“Una questione nuova, non apocalittica”. Questa era la frase ricorrente ascoltata in una trasmissione televisiva. Famiglie che consumano risparmi accumulati da una vita; genitori che mantengono in ogni modo i figli; posti di lavoro persi per sempre; precarietà alle stelle. Gesti simbolici che funzionano con modalità nuove rispetto ai classici scioperi. Questione nuova, mica tanto. Quante risorse sono state spostate dai salari ai profitti e alle rendite? Quanti accordi al ribasso sono stati firmati perché han continuato a dire che “di più non era possibile ottenere, dati i tempi”? Ma questi tempi, da quanto durano? Compromessi. Soluzioni al ribasso. Precarietà. Flessibilità. Fine della storia. Fine del comunismo. Fine del liberismo lo sosterrà mai qualcuno? Però, intanto, questa “nuova situazione” la si poteva immaginare. Ancora ieri, per tutta la giornata, ad Ivrea, in molti rischiavano e rischiano di perdere definitivamente il posto di lavoro. Rischio per l’Alcoa, rischio per la Fiat-Alfa Romeo (“trasferimento dei lavoratori a Torino”). Penso allo stabilimento SKF di Torino, che chiude. Penso ai lavoratori di Ivrea, gli ultimi residui di quello che era la Olivetti. Lavoratori. Invisibili. Penso a tutte quelle compagne e compagni conosciuti durante le manifestazioni, per rivendicare un diritto. Resistere. Per esistere. Penso alle preoccupazioni di Barbara e compagni. Penso ai sette milioni di operai. Che esistono. Nel disinteresse di molti. Penso al 1969, alle conquiste. Ai diritti. Potrei continuare. Solidarietà per tutti. Anche ai precari, della scuola, del pubblico impiego. Gesti forti. Saliamo sui tetti, per diventare visibili. Solidarietà per tutti quelli che si trovano “nella situazione nuova”. Non apocalittica. Però, la povertà è questione antica. Lo sfruttamento anche. Richiesta di giustizia, di eguaglianza. Da gridare. Con forza. Da ottenere. Ad ogni costo. Come coloro che pongono domande sui concorsi: perché qualcuno deve essere immesso in corsie preferenziali? E la regione, come ha intenzione di comportarsi a tale proposito? Fortunatamente l’amico Juri Bossuto mi rassicura che i funzionari dei gruppi hanno chiesto un concorso aperto a tutti, molto diverso da cinque anni fa. Quando Mario Contu ne fece una battaglia solitaria.
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Torino-Aosta: ancora una vergogna (lunedì 16 novembre)
Lunedì. Ore 7.30. Giornali in mano: Liberazione, La Stampa, la Repubblica. Mentre raggiungo velocemente la nuovissima stazione di Porta Susa, sotterranea, gli occhi si fissano sulla prima pagina del giornale torinese. “L’alta velocità salta Porta Susa“. Con disappunto del nostro sindaco. Sai che guaio. Tanti soldi spesi…..Invece quando si è deciso di demolire lo stadio Delle Alpi, costruito con i soldi pubblici…..Mentre penso cio’, alcuni compagni diretti ad Ivrea (con il treno delle 6.34) per questioni di lavoro, mi ragguagliano sull’ennesimo guaio al treno: “ritardo di mezz’ora, con sosta a Chivasso”; un guaio al locomotore? si poteva conoscere il cattivo funzionamento già dalla sera prima? Chi lo sa. In ogni caso, non è un freccia rossa e i viaggiatori di quella linea sono “soltanto” lavoratori, operai, precari: gente da meno di mille euro al mese e dintorni di mille. Non sono soggetti certamente rilevanti per certi politici anche se i loro voti al momento opportuno fan sempre gola. Viceversa, se il treno “non dovesse fermare a Porta Susa, i grandi punteranno i piedi”; e lo aspetteranno comunque. Se il treno ritarda a Chivasso e si arriva al lavoro con mezz’ora di ritardo, nessun “grande” si lamenterà. Pazienza. Pagheranno di tasca loro i soliti noti. Ilavoratori e gli studenti che subiscono quel ritardo. Una giornata, quella di lunedì, cominciata male. Peccato, perchè c’era dell’entusiasmo. Liberazione ci informava sugli studenti in piazza, con lo sciopero dell’11 dicembre, le richieste della Flc Cgil riguardanti il ritiro dei tagli agli organici previsti dalla legge 133. Buone notizie, soprattutto per noi, precari. Ma, qualcuno del governo non aveva svolto un tema “elogio del posto fisso”? Si, un tema scritto nell’aria. Qualcuno continua a scrivere delle favole. Molti vogliono sentiresele raccontare. Ricordo che i diritti sono frutto di lotte. Non sono favole. Un altro titolo di Liberazione ci rammenta della lotta di alcuni lavoratori. Come la vertenza Eutelia con gli operai in corteo a Roma. Lottano. Per sopravvivere. Polticamente segnalo “l’apertura del blog” del compagno Claudio Grassi. Sarà come vederlo in federazione tutti i giorni. La lettura del blog mi obbligherà a mettere nell’azione politica gli insegnamenti di due persone che partecipavano molto alle riunioni di area: Mario Contu, e Carla Perasso. Una buona iniziativa. Condivido la scelta e l’intuizione.
