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Torino ieri e oggi

Torino corso Regina Margherita, corso Principe Oddone. La Sida li vicino....da loro a Borrelli RomanoTorino, Porta Palazzo. gennaio 2015, foto Romano Borrelli.Torino…………nella sua dimensione…attenta. Ieri, 1926, oggi, 2015.  Oggi, davanti ad una buona merenda, un the, pasticcini, nell’identica pasticceria di ieri, seduto, alla Sida. Sono intento ad osservare questa bellissima fotografia, della famiglia Mangiardi, ( e nella fotografia, ci sono davvero tutti, a mio modo di vedere) che ritrae una Torino del  1926. Da fare, da farsi. Prospettive e futuro. Mi concentro sulla locomotiva che apre la strada al futuro. Non solo una foto. Un progetto. Una locomotiva che “taglia” Torino.  E allo stesso tempo la apre. Al futuro. Riconosco Corso Umbria. Operai al lavoro. O forse persone lungo i binari. Strada ferrata verso est che ora non esiste più.  O meglio, esistono, ma sono interrati e da qui, dagli interni “dolce” e “dolci”  è  possibile are. Li sotto,  dove transita l’alta e la bassa velocità , l’affaccio è sul pc mica dal finestrino, come accadeva quando qui c’era…il treno. “Eh, quando passavano i treni da qui….” mi sussurra una persona “saggia”  intenta a gustarsi il  suo the (“senza zucchero”, dice a se stesso) e alla vetrina dei pasticcini di ogni tipo e fattezza. Un “vorrei ma non posso” è  interpretabile dalle sue dolci, lente movenze.  ” Mi si nota di piu’ se mi alzo e li prendo o se resto a guardarli e fissarli di continuo, quei pasticcini”? Sussurra….”Ma  secondo lei“, mi domanda, “ci sarà ancora della gente che vuol stare seduta vicino il finestrino?” Bho…chissà. Pero’ ha ragione. In questo tratto, eravamo in molti, appena qualche anno addietro, a stare attaccati al finestrino del treno, “interregionale” Torino- Milano, cadenzato ad ogni ora esatta. E proprio questo angolo di Torino, appena spuntati dal breve tratto di tunnel ti si presentava agli occhi per primo, con la pasticceria la farmacia Ausiliatrice, la cupola della Basilica, corso Regina Margherita e Principe Oddone erano un po’ il segnalibro  di questo dolce libro che si chiama Torino. Se andavi verso Milano, ti gustavi la citta’ con i suoi primi cambiamenti. E la storia. Il sacrista salesiano più anziano di Italia, e la sua storia, una missione nella missione ( manca poco e saranno “99”), la pasticceria Sida, tra “tradizione e innovazione” che resiste e “surfa” sulle onde della globalizzazione della rete, e vince perche” fa rete con la tradizione e l’innovazione,  e insieme a questo luogo e quelli ricordati,  la panetteria Corgiat, un ex internato militare, Gherardi Natale e il suo scatolificio e le scatole che lui le fabbricava, mica le rompeva ‘ne’. Sulla stessa via, l’oratorio…e ancora la scuola materna dove ora i bambini suonano il violino…E quanta storia….bamboline russe….Se viceversa andavi verso Porta Susa, cominciavi ad alzarti. L’arrivo e la discesa erano prossimi. Ha ragione, la saggezza.  Un tempo, quel posto ce lo si contendeva. Stare alla finestra di un finestrino. Anche a me, “Piace”molto. Ora, sotto il tunnel, nessun interesse. Una galleria, fino quasi a Stura. Chi vorrebbe stare al finestrino senza vedere nulla? “Vorrei ma non posso”, ripete la saggezza.  Pero’, torna a sussurrarmi, ” vedere e non gustare, e’ una cosa un po’ brutta da provare“. Ha ragione. Si alza e ordina. “Ci pensero’ domani. Oggi proprio no. Voglio coccolarmi”.  E addenta una pasta. Ritorno con lo sguardo sulla foto.

