Sabato pomeriggio. Ripongo il libro, appena cominciato, “La strada di Swann” e dopo aver deciso per una corsa mi fiondo verso il parco. Mi lascio alle spalle i racconti fiume e storie intrecciate e che rapiscono tra sogni e speranze. Recupero la strada. Come me altri. Sbracciati e scalzi. Cuffiette alle orecchie. Scarpette da jogging e selciato di Parco Dora. Ultimo allenamento prima della Stratorino. Corrono veloci. Sembrano in fuga da qualcosa verso qualcosa d’altro. “La vita fugge e non s’arresta” scriveva Petrarca forse pensando un po’ a Laura. Altri sotto la grande struttura, lo scheletro della fabbrica di un tempo, giocano a basket, calcio o via sullo skate. Altri ancora ballano o ascoltano Carlos Gardel e Astor Piazzolla. Il fiume a sinistra i campi da gioco a destra e qualche nuvola in cielo. La pioggia fa la sua apparizione. Primo e secondo tempo. Scivola sulla pelle ma non lava via certi ricordi di un paio di primavere fa quando la forza distruttiva del mare, del fiume e della pioggia fecero le loro parti a Senigallia. In ginocchio ma non doma. Spiaggia di velluto, “gomito” sullo sfondo e le luci di Falconara e Ancona. Il rumore del treno, il suo cullare insieme al mare e il loro narrare. Personaggi del passato e amore di quel presente che si muovevano e muovono tra il frusciare delle tendine di una stanza d’albergo. Il ricordo dell’amore che respira e ansima. Quello della luce che filtra sotto la porta. Zaino da rovesciare sulla coperta di un letto non tuo. Cuscino sul quale trovare riparo come tra i seni di una donna. Scuola di scrittura, sempre affacciata in prospettiva. Affacciati sull’orizzonte. Sul mare. Palestra nel narrare nuovi incontri e amori. Senigallia. Sempre pronta ad accogliere nel giro di poco con qualche cerotto e cicatrice. Il pensiero della rotonda, coi suoi colori e profumi richiama spesso. E allora, un pensiero a Senigallia. Porto. Arrivi e partenze. Mare. Storie d’amore e amicizia con storie e nomi veri o fasulli con buone nuove da raccontare.
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Buonanotte
Fa caldo, qui a Torino. Dove e’ la novita’? Acqua. C’e’ bisogno di acqua. Scendo. I gradini a due a due mi avvicinano la meta. Torino e’ piena di fontane.Di Toret. Ma non e’ solo questo il motivo per cui decido di scendere. Si fa fatica a dormire in queste serate da anticiclone africano. A due passi da qui un supermercato aperto h 24.
Non mi piace molto l’idea, ma e’ un modo per curiosare e raccontare. “Una tantum”. “Mi piacerebbe vedere fuori come va”, mi dico. I pantaloncini, la maglietta e le scarpette e sono fuori. Penso: “Magari un libro, che non mi annoi nel mio non dormire; una lettura con la profondita’ di uno sguardo sul mondo. ” A dire il vero non mi mancano, pero’…Entro. Sliding doors. “Scrocco”o “accumulo” un po’di fresco condizionato h 24. Mi aggiro tra le corsie e i carrelli sembrano tante macchinine. Gente che entra che è già dentro e altra che, buste alla mano, recupera l’uscita: è una ragnatela di vite che si incrociano.
Trasformazioni,
come la tristezza e la solitudine si trasformano in felicità o qualche incontro e la magia di questi le trasforma in amore spalancando porte aperte verso nuove percezioni di se e del mondo.
Senza nascondere il male ma senza mai dimenticare il bene ricevuto e incontrato. Tantissimo. Mai dimenticato. Valorizzato. “Ed è forese questo il vero motivo per cui si dedica uno scritto, una canzone, a lei, o per lei (Vasco Rossi) e forse è per questo che la luna si sfilerebbe ancora i collant per fare l’amore e si resta abbracciati una estate intera, davanti al mare, per vedere un’alba o un tramonto“. E l’effetto che fa. E la luna continua a fare l’amore anche senza calze per una vita intera. La vita è una ragnatela, con i nostri incontri fatti e da fare. Decisioni, destini nei quali “impastarci” oppure no. Souplesse. Tramonti e albe. Bevo. Mi disseto. Porto un libro a casa. La luna è piena. Sarà più dolce la lettura. Sarà miele e latte il risveglio.
Buonanotte.