Gramsci e tre chiese
In una sera d’inizio aprile, durante un colloquio finalizzato al rilascio di un’intervista, volta a descrivere l’impegno sociale e politico, descrivevo le “tre Chiese”, di gramsciana memoria a cui, in gran parte dovevo l’emergere di una visibilità non voluta: “i protagonisti”, asserivo, (altre volte, durante l’intervista, li contemplavo prendendoli in considerazione), dovevano essere gli appartenenti ad una classe emarginata, forse con un calo di coscienza sociale, ma sempre protagonista: la classe operaia “allargata”, includendo in allargata cassintegrati, in mobilità, “nuovi operai” dei call center, disoccupati, precari.
Le tre chiese: la Fiom, Rifondazione Comunista, l’Istituto Storico della Resistenza di Torino. In ognuno di questi soggetti, vi sono stati o vi sono personaggi che hanno contribuito a forgiare le mie scelte. Nella “formazione Fiom” non posso che metterci i “soliti noti”: Claudio Palazzo, Michelina Cardamone, Pietro Passarino, e altri ancora. In Rifondazione, “duri e puri”, ma anche altri “dalle “animie fragili”: il segretario, Armando Petrini, Juri Bossuto, Sergio Dalmasso, Luigi Saragnese, e i coniugi Roberto e Carla Perasso, che “hanno fornito un tetto alla casa Rifondazione”. E poi, “l’operaio per una vita”: Mario Contu. L’ultima, è la più bella e dolce, accogliente, sempre, la casa, così preziosa dell’Istituto storico di Resistenza con tutte le persone che a vario titolo lavorano “per la memoria”.
Inoltre, così, come i “campetti di calcio da oratorio salesiano” hanno sicuramente contribuito “al gioco leale”. Oggi, giocare lealmente è davvero difficile. In ogni gara c’è sempre qualcuno che parte prima. Parrebbe che in ogni competizione qualcuno bluffa i possibili esiti. Penso a chi mi scrive asserendo che anche nelle elezioni sindacali c’è sempre qualcuno che fa di più di altri, ma ad essere eletti sono sempre altri: “politically scorrect”? Oltre alle tre chiese ribadisco che la notorietà in un contesto, attualmente locale, è un merito da condividere, con l’amico Domenico Capano: sempre disponibile, anche quando per altri “è sabato”. Ogni tanto è lecito essere spigolosi. Grazie Domenico. (siamo persone normali, quindi, ci rapportiamo “senza titoli”).