Gente. In attesa del  treno, o di un treno, già in quel periodo. Binari, dove ora, all’ora di pranzo, da qui, si vedono la rotonda e qualcuno pure il mare. Già. Il mare. Lungo i binari, a passi lenti. Verso domani. A passi lenti, come dalle parti di Porta Palazzo, poco distante da qui.  Un giro per Torino e scopri che Costantino ha trovato casa, meglio, un letto. Una buona notizia. Ora, la panchina in ferro posta  sotto la pensilina del bus (vedere articoli precedenti) Costantino la usa solo per sedersi e contare in un passatempo i bus che lentamente passano e si avviano al loro capolinea. Legge il numero di serie, quante persone scendono e quante restano.  Di tanto in tanto allunga la mano, per una sigaretta. Spiaccica solo qualche parola  ma si fa capire. I bus stancamente ripassano, dopo il loro lungo percorso.  Costantino da una rapida occhiata all’orologio elettronico, sopra le piante, oltre le siepi,  posto sopra il palazzo, forse di un albergo. Conta, Costantino. Conta i minuti in più o in meno rispetto al precedente  giro del bus. Per un attimo è come si salutassero. Chissà quante volte nell’arco di una giornata, Costantino e bus si scambieranno un saluto e una risata che poi, altro non è lo stridore delle gomme. Pochi minuti per la sosta. Poi, tutto riprende. Come prima. Con qualche accelerata che nella vita ci sta sempre. Ragazze che non sanno cosa sia facebook e usano la macchinetta per le fototessere. All’uscita di quei quattro francobolli li osservano, si guardano e si  abbracciano. Un abbraccio  condiviso. Alcune  smorfie, sorrisi. Entusiasmo. Mi piace.  Finalmente qualcosa di concreto. Guardando oltre.

I Mondi di Primo Levi

Torino, Piazza Castello, gennaio 2015.Foto Romano BorrelliTorino, Piazza Castello, gennaio. Foto, Romano Borrelli.“Se questo è un uomo”

(dal primo capitolo)

“I vagoni erano dodici, e noi seicentocinquanta; nel mio vagone eravamo quarantacinque soltanto, ma era un vagone piccolo. Ecco dunque, sotto i nostri occhi, sotto i nostri piedi, una delle famose tradotte tedesche, quelle che non ritornano, quelle di cui, fremendo e sempre un poco increduli, avevamo così spesso sentito narrare. Proprio così, punto per punto: vagoni e merci, chiusi dall’esterno, e dentro uomini donne bambini, compressi senza pietà, come merce di dozzina, in viaggio verso il nulla, in viaggio all’ingiù, verso il fondo. Questa volta dentro siamo noi”. Torino Piazza Castello, gennaio. Foto, Borrelli Romano.

Primo Levi.

Torino, corso Regina Margherita. I Mondi di Primo Levi. Cartellone pubblicitario. foto, romano borrelliNon entro nel merito di quanto ha suscitato e suscita ( rispetto ai tempi e ai vincoli, ma da censurare quella bruttissima “parolaccia” baraccone) una “uscita” estemporanea del soprintendente sul vagone e contro il vagone  in Piazza Castello di  fronte alla mostra su Primo Levi , (e sui tempi di permanenza del vagone in Piazza Castello) “Mondi di Primo Levi” inaugurata a settant’anni dalla liberazione dei campi di sterminio. Serve e dovrebbe restare, a mio modo di vedere per tutta la durata dei Mondi di Primo Levi. Per riflettere. Per pensare.

Condivido il pensiero della comunità ebraica. Il treno è un inciampo metaforico per pensare. E riflettere.

Ricordo ancora l’iniziativa di anni addietro: la lettura integrale del libro, “Se questo è un uomo” al Circolo dei Lettori di Torino. Una pagina per ciascuno dei presenti. Una “maratona” ininterrotta. Spezzata solo per cibarci di quanto  veniva dato nei campi. Una iniziativa, a mio modo di vedere, che andrebbe ripetuta.

Non vi è piazza che tenga. Ho ripercorso a ritroso le pagine del blog.

Dall’albero di Natale alla piscina ad altro ancora. Piazza Castello ha ospitato di tutto. Il vagone puo’ e deve restare fino al termine della mostra i Mondi di Levi.