Pasquetta a Torino (2015)
Torino capitale dello sport 2015 (tante vie cittadine lo rammentano). Pasquetta 2015 a Torino. Quali luoghi migliori dove passare la giornata se non al Lingotto
(un ritorno, dopo Capodanno, quando dopo un caffe’ dal profumo di Salento, bar pasticceria Elba, provai a raggiungere questa passerella) e al Parco Dora
? Il primo per i ricordi olimpici e delle ” notti bianche” (quelle letterarie, migliori. Russe, ancora meglio. “Dosto” dice!). Una corsa in metro (letteralmente) dal centro all’ex-industria delle campagnole e della Lancia. Ora, altro centro. Commerciale, servito dalla metro, Lingotto. Ma il “metro” per raggiungere lo scalo ferroviario, Lingotto, ancora non c’è. Come Laura, cantava il secondo di Sanremo. “Il piu’ grande spettacolo dopo il big bang…” . Scale mobili, appena fuori dalla metro qualcuno in attesa di appuntamento, il piazzale, le bandiere, la palazzina delle fiere, un’altra scala mobile e orecchie che odono non il frastuono delle presse dei tempi andati ma dei giochi, dei trenini, e di qualche attività sempre “open”. Poi, la passerella che dal centro commerciale “proietta” verso gli ex-mercati generali (Moi) con un futuro da universitari e la stazione Lingotto. Sotto questa “ruota” di bicicletta olimpica qualche treno sbuffa e altri si riposano e si “ricaricano” russando come avessero l’asma (Eurostar in attesa). In lontananza riconosco dietro la grata di questo balconcino olimpico il grigio della Mole Antonelliana, sulla collina, superba, Superga e più’ vicino a noi, la famosa “bolla” nota per qualche G europeo di qualcosa. Già, questo è un luogo ideale per le bolle da…fotografare. Per quelle da raccontare, un posto vale l’altro. Dalla bolla alle…bolle di sapone. L’atrio di Porta Nuova visibile sullo sfondo, oltre i binari, vicino la “torre rossa” della piazza su via Roma (immaginando al gioco dell’affaccio tra una colonna e l’altra scendendo sulla strada, libera dalle auto). Giochiamo, invece, da qui su, un po’ a “indovina dove si trova” un qualche pezzo della città come si fa quando sei in gita, per esempio a Roma, dal Gianicolo o dal Pincio, carta o mappa alla mano, “ante app” da scaricare. Mio padre indica la bolla e la pista. Ricorda le cronache dei torinesi e dei centomila in coda per un saluto all’Avvocato in una notte gelida di gennaio. Ovviamente mio padre passa in rassegna i turni degli anni andati e della vita consumata a “fabbricare” inanellando nomi, soprannomi di operai addetti alle presse, ai cruscotti, alle porte, alle ruote….scambiando nomi, tradito di tanto in tanto dalla memoria. “Franco, Pacifico, Luigi, Nereo, Pinna…No, forse Pinna era agli stampi, ma a Mirafiori“. Lo lascio parlare, raccontare. Mi infilza “squadre di calcio”, ogni anno coi rispettivi “ricambi”. Mio padre. Una vita al lavoro di fabbrica. Un’immagine che stenta ad andare in pensione.Da qui, dalla passerella, raggiungo la stazione del Lingotto. Piazzale saturo di auto per chi ha scelto per l’outdoor il treno in un viaggio combinato gomma-rotaia verso il mare o le valli. Il mare, Genova e Savona sono vicine (cosa avranno fatto registrare i treni della Riviera quest’anno?) cosi le montagne. Biglietteria Lingotto. “Quanto costa il biglietto fino a Porta Susa?” 1 euro e cinquanta” mi risponde. “Due, per favore”. Pago e raggiungiamo con mio padre il binario 3. E’ in arrivo il treno smf o giù di li da Pinerolo e diretto a Torino. Tempo quasi zero e siamo nella pancia di Torino. Immagino “il corpo della città” sopra di noi. E corpi di uomini e donne. Che visitano, osservano, camminano, amano. Incrocio lo sguardo del bigliettaio e allungo i biglietti. Una manciata di minuti e siamo a destinazione. Porta Susa. Il treno prosegue, noi, scale mobili raggiunte, conquistiamo l’uscita. Alcuni treni arrivano dal mare e rilasciano profumo di salsedine. Da quanto tempo non ne sento più il profumo del mare e dell’attesa? Bhò’, chi lo sa. Poi, Porta Susa in treno e da qui, a piedi, Parco Dora, rivisto piacevolmente dopo un lungo inverno. Rivisto recentemente in tv, con il, film “Pulce non c’e’“. Corsa, basket, calcio, e ogni tipo di gioco di squadra e di coppie in ogni fazzoletto libero e liberato dalla natura. Rispuntano fiori, plaid e coperte a fiori (ma anche di fiori, che andava bene ugualmente). Un pallone lentamente si dirige verso i miei piedi. Lo raccolgo e lo porgo a mio padre. Il nastro della memoria si riavvolge velocemente. “Papà, tira un calcio al pallone e fallo volare in cielo”.
