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Ernesto

Il tempo trascorre così velocemente,  o meglio,  gli impegni sono così incalzanti che mi e’ mancata parte di quel tempo per descriverne e rendicontare  quanto meno i più salienti. Al Salone del libro,  per esempio, c’era l’ incontro con Laura Morante…  Un’occasione,  il Salone,  per fare incetta di libri.  Ora,  per esempio,  sono impegnato nella lettura di Moravia,  “Ernesto”.  Arrivato qui dopo aver presentato ai ragazzi qualche testo di Pasolini… (Un libro di Pasolini,  vergato da dedica regalatomi nel 2006,  per l’impegno a difesa della Costituzione… )che giri,  che si compiono,  per raccontare il ‘900, il secolo dei giovani… coi suoi grandi cambiamenti.  Accennare “Teorema”,  “Petrolio”,  i fatti di Valle Giulia,  la contestazione, poliziotti e manifestanti,  lettera alla madre e arrivare a Moravia, con il suo “Ernesto”,  ragazzo triestino all’epoca del racconto, (fine ‘800,  inizi 1900,  quando Trieste era sotto l’Impero Austro-Ungarico) non ancora sedicenne che… “conosce” se stesso… Un’occhiata a Saba e  il suo “Zeno” per poi tornare a il secolo dello Statuto dei Lavoratori, il 20 maggio del 1970.

Maturità alle spalle

Da ieri,  al via gli esami orali. Il corridoio,  l’attesa,  la tesina sotto il braccio,  la camicia di lino e la giacchetta, l’individuazione della sedia,  la firma,  la penna,  e pronti partenza via per l’ultima corsa. Tre piu tre e il Presidente. Ultimi momenti,  seduta in classe prima di disperdersi alla ricerca del proprio posto nel mondo. Tesine belle,  interessanti,  talvolta proiettate,  altre no. Matematica,  igiene,  psicologia,  diritto,  inglese,  storia,  italiano,  visione delle prove e domanda delle domande o meglio,  “il domandone” al candidato: ” e ora? ” E poi, strette di mano,  arrivederci,  buone vacanze e io “complimenti per la trasmissione”.  L’uscita,  la porta che si chiude alle spalle,  quella della commissione,  riunita,  e quella del domani che si apre al futuro.  Il corridoio,  i compagni,  l’abbraccio che scarica tutto,  tensioni,  ansie,  gioie  e strizza e poi tutto si scioglie,  in lacrime o sorrisi.  L’accerchiamento al maturando di quanti,  in attesa del proprio turno,  ancora a porte chiuse, in silenzio ma anche no, domandano: “cosa ti ha chiesto”… e via a rifare l’esame di maturità  appena concluso: Svevo e la sua coscienza di Zeno,  Verga e il suo rosso malpelo,  Saba e Trieste,  Pirandello e…  e.. La porta si apre,  avanti un altro. “Il treno ha fischiato”,  avanti un altro. Gli zaini si svuotano di librie  lasciano posto alla liberta’ e all’estate che bussa alle loro porte. E la vita continua,  cantera’ questa sera Vasco Rossi.