Nella giornata vorrei ricordare a livello personale e collettivo di quartiere la figura nota, qui, alla circoscrizione 7 della partigiana Enrica Dellavalle spentasi il 23 gennaio 1986. Una figura che ha lasciato tantissi i ricordi in chi ha avuto modo di conoscerla. Operaia presso un opificio dalle parti della stazione Dora (che ora come edificio non esiste piu’) in molti ricordano Enrica nella sua attivita’ di staffetta partigiana. In molti che hanno avuto modo di conoscerla, incontrarla e soprattutto ricordarla, ne tratteggiano la figura di una donna comunista, amante della giustizia sociale, sempre pronta a sostenere le figure deboli, indifese, sfruttate e ai margini della societa’ anche in una Torino inserita come altre citta’ nella societa’ del benessere. Enrica. Amante della giustizia sociale e attratta dalla poverta’ per darvi risposte certe e immediate ai bisogni della povera gente. In molti del quartiere ,  ricordano ancora, la banda ( come Enrica aveva sempre desiderato il suo ultimo viaggio) e “Bella ciao” a pugno chiuso quando il 23 gennaio,  su una strada asfaltata, un piccolo nastro dove si era affacciato un piccolo sole tutto per lei,  la salutarono per l’ultima volta tra le vie del nostro quartiere. Indimenticabile la sua memoria di ferro. Ricordava tutti i compleanni dei bambini del suo palazzo e oltre, in questo spicchio di terra di santi sociali e comunisti che hanno una matrice comune: il prossimo e la sua dignità. Nelle ore prima del suo ultimo viaggio, consapevole di quanto stava per accadere, diede disposizioni alla cognata di quanti compleanni dei bambini “napuli” (terroni) si sarebbero festeggiati di li a poco. Per ognuno, diecimilalire. Per il compleanno e per i pasticcini da comperare alla pasticceria S. Un tempo, quando le forze la sorreggevano, mano nella mano, come una nonna, accompagnava lei tutta quella schiera di nipoti non suoi, in pasticceria, da S, il giorno del loro compleanno. Poi, l’impegno, delegato  per il venir meno delle forze fisiche, ma mai dimenticato.

Ciao Enrica. ( per la par condicio, mi viene da dire, ciao Enrico).

 

 

 

La scuola prestata alla politica. continua

Torino 25 maggio 2014. Ai seggiOre 01. 30. La sezione si chiude, in  classe resta poco. Le schede dei 552  “votanti” di questa sezione  , una del torinese, han preso il “largo” verso il “deposito”. Superga vista da dove c'era la stazione Dora.Dormono sonni tranquilli, suddivisi e racchiusi all’interno di pacchetti. Un fogliettino bianco, davanti, ne indica il numero e il partito. Ogni oggetto avanzato viene riposto all’interno della busta, come richiesto, dal verbale. Qualcuno conta ancora mentre si sa già chi conterà in Europa.i 49 milioni di italiani, elettrici, elettori, con il loro voto, hanno provveduto ad eleggere i 73 che andranno a formare il parlamento europeo insieme agli altri eurodeputati. Noi,  dei seggi si  torna a casa! Dopo, questa nottata. Ma noi siamo anche altro, Altra Europa. Un’ altra Europa e’ possibile. Anzi, l’Altra Europa e’possibile. Altri parleranno per giorni di referendum, plebiscito, vocazione maggioritaria, De Gasperi e brutta campagna elettorale, forse la piu’ brutta. Vedremo. Ora, buonanotte.