Per restare in tema di sport e capitale europea dello sport, di qui a poco i mondiali di calcio balilla. Quegli omini rossi e blu attaccati alle stecche che fanno rollare una pallina bianca da una parte all’altra dove quel suono evoca ricordi da bar e da oratorio. Un mondo dello sport che non conosce confini, a partire dall’ accessibilita’ a tutti. Ps. Bellissime le ragazze impegnate in questo gioco.
Verso sera, con cura e pulizia si restutuiva lentamente il parco alla città .Non prima di una birra. Ps. Un pensiero all’Aquila e ai suoi cittadini, a sei anni dal terremoto
Pre Raffaelliti…ultime ore prima della chiusura
L’area post-industriale di Parco Dora, a Torino, tira, prende e attira. Cinquemila ragazze e ragazzi, ancora una volta, in movimento sotto lo “scheletro” industriale trasformato a Parco. Una discoteca a cielo aperto con musica proveniente dall’area industriale di corso Mortara. Musica Colori, rosa, lilla, blu, arancione e via dicendo, con tanto divertimento, a tirare quella “polvere” colorata addosso. E ragazze colorate in attesa del bus rendono colorato e allegro il sabato che volge al termine. Anche alle fermate dei bus, a ridosso dell’area i colori dei visi rendevano più viva e anche carnevalesca una città che per giorni ha conosciuto i colori della pioggia. Per la cronaca la tappa di tale “discoteca” all’aperto era l’Holi Fusion Festival, una “festa della primavera” in arrivo dall’India. E mentre si balla, si salta e si canta in centro, in Piazzetta Reale un flusso continuo in coda, in attesa, prima che chiuda la mostra sui Pre Raffaelliti, “L’utopia della bellezza”. (capolavori della Confraternita dei Preraffaelliti). La mostra dei 70 capolavori della collezione Tate con “domicilio” fino a domenica 13 luglio, ore 22. 30 a Palazzo Chiablese “punta” allo “stacco” dei centomila biglietti. Infatti domani, 13 luglio, ultimo giorno per ammirare tanta bellezza. Poi, anche per i 70 capolavori ci sarà l’aereo per riportarle a casa, a Londra. E tantissima sono stati davvero i cittadini e turisti che in questi 80 e più giorni si soffermavano tra Piazza Castello e il Duomo a domandare, vedere, cartina alla mano ed entrare. Nelle librerie il solito via vai. Oltre ai commenti sui libri, anche quelli sulle vacanze, degli italiani già partiti, pochi, a dire il vero (si parla di 4 milioni di italiani) causa maltempo e ristrettezze economiche e di quelli che partiranno. Dopo la solita pioggia mattutina un po’ di nuvole continuano a farci compagnia. Tanto per cambiare.
Maturità
“Le scelte che non hai fatto“. Maria Perosino. Un libro, un viaggio, tanti viaggi, possibilmente in treno, per “entrare” e stare nei discorsi e nelle vite degli altri. E restituirle, in forma romanzata. Un libro uscito oggi e…Appena avuta notizia della scomparsa della scrittrice, una corsa in libreria per accaparrarlo. Con l’intenzione, nel pomeriggio inoltrato di poterlo leggere. Un libro che comincia con il narrare sulla scuola, di un ciclo. Le storie,degli altri che intercettano le nostre, il passato, la nostalgia, storie che terminano e che cominciano, fattore percentuale, 49%, 51% le scelte…Le prime, le terze….e domani le quinte. Davanti ai cancelli. Otto del mattino. Ciclo che lentamente volge al termine. Immagino ora i tantissimi maturandi alle prese con i pc a svolgere ricerche su ipotetici temi e quelli svolti nel passati. Messaggi che viaggiano in tutte le direzioni. File, domattina, davanti le scuole, carta di identità in mano e dizionari. Cellulari depositati sui banchi, davanti, in primissima fila, sotto la vigile attenzione dei professori e della commissione. Dettatura delle tracce e idee che non verranno, perché non si saprà…scegliere. Almeno per un’oretta. Poi, l’illuminazione…..Lo svolgimento, il panino, l’acqua, e la prima prova che lentamente passerà. L’uscita da scuola e il verificare le scelte delle tracce. Ma il tempo sarà poco. Ci sarà da pensare alla seconda prova. Per molti, la più impegnativa.
Difficile trovare una panchina per leggere “Le scelte che non hai fatto”. Molte erano occupate da studenti, libri sulle ginocchia, ad intentare l’ultimo ripasso. Più facile trovare un posto per pensarle. In ogni caso, in un fazzoletto di questo Parco Dora bellissimo il benvenuto dell’asilo-scuola di via Orvieto: un prato trasformato in tavola che nel tardo pomeriggio esponeva cibi di ogni provenienza in tutte le lingue del mondo. Genitori che socializzavano e bimbi intenti a giocare. Tantissimi. Famiglie in bicicletta che si riunivano dopo il lavoro e alcune magliette di animatori di qualche centro estivo o oratorio. Riconoscibili quelle di Valdocco, a due passi da qui.
