Corgiat, quando “il pane va via come il pane” da 50 anni

 

Pantetteria Corgiat. Torino, Corso Principe Oddone 38. Foto, Romano Borrelli“Siamo venuti a Torino nel luglio del 1965. Mio marito era di Caselle e io, di San Maurizio Canavese…”

Comincia così la storia di quasi cinquant’anni di lavoro (e famigliare) con l’approdo a Torino, nel borgo Valdocco, Maria Ausiliatrice, di Cristina Corgiat e della sua famiglia. Una storia all’ombra della cupola della bellissima Basilica di Maria Ausiliatrice e dove tutto ricorda l’opera di don Bosco e dei Salesiani.

Incontro Cristina, (verso metà maggio) al numero 38 di corso Principe Oddone, a Torino. Fermata bus contrassegnata dal nome della palina “don Bosco”. Una panetteria “incastonata” tra il corso, via Brindisi, via Ravenna, via Biella. Profumo di pane per tuta la Circoscrizione 7. Profumo di pane su molte tavole torinesi. Prima di cominciare questo ricordo, Cristina non ha voluto rilasciare fotografie, ma tutti saranno i benvenuti nel suo negozio. La seconda. Le scuse anticipate per la lunghezza, ma ogni virgola, di questa storia, merita di essere raccontata. 50 anni nella stessa panetteria sono davvero “d’oro” e una medaglia la meritano.
Cristina, occhi azzurri, modi genti, garbati, mani delicate, grembiulino bianco, candido, sempre addosso, nata il sette di agosto del 1929, “anche se mi segnano il sei sulla carta di identità”. A quel tempo, probabilmente, la scuola commise un errore e così, quella piccola imperfezione è rimasta. A dire il vero,  l’errore è rimasto anche perché da parte mia non ho esposto un particolare rilievo di sorta all’anagrafe.” Cristina, già a 21 anni  decise per il grande passo della sua vita, convolando a nozze con Silvio, suo unico primo e grande amore. Silvio, nato il tre novembre del 1927. “Un gran lavoratore, sempre a contatto con farina, acqua, e lievito. Figlio di una famiglia di panettieri, grandissimi  lavoratori  e con ridottissimi tempi di libertà”.  Lei, ne parla come lo avesse incontrato ieri, con una delicatezza e un amore ineguagliabili. Ma quando quella era in agguato, Silvio si dimostrava un ottimo ballerino, non perdendo mai occasione per mettere in mostra la sua abilità.  “Ai balli pubblici, lui era davvero un bravissimo ballerino. Mi ero innamorata di chi sarebbe diventato presto mio marito e lui avrebbe voluto sposarmi anche prima, all’età di diciotto anni.”  Complice della loro conoscenza, come sempre avviene, un’amica. Silvio, in realtà, era ancora molto giovane; un ragazzo di diciannove o venti anni, e con il militare ancora da assolvere. Un ragazzo si giovane  ma deciso e innamorato quanto Cristina. Certo, qualche resistenza da parte del papà di lei, non si fece mancare, ma Silvio, era davvero ostinato:  il militare, altro ostacolo, insieme alle gelosie del padre e fratelli di Cristina  non avrebbero certo creato difficoltà alla forza di un amore.  Quando si vuole, si vuole. Nulla da aggiungere. Così a 21 anni, Silvio e Cristina si avviano a formare una nuova famiglia. 

Era il 1950, entrambi giovani, molto felici e consapevoli della scelta, grazie ad un grandissimo amore.Panetteria Corgiat, Torino. Corso Principe Oddone. Foto Romano Borrelli

La vita, si sa, spesso dà, spesso toglie. E così, Cristina, ben presto in seguito alla morte della mamma  si è trovata a fare, lei,   “da mamma” ai suoi fratelli per tre anni circa . Almeno fino a quando non ha gustato essa stessa la grande e bellissima esperienza di diventare mamma di tre bambini.

 
Ezio, nato il tre dicembre del 1953, a Nole.
Francesco, nato il 15 d’agosto del 1956, a Villanova Canavese, paese “dove abbiamo lavorato”, aggiunge Cristina.Corgiat Francesco. per gentile sua concessione.

Il vecchio proprietario di un forno di quella cittadina “aveva avuto un incidente e in quell’