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La mia Torino 5

La mia Torino 5. Tra storia locale e devozione.

Maria Ausiliatrice, dipinto su muro di casa di ringhiera, Torino. Foto, Romano

Un dipinto, di Maria Ausiliatrice,  realizzato da una mano ingenua, ma non priva di fantasia.  Una casa di ringhiera. Ballatoio. In un grande corso di Torino. La Basilica dall’altra parte del corso. La Consolata a cinque minuti e poco distante, il Cottolengo. Da queste parti, tutto, dalla farmacia, alla trattoria, alla gastronomia e persino le paline dei bus, ricordano l’Ausiliatrice, e don Bosco. Il dipinto. Da notare la sfera del mondo, con la sola Italia. E sull’Italia, e sul mondo, una Croce. Raggi, colorati, anzi, multicolorati,  e l’incorniciatura, con colonne, attorciliate da una pianta rampicante. Immagino, il pittore, il residente in questa casa, circa trenta anni fa, nel mentre disegnava questa bellezza in una costruzione, a guardare dalle buche delle lettere, che parla dialetti, Sud,  meridionali, lavoro, fabbrica e terra, lasciata, giù, “Sud”. Forse pensava al calore del suo paese, quello umano, e quello del Sole, “costretto” qui, nelle nebbie, a tracciare qualche raggio. Il signore che ha dato corpo a questa bellezza, era originario della Puglia, delle Murge.  Esattamente, Minervino Murge. Un tal Savino, dicono. Perché impossibile rintracciare oltre della sua identità. Avrebbe superato gli ottanta. Di anni. Ritornato al proprio paese. Nessuna traccia ulteriore. Solo questa. Ricchezza portata dal Sud. Ho provato ad immergermi in questa realtà, provare a chiudere gli occhi e respirare un po’ di quel periodo. Valige di cartone, legate, con lo spago, dopo l’arrivo a Porta Nuova, immersa dal vapore e dal fumo.  Le scale, la ringhiera, le buche delle lettere, che in molti casi, contengono solo cartacce datate. Lettre di suppliche, raccomandazioni e solitudine, talvolta non comprese.  Lettere, emozione, quando arrivavano, inaspettate, e, desiderate, volute quando i pc e le mail, non si sapeva neanche cosa fossero. Lettera di un amore. Dal profumo di mare, di sud, imbucate nei pressi di qualche stazioncina, perchè si sa, dalle stazioni, arrivavano prima. Lettre che sanno di attesa e di ricongiungimento. Lettere scritte a penna, o, per chi poteva, con una macchina da scrivere, una L 28.  I campanelli, che bisognava “girare” per farli suonare.  A metà della prima rampa di scale, un’ulteriore immagine, della Madonna.Foto Insegna Farmacia Dell'Ausiliatrice. Torino. Foto Romano B. Questa più recente. Ho provato a sentire qualcuno, qui, nel condominio di questa casa, a proposito del pittore. Voci dicono che presto saranno effettuati lavori di pittura, nello stabile. Mi piacerebbe rispettassero questo dipinto, insieme alla persona che ne ha lasciato il segno. Sarebbe stato bello vederlo qui, il rosario.  Sia da vicino che ad una certa distanza, mi capita di pensare a quei raggi, al profumo di aria, marina. Sud, terra rossa. In molti lettori, hanno chiesto di documentare, qualche momento di devozione nella zona, nella circoscrizione 7, dalle parti di Valdocco, Maria Ausiliatrice. I cortili, dove talvolta non si poteva giocare, dove talvolta fiorivano lavori e vita di lavoratori. Cortili, come ritrovo. Riproduzione fedele di piccole altre realtà. Una ventina di persone, a recitare il rosario. L’acqua e le candele. Non so, ho pensato al Battesimo e alla candela, luce nella luce. La notte che lascia il posto all’alba, il miracolo dei colori. Alzarsi e vedere le sfumature dei colori, e pensare e osservare. Un po’ come quel dipinto, in una casa di ringhiera. Forse ripensavo ad alcune bellissime pagine di Gilead. O forse al grande lascito come dono che alcune persone ci fanno. Dono e perdono. Il dipinto è davvero bello. Meriterebbe di essere valorizzato e possibilmente tutelato. Speriamo che le autorità cittadine ci pensino. Non conosco le regole condominiali, ma penso che questo sia patrimonio di tutti. Penso che il Sig. Savino, (se la memoria di una persona anziana che mi ha riferito in merito al pittore, non è stata tradita) così lo intendesse. Un omaggio per tutti i torinesi. Un ricordo, anzi, un ricordino. Da queste parti, sono tanti, per ogni ricorrenza.  Non sarebbe male, come idea, abbinarla per un Cin-cin.