La Stampa, Temi-di Italiano Esami di Stato 2014

Alcuni bambini proponevano una riedizione di un gioco archiviato da cellulari: un gessetto e delle caselle quadrate disegnavano, per terra, il ciclo della settimana. Chi lo ricordava piu’ un gioco simile mandato in pensione da tecnologie ultra-moderne? Giochi all’aperto con piche tracce di memoria. Forse proprio questa potrebbe essere una ipotetica traccia di tema. Provando anche io nel gioco toto-tema, immagino ipotetiche tracce: le nuove tecnologie, l’uso delle app.Gia’, l’immediatezza, la velocita’: Marinetti e Balla e politica italiana? La creazione di ricchezza, la sua distribuzione, cause della poverta’. Ricchi e favelas a confronto, gli standard imposti dalla Fifa per gi stadi e quelli no per istruzione e sanita’. O ancora guardando i molti che giocano a pallone, i mondiali di calcio, e la realta’ sociale economica in parallelo con quelli giocati in Italia nel 90 e le cattedrali nel deserto, che tra l’altro una, (in Italia) lo stadio delle Alpi, non esiste piu’.
Allora, che dire? Una buona maturità ai tantissimi che staranno “pescando” qualcosa nella rete. Ma ci sara’ ancora qualcuno che telefona dall’altra parte del mondo? Quasi cinquecentomila tra ragazze e ragazzi impegnati nella prova scritta o meglio, la proposta per una prova tra quattro possibilita’: analisi di un testo, saggio breve, articolo giornalistico e prova a carattere storico.
Ps. In moli quadri affissi ci sarà la dicitura “licenziato”. Bene ricordare che per molti si apriranno le famose “finestre” per poter accedere al collocamento in pensione. Un augurio a quanti hanno passato una vita al servizio della scuola. Un augurio in particolare allo “zio” chiamato affettuosamente da tantissimi studenti per la sua presenza costante e assidua nella didattica di una scuola della provincia torinese. Auguri “zio” Vito.
La mia Torino…
Come detto in altre occasioni, la mia Torino, non confluisce a Piazza Vittorio. Non solo. Un giro dalle parti di Parco Dora. In lontananza, lo scheletro di quella che è stata una fabbrica, un monumento al movimento operaio. Ora, si corre, si socializza, si gioca, si studia, ci si fotografa, si contempla, si prega, si ascolta il rumore del fiume, si raccolgono ricordi sbrecciati che univano qualcuno, si fanno “book”.Forse da tempo ha perso i cartelli storici, che ne rammentavano i pericoli ma oggi, Parco Dora pare aver trovato una nuova vocazione, trasformandosi in un set televisivo: Peppone e don Camillo. Ebbene, da lontano, si nota una bella bandiera rossa che sventola proprio davanti alla Curia e i suoi uffici. Forse è il ben venuto o il “ben tornata” alla sinistra radicale presentatasi con la lista Alex Tsipras, “l’Altra Europa“. O forse, un simbolo. Avanti a sinistra. Chi lo sa. Noi lo registriamo, lo raccogliamo e socializziamo questo evento.
Questa volta non è un typos, un’ombra, una prefigurazione. Anche se con queste nuvole è facile immaginare il fumo delle ciminiere un tempo ivi residenti, lo sbarramento è stato superato.
In ogni senso. Anche per posizionare la bandiera. Una foto che sembra uscita da qualche libro di storia. Da fine seconda guerra mondiale. Una bandiera, rossa, piazzata da un soldato dell’ armata rossa. Che sventolaa sui palazzi di Berlino.
Ci Che si vede ogni volta che si sfogliano le ultime pagine del libro di quinta superiore. Lo sbarramento è stato superato. A proposito di ombre. Bello il disegno di una bicicletta sull’asfalto, parcheggiata per una dichiarazione d’amore. Unico neo, e da questo blog lancio un appello, in Piazza Umbria, corso Umbria, c’era una volta una iscrizione in marmo “Torremaggiore”. Non se ne capisce il motivo ma “giace” su una panchina. L’iscrizione in marmo è stata rotta in più pezzi. Una pericolo e una ferita nel cuore. Speriamo che il giornale cittadino se ne faccia carico per rimbalzare la notizia e sollecitare le istituzioni, in modo tale da posizionarne una nuova.