Un devoto “operaio” di 98 anni: Torre Giuseppe

DSC00252DSCN3726Mentre le dita battono sui  tasti della tastiera e via via compongono un testo, mi rendo conto di quanto povero sarà lo scritto che prenderà corpo, dinanzi alla grandezza di una persona che ha dedicato una vita intera, la sua, al lavoro. Una vita dedicata al servizio della Chiesa, di don Bosco e di Dio. Una vita spesa nel lavoro, al servizio degli altri, del prossimo, in continuo dialogo, a sinistra, destra, centro. Senza collocazione. Perché il prossimo con cui entrava in relazione non ha mai avuto né colore, né etichetta, né collocazione politica. Vediamo di chiarire di quale “operaio” stiamo parlando. Torre Giuseppe, nato il 3 febbraio 1916. Una storia importante che ha contribuito alla crescita di una comunità. Quindi, prima di continuare il racconto, i migliori auguri da parte di tutte le persone che in un modo o nell’altro hanno avuto la fortuna di incontrarlo e gli auguri di chi, pur non incontrandolo, ne ha  sentito parlare.E gli auguri di quanti verranno che dovranno custodire il suo lavoro, ben visibile in ogni angolo di questa cittadella che è Maria Ausiliatrice. Giuseppe, nato a Villafalletto, a “circa 20 km da Cuneo“, nella fertile pianura che si estende tra il  capoluogo e i centri di Savigliano, Saluzzo e Fossano”. Ha avuto un fratello gemello, che sfortunatamente muore precocemente. In seguito, nonostante le ristrettezze economiche, la famiglia di Giuseppe “adotterà altri fratelli”, abbandonati da altre famiglie sventurate. Un fratello, Luciano, che in seguito seguirà Giuseppe nella stessa “missione”, a Torino, come la sorella, Lucetta, divenuta una bravissima sarta. A dieci anni Giuseppe, viene mandato a “servizio”, in campagna, per svolgere “quei lavoretti che i bambini possono fare, pur non avendo le potenzialità fisiche di un uomo”. La semina, ad esempio o la “conduzione delle bestie”. E proprio al termine di una giornata lavorativa, al termine della semina, con il sacco a tracolla, riceve l’ordine di spostarsi, di famiglia, per lavoro. Altra casa, altro lavoro. Dalla famiglia Gastaldi. Da qui, i ricordi intrecciano altre persone, altri personaggi, altro lavoro. Il marchese del suo contado, Don Cavallo,  Gavarino il fornaio,  il racconto  e l’incontro dei Salesiani di Torino,  prima di vederne le opere “all’opera”, gli spostamenti: Fossano, Saluzzo,  e…Torino. L’idea di Giuseppe era quella di partire in missione, in Brasile, a Rionegro. Il caso ha voluto diversamente. Arrivato a Trieste in treno, da Torino, per imbarcarsi, destinazione Brasile, una accurata visita medica impone un secco “non è possibile”. Una congiuntivite impedisce di salpare. Giuseppe si ritrova così a dover fare marcia indietro verso Torino. Ci riproverà, ma, nuovamente l’esito della visita medica dice no. Il destino ha voluto che dedicasse la bellezza di tutti questi anni al lavoro della Basilica di Maria Ausiliatrice. Quella “vecchia” e quella ampliata, la “nuova”.  La guerra che incombe, le sirene che suonano, il rifugio, mai riempito, perché la gente, “il fedele preferisce” rifugiarsi all’interno della Basilica. I rapporti di aiuto e sostegno nel momento del bisogno, i partigiani…Ricordi di ogni pezzo di questa storia. I marmi per l’ampliamento della Basilica  che provengono da ogni parte del mondo e  lentamente rivestono una bellezza grazie alla perizia e la diligenza nel seguirne i lavori, da parte di Giuseppe. Il racconto si snoda ancora nel viaggio a Roma, per sei giorni, nel furgone contenente “l’urna di don Bosco”  da esporre per l’inaugurazione della Chiesa, di don Bosco nell’omonimo municipio della capitale. “Urna esposta poi anche a San Pietro insieme a quella di Pio X”.  E ancora, una “mole” di rapporti umani con l’intero quartiere. Anche oltre.

Dalla sua stanza all’ultimo piano, osserva la cupola della Basilica, ricorda come effettuava il cambio delle lampadine, poste sulla corona della statua della Madonna. Giuseppe, “arrivato fin lassù con una semplice scala, tenuta da un altro operaio. Tempi in cui la sicurezza non imponeva regole. Qualcuno doveva farlo e io lo facevo”.  Pensa, ripensa, conta mentalmente tutte quelle lampadine cambiate. Le campane, prima del sistema elettronico. Da una finestra, osserva il luogo in cui ora, e per undici mesi all’anno  si trova il carro, dove la statua della Madonna, il 24 maggio, esce dalla Basilica per la processione nel quartiere. I ricordi vanno all’immenso lavoro con i fiori, la composizione del carro, la distribuzione dei fiori, regalati da un benefattore anonimo. Il giorno di San Giovanni Bosco, Giuseppe, passato dietro l’urna a volgere un breve saluto al Santo, ricorda la meticolosità, l’attenzione, la cura e l’amore della pulizia di quell’urna. Una volta l’anno. Ricorda altri ricordi, del suo amore verso qualcosa che non è solo per il lavoro. Ma di più. Per altro. Ricorda il vetro, il tavolo per far scivolare quell’urna. Ricorda spaccati di storia e di società.  I fedeli tendevano l’orecchio. Quei racconti stavano prendendo la via pubblica: per molti era davvero una occasione di toccare con mano la storia. Una storia lunghissima. Scritta nello stesso identico posto. Davvero dentro il  suo lavoro esiste un amore grande. Era destino che la sua missione fosse a Maria Ausiliatrice, a Torino. Ora, col sorriso sulle labbra, che mai gli è mancato, davanti quell’urna, in preghiera, pare chiedere di poter cambiare “parte”. Ora, avendo meno forze e più tempo, mi piacerebbe recitare la parte di Maria, dopo tanti anni di Marta. E recita Luca 10, 38: “Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto fattasi avanti, le disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”.