In ogni caso, vorrei chiarire che gli scopi, originanti il Blog, possono sintetizzarsi nel rilancio di un dibattito utile a sensibilizzare una certa coscienza sociale, e l’appoggio al partito d’appartenenza, un partito che crede fortemente nelle uguaglianze; quindi, nessuna intenzione, “di formare un movimento” o “di essere scelto” per le candidature imminenti. Solo ed esclusivamente un “mettersi al servizio”. Perché gli operai? Perché contrariamente a quanto si affermava, non è una parola impronunciabile. Esistono, e non solo negli articoli di giornale. “Giù gli operai, su gli autonomi” titolava “La Stampa” a pagina 5 mercoledì 22 aprile (Stefano Lepri). Nel pezzo si citava che: “Il potere d’acquisto di salari e stipendi, al netto delle tasse, è restato pressoché fermo negli ultimi 15 anni (+0,2% annuo). Nel frattempo crescevano i profitti e anche i guadagni dei lavoratori autonomi”. Oppure, “il Manifesto”, Cgil:”La crisi non è finita. Bankitalia: operai più poveri”, a pagina 8 di mercoledì 22 aprile (Sara Farolfi). Ancora sempre sullo stesso giornale: “In 15 anni si è allargata la forbice tra autonomi e salariati”. Ancora, “la Repubblica” “Redditi, radiografia Bankitalia. Più poveri operai e impiegati”, a pagina 8 di mercoledì 22 aprile. Interessante a questo proposito il box proposto dallo stesso quotidiano:”+0,6%: le retribuzioni lorde sono cresciute solo dello 0,6% in 15 anni”. La classe operaia non è scomparsa: a sparire sono i suoi portafogli e i suoi conto corrente! L’altro giorno ho ascoltato alcune lamentele di operai che mi riferivano come “non abbiano tenuto i loro investimenti, piccoli, in polizze-pensioni”. “Fine della storia”, raccontava qualcuno alcuni anni fa. Si, della storia dei personaggi con la s minuscola, di quelli che sono “eroi” perché riescono a sfamare una famiglia per un mese intero “campando” con 1000 euro. Sempre “la Repubblica” titolava giovedì 23 aprile che “Due milioni e mezzo di italiani vivono in povertà assoluta” (Luisa Grion). “La Stampa”, giovedì 23 aprile: “Italia, quasi 2,5 milioni di poveri assoluti”(Fabio Pozzo). Ancora, “Liberazione” di giovedì 23 aprile : “Crisi, previsioni nere per l’Italia. L’Istat conferma la povertà dei lavoratori” (Sara Picaro). Stipendi e salari che ristagnano, mercato del lavoro flessibile e per coloro che entrano al lavoro ora, gli stipendi non sono così come dovrebbero essere. Stima e autostima a giorni alterni che si posizionano “una volta sull’on una volta sull’off”. Potrei continuare a ribadire dati e concetti, ma come dice l’amico Domenico, “il lettore potrebbe stufarsi dinanzi ad una riflessione lunga”. Ciò di cui non dobbiamo stufarci è la voglia di lottare, per modificare il nostro circostante e portare avanti le nostre istanze, le nostre richieste, che poi son anche le istanze di quelli “che non hanno voce”, ora. Per un mondo più giusto, perché un altro mondo è possibile! Perché là, dove c’è una Barbara “delegata Fiom uscente” e “ricandidata ad esserlo” è giusto perché il suo è “mettersi a disposizione di”, la sua è passione, il suo è “un credo”, la sua “è libertà” da condizionamenti. Barbara e molti altri hanno voglia di gareggiare, ma ad armi pari.
Corriere di Chieri. Venerdì 24 Aprile 2009. Classe Operaia va sul web di Federica Costamagna
Potrei continuare, ma la mia voleva essere solo e soltanto un’anticipazione ad un bell’articolo di giornale, a firma Federica Costamagna, che “non aveva l’intenzione di fuorviare”, perché oggi, bisogna leggere attentamente, tutto. Oggi, il divieto “è fuorviare”. Proprio oggi, Italia Oggi titolava “Ne azzeccassero mai una. Gli economisti? Un bluff. Un libro svela tutte le loro previsioni fallite” (Franco Bechis).
Studiare, mettere a disposizione il sapere, informarsi e informare: posso leggere, verso le ore 16,00 di un 24 aprile 2009, su di un tabellone ferroviario, un ritardo di un treno, “360” minuti e pensare tantissime cose, ma forse sarebbe meglio “stare dentro la notizia e vedere chi e cosa c’è dietro”.
Un’ultima considerazione: il Blog con me, con Rosina, Lucia, Daniele, Sebastiano, Massy e tutti gli Altri ti sostiene; coraggio Barbara, vincerai le elezioni.
Domani vi aspetto numerosissimi alle 11.30 davanti la casa di Gramsci.
“Mario Contu, cosa avrebbe votato, ora?”
Penso che ad alcune persone sia doveroso, da parte mia, dare una risposta “in grande”, e non da una “piccolissima finestra”, dove guarda caso, vorrebbero far passare tantissime persone, in questo quadro di congiuntura economica davvero desolante. Vorrei rispondere a Daniele, Sebastiano, e Lucia, che seppur non avendo scritto qui sopra, merita comunque menzione.