Innamorati di storie
Torino. Sabato pomeriggio. Non è solo una canzone, mielosa, molto bella. Non è Claudio Baglioni. Direzione Barriera Lanzo. Dove c’era l’industria, in via Livorno, ora, dal finestrino del bus, si notano frotte di ragazzi, ragazze, diretti all’assalto di Ipercoop, Bennet, il Gigante, megacentri commerciali, e molto altro. Corso Mortara, Via Cigna. La stazione Dora in fondo. Fabbriche andate. Gusci, all’interno dei quali ora si trovano bar, sale giochi, negozi di ogni tipo. Un tempo un cavalcavia, che serviva da parcheggio e da sosta, per giovani amanti. E il sabato diventano punti di aggregazione. Sulla sinistra, il Parco Dora. Palazzoni ammassati, quasi schiacciati, l’uno contro l’altro. Il tunnel. Corso Mortara. Riti, rituali, fratture, margini, aggregazioni. Sembrerebbe un libro. Il bus, prosegue, veloce, in una corsia protetta. Spingendosi verso la periferia torinese. Verso le case Atc, verso capolinea di Piazza Stampalia. Un capolinea del tram, il nove, la circoscrizione. Cinquantenni e trentenni. Un tempo avrebbero detto, due generazioni diverse, forse, altri anche “contro”: “garantiti sul lavoro e precari“. Oggi, semplicemente due generazioni che condividono la stessa situazione. Padre e figli. Sembrerebbe il titolo di un libro. Parlano, osservano il tram che lascia il suo posto per il prossimo arrivo. Un centro di aggregazione per anziani. In molti giocano a carte, nonostante la giornata di sole, tiepida. Una pasticceria addolcisce il tutto. Nei pressi, una Chiesa, dedicata a S. Antonio Abate. Il suo parroco, uno dei primi preti-operai, anni ’70, don Reburdo, intreccia ricordi, snocciola dati. Mi racconta di lavoro e precarietà, del nuovo concetto di lavoro, di Saldarini vescovo. Gli arrivi dal Sud. Ricorda visi e mani dedite al lavoro in fabbrica. Storie di amicizia nella Torino anni ’70. Lavoro, città del lavoro. Questa questione così antica. “Era tutto da costruire.” Nella zona superiore, livelli, gradini. Quattro? Cinque? Ha la forma di una scala. La Chiesa è una costruzione di una quarantina di anni fa. Probabilmente, in quel tempo, qui non c’era nulla. Là dove c’era l’erba ora… E anche questa, potrebbe essere una canzone. Un’occhiata alle vetrate, all’interno della Chiesa. Il cantico dei cantici. Esco. Uno dei primi preti operai, descrive il mutamento storico-sociale di questo spicchio di città. Il tempo di osservare alcuni “mutamenti” sociali e si è sulla via del ritorno, con cambio bus. La strada, via Venaria, fiancheggia il “trincerone” dove correva il trenino Torino-Caselle-Ceres. Sulla destra il vecchio cinema Apollo, ora, solo un guscio. Anche questo. Il ponte, una sopraelevata. Il corso che taglia in più parti la città. Ricordi. Incontri da queste parti, anni orsono, per una partita, una squadra del cuore, ma non la mia. Poi, la vecchia fabbrica di scarpe, Superga e sinistra, la Casa di carità Arti e mestieri, Benedetto Brin. Il corso. Per il resto, una volta entrati col bus nella corsia protetta, l’urbanizzazione torinese è identica a quella che si vedeva nel viaggio dell’andata. Cambiano solo i numeri dei bus. Prima era il 60, ora, l’11. Velocemente recupera la zona semi-centrale. Si scende. Qualche passo a piedi per bearsi di questi ultimi scampoli di sole. Una libreria e libri. Zona Piazza Castello, fine via Pietro Micca. Una miniera. “Consigli dei lettori“. Tantissimi post-it sullo scaffale. Lettori o potenziali lettori che lasciano consigli. Sembra un albero di Natale. Pronto per essere fotografato, dopo aver analizzato ogni singolo bigliettino. Sarebbe bella una pagina de La Stampa e un titolo affidato alla penna di qualche bravo giornalista che di lettere se ne intende: “Ci provate a leggerli?”, e provare a pubblicarla il sabato. Libri consigliati e letti da gente comune. Libri e storie da portare a letto, per farsi compagnia. Libro, virus difficile da debellare. Smarrimento davanti alle pagine, dei libri letti e da leggere. Libri che favoriscono conoscenze e passioni. Che fanno volare e che volano. Libri un po’ come le prostitute. In prestito, nelle biblioteche. Diceva Benjamin. Consigli e bigliettini che fanno immaginare lettrici, lettori. Compro la mite, di Dostoevskij. Storie raccontate dai libri. Davanti a questi scaffali ci si sente meno soli. Da quelle pagine, un flusso ci investe, e siamo uno, nessuno, e centomila. Insieme. Un libro giusto, al momento giusto, e grazie a quelle pagine, ci sentiamo meno soli nelle pene, d’amore o altro. Da tante penne, meno solitudine, anche nelle giornate in cui quella ci schiaccia. E ci pare che “il cielo ci cada”. E vorremmo che le promesse avessero senso. Fossero realizzabili. Che quelle pene “diventassero” piccole piccole, senza quegli eventi che diventino valanghe. Fortunatamente, esiste la biblioterapia. Storie racconate dai libri e dai dipinti. Che prendono il “volo” e ti fanno “volare”. Che dopo solitudine e paura, prenda corpo altro. Altro, che infonde il coraggio giusto per cambiare. Un altro mondo è possibile. “L’anima vola”, canta Elisa. Preghiere dell’anima. Storie di vita. Che ti fanno innamorare. Delle storie.