(ps. un grazie a d. Natale, che ha dato un contributo per la “lettura” del dipinto).

Torino. Interno. Casa di ringhieraTorino. Cortile e devozione popolare

Una storia importante

DSC00125Treni, gallerie, stazioni illuminate, città, attese, partenze.  Anche se inflazionati,  è proprio coi treni e dai treni che si è scritta e continua a scriversi la storia. E forse, fin dal principio, è nel sogno di tutti i bambini lavorare nelle stazioni. In molti, da piccoli, almeno una volta, hanno immaginato di fare i facchini alla stazione e sognare, di partire, di vivere le storie altrui. Oppure, il capotreno, a controllare biglietti e scambiare qualche parola, almeno fino all’arrivo della stazione. Fazzoletto verde in mano, fischietto e cipolla nel taschino. O ancora, il macchinista. Ancora, l’addetto alla posta nel vagone postale. Quando le mail non esistevano ancora. E quante volte nella vita, da bambini, con i trenini, non abbiamo immaginato di vivere quelle situazioni? Partire.  E arrivare. Nelle stazioni è possibile raccogliere una umanità che in altri luoghi non trovi. Dai treni, “scivola” via anche gente che “sale” per cercare lavoro e che con questo ha contribuito a scrivere pagine di storia. Onorando la terra natia e quella di adozione. Gallerie. Luce. Vegetazione che cambia. Il ritorno d’estate, qualche giorno al mare. L’uscita dalla Fiat, l’ultimo giorno di luglio. La 850 carica. Poi la 127 e per chi poteva, il 128. La fine del primo turno. Le ferie. Poi Natale, per chi poteva. Lavoro. Torino negli anni ’70, l’arrivo dalla Puglia, dalla  Sicilia, dalla Calabria. Gente che ha fatto la storia, proveniente da cittadine lontanissime. E così ho cominciato a ricordare alcuni amici, provenienti da li, come Domenico, l’ingegnere cimentatosi con la scrittura, rendendo omaggio ad una piccola cittadina della Calabria, o ancora, Greg, con il suo “amico serpentello”, Mimmo Calopresti, il regista, e l’incontro al Circolo dei Lettori, sul tema Tyssen, e altri, piu’ recenti, in un “sali e scendi” Calabria, Torino.

A Torino, nel cuore del cuore della terra dei Santi Sociali, esiste un altro cuore, dove la “residenza” è di “casa”. A due passi dall’anagrafe, luogo di “residenza” o “domicilio”, e talvolta “unione-fusione-nascita” esiste un piccolo laboratorio, dove la creatività non sta mai ferma. Un laboratorio. Di sartoria, pittura, scrittura. Un laboratorio, a due passi da un altro “laboratorio”, il primo, in quella piccola terra chiamata Valdocco. Nel laboratorio, di proprietà del Signor Antonio Corapi si respira aria di mare, di Sud e di Calabria. I suoi dipinti parlano di vita e di storie di vita. Ma la Calabria è grande. Vediamo di precisare dove siamo esattamente in questo laboratorio.

Ci troviamo,  in Via Carlo Ignazio Giulio 27,  a Torino. Un laboratorio all’interno del quale trasuda una storia calabrese,  dalle parti di  Soverato.  Esattamente, quella di Antonio da Gasperina, a voler puntualizzare. Siamo sul Mar Jonio, in provincia di Catanzaro. Antonio descrive il suo paese natio posto “su una collina con circa 2.000 abitanti”.  “Arrivai a Gasperina a tre mesi. Sono nato a Montauro. Nel marzo del 1938“. A tratti, quella collina,  di Gasperina, “ricorda quella di Superga“. Il primo nucleo abitativo risale al VII-VII secolo dopo Cristo, quando le popolazioni rivierasche si spostarono nell’entroterra per sfuggire alle incursioni dei saraceni.  “Quanto dista il mare da casa tua”, gli domando.  “Il mare”, continua Antonio “dista, in linea d’aria, da casa mia, circa cinquecento metri; facendo i tornanti, un pochino di più”.