Daniele, in particolar modo, vorrei ringraziarlo; mi piacerebbe stringergli la mano. In un mondo, come quello attuale, dominato dal virtuale, in cui tutto è “tracciabile” e dove molti, grazie a questa “tracciabilità” riescono a costruire sondaggi e “manipolare consensi”, basati sui consumi e gusti, trovare qualcuno che ti dia gratuitamente fiducia, senza neanche conoscerti, esprime davvero una sensazione particolare. Daniele, mi piacerebbe poter ricambiare la fiducia che riponi in me, dato che i tuoi commenti denotano una partecipazione, direi quotidiana ai miei pensieri a cui dono forma in questo Blog. La tua proposta o auspicio è per me gratificante, direi è un pieno di autostima; la tua proposta di una mia candidatura mi lusinga molto. Quando ho iniziato a partecipare all’attività politica di un Circolo di Rifondazione, il Lenin di Torino, (un po’ di anni fa, si era ‘ “accompagnati” e presentati da qualcuno di fiducia, che già aveva avuto modo di conoscerti o che aveva sentito parlare di te, in fabbrica o in qualche associazione, e che, quindi, ti presentava al segretario del circolo e all’assemblea degli iscritti); l’ambiente era bello, accogliente, con molte diversità, e per questo, stimolante (molte mozioni) ma che davano (quelle a “diversità”) un carattere particolare. In seguito, grazie alle proprie sensibilità, alla lettura dei documenti e alla visione della società, che ognuno di noi aveva, esprimeva e manifestava, sulla base di quelle, un certo tipo di “appartenenza”: una sorta di “abbraccio” a qualche “mozione”. Ti differenziavi, ma nell’unità. Per quanto mi riguarda, ho cercato sempre di essere “fedele” a chi ora non c’è più, un personaggio di cui conservo ancora sulla scrivania una delle sue fotografie: quella di Mario Contu, “un comunista scomodo e contro tutte le ingiustizie”. Scomodo e contro tutte le ingiustizie. Cercava di essere sempre presente, in ogni ambiente, dalla fabbrica alla scuola. La politica si nutre di ragionamenti e i cambiamenti esistono, e sono legittimi; cambiamenti accettabili, politicamente, se motivati, presentati sulla base di un ragionamento politico; non a caso, negli ultimi anni, come partito, abbiamo scontato più scissioni che in altre nazioni o altri partiti. Nell’ultimo congresso di circolo, avevo deciso, con molto anticipo quale documento votare; avevo scelto ed ero determinato; scelta avvenuta, almeno fino ad un certo momento, dopo varie letture dei documenti e confronti con alcuni compagni “di Essere Comunisti”. Eppure, al momento del voto, ho constatato che molti compagni, che mi avevano accolto, accettato proprio in quel circolo, prendevano strade diverse per cui al momento del voto, mi sono chiesto: “Mario, cosa avrebbe votato, ora?” Scomodo e contro tutte le ingiustizie”; nel momento in cui avrei dovuto esprimere la mia scelta nel congresso di circolo, ho pensato che la cosa migliore da fare sarebbe stata una non scelta, “per non ferire alcuno”: l’astensionismo. Può un militante comunista porsi “problemi di coscienza” ? Questa domanda, l’ho sentita numerose volte, durante i due anni in cui il nostro partito era al governo; la coscienza, come facoltà propria dell’uomo di avere consapevolezza della propria attività, o consapevolezza intellettuale e morale delle proprie idee, dei significati e delle proprie azioni, o ancora sistema di valori morali, eccetera eccetera. E’ chiaro che l’obiettivo, per un partito che si dice comunista, è il risultato migliore per il movimento operaio, per la classe lavoratrice, e l'”io” forse dovrebbe retrocedere rispetto a quel movimento. Eppure, col tempo ho imparato che quell’astensione avrebbe potuto essere fatale per l’esistenza di un partito come il nostro. Di poco, ma c’è ancora. Fortunatamente, anche se fra la gente c’è confusione. Io vorrei continuare a pensare ad un partito che affonda le proprie radici nel movimento operaio, che rappresenti la classe lavoratrice, tuteli l’operaio, il lavoratore, “a prescindere”. Penso che il conflitto capitale lavoro esista ancora, così come l’operaio. Caro Daniele, ho incontrato moltissima gente a Roma, che ha sempre votato Rifondazione, ma