Torino: capitale dello sport
Capitale dello sport, nella giornata delle comunicazioni sociali. Torino in fermento Ogni luogo della nostra città trasformato in posto ideale adibito allo sport.
Anche Parco Dora pullulava di gente e di provetti giocatori. Sportivi e amanti dell’aria, smaniosi di rimettere il naso fuori dall’uscio di casa dopo un lungo inverno. Tutti pronti. Pronti a tutto. Basket, calcio, pallavolo, qualche piscina in centro…Tutti pronti, come…”Pronti a tutte le partenze” (Sellerio editore) come racconta in un bellissimo libro Marco Balzano. Un libro che ci porta sulle tracce della precarietà, lavorativa e sentimentale. Sud e nord. Treni in partenza e treni che arrivano, passato e futuro. Porte che si chiudono, chiavi in mano, e altre che si aprono. Una nomina, temporanea e il salto, sul treno Salerno-Milano. E quando si parte, destinazione una grande città, tutti, abbiamo qualcuno, un parente, un amico, che ci ha preceduti in quel viaggio che si chiama speranza, lavoro. E così è per Giuseppe. Un appartamento della zia del protagonista, la prima meta per il professore di lettere precario della provincia di Salerno. Una zia, ormai sola, a condividere con la sua stessa solitudine un modesto appartamento in zona Lotto. Un punto di riferimento, la zia, e i suoi modi di vivere. Una casa che è base di lancio per chi muove i primi passi in una metropoli così grigia, dove nessuno ti chiede nulla, anche quando prendi un caffè al bar, sotto casa. Nessuno pone domande. Dove è il piacere, nel farle o nel riceverle? Meglio l’anonimato e confondersi. Milano. Appartamenti cari, piccoli, trasandati. Personaggi confusi tra chi crede nei sentimenti e li nobilita e chi invece li snobba, preparando lentamente la conclusione, di una storia con il piede in due scarpe, tramando nell’oscurità. E la croce divide in due le responsabilità, di questi ultimi due libri, appena “dipanati”, quelle di Lucia, e quelle di Irene. Due personaggi che “lasciano”, in modo diverso, nei due libri. Lucia in Il panico quotidiano e Irene, Pronti ad ogni partenza. E forse Lucia ispira tenerezza, che cerca di salvare il salvabile. “Tu volevi che impazzissimo insieme! Invece io cerco di trovare un equilibrio, qui, per tornare da te, a mente fredda, e salvare il salvabile”. Irene, invece, non puo’ salvare nulla. Anzi. Aveva già costruito un’altra realtà. E in mezzo un lui, sia che si chiami Christian sia che si chiami Giuseppe. Lasciato nel primo caso, corna nel secondo. Due modi di lasciare differenti. Due risposte differenti. Fortunatamente, Giuseppe, crede in valori nobili, come il riscatto, che passa per l’istruzione…La scuola che ogni differenza appiana…e poesie…come Montale e altri ancora, appena accennati…in una Milano così caotica e sola allo stesso tempo. Metro, traffico, Duomo, “famiglie allargate” nel senso di coabitazione. Milano che quando entri in Centrale il mondo di viene incontro e la solitudine si rafforza. Come si fa ad essere soli in una metropoli, seduto, su di una panchina di qualche giardino, ad osservare “carrozzine e mamme tenute in linea”. Il Pirellone, la metro, il Duomo, la galleria, i navigli e magari una mostra. Il nuovo, lo straniero, il lavoro, in nero.I precari, nella scuola. Le graduatorie. La Milano così diversa dagli anni ’60.
I treni. Il cuore che batte e che potrebbero sentirlo in molti. Solo l’interessata ha le orecchie scariche. Treno a Natale, treno di notte. Analogie, come quelle di Agostino. Le 22.50. Le 4.25 del mattino. Una nave che ingoia macchine. Luci accese. Sembra un porto, così illuminato. Forse lo è. O forse è una grande fabbrica, che le macchine non le “ingoia” ma le “sforna”. In ogni caso, luci, ridestano e rinnovano il ricordo.