Dieci minuti alle 14. Borsoni blu e gialli a spasso per Torino. Si riconoscono i Presidenti e Segretari dei seggi, sezioni, sparsi per Torino. Ore 14 in punto. Una campanella suona, ma e’ quella riservata agli studenti, quando sono presenti a scuola. In ogni caso, porte chise e operazioni di spoglio al via. Ovviamente questo solo, per un paio di regioni e tra queste il Piemonte. La ripresa ai seggi, l’apertura, lo spoglio e lo scrutinio, potrebbero essere descritte come questa foto di Torino. E’ Torino, ma non sembrerebbe di essere a Torino.   Alcuni partiti hanno fatto davvero un buco. Qualcuno ha perso qualche  milione di voti e un elettore, attivo e passivo, e altri “non hanno vinto loro”. Si torna. A casa. Casa-casa. Per riposare. Nel frattempo osservo i cambiamenti di una zona della nostra citta’. Si riconosce la vecchia linea ferroviaria Torino-Milano.  Da un paio di anni il treno corre sotto. Sopra dovrebbe nascere una strada, fino al Politecnico. E oltre. Ritrovo il concessionario, ma “Dodo’” , con la sua uno, non arriva più da via Monterosa per “caricare” i colleghi senza auto   per recarsi al lavoro. Solidarietà d’altri tempi, che continuava all’uscita. Magari ti divideva una tessera, ma la persona, l’umanità, no.  La sala danze, idem c.s. La stazione ferroviaria Dora, non so più dove sia, o meglio, l’edificio. Abbattuto. Peccato. Era piccolina, ma riusciva a fare ancora il suo dovere. Al suo posto, una simil rotonda. Il nome, ma solo il nome, ricorda la rotonda di Senigallia. A proposito: come staranno dalle parti di Senigallia? Mi consolo guardando Superga, da questa stessa rotonda. Non è identica cosa pero’…Ho riconosciuto inoltre una cabina telefonica.”Marina fatti sentire“, c’era scritto e fatale fu in altre elezioni  con i  numeri da prefisso telefonico. Oggi i numeri sono 43%, il  dato affluenza alle urne in Europa, 60 % in Italia. Poi, il 40% al Pd, 4% Altra Europa…ecc.ecc. Li riguardo e torno al via. “Marina fatti sentire“. Forse Marina, ha “chiuso la porta. Della politica”. Uscendo dalla stazione DoraTorino-Ceres stazione. Ex stazione Dora Foto 26 maggio 2014. Foto Romano Borrelli , quella riferita alla Torino-Cers, l’altra, direzione Milano-Venezia, come edificio, è stato abbattuo, ho riconosciuto alcuni posti a me famigliari dove un tempo c’era il cavalcavia con la grande fabbrica, dove ora si trova un Ld e qualche altro supermercato.  Ho riconosciuto la scorciatoia che dava sul cavalcavia privata di questa. In fondo, i grattacieli, con la pubblicita’da caffe’ in cima. Oltre Mappano, Leini’. Qui, nei paraggi, molto e’mutato. Piove. il resto, tutto scivolato via. Come nulla fosse stato. Abituati a spettacoli teatrali, dove la fantasia eclissa i fatti.

Per la cronaca, Chiamparino “esagerato” trionfa in Piemonte. Solo ieri, sabaudamente, si scherniva dicendo “esageruma nen”.