“Quindi, la Calabria, quella cittadina lì, non è famosa solo per i peperoncini” ,  esordisco facendo il verso a molti non appena sentono “Calabria”.

Osservando questi dipinti, possiamo dire che con la pittura, la  musica, le note e il “taglia e cuci” Antonio ha contribuito ad aprire una finestra ulteriore sulla tua terra. Un uomo che si trova ad osservare i dipinti di Antonio, coglie l’occasione per  ribattere: “Certo,  Antonio per la sua terra è fondamentale, importante; Gasperina  ha contribuito a dare i natali ad un personaggio versatile: pittore, compositore, sarto”. 

Ma qual è la storia del sig. Antonio Corapi, un uomo mite, carattere buono, dolce, versatile, occhi azzurri, capelli bianchi, “impregnato” di storia, proiettato verso gli ottanta?

Antonio, aDSC00119pprodato a Torino durante i mondiali, Mexico ’70. O forse, qualche mese dopo.  In treno. Tanto per cambiare.  Dopo aver fatto tappa a Milano, per un po’. Prima ancora, il militare, a Pesaro. “Per un po’”.  Il lavoro, il suo, come sempre lo porta a “riparare” abiti. Un buon sarto. Un lavoro che, prima delle delocalizzazioni e del made in china, “andava”. Poi, Torino. Altro lavoro. Un archivio. All’Enel. Tanti documenti. Storie altrui da seguire e  da ricostruire.  Per 35 lunghissimi anni. Documenti e scartoffie.  Quando i computer non si sapeva ancora cosa fossero. Nella sua vita, storie a colori. Giù, perché nel tempo libro, ha la passione per la pittura, per le tavole. E sulle tavole, si sa, molto è apparecchiato e molto è “anticipato” del futuro di un uomo.  Sulla tavola, molto fa comunione. Gallerie di vita illuminanti. Gallerie di corpi, di donne, di uomini. Di Santi. A tratti, in questo laboratorio, posto in Via Carlo Ignazio Giulio, 27, pare di essere in un’ala della Consolata.  “Gallerie” di volti simili ad ex voti, come il quadro raffigurante un terremoto e le sensazioni che esso provoca. E ancora tanti testi. Con “Testa”. Il suo superiore.  “Presidente. Dell’Enel”, ricorda con emozione Antonio. “Mi piacerebbe lo sapesse, che ho il suo dipinto, qui, in laboratorio”.  Intanto, il dito indica i dipinti e legge tra gli spartiti le note dei suoi testi.

Brani, scritti, divenuti canzoni. Alla Mamma, a Maria, (forse aveva già in mente qualcosa del Santo) ai fidanzati che cercano ma non trovano…insomma, “sfigati”. Girando e rigirando in questo microcosmo, scopro, tra i tanti quadri, che due in particolare sono dedicati a due santi, di queste parti: San Giovanni Bosco, che di qui a pochi giorni, una città intera, e non solo, festeggerà, e l’altro santo,  San Domenico Savio.  A Maria Ausiliatrice.