Un altro libro da portare in tasca, verso il Salone del libro. Un libro che ci raccontano due metropoli, Torino e Milano. La fabbrica, gli operai da una parte. La scuola, la cultura dall’altra. I tanti Sud in entrambi, così come le relazioni, le sfide, le rinunce, le sconfitte, il panico e le speranze. Per essere pronti. Pronti a tutte le partenze.
ps. Irene, una delle protagoniste del libro, dopo aver tradito Giuseppe, forse pentita, trova il coraggio di telefonare a Giuseppe, di chiedere di andare da lui, a Milano. Una scusa, una nomina, per caso, per combinazione, arrivata anche dalle parti di Irene. Giuseppe pare essere la base, o meglio, casa sua. Dimenticando il resto, dimenticando di averlo lasciato quando già “calzava” altre scarpe, e lui, lavorava, sodo, per rendere abitabile una casetta, che questa, anzi, quella, avrebbe dovuto essere la base di lancio. “Perdonare è diverso che dimenticare”, sostiene Giusppe, diviso a metà sul “che fare?”. Accettarla, o mandarla via, rinfacciandole il dolore infertogli. La storia pare riprendere il corso, arrestatosi alcuni mesi prima. Prima dell’altro, che poi, era un amico. Ovviamente tutto ha un costo. Lei sembra pentita, veramente. Chissà…Ogni sera, una pagina letta insieme, e poi, teatro, cinema, tutto è racchiuso e dipanaato in un “per dimenticare, far finta che la felicità sia racchiusa su questo divano, come farebbero i tuoi, i miei, in questo momento, e non pensare ad altro”. Su quel divano pero’ siedono in due: uno che è stato tradito ed una che ha tradito (il libro è proprio raccontato in questi termini, ma per la par condicio, potremmo pensare di invertire i soggetti)….Siedono la memoria, le ferite, e le scelte. Si è sempre arbitri e si sceglie. Chissà come andrà a finire questo libro…………..Ogni capitolo, un verso di Dante…………..Bellissimo.
ps2. Non piove piu’. Il cielo pare piu’ limpido, con nuvoloni che pero’ non disegnan nulla. Libri, ovunque. Pensieri sparsi. Creare e riparare qualcosa che altri distruggono. Ma riparare non è una cosa che riesce bene. Anche a Gisueppe, che, appena infilata la chiava nella toppa di casa della zia…il nemico alle porte, potrebbe sembrare un film, invece, il nemico che porta dentro casa il nemico. O meglio, quello che pensavi di riaggiustare, rotto da altri, prende la solita piega. “Credo che sia l’immagine il fotogramma piu’ doloroso che ho stampato in testa. Sul divano che c’è esattamente davanti alla porta del salotto si vedevano proprio loro due uno sull’altra …”….viene da ripensare alle pagine precedenti: “tu devi fare così. Devi pensare che anche i tuoi e i miei a quest’ora sono come noi due sul divano a guardare la televisione senza scervellarsi sugli errori e sulle cose sbagliate che sono successe”. Evidentemente un personaggio che…la sa luna. Quanti personaggi capace di interpretare, questa Irene? Certamente, aveva ragione Aristotele: prima bisogna imparare a vivere, poi a filosofare.
Povero Giuseppe, capace di concedere sempre possibilità.
Parco Dora 2…
Scarpe da tennis, una canzone, una corsa. Sfilacciate, consunte. Segno dei chilometri, andate e ritorni. Da sotto, profumo di frittate e altro ancora nei panini. Qualcosa da mangiare, mentre la crisi e la recessione ci mordono. Grida di bimbi intenti a giocare e a snocciolare cognomi, nomi e numeri di casacca. Un pallone che rotola, stancamente, verso una rete guasta. Goal. Poi, musica nelle orecchie. Musica fuori, dalle orecchie, meglio, rumore, rumori, di clascson. La Juve vince lo scudetto. Sciarpe fuori dalle macchine. Visi colorati. Un tripudio di bandiere. Non le mie. Tutti direzione centro città, verso il salotto buono, teatro dei festeggiamenti. Piazza San Carlo, piazza Castello.
