno fatto ricorso ai risparmi; quelli che chiedono prestiti a famigliari e finanziarie e chi compera utilizzando le carte di credito. “E’ l’Italia che va”. E molte aziende che non chiederanno la cig. Perché terminato il periodo. I laureati non sono menzionati, tanto “come affermava qualcuno alcuni giorni fa, stanno meglio di altri ed il loro stipendio è largamente superiore…..”. Ma per favore.
Un ricordo, oggi, ai morti sul lavoro di due anni fa alla ThyssenKrupp di Torino.
Torino-Chivasso-Vercelli: altro treno della vergogna 3
Ore 6.28. Stazione di Torino Porta Susa. Sotterranea. Modifico l’ orario di partenza per recarmi al lavoro. Appena si manifesta il “materiale” (chiamarlo treno, mi è davvero impronunciabile), la vergogna che provo è davvero forte. Una “littorina”, diesel, di quelle che venivano usate trenta anni fa, per collegare paesini sperduti; collegamenti considerati “rami secchi” e quindi tagliati dalle ferrovie. Perché ora, una cosa si tiene solo se è redditizia, non se è utile. E cosa non si è tagliato negli ultimi 25 in Italia? Grazie alle mediazioni e ai compromessi. Col capitale. Calearo con Boccuzzi? Partito interclassista? No, grazie. Una littorina, strapiena, con tutti i posti a sedere esauriti, e anche quelli in piedi. Che contrasto. Con la bellezza di una stazione, nuova, pronta ad accogliere le Frecce Rosse. Che contrasto. Signor Presidente, peccato fosse sulla Freccia Rossa, oggi. Avrebbe dovuto essere su quella littorina. Piena di lavoratori. Dipendenti. Penalizzati, sempre! Per loro, mai niente. Per gli autonomi, qualcosa. Littorina. Piena di immigrati. Discriminati, ma buoni per i padroni per le loro braccia. Un tema che mi porta a riflettere su quanto pare stia accadendo in questi giorni. Processi brevi? Ancora una volta in discussione l’articolo 3 della costituzione? A pochi giorni da una sentenza. Ho provato a chiedere spiegazioni al capotreno, sul perchè quel vagone solitario. “Non vi era materiale,” “altro in riparazione”. La mia corsa termina a Chivasso, con 5 minuti di ritardo. Treni in ritardo. Treni in miniatura. Treni sporchi. Mancanza di rispetto per gente che li utilizza per recarsi al lavoro e non in gita o alle castagnate da oratorio. Penso che da domani indossero’ una maschera, bianca, come gli invisibili di Eutelia di Ivrea, da mesi senza soldi. Perchè noi pendolari, noi lavoratori, noi dipendenti, non esistiamo. Questi signori continuano a premiare il mercato. Io non ci sto. E’ un discorso vecchio vedersi garantito il rispetto, la dignità, la tutela, il mantenimento di certe garanzie, dello stato sociale? E discorsi nuovi quali sarebbero? La legge del più forte? Di chi ha denaro per comprarsi anche le prestazioni mediche? L’istruzione? Penso che dovremmo comperare tutti un passamontagna e cominciare a salire sui tetti. Signori, non ci avrete. Uno slogan inflazionato, ma sempre attuale: “Resistere per esistere”.