Quando e dove hai incontrato  don Bosco? “Già in Calabria, da ragazzo, sentivo parlare di don Bosco. Se ne parlava molto, giù da noi”. Poi, qui, a due passi dal laboratorio, all’ombra della Basilica,  la domenica è di precetto, andare a messa. “Tutte le domeniche mattine vado a messa”, a Maria Ausiliatrice,  racconta.  Da qui, vicino il Rondo’, la Basilica è a due passi. Col dito, li indica, i quadri. Tutti suoi.  Poi, indica le mani, da buon calabrese quale è che non dimentica mai le radici. La sua terra.  Mani che cuciono, rammendano, riparano.  Le mani suonano e cuciono. Pare di sentire il rumore della macchina da cucire, gli aghi, i manichini, pezzi di stoffe.  I “ginsi”. Mani che suonano. Da li, gli occhi muovono lentamente su altri quadri: a tratti sembrano ex-voti, di quelli che si possono ammirare alla Consolata, per qualche grazia ricevuta.  Un invito, al nostro quotidiano locale, di fare un giro, e provare a raccontarcelo, sulle pagine del giornale, come da un po’ si sta orientando. Tra storie di vita. Il mio intento,  senza presunzione,   è di fare una “pubblicità”.  Della sua storia. Un giro, lo merita. Davvero. Forse non ci saranno fotografie che lo ritraggono il giorno del suo arrivo, in bianco e nero, come pubblica da un po’ La Stampa, ma, merita davvero un riflettore, il signor Antonio.  E anche gli occhi, meritano di vedere tanta bellezza su tela. Portare alla luce insomma,  una storia, importante. La storia di Antonio Corapi è una storia che cuce e dona vita ad altre vite. La vera regina, in questa cornice di quadri è una macchina da cucire.  Quadri e macchina da cucire. Storie d’amore e di vita. Pare esprimano un solo comandamento.  “Uomini amatevi reciprocamente“. E così è stata concepita la vita di Antonio. Una vita intensa. E così, con quell’imperativo ha cercato di allevare ed educare i suoi tre figli: Vincenzo, Elisabetta, Maria Carmen.

Nella foto, il signor Antonio nel suo locale, dove dipinge, suona, scrive….

Antonio Corapi. Via Carlo Ignazio Giulio, 27. Torino.

Con la speranza che anche  negli Usa, che ti tanto in tanto leggono il blog, si accorgano di questi bei quadretti del sig. Antonio.

Buon ferragosto

DSCN3373DSCN3324Porto Cesareo, Torre Chianca (in ristrutturazione), Torre Lapillo (Lecce). Puglia, Salento.

15 agosto 2013.

Nell’epoca  digitale, di digitali nativi, di fine dei rullini e delle cartoline, ovviamente delle penne, lapis, blocchi, e abbecedari inclusi, che non si trovano più, o quelli reperibili datati e desueti, due bellissime fotografie sostitutive , da questa insenatura di Torre Lapillo, con alle spalle Torre Chianca e Porto Cesareo (che ovviamente non si vedono),  con l’augurio di un buon ferragosto a tutte, tutti.

Tempo un pochino nuvolo con vento. Incerto, instabile. Come il tempo sentimentale. Come l’occupazione. Come le retribuzioni. Come tantissimi valori. Avvolti nella nebbia o vacillanti e liquidi.  Già dalle primissime ore dell‘alba, i primi vacanzieri, si sono accaparrati quei piccoli fazzoletti di sabbia lasciati liberi, a nostro uso e consumo, dalla concessione selvaggia. A volte, nei tratti liberi, al posto delle persone e dei manichini, molti vacanzieri egoisti han lasciato sedie a delimitare il territorio. Come fosse loro. Non bastava loro aver costruito quasi a ridosso della sabbia. Sabia che avanza e pazientemente si ritira, lentamente, instancabilmente. Un orologio fragile. Tic, tac, come un pendolo. Come lo spazio, come il tempo, come il cuore. Tempo e spazio si contraggono e possono essere breve o corto a seconda di cosa siamo propensi a  riempire. Di tanto in tanto qualche cicatrice umana, deturpa questo paesaggio. Pazienza. Ovviamente per lo spazio occupato in anticipo, non per le cicatrici che deturpano il paesaggio. Un elicottero continuamente sorvola mare e spiaggia. Pare una mosca fastidiosa. Di tanto in tanto alza vento, qualche goccia d’acqua (di mare) e qualche granello di sabbia. Turisti con ampie colorazioni su parti del corpo, merito di qualche gioco effettuato in uno degli stabilimenti balneari situati nei pressi. In un altro è in corso una gara di opere d’arte: materiale da costruzione: la sabbia. Sabbia che si ritrae, si espande, e nel continuo flusso non lascia segni, cicatrici. Cronometro alla mano e giudici ai bordi due squade si contendono il premio. E portano senso di festa in ognuno. Altri si preparano al “don” del “Do the Harlem Shake”,  e così, pronti a ballare e scatenarsi senza freni inibitori. Buoni profumi, buoni sapori, tanti saperi. Ricordi e pensieri.