che non ha capito la sofferenza che si respirava ogni volta che ci si trovava e si discuteva. La gente, non sa, quante volte ci si è trovati a dire: Compagni, la situazione è questa, domani si voterà per quel provvedimento. Pensate che siano stati soltanto egoismi personali? Che non si siano viste tutte le prospettive, quelle immediate e quelle di lungo respiro? Che non si sia pensato ai bisognosi, alla classe operaia, lavoratrice, all’identità di partito? Quanti durante il tragitto che ho incontrato si sono dimostrati delusi, e non solo dal partito, ma dal sistema della rappresentanza in genere. E così avviene sul posto di lavoro. Mi dicono in tanti: “ma come fai a crederci ancora”? Rispondo, che mi interessa la mia vita, che nel mio piccolo vorrei dare il contributo per un modello di società che ho in testa; che non ho più voglia di guardare gli altri seduto comodamente da una poltrona e dire che non mi rappresentano se compiono scelte sbagliate. Non voglio più delegare; ho solo voglia di “spendermi” nel mio piccolo, e non dare la responsabilità a nessuno, e se possibile, non trovarmi più a non dover scegliere. Non ti darò la solita risposta, che per candidarsi bisogna rispettare le “scale”, o la solita trafila: circoscrizione, comune, provincia, eccetera, o che le scelte vengono “calate” dall’alto, (come purtroppo è avvenuto per puro calcolo di voti quello ne porta tot, oppure, perché appartenenti a mozioni e allora le scelte dovevano essere calcolate col bilancino) dopo aver speso tantissimo tempo a parlare di “scelte dal basso”, o “partecipazione democratica”. Le scelte precedenti, sappiamo dove ci hanno portato. Penso che non si sia chiuso un periodo. Anzi. Il mio scopo, il mio interesse, come dicevo oggi al presidio (onestamente, poco partecipato, davanti alla Prefettura di Torino) è stare, finché posso, in mezzo ai lavoratori. (e spero che si torni, presto, al lavoro, tutti!!!). Ho iniziato a manifestare, partecipare un po’ di anni fa. Eravamo un milione; ma “ero un po’ alla finestra”. Ora, non ho più interesse a lasciare anche un piccolo spazio a chi sta operando scelte difformi dal mio modello di società. Contrastare chi ha un disegno diverso, per poter continuare nel solco di Mario Contu: “contro tutte le ingiustizie”.
La seconda risposta è per Sebastiano: ti ringrazio per la disponibilità a fornirmi esperienze, storie, piccole e grandi di persone in carne ed ossa, che una società fortemente ingiusta come la nostra, sta riducendo sempre più “ad ossa”. Anche a me viene la pelle d’oca quando guardo e riguardo il video, le foto accompagnate da una bella musica. Il ringraziamento di tutto ciò va a Domenico Capano che ha suggerito quel sistema di comunicazione, a mio modo di vedere efficace e diretto. La mia fortuna è stata quella di conoscere te ed il tuo gruppo: penso che una vera accoglienza possa esserci solo condividendo le miserie. La scelta di stare col treno dei metalmeccanici, un modo che solo “il cartellino” dice non più mio, ma che insiste sulla mia pelle e vorrei che tale rimanesse, anche se, come dice Daniele, le “due lauree” dovessero portare qualcosa di buono. Anche se a volte, la laurea, per alcuni, serve solo a “volare”, con docenti che si impegnano nella trasmissione del sapere, ma poi, “a far uscire aria dai denti” e dire “buongiorno” fanno tanta fatica. La semplicità è l’ingrediente principale. “Compagni” vuol dire condividere il pane, ed io sono stato molto contento di averlo condiviso con voi, certo in un momento difficile, ma vorrei continuare a condividerlo anche quando, presto, staremo meglio.
Grazie per la collaborazione che vorrai dare, sono belli gli atti spontanei, gratuiti, perché provenienti dal cuore, e da un certo stile di vita, non come quelli, che sono tanti, che promettono, che dicono “ti chiamo”, “ti aiuto”, “ti scrivo quello che mi hai chiesto”, e poi, si nascondono dietro un falso “sano egoismo”. Ritroviamoci, siamo tantissimi, se cominciamo a contrastare lo spazio che altri si sono presi (elettoralmente, tornando là, dove eravamo e siamo sempre stati), sono convinto che ce la faremo. Moltiplichiamo gli esempi.