Un grazie

DSC00284Un grazie a quanti hanno scritto, privatamente, dicendomi di aver gradito la storia di Giuseppe  Torre e di Antonio Corapi,  prima. Due personalità particolari. Dediti al prossimo, alla famiglia, a quei particolari che fanno tanta gentilezza e delicatezza d’animo. Semplicità, apertura di cuore. Lealtà, fedeltà. Occhi azzurri entrambi. E in entrambi non riesco a vedere rughe. Il loro viso sembra  quello di tanti puttini che si vedono in alcune chiese. Giuseppe, in particolar modo ha lasciato davvero un segno in tantissimi che lo hanno incrociato. A chi ha ricevuto una parola di incoraggiamento, speranza, preghiera. A quanti hanno incrociato un sorriso, bonario.  Una pregheria. A  quanti ancora ricordano di aver ricevuto una di quelle cioccolate Kerestin, avvolte nella carta lilla. I fiori da prendere al mercato, le pulizie, il lavoro. Benedetto. Antonio, poi, che vorrebbe “ricambiare” quando nulla è da ricambiare. Anzi. Regala pezzi di vita, di storia. Il suo narrare pone  orme, impronte, per chi segue, che sta poi a chi lo incrocia, o ha incrociato provare ad entrarci.  Che dire? Penso ci sia poco da dire, solo grazie, per aver avuto la fortuna di incontrare e conoscere queste persone che davvero meriterebbero tantissimo. E hanno contribuito a scrivere storia. A Torino ve ne sono e ve ne erano tantissime di persone di questa levatura. Ad esempio, Enrica, Angela. Le prime che la mia mente ricorda.  La prima, che lavorava presso un opificio, zona stazione Dora e  zona industriale biscottificio Wamar poi (qualcuno ricorda ancora i biscotti Wamar e il biscottificio in corso Vigevano dove ora sorge l’Inps?). E forse proprio con l’odore dei biscotti Wamar ha costruito una storia. Era solita regalare, ai bambini del quartiere, quelli più svantaggiati, i biscotti tondi, bucaneve. Quelli con il buco. La “comunista di Valdocco” la chiamavano. Una sua vicina era una fervente democristiana. Una storia  di genere femminile, Don Camillo e Peppone. In tanti ricordano i telegiornali ascoltati insieme, dalla comunista e dalla democristiana. Nel palazzo in tanti raccontavano di aver sentito urla, ogni volta che “pioveva” e che quindi il governo ere….La comunista, che leggeva sempre La Stampa. La comunista di Valdocco che proprio in quel quartiere dove, a suo dire, si trovavano le “cantine di don Bosco“, (del quartiere). La compagna perché era solita donare,  qualcosa a qualcuno, come  era nel suo stile, come lo era stato ai tempi della guerra e del  dopoguerra, quando da vera staffetta era solita condividere carne sottratta ai tedeschi e portata alla bella e meglio nel cortile. Da condividere con i disperati.  Angela, una donna attiva nel volontariato al Cottolengo dopo anni di lavoro. Persone che con il loro esempio hanno dato davvero molto, tanto. Tantissimo. Chissà che non si continui nei racconti. La nebbia avvolge molto, di noi, degli altri, di quella lunga e continua trama che si chiama sentimento, diversamente da una, pur importante ma spicciola emozione. I neuroni specchio fanno la loro parte. I ricordi.  Urgente lasciarne traccia . Esistono persone che non ti stancheresti  ai di incontrare, di passarci del tempo insieme, e ti rendi conto di quanto davvero poco sia quel tempo davanti alla mole di bene che realmente si manifesta. In genere, nelle relazioni, capita che vi siano piccole incomprensioni, ma poi… poi, come dice un proverbio africano, quando i rami bisticciano, le radici degli alberi si abbracciano. Basta davvero poco. E poi, dopo anni di precariato, in giro per la provincia di Torino, è un po’ come esser uno storico della domenica. Dismettere gli abiti che non calzano a pennello, anzi, e provare a mettere altri abiti e provare a rileggere un po’ di storie importanti. E provare a scriverle. DSC00148