Ceglie e il mare

Questo particolare di Ceglie Messapica è talmente bello che ne vale la pena riproporlo……….e riproponiamo anche questo mare, così cristallino……tra Porto Cesareo e Torre Lapillo….

E’ stato molto bello, questa mattina, sfogliare La Stampa, e poter leggere  a pagina 23, “Il Bello e il Buono”, l’itinerario di Roberto Duiz sul Salento. Sulla spiaggia, due termini chiave hanno focalizzato la nostra attenzione:  Salento, paragonato ad un “ombrello”, chiamato anche in questo modo per le condizioni climatiche, e Salento come “nave” carica di ogni ben di Dio, come, modestamente ho riportato in questo blog, a partire da olivi secolari e vitigni, in perfetta solitudine o tra masserie magari riconvertite in nuovi agriturismi.  Appropriato il riferimento ai tufi, utilizzati in ogni costruzione….quelle “cave” svuotate, osservate sulla direttrice che porta da Avetrana a Taranto…….Ricordo i vecchi “leoncini” che viaggiavano a ritmi di “tre quattru iaggi”…………per poi scaricare su terre che all’epoca erano lande desolate………..La giornata di “Pippi” era scandita da questo lavoro, in un Italia da boom…polvere che si perdeva ad ogni viaggio, depositata sull’asfalto e sulle strada dopo aver “ribaltato” i “quatieddi” (tufi) o anche detti “fedde”……….polvere di tufo così bianca che al solo guardarla ti accecava……ora, le cave sono vuote e il paesaggio, ahimè…………costruzioni, costruzioni, costruzioni, fin dove non si doveva….una ferita…..Le orzate non si serrvono piu’, ma in compenso si trova il caffè ancora a 80 centesimi, e in altri, anche a meno. Osservo cosa succede al Pincio, a Roma, e penso a quanto la mano d’uomo sia davvero pericolosa, in molti frangenti…A proposito, a quanto si è ridotto il pil proveniente dall’agricoltura? A me piace pensare questa terra in tutta la sua bellezza………..In attesa della lunga notte della Taranta, e la sua notte di Melpignano……….con la speranza che il mal costume venga “pizzicato” per  dispiegare la tutela del bene comune……spiaggia, mare, terra…..

Torre Lapillo, Porto Cesareo, Salento, Lecce….

Il cuore puo’ contenrere tutto. Come questa foto: Torre Lapillo, Porto Cesareo, Salento, Lecce……..mare, cibo, terra rossa…….e “mieru”(vino), tanto….tanto……in quantità.

Puo’ sembrare un cuore modesto, ma batte. Un viaggio che non dovrebbe mai terminare. Il sole, lu sule e lu jentu,  al mattino presto, che ti batte sulla pelle, e la scalda, mentre corri. L’odore del caffè forte, che sprigiona da ogni casa, e non in un luogo dove, per mesi ti senti in prigione. Le orecchiette e i pizzarieddi, pomodoro fresco e sugo…….Piatti di frutta che volano come dischi volanti da un ombrellone all’altro, senza dire, “chi sei?”. Pasticciotti appena sfornati e crema ancora calda, rustici e calzoni con pomodoro fresco e mozzarella filante………Fichi appena colti dall’albero, neri e bianchi, fichi d’india, prugne e pesche, frutta che sa di frutta….Sabbia e pelle che tira arrossata dal sole……”frisedde”  appena appena bagnate con seme di pomodoro, olio, sale, origano e sapore di grano duro……..Il quotidiano di Lecce, Brindisi, da sfogliare tutte le mattine, riportando  tutte le sagre……..aspettando ora Melpignano, la notte………della Taranta….e non importa se il trenino della Sud Est è un po’ lentino…….Vivere slow, è meglio…Lento, come lente queste onde, pronte a scrivere e riscrivere emozioni e vita su questa sabbia. Il mare prende, il mare concede, tutto si tiene……..come quei pescatori intenti a ricucire vecchie reti…….ricordi, come neuroni incrostati……   E poi, la riscoperta di un Paese così bello, come Ceglie Messapica, così attenta al cibo, ai saperi  e sapori di una volta… Così bella da questo panorama….Parafrasando una canzone di Mina, Grande grande.