Nonostante questo, tutte le mattine, Giuseppe, potete trovarlo a dare il suo contributo in sacrestia. A Maria Ausiliatrice.

 

 

Buon compleanno, Giuseppe.

L’Italia che si muove

DSCN3479DSCN3481L’Italia che si muove, sotto la pioggia. Non solo il barometro politico segna tempesta o brutto tempo. Piove a catinelle, a gran velocità.

Viaggiatori che cercano vie d’uscita a gran velocità. Come tantissimi giovani. Impressionante il numero dei laureati, specializzati, che han cercato lavoro altrove, negli ultimi anni. Cambiano le valige, non piu’ di cartone. Trolley alla mano, tablet, I-phone, smart phone e ogni altro tipo di estensione umana. L’Italia che si muove. Eppure, sembrerebbe ferma, soprattutto se si leggono le serie statistiche di ogni ricerca. Se è in movimento,  sembrerebbe farlo, come i gamberi.   Si corre restando fermi.  Cosa non capita di pensare nella stazione nuova di Bologna. Bologna sotterranea. Due piani sotterranei. Scale mobili. Di corsa. Tutti di corsa. Verso l’altra stazione, quella tradizionale, quella bella. A metà, panchine, dove riposarsi.  Cosa non capita di pensare alla stazione centrale di Bologna. Complice il freddo e il colpi d’aria che di tanto in tanto generano treni ad alta velocità che non si fermano. Le canzoni di Vasco Rossi, Guccini, Morandi, scala mobile dopo scala mobile, fino ad arrivare al caro vecchio corridoio, con le macchinette self-service, i distributori automatici, e poi i la cara Bologna Centrale, dove un tempo passavano, e si fermavano i “treni sportivi” di un Cesena Bologna, o di un Bologna Parma la vecchia biglietteria, il piazzale stazione e poi i negozi, i portici. Sotto, nella nuova stazione, metropolitana cittadina, i treni non stop Roma Milano e viceversa. Si sale. In ritardo. Il display segnala il punto esatto in cui si trova in quel preciso momento il treno in corsa. Velocità e ultimo ritardo.280. 285. 297. La freccia sul monitor si muove. Le automobili sull’autostrada sembrano macchinine telecomandate.  Qualche gocciolina taglia di traverso l’enorme finestrino. Visi protesi verso quel visore, posto in alto, a metà corridoio. Ritardo che cumula minuti su minuti. Incomprensibilmente. Le arcate della Centrale di Milano cominciano a comparire. Il treno si assesta. Le porte lentamente si aprono. Tabelloni luminosi, in fondo, e desk assistenza clienti. Treni ad alta velocità in ritardo, gente che corre e regionali che non aspettano. La Svizzera è a due passi da qui. Ma qui non è la Svizzera. Almeno oggi. Viaggiatori destinati a prendere il treno successivo. Cosa resta? Il Resto del Carlino da sfogliare, come il Corriere della Sera e La Stampa. L’informazione sale su questa Metropolitana d’Italia. Frenesia restando in piedi. Immobili. Cartellone elettronico che aggiorna in continuazione treni in arrivo e treni in partenza. Poco piu’ avanti, la torre della disperata difesa ad oltranza dei treni notte e dei posti di lavoro. Nuvoli di ricordi retroproiettano i pensieri: concerti di Ligabue e Vasco Rossi al limite della mezzanotte. San Siro è distante, da qui.  La stazione, teatro del mondo. Luogo di vita, per alcuni, per una  coppia che si abbraccia. Non sono alla ricerca di un bar o dell’ufficio reclamo. Semplicemente di un nido, da ricavare nell’incavo tra viso e spalla. Almeno fino a che il tabellone luminoso non indichi il binario per il dolce rientro a casa: ” Il Freccia bianca proveniente da Trieste, diretto a Torino è in arrivo al binario…”. Si rientra…