L’attesa infinita

DSCN3780DSCN3736La giornata sotto la mole, ai piedi della Mole, volge al termine. Poche ore  e poi via all’operazione saldi anche nella nostra città. La città della Mole un po’ sotto-sopra, non solo per una storia romantica lasciata a metà, rimasta al chiuso dell’ascensore antonelliano. E’ Sotto-sopra per l’operazione Fiat nella speranza già auspicata che possano aprirsi spazi lavorativi per i tantissimi operai che del lavoro hanno bisogno. Insomma, abbiamo bisogno tutti di un brindisi. Non solo le borse.

Nei locali, intanto, si continua  a dipanare la storia che ormai è divenuta un ritmo…Perchè l’amore nasce da un dettaglio. Da un particolare. Al tavolo, ora sono in “diciotto”.  Il conto, al termine della serata, si paga in euro. Con qualche riferimento a Bill, parla di Bill che “entra” in metropolitana, come un uomo qualsiasi. Molto “normale”. Uomini, donne, personaggi che vivono nel quotidiano, e quel quotidiano è lo specchio del noi. Situazioni che ci appatengono. E forse, la maggior parte dei seduti a quel tavolo, preferirebbe non parlare della coda al bancomat, per le banconote nuove di zecca da avere subito, tra le mani, della festa in Lettonia, del brindisi  iniziato da poco per festeggiare l’evento.  No. La normalità è inscritta all’interno di storie come  quella di Veronica e di Vincenzo. Delle loro lettere al Presidente della Repubblica e ricordati per dare voce al disagio, richiamati come esempi, come valori, in questo Paese che pare essere “senza”, nella sera del discorso di fine anno, per l’imminente Capodanno. Veronica e Vincenzo. Che parlano di noi. Sono nostri rappresentanti. Del nosttro disagio. Del lavoro che manca, che si cerca. Alienato, assente. Un fatto storico, un fatto antico, quello del lavoro. Così antico che è da Antico Testamento. Da Genesi. E noi inscrititti all’interno di quella polarità dialettica: “fatto di pena”? o “fatto di riscatto” e di costruzione del sè? Fatto che risponde alla domanda del “chi sono io” e cosa sono. Domanda intima e domanda pubblica che si intersecano. Così come la storia di Diego e Marilisa, una storia che parla di noi. Del mistero di un incontro. Loro e nostro.