Innamorati di storie

DSC00149Torino. Sabato pomeriggio. Non è solo una canzone, mielosa, molto bella. Non è Claudio Baglioni.  Direzione Barriera Lanzo. Dove c’era l’industria, in via Livorno, ora, dal finestrino del bus, si notano frotte di ragazzi, ragazze, diretti all’assalto di Ipercoop, Bennet, il Gigante,  megacentri commerciali,  e molto altro. Corso Mortara, Via Cigna. La stazione Dora in fondo. Fabbriche andate. Gusci, all’interno dei quali ora si trovano bar, sale giochi, negozi di ogni tipo. Un tempo un cavalcavia, che serviva da parcheggio e da sosta, per giovani amanti. E il sabato diventano punti di aggregazione.  Sulla sinistra, il Parco Dora.  Palazzoni ammassati, quasi schiacciati, l’uno contro l’altro. Il tunnel. Corso Mortara. Riti, rituali, fratture, margini, aggregazioni. Sembrerebbe un libro.  Il bus, prosegue, veloce, in una corsia protetta. Spingendosi verso la periferia torinese. Verso le case Atc, verso capolinea di Piazza Stampalia. Un capolinea del tram, il nove,  la circoscrizione. Cinquantenni e trentenni. Un tempo avrebbero detto,  due generazioni diverse, forse, altri anche “contro”: “garantiti sul lavoro e precari“. Oggi, semplicemente due generazioni che condividono la stessa situazione. Padre e figli. Sembrerebbe il titolo di un libro. Parlano, osservano il tram che lascia il  suo posto per il prossimo arrivo. Un centro di aggregazione per anziani. In molti giocano a carte, nonostante la giornata di sole, tiepida. Una pasticceria addolcisce il tutto. Nei pressi, una Chiesa, dedicata a S. Antonio Abate. Il suo parroco, uno dei primi preti-operai, anni ’70, don Reburdo, intreccia ricordi, snocciola dati. Mi racconta di lavoro e precarietà, del nuovo concetto di lavoro, di Saldarini vescovo. Gli arrivi dal Sud.  Ricorda visi e mani dedite al lavoro in fabbrica.  Storie di amicizia nella Torino anni ’70. Lavoro, città del lavoro. Questa questione così antica. “Era tutto da costruire.” Nella zona superiore, livelli, gradini. Quattro? Cinque? Ha la forma di una scala. La Chiesa è una costruzione di una quarantina di anni fa. Probabilmente, in quel tempo, qui non c’era nulla. Là dove c’era l’erba ora… E anche questa, potrebbe essere una canzone. Un’occhiata alle vetrate, all’interno della Chiesa. Il cantico dei cantici.  Esco. Uno dei primi preti operai, descrive il mutamento storico-sociale di questo spicchio di città.  Il tempo di osservare alcuni “mutamenti” sociali e si è sulla via del ritorno, con cambio bus. La strada, via Venaria,  fiancheggia il “trincerone” dove correva il trenino Torino-Caselle-Ceres. Sulla destra il vecchio cinema Apollo,  ora, solo un guscio. Anche questo. Il ponte, una sopraelevata. Il corso che taglia in più parti la città. Ricordi. Incontri da queste parti, anni orsono, per una partita, una squadra del cuore, ma non la mia. Poi, la vecchia fabbrica di scarpe, Superga e sinistra, la Casa di carità Arti e mestieri, Benedetto Brin. Il corso. Per il resto, una volta entrati col bus nella corsia protetta, l’urbanizzazione torinese è identica a quella che si vedeva nel viaggio dell’andata. Cambiano solo i numeri dei bus. Prima era il 60, ora, l’11. Velocemente recupera la zona semi-centrale.  Si scende. Qualche passo a piedi per bearsi di questi ultimi scampoli di sole. Una libreria e libri.  Zona Piazza Castello, fine via Pietro Micca. Una miniera. “Consigli dei lettori“. Tantissimi post-it sullo scaffale. Lettori o potenziali lettori che lasciano consigli. Sembra  un albero di Natale. Pronto per essere fotografato, dopo aver analizzato ogni singolo bigliettino. Sarebbe bella una pagina de La Stampa e un titolo affidato alla penna di qualche bravo giornalista che di lettere se ne intende: “Ci provate a leggerli?”, e provare a pubblicarla il sabato. Libri consigliati e letti da gente comune. Libri e storie da portare a letto, per farsi compagnia. Libro, virus difficile da debellare. Smarrimento davanti alle pagine, dei libri letti e da leggere. Libri che favoriscono conoscenze e passioni. Che fanno volare e che volano.  Libri un po’ come le prostitute. In prestito, nelle biblioteche. Diceva Benjamin. Consigli e bigliettini che fanno immaginare lettrici, lettori. Compro la mite, di Dostoevskij. Storie raccontate dai libri. Davanti a questi scaffali ci si sente meno soli. Da quelle pagine, un flusso ci investe, e siamo uno, nessuno, e centomila. Insieme. Un libro giusto, al momento giusto, e grazie a quelle pagine, ci sentiamo meno soli nelle pene, d’amore o altro. Da tante penne, meno solitudine, anche nelle giornate in cui quella ci schiaccia. E ci pare che “il cielo ci cada”. E vorremmo che le promesse avessero senso. Fossero realizzabili. Che quelle pene “diventassero” piccole piccole, senza quegli eventi che diventino valanghe. Fortunatamente,  esiste la biblioterapia. Storie racconate dai libri e dai dipinti. Che prendono il “volo” e ti fanno “volare”. Che dopo solitudine e paura, prenda corpo altro. Altro, che infonde il coraggio giusto per cambiare.  Un altro mondo è possibile. “L’anima vola”, canta Elisa.  Preghiere dell’anima. Storie di vita. Che ti fanno innamorare. Delle storie.DSC00147