La differenza fra “comandare” e “convincere”
In questi giorni ho avuto parecchi incontri e molti colloqui, piccole interviste riguardanti una casa che sta per ingrandirsi prima dell’emanazione di un decreto: una casa italiana posta a destra. Di me, di noi. Tra le tante proposte e riflessioni, una in particolare avrebbe potuto mutare l’esito di questo Blog e farlo diventare ancora più grande, con la prospettiva di abbassare un sipario, il vostro, e magari mostrarmi una strada diversa. Una nota intervistatrice di un noto Paese straniero mi aveva contattato, “in qualità di politologo”, cosa che io non lo sono di professione, e che per chiarezza ed onestà ho detto; non sono politologo di professione, vero, ma la cosa, devo essere sincero, mi ha procurato soddisfazione, anche se, già da piccolo, i trenini mi piacevano, e molto, li facevo correre , ma non indossavo mai, né tanto meno lo avevo un cappello da ferroviere. Essere ciò che non sono, non mi è mai piaciuto. Per altri potrebbe esser diverso; “Comandare” un treno, un trenino, può essere piacevole, così come “convincere” un Paese; e convincere dà più gusto. “Comandare”: Ingiungere, intimare, ordinare. “Convincere”: Indurre con la forza del ragionamento o la validità degli argomenti a riconoscere, accettare , ammettere e sim. qulco., eliminando ogni possibilità di dubbio. Convincere qualcuno dei propri errori. Convincere, è la parola magica che piace a qualcuno di quella casa a destra, dove un partito non “si fonde”, non si “unisce” ma “confluisce”. Confluire: dal dizionario, “congiungersi”, “unirsi”. Quindi… Ma non è della mia occasione mancata (comunque l’intervista parrebbe essere destinata ad un grande storico delle Langhe: Revelli), né tanto meno della costruzione della casa altrui, ma di noi, della nostra “controriforma del lavoro” come titolava oggi il Manifesto, con un articolo di Sara Farolfi. Il Manifesto anticipa alcune pagine, nove, relative all’accordo quadro del 22 gennaio scorso, firmato da Cisl, Uil ma non dalla Cgil. (tra l’altro sindacato più rappresentativo). L’accordo che riscrive le regole del 1993 con un “carattere sperimentale” di quattro anni, la contrattazione collettiva è definita: “un valore nelle relazioni sindacali che hanno il compito di determinare le condizioni confacenti agli obiettivi generali dell’economia perseguendo l’incremento dei redditi d’impresa e lavoro attraverso la spinta alla competitività, all’innovazione, alla flessibilità produttiva alla definizione dei contenuti collettivi nel rapporto di lavoro, e alla produzione di servizi a favore dei lavoratori”. Quindi, il contratto è soltanto più una piccola cosa, i sindacati avranno movimento soltanto negli enti bilaterali che gestiranno quote del welfare. Miglioramento poi non è la stessa cosa di “tenuta dei salari”. Inoltre durante la fase della contrattazione, lo sciopero non avrà presumibilmente gli stessi connotati che ha ora. L’inflazione programmata sarà sostituita da “un indice armonizzato europeo, depurato però della dinamica dei prezzi dei beni energetici importati”. Chi dovrà elaborare l’indice non è dato saperlo. Un altro aspetto importante è quello delle deroghe. ” Ai fini di governare direttamente nel territorio situazioni di crisi aziendali o per favorire lo sviluppo occupazionale dell’area si consente che in sede territoriale siano raggiunte intese per modificare in tutto o in parte anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi disciplinati dal contratto nazionale. Quali parametri? Andamento del mercato del lavoro, tasso di produttività, tasso di avvio e cessazione delle attività produttive fino alla necessità di determinare condizioni di attrattiva per nuovi investimenti”. Cosa può succedere nel nostro Mezzogiorno? o a None? Sicuramente questi argomenti verranno toccati e sviluppati domani mattina.
Anche il mio giornale preferito Liberazione cita l’argomento: “Contratti, il secondo strappo di Cisl e Uil. In arrivo la firma separata sugli allegati. La bozza dei testi attuativi dell’accordo del 22 gennaio. Cremaschi (Fiom): “Liberticida” (articolo di Fabio Sebastiani). L’articolo è scritto veramente bene, e vi rimando anche sul sito della Rete 28 aprile. Forse sarebbe meglio saperne di più ma trovo che solo il Manifesto e Liberazione abbiano dato ancora una volta importanza alle persone normali, che vedono continuamente “evaporarsi” il proprio salario.
Voglio risparmiare numeri e le battute da ‘alto cabaret’ sul “lavorare di più“, ma mettere qualcosa di personale. Bisogna stare molto attenti, in periodi come questi, dove, i conflitti sul lavoro, quelli fra colleghi, possono essere strumentalizzati da dirigenti per affermare ancora una volta come “colpi di spugna” su alcune categorie possono essere salutari per l’efficienza. Un esempio? Per eliminare litigi “esternalizziamo” alcuni lavoratori nel settore pubblico. Ecco che qui ritorna “il convincimento”, la “bontà” del pensiero di chi è alle prese con i tagli e vuole tagliare a tutti i costi, dividendo (grazie anche a molti che si prestano a questo gioco) il movimento dei lavoratori. Restiamo compatti e nonostante tutto, il lavoratore deve essere tutelato, a prescindere, ma attenzione a non cadere “in imboscate” tratte dai superiori. Colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta gli amici dell’Inca di Torino che mi sono stati molto vicini (a differenza di altri, con il vizietto della “promessa gratuita”) nell’individuare alcune risposte alle domande di molti.
A domani mattina.