L’attesa

DSC00005DSC00003Odore di neve, intorno e sopra la nostra città. Aria fredda e gelida. In lontananza un acronimo ricorda gli auguri da rivolgere ad una “piccola scatola”, che ha avuto il pregio di farci sentire sempre in prima fila. A casa nostra. Se abbonati. Certo, ha conosciuto surrogati validi e validi concorrenti, ma resta sempre “mamma Rai”. Da 60 anni, una presenza importante per la nostra città. E un Paese intero.  In quei pressi, via Verdi, dove era stato rinvenuto un biglietto, d’amore, che era una poesia d’amore,  e un fiore, non colto, come tantissimi amori, non è più rimasta traccia. Palazzo Nuovo, più giù. E altro ancora, ancora piu giù. Chissà dove. Quel biglietto, divenuto pubblico, e forse voluto tale, libra sul cielo della nostra città, muovendosi e cambiando casa, di volta in volta, alla riscoperta dell’altra metà, del cielo. Per ora, bisogna attendere. I personaggi interessati, e il biglietto, vivono e sono vissuti da molti a mezz’aria, librati, in attesa. Come stelle sul finire della notte. Ancora danzanti, ma, leggermente percettibili. Che suscitano ancora stupore. Danzanti tra le stelle, riusciamo ad immaginare Diego e Marilisa. Il bis non è solo dei volti noti, di personaggi olimpici. Anche loro ne hanno diritto, scrittori di un amore olimpico. Ora, sono sospesi. Personaggi chagalliani. Diego e Marilisa, si tengono ancora per mano, meglio, li teniamo ancora per mano in uno sfondo da storia d’altri tempi. Chissà in quanti sono in attesa di avere notizie, di quell’amore, di loro due, di poterne sapere di più di quel momento, del bacio, primo, generatore di tutto, per il momento, volato via. Diventato oggetto chagalliano pure lui.  L’augurio di alcuni, davanti ad una tazza di caffè,  nel posto più “social” d’Italia, il bar, è  quello che tutti auguriamo a noi stessi. Un medesimo paesaggio, seduti, in piedi, passeggiando, condividendolo, in silenzio, le sue fore, gli odori, la luce, in una unità di intenti. Che sia poi il mare, che sia la montagna, non importa. Il mare, magari, conosce forme di autentico romanticismo. Il mare d’inverno. Il mare al tramonto. Il mare di marzo. Il mare di novembre. Il mare sempre. Ci aiuta, forse il volo dei gabbiani, il confine indefinito fra cielo e mare. La schiuma, il rumore, così forte, il suo fischio, nelle orecchie. Forse. Quando un semplice bastoncino  viene restituito dalla sua schiuma biancastra, per molti, quello, muta  forma; un lapis, una matita ideale, un oggetto di scrittura, pronto all’uso, per scrivere, sulla sabbia. Pezzi di storia. Tracce. Date, di incontri, di baci, di nomi. Poi, non è dato a noi saperne la durata, l’intensità. Segreti. E li, sulla sabbia, ti capita di godere del momento, e berlo tutto. E perderti. Oppure, ti scappa la domanda fatidica: “ma tu mi ami?” E comprendi che non esistono persone da amare o non amare. Esistono le storie, tutte diverse, da ascoltare, per chi ne ha voglia.  E le cose scritte per  chi non aveva voglia di ascoltare, il mare, prima o poi, se le riprenderà.  Perchè le ricacciamo noi. Era un prestito, quella matita. Un mare da amare se la riprenderà, prima o poi. Un bene collettivo, che prima o poi, il mare restituirà ancora e ancora, a qualcun altro, innamorato, a chi passava di li, a caso, per caso. E nasce qualcosa, forse. Ma l’altro non lo si sceglie mai a caso. C’era un progetto. “Facciamo che io sono e tu sei…” Di ogni cosa, averne cura. E’ un lascito, per tutti. Prima o poi, la ruota girerà ancora. La rotazione terrestre ripeterà ancora e ancora e ancora…Basta aspettare. Il mare concederà. Granelli di sabbia prendono forma, danno corpo a qualcosa di intenso. Castelli, a volte di sabbia, con porte che si chiudono troppo in fretta, “insabbiati” al primo stormir di fronde. Come granelli di farina. Se poi dello stesso sacco, la storia prenderà corpo. Se capaci di “mettere un tramonto nella tazza”, l’amore poi, è garantito. Nel posto più social, poi, qualcuno sostiene che ci manca sempre qualcosa. Anche una carezza. Anche un bacio. Che arrivano tardi. A volte si pesca il biglietto sbagliato.

Mentre l’attesa continua, per entrare al Museo Egizio, a Torino, alcuni brindano, e così in altre zone del Paese, o del mondo. Le borse. Speriamo che questi brindisi si accompagnino anche alla creazione di posti di lavoro, veri, per far brindare anche chi vorrebbe lavorare.

Inanto “casa Diego e Marisa“, sfrattati dove avevano chiesto asilo, un cancello,  sono stati ospitati nell’atrio di Porta Nuova, insieme a tante altre storie che piene di speranze.  In attesa. Che qualcuno le ascolti. Per il momento sono librate. Nell’aria. In attesa di brindare. Pure loro.

In attesa, prima di rientrare anche io, a casa. Un caffè. L’insegna, rossa, dice “Hotel Roma”.  E allora, ricorda che “Sei terra che dolora e che tace. Hai sussulti e stanchezze, hai parole, cammini, in attesa”. (Cesare Pavese).