Primavera

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Finalmente giornate primaverili sul cielo della nostra città. Parchi come enormi coperte, verdi, buone per distendersi e lasciar riposare membra arruginite dai geli invernali. Prati sui quali posare il deretano. Erba in alcuni casi appena tagliata, che emana il suo profumo, come avviene nei pressi di quelle che erano un tempo fonderie e ora trasformate nel Parco Dora.  Coppie sdraiate, spalmate, appisolate o immerse in una buona lettura che unisce e rafforza, vera medicina che allontanta tarli travestiti da muratori che innalzano barriere invisibili di visibili incomprensioni. Ragazzi e ragazze che corrono o camminano e camminando depositano rapidamente il rumore dei loro passi sull’erba appena tagliata. Due cavalli dagli occhi miti osservano straniti,  appena sotto la passarella del Parco Dora. Una fotomodella si presta a tantissimi scatti di fotografi che la vedono già su alcune pagine patinate di riviste ancora da stampare. Rumore di palloni su campi di basket privi di canestro. Una coppia prova a giocare a tennis, con una rete sgangherata. Altre si perdono tra abbracci e altre ancora provano a giocare con un disco di plastica. Un papà accompagna il figlio con la bicicletta.  Tante “finestrelle” da ogni pilone di quella che era una fabbrica lasciano intravedere molto, all”‘occhio fotografo”: una chiesa, che poi è la Curia, le catene montuose, Superga, il ricordo di una grande squadra: Bacigalupo, Mazzola e via dicendo… la squadra del Grande Toro. Sotto la passarella un tram, il nove o il tre, direzione ex stadio delle Alpi, pensionato così giovane, gente che sale, che scende, custode di racconti e passaparola che tutto ingigantisce e assume connotati apocalittici, case, anzi, grattacieli, sullo sfondo, dai colori strani: verde tendente all’azzuro, azzurro, grigio e altri ancora. Piu’ in là, una scuola, un asilo, musica di violini, che azzera ogni differenza e ogni provenienza. Già, il violino.  Occhio che fotografa storie e sensibilità altrui. Un ricordo di occhi, scuri, umidi, riporta in vita una stazione che non esiste piu’, la vecchia Dora, mentre un altro ricordo ne riporta in vita un’altra, che sa di mare,  una stazione. In lontananza, una nuova, Porta Susa,  solo  immaginata, da qui,  ai piedi di un “colosso” in costruzione, poco distante, dal mio punto di osservazione, ma ben visibile per le proporzioni assunte. Un baluginio negli occhi  simile ad un barattolo trasparente… Un momento, dettato dall’animo.  Sembrano lontani quei giorni che si infilavano velocemente nelle notti fredde, ghiacciate, che poi avrebbero lasciato  il posto ad albe “fumose”, indicatore dei “meno”, delle mattine caliginose. Lonante ma vicine, come quella domenica d’inverno a contemplare da quassu’ quanto fosse bella la città e profondamente cambiata. Il ricordo di alcune pagine di un libro, poi un altro, poi Pavese. “Raccontami di te….”….scritto su un muro, con vernice blu. Altra mano ignota ha lasciato il suo ricordo: “Vorrei poterti tanto credere”. Laggiu’, un tempo  c’erano i treni, ferrovieri e…tanto fumo.  Cappelli, guanti, sciarpe….

Da quassu’, primavera, rinascita della natura…e forse proprio quella ha portato al “matrimonio” dalle larghe intese, medicina  amara, forzata, fatta bere a forza. Chissà….