Foto col cellulare, Torre Lapillo, Porto Cesareo.

Tutto questo nel cuore.

Fichi secchi

Appena tornato a casa, eccomi a girare i fichi…

“Spaccarli”, e lasciarli seccare al sole……girarli e rigirarli, con cura. Dopo alcuni giorni, lavarli, in acqua calda. Poi, inserire tra le due parti mandorle tostate, cannella e scorza di limone….

infornare…………….e dopo averli raffreddati, chiuderli in un vasetto di vetro o di terracotta…….

Gustarli nelle serate d’inverno, dopo cena………pensando a questo sud, alle tradizioni, alle radici, sole e mare…….Magari leggendo qualche buon libro, in buona compagnia…Del resto il nostro naso è un buon custode della memoria……….chissà quali “tuffi” nel passato ci provocherà non appena apriremo quel vasetto….L’odore di un luogo in cui si fa ritorno dopo tanto tempo……..e magari le prospettive, le illusioni, i sacrifici e  i sogni che abbiamo nascosto prima di recarci………..

Fichi secchi, buoni come un buon miele………E pensando che un tempo costituivano i doni di Natale, come raccontano ancora voci sagge, seduti sulle loro sedie, a raccontare tempi andati, mentre tutto intorno, il passeggio racconta altre cose, nonostante la crisi…. Altri tempi….

Fichi a seccare, a Porto Cesareo, Lecce, Salento, pensando alle giornate uggiose, invernali, nebbiose a Torino

Tramonto, al Sud

Osservare da quassù il tramonto è davvero spettacolare……..tra vecchie “chianche” trovo, ripiegata su un vecchio foglio, una poesia, di Tommaso Landolfi……….Poesia, che, come Leopardi sosteneva, è “aumento di vitalità”……E una poesia è questo tramonto, stupendo……..come solo questa parte del Salento riesce a regalare.

Solo, amore mio, solo

Come neppure l’usignolo,

Io questa “solitudine

fo pegno.

Di segreta delizia

Ed essa eleggo a mio splendente regno………Eppure, amore, Io mi scava una nicchia dentro l’ora

Fuggevole e alterna,

E piango e soffro e tremo ancora (Tommaso Landolfi)

La prima campana: sciopero generale.