Infine un pensiero, “Lu”: anche io mi sento “inadeguato” come ti sei sentita tu, davanti alla marea montante di bisogni che la società reclama. Tante volte si vorrebbe fare anche l’impossibile, per arrivare là dove i tuoi occhi hanno visto ciò che l’altro non ha espresso, perchè le risposte più belle sono quelle che diamo ai bisogni che non si sono manifestati. Ti conosco, e ti stimo, so che nel tuo, sai essere vicina al bisogno. Coraggio. Riusciremo a dare risposte. Camminando.
Classe operaia, classe del futuro
Questa mattina, dopo tante insistenze da parte di alcuni ex colleghi di lavoro, tesserati Fiom, ma appartenenti a Lotta Comunista, ho deciso di andare ad un loro incontro; mi era stato detto che in quella sede avrebbero parlato alcuni sindacalisti Fiom, e tra questi, uno davvero bravissimo di Genova. Confesso di conoscerlo poco, ma i suoi interventi, per me, sono stati davvero illuminanti.
Il primo intervento che mi ha colpito è stato quello riguardante la cassa integrazione, che non è pagata con la fiscalità generale ma con i contributi versati da lavoratori e aziende con quote diverse: 0,3% e 2%. Si stoppano così quanti dicono che: “son soldi di tutti versati a quanti non fanno niente”. I conti tra l’altro dicono, che la differenza tra “quanto entra e quanto esce” per questa voce lascia comunque in attivo le casse: quindi, i soldi ci sono, si tratta solo di capire dove sono stati messi. Quindi è vero non soltanto che i soldi esistono, ma che potrebbero andare ad incrementare quella percentuale, davvero irrisoria, che è versata ai lavoratori in cassa o a quanti non possono essere collocati per altri motivi che non prendo in considerazione.
In ogni caso, la crisi, non la “pagheranno le generazione future” come sostiene qualcuno, ma moltissimi. I lavoratori, la classe operaia, la stan già pagando ora. Classe operaia che rimane e resterà “la classe del futuro”.
Dopo aver ascoltato un paio di interventi esco, e sul bus provo a rileggermi l’articolo dell’amico di partito Marco Albeltaro, e mi dico, “Bravo Marco, hai ragione; abbiamo perso tanti congressi, ma a nessuno di noi era venuto mai in mente di lasciare il partito”. Leggendo quell’articolo ho ripensato a quanto “combattuti” fossero i due congressi a cui ho partecipato; nel pensarvi, l’ascensore della memoria correva ad un grande amico che ora non c’è più: Mario Contu.
Sciopero generale 12 Dicembre 2008.
12 Dicembre 2008. Così, il grande giorno, come risposta ad un insieme di problemi, è arrivato. Prima di recarmi in Piazza Vittorio, a Torino, dove era previsto il concentramento dei manifestanti, mi soffermo in edicola e acquisto dei giornali. Il manifesto, Liberazione, Repubblica, La Stampa. Strada facendo, per come posso, dato che il traffico impazza nella mia città, Torino, fisso l’occhio sull’editoriale di Gabriele Polo sul Manifesto: “Sciopero unico”. Ma non è tanto il riferimento allo sciopero che mi colpisce, quanto, fin dalla prima riga, si legge: “Ieri un operaio è morto all’Ilva di Taranto. Sono quarantaquattro in quindici anni gli uccisi dal lavoro nelle fabbrica italiana della morte“. Il morto è un operaio manutentore Jan Zygmuntjan Paurowicz, di 54 anni. Anche Liberazione,ricorda il morto di ieri e sotto il grande titolo Sciopero Generale, ne ricorda un altro, mort nello stesso posto,poco tempo fa: “Sono morto così, all’Ilva, pensando a Francesca”. La lettera di Francesca Caliolo che racconta la storia di suo marito che lavorava all’Ilva, morto sul posto di lavoro.