Amore mio, raccontami di te, ma che il tuo narrare non sia così….sfocato…

“La mente, i primi giorni pigra, cominciava ora a svegliarsi e a rappresentarsi la mia condizione  e i pericoli che la rendevano precaria”. (E. Flaiano, Tempo di uccidere)

Domenica di elezioni…e “mutamenti”

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E’ impressionante quanto i muri al pari delle fratture di una città, delle sue cuciture, dei suoi manifesti elettorali riescano a raccontarci quanto e come riesca a mutare tutto il circostante. Tra una scheda elettorale da riconsegnare, dimenticata, in sezione, così, come ci si dimentica di tante cose, anche degli affetti, e una richiesta a chi di competenza su una carta di identità in scadenza,  osservo da quassù, per un attimo, “l’interramento” della ferrovia che “tagliava in due la città”.  Ora  quel “canalone ferrato” sembra un grande viale, senza alberi. La stazione Dora, non esiste piu’. O meglio, esiste solo nella versione “Torino-Dora-Ceres”. La passerella, che legava un corso ad una piazza, come la macchinetta per le foto, appena terminati gli scalini, non esistono piu’. Quante foto-tessera ha “erogato” quella macchinetta, a cinque milalire? A centinaia  di operai Fiat, sicuramente, anche se,  non è dato sapere.  E di quella passerella che in fondo era un po’ come andare da Berlino Est a Berlino Ovest? In fondo, in lontananza ora ravvicinata,  di questo immaginario viale, prende corpo, lentamente, un grattacielo. I tram, non girano piu’ e non si sentono sferragliare. Così come non si sente piu’, “il treno“, come solevano urlare alcuni studenti di un istituto tecnico professionale poco distante da qui. Potenza schiacciante del treno: in altri posti riesce anche ad allevare ottimi filosofi.  Oggi, la meraviglia e lo stupore sono sostituiti da palmari, dall’essere sempre connessi anche quando non si dovrebbe. E così, anche le liste, bloccate, ci raccontano. Alcuni si chiedono, ingenuamente: “ci siamo ricordati di esprmere la preferenza?” Domanda…..”porcata”.  Un lui, risponde ad una lei: “ti amo“, “questa è la mia preferenza, ed è bloccata, si, nei nostri cuori”. Le liste ci raccontano una società che muta ancora piu’ in fretta. Partiti, con le loro porte aperte e chiuse, a mo’ di saracinesche. Partiti andati e ora formato mignon. Chissà. Osservo da quassù l’ex zona industriale. Un tempo con le 128, le 127, alcune 850 famigliare…qualche duna, ritmo. I palazzoni, sullo sfondo, le spine. Spine nel cuore. Non per tutti. Una mano ha appena gridato il suo amore. L’ha inciso, in modo indelebile. Tutto muta. Le dinamiche dell’amore, queste, no. Per chi le raccoglie. Per chi sa raccoglierle. Un po’ come domani. Raccoglierà chi………..Perchè “eleggere” è un po’ come “leggere”, o, anzi, uguale: “lègere”, raccogliere. Qualcosa. Ma raccogliere. Vedremo. Vasti consensi, intanto, sono raccolti da quel fuori lista, “ti amo”, in una domenica dolce-amara con una buona dose di mal di testa. Un anticipo della giornata in favore della poesia, il 21 marzo.  Con i geni maligni sempre alle porte, pronti a rovinarne cotanta bellezza. Di sentimento. Intanto, una domenica di elezioni che scivola lentamente. Domenica di Presidenti di seggio, cellulari alla mano, a chiedere se una carta di identità è ancora valida o meno per esprimere consensi; giornata di scrutatori, “donne-uomini” seduti su banchi che fino a qualche giorno prima servivano agli studenti in un Paese che fa poca scuola, causa tagli; di rappresentanti di lista, che firmano registri mentre altri parlano; verbali, lista elettori maschili e femminili, in bella vista. Altri verbali. Sei matite, una ciascuna per ogni lavoratore di questo seggio, Presidente, Segretario, quattro scrutatori. E speriamo non dicano “i costi della democrazia” e che ogni seggio, “mannaggia”, costa sei mila euro. Ma si puo? Penso ai nonni che hanno combattuto per questo diritto fondamentale. Code di elettori in coda appena usciti da messa e altri da una passeggiata in centro. Profumo di caffè appena portato, da casa, e dolci meridionali da spartire fra questi lavoratori reclutati ogni lustro. Coppie mano nella mano in attesa del proprio turno. Coppie distaccate, altre sconnesse. Pero’ è poesia anche questa, a vederla.  Scatoloni. Sigillati. Da aprire. Domani. Con attenzione. Handle with care.