L’imminente apertura delle scuole, lascia sullo sfondo l’estate. Canzoni come “Spiagge” (Renato Zero) e “l’estate sta finendo” (Righeira) sono cio’ che rimane, ad ogni inizio settembre, del periodo estivo appena trascorso. Ansia e angoscia, invece, persistono per molti e ci accompagnano alla ricerca di una nuova “identità” lavorativa. Dove si verrà proiettati quest’anno? Alcuni, come fumo negli occhi, assunti a tempo indeterminato, assunti così”nel ruolo” di addetti al turibolo per incensare questo governo, sono stati catapultati, in una sorta di apprendistato dell’apprendistato, perchè dopo anni di precariato, nella stessa mansione lavorativa, devono obbligatoriamente superare il periodo prova: due mesi, chi quattro, chi un anno. Come se stesse iniziando un nuovo lavoro. Una moltitudine, invece, è rimasta fuori. Coloro i quali immediatamente hanno fatto di conto. A fronte delle immissioni in ruolo, questo era il terzo anno di tagli programmato.  E mentre i primi continuano col ciondolio del turibolo dopo anni di “compressione di ogni cosa e in ogni dove” molti, tantissimi, sono rimasti ad osservare. “Oggi non vado a lavorare”, pare essere il titolo di un film.  Solo che non è finzione.  Solo che i pescecani, non guardano. Mangiano. E come se mangiano. E nei molti che vivono nel limbo, in una condizione a tempo, magari con contratto a dieci mesi, la possibilità che quel contratto li faccia scollinare in una “convenzione Basilea” è forte. Ma che cosa sarà mai questa Convenzione Basilea? Vuoi vedere che a coloro che sono in possesso di un contratto a tempo  determinato magari gli è preclusa la possibilità di accedere ad un fido bancario, perchè le mensilità retribuite  da quel contratto sono solo dieci e non, magari, come avveniva (avviene?) a chi lavora in un luogo che ti pubblicizza la vita come una “scala mobile” (grazie al “paternalismo di una banca”) di mensilità magari ne percepiva 15 o 16?  E già, perchè sono i numeri che contano, bellezza! Non le persone.  Eppure quel paternalismo che rimanda alla Convenzione Basilea non è presente ogni qual volta vengono inviati gli estratti conti. Bontà loro. Grandi banche, banche grandi, grandi capitali, grandi patrimoni….governanti….non pervenuti. Come la mancata volontà politica di tassare i grandi patrimoni, le rendite, le transazioni finanziarie….E così, propirio per la voglia di dire no e provare a reagire a questo stato di cose, la prima campane a suonare è stata per  lo sciopero generale.  Contro una manovra brutale, pericolosa. Iniqua. Una manovra che, rifatta quattro, o cinque volte, colpisce sempe nello sesso modo sempre i soliti. Persone.  Pensionati, giovani lavoratori, precari. Persone e stato sociale sotto attacco. Una manovra che scarica i costi sul mondo del lavoro dipendente. E i contratti nazionali? Voglia di smantellarli? Forse il vento di Basilea, soffia anche su questi. Povera Costituzione, “luogo di equilibrio” tra diritti politici e sociali. Già, come sosteneva Zagrebelsky alcuni giorni fa “la condizione iniziale era quella in cui solo i proprietari avevano diritti. I lavoratori o aderivano alle condizioni loro proposte  oppure non ottenevano o perdevano il lavoro, potendo l’imprenditore attingere al ribasso da un serbatoio di forza lavoro in cerca di occupazione……stiamo tornando a questo in nome del mercato e della competitività?“. Già, Basilea, Italia, Europa.….e sembra uno sfottò se ricordi a chi ti sciorina “la convenzione di Basilea” uno che di conti magari ne capisce tantissimo, ma di empatia, zero, se asserisce la mancanza di colpe, sue, se le nostre mensilità sono solo dieci e non 15 o forse 16……..Forse bisognerebbe ricordarci delle “bolle di sapone”…..magari…Certo che le proteste “indignade” non sono davvero “campade” per aria. Speriamo in una maggiore e consapevole indignazione.

Colgo l’occasione, dato che ho citato la canzone “spiagge” per lanciare la proposta di un referendum, quello di rendere le spiagge libere, o come erano fino a poco tempo fa. Di ritorno da una delle spiagge piu’ belle d’Italia, ho pensato che forse, questa potesse essere una delle ultime volte che potevo accedervi con tanta facilità. Proliferano infatti gli stabilimenti balneari, 800 euro al mese, 35 o 45 euro al giorno, ombrellone e due sedie sdraio. Caro Vendola, le battaglie referendarie non terminano con l’acqua e il nucleare, per fortuna vinte. Bisognerebbe avre il coraggio di inserire nei bene  comuni la spiaggia, il mare………perchè devo pagare per accedere al mare? perchè in una zona della Puglia, quella dove sei stato alcuni anni fa, mi riferiscono,  non l’alta marea, ma l’ingordigia dell’uomo, si è mangiata una buona fetta di spiaggia? Per caso anche l’accesso al mare e sulla spiaggia è diventata questione per ricchi? Ma, qualche anno fa, non sostenevi, che anche i ricchi dovevano piangere? Vorrei le spiagge libere, per tutti. Ottocento sono gli euro guadagnati da un precario, che certamente non dovrebbero andare ad “ingrassare” uno stabilimento balneare. Senza dimenticare che un tempo, per accedere in quel posto bellissimo potevo benissimo usufruire di un treno serale, a 50 euro, ora, ridotto di numero di carrozze, mentre ore, mi si propongono due treni giornalieri, a quasi cento euro. Proporre o imporre? Fare un giro la sera in stazione per la scelta.

Foto da Berlino, Dresda…e da Porto Cesareo (Lecce)

Mostro alcune delle foto del periodo estivo 2009 a Berlino, Dresda e nel Salento (Porto Cesareo, Lecce. Salento. Lido Belvedere, Bassa Marea, Bacino Grande. (A Porto Cesareo, statua di Manuela Arcuri).