Repubblica, a pagina 24 titola “Tragedia all’Ilva, muore un operaio. Taranto, il lavoratore travolto da una gru. E’ la terza vittima nel 2008“. Quello che mi colpisce di più è il box a destra del giornale in cui si indicano i numeri, sempre così freddi delle vittime sul lavoro: 1376 la media di questi anni; 1546 il picco nel 2001; 1260 quelli del 2007. Il mio pensiero chiaramente ritorna a sabato mattina: è possibile che di fronte a queste tragedie sabato mattina ci sia stata quella poca partecipazione? E così, la grande voglia di partecipazione alla manifestazione e la volontà di gridare “la vostra crisi non la paghiamo” è stata stoppata da questa grande amarezza. Appena giunto a Piazza Vittorio, vedo tra il gruppo di Sinistra Critica l’amico Franco Turigliatto, poi altri amici conosciuti in manifestazioni varie. La sinistra era collocata al fondo, Comunisti Italiani, Rifondazione Comunista, Sinistra Critica; prima ho visto i giovani dell’Università e quelli della scuola in genere. I metalmeccanici della fiom, e vecchi colleghi di lavoro, preoccupatissimi della lunghissima cassa integrazione che dovranno affrontare. Proprio aspettando di metterci in cammino dò nuovamente un’occhiata ai giornali e scopro che un’altra fabbrica, a Torino, si fermerà per undici settimane: “Sciopero Cgil, ma la crisi si aggrava. Si ferma per undici settimane la fabbrica dei trattori: 700 in cassa“, titolava in prima pagina dell’edizione di Torino la Repubblica.
La Stampa, sempre nella cronaca cittadina, con le parole della giornalista Marina Cassi, indica in “sessantamila metalmeccanici in cassa integrazione nell’anno di cui 51943 a partire da ottobre.
E poi 3 mila lavoratori chimici, almeno 500 delle telecomunicazioni e centinaia di altri settori, dalle imprese di pulizia al commercio all’artigianato”. Numeri pesanti che fanno capire il perchè delle motivazioni dello sciopero.
Tra le tante notizie di questo tenore una mi ridà qualche spiraglio di speranza: il Manifesto, racconta che “La Gelmini è costretta a fare dietrofront. Una prima vittoria dell’Onda“…. Speriamo.
Per ritornare al racconto della giornata di oggi, dopo aver aspettato la partenza del nostro gruppo, scambio qualche chiacchiera con il segretario regionale di Rifondazione Comunista, Armando Petrini. Ovviamente dopo aver fatto un po’ di analisi sulla situazione attuale guardiamo altri striscioni, quello dei Comunisti Italiani, quello di Sinistra Critica, le bandiere del Partito dei lavoratori di Ferrando. In quei gruppi ognuno di noi ritrova amici, compagni di lavoro, di circolo, e ricordi che ci raccontano dibattiti e lunghe serate a discutere su un documento o un volantino, a volte su una parola da citare o da omettere. La chiacchierata si fa lunga, si profila un “come potrebbe essere”, un raffronto con la situazione francese della sinistra, e mentre parliamo, si alza uno striscione con “Ciao Rocco“, compagno di Rifondazione deceduto pochi giorni fa.
A me, ovviamente, viene in mente anche un altro compagno che fisicamente non c’è più, ma continua ad essere tra noi: “Mario Contu“. Il suo pensiero si fa più forte quando vedo gli studenti, lui, sempre presente in mezzo a loro con la capacità di capirne le loro aspettative, le loro esigenze, i loro bisogni, e a tutto ciò saper dare una risposta immediata, concreta grazie al suo impegno. Sempre in prima fila: sia fra gli studenti sia fra i metalmeccanici. Dopo questi brevi frammenti di ricordi, finalmente si parte. Vedo i ragazzi, i precari della scuola, a sinistra di via Po, vedo alcuni che cercano di “murare” simbolicamente una banca. In piazza Castello mi “sgancio” perchè ho voglia di condividere qualche pensiero e qualche riflessione con alcuni ex colleghi di lavoro, star loro vicino in un momento così difficile, pieno di incognite, e con poche alternative. Insieme decidiamo di “scalare” posizioni, e vediamo quasi tutti i gruppi. Arriviamo in una piazza San Carlo, solo noi, vecchi colleghi e decidiamo di vedere chi arriva davanti all’Unione Industriale. I primi, quelli dei Cobas.
Salutiamo ancora qualcuno, e…..decidiamo di rincasare.