La passarella. Testa alta, petto in fuori, passi ben distanziati, piccolo trotto…….davanti a questo “scheletro”, una croce, visibile all’interno di quella che pare essere una nicchia in ferro arruginito. Ognuno ha la sua. Che fa ombra.E nell’ombra divide sempre le responsabilità. Quando tutto questo era racchiuso come una scatola da un muro di cinta mai avrei pensato alle vasche di raffreddamento…I rumori che ci raggiungevano erano simili a quei tocchi che si sentivano in alcune stazioni. “Toc, toc, toc”, uno solo. Sentivi quel rumore provenire da sotto le ruote. Magari eri riuscito appena ad addormentarti, cullato dalla nenia del treno, simile ad un abbraccio materno, dove le braccia e il corpo erano quello scompartimento che per ore diventava “un utero materno”. Toc, toc, toc. Immaginavi questo enorme bastone in ferro picchiare sulle ruote del treno espresso di transito. Occhi incollati e sogno amaro o dolce incubo, inevitabilmente venivano interrotti. Chissà se lungo la strada ferrata qualcuno provoca e sente quel rumore, così, per testarne la sicurezza. I ricordi hanno lasciato il passo al passo e così, un’altra nicchia e un’altra ancora visibili da questa passarella. Tutte ben allineate, simili a “cabine telefoniche”. E ancora. Mettersi nei panni altrui. Singhiozzi che alimentano altri singhiozzi. Storie, tante storie. Una storia o un libro. E qui la storia, trasuda. La respiri, inevitabilmente.
Superga, da Parco Dora
Vista da questo ponte, Superga è proprio bella………..così come appare caratteristica questa opera collocata nel Parco Dora……..Un uomo, con un barattolo di vernice. Un operaio, presumibilmente. Sembra forte, di quelli di una volta, capace di creare e assemblare. Piu’ avanti, se ne trova un altro, identico. Alcuni, pochi, per la verità, si soffermano a guardarlo. Chissà quanti sono a conoscenza del lavoro, dei lavoratori chiusi, rinchiusi, qui dentro, dove il qui dentro, oramai non esiste piu’. Solo lo scheletro, di quello che era, di quello che è stato. In altro, una cabina. Pare essere una cabina di comando. Una scaletta. Facile immaginare i bottoni, le leve, il capo, e capo ute poi. E team leader o caposquadra e operaotri, gruisti, manutentori. Tute, blu, rosse, grasso, che cola, dapertutto. I turni. Sgli spogliatoi. Il mattino, i passaggi di consegne. Rumori. Cambi turni. Operai smaniosi di tornare a casa e altri, avvicendati, sbadiglianti per la noia dell’inizio turno. “Capo dammi le cuffie“. E il capo: “Tu vai li, tu ad inizio linea, tu al fondo. Tu invece inizi la paura ora”. “Capo, ma sono le 6! Non mi va neanche di pisciare!” . Magari una telefonata alla moglie. Già, dove potevano essere le cabine telefoniche, qui, in quella che era una grande industria? Dieci minuti sarebbero bastati per cercare una cabina? I gettoni, poi? Se li avevi dimenticati negli spogliatoi? Ma dove poteva esser collocata una cabina, qui, in questo scatolone da decibel fuori del mondo? Fuori dal muro di cinta, invece, “la civiltà”, la sua città, grigia, avvolta in altra nebbia. Il tram, il 19, in entrambe le direzioni. A volte, se andava male, e poteva andare male, un passaggio a livello, per permettere al treno di fabbrica di attraversare la città, via Livorno. Un camioncino ambulante, punto di ristoro: panini, acqua, caffè…Industria, che voleva dire anche catena di montaggio, e già il termine catena non produce e non fa presagire nulla di buono. Grigiore, sfumato, come si suol dire col passare degli anni. Ristrutturazioni dopo ristrutturazioni. Lavoro, sempre di meno, fino a mancare. Di lavoro si muore. Case, palazzi, grattacieli e supermercati di ogni tipo. In una città, come la nostra, dove nei primi anni 90 il solo supermercato, pareva essere Auchan. Oggi, le fabbriche hanno lasciato il posto a grattacieli e supermercati. Anche la politica dell’abitare, che poteva esserci e manca, dall’altra parte, dove sferragliavano i treni Torino-Milano e viceversa, pare non portare nulla di buono. Una lunga ferita, pare una autostrada da asfaltare. E forse la città andrebbe vissuta, diversamente, non attraversata, così, velocemente come pare prendere “corso”. Dal Parco, da questo scheletro al cui interno si potrebbe giocare, a tennis, a basket o calcetto, se solo ci fossero le reti, i canestri o le porte integre. Certo, c’erano, e si dovrebbe avere piu’ rispetto per i beni comuni. Poco distante un muro, un murales. Pare, a tratti, di essere a Berlino. Peccato per la mancanza dei canestri e della rete rotta per giocare a tennis……..
Molto da rifare, sotto questi piloni rosso arruginiti………..”E’ obbligatorio l’uso degli occhiali, in questo settore”, “Si prega di non oltrepassare per ragioni di sicurezza”, “tonnellate, portata massima”, “Cmb, Bra”…ecc. ecc…..Una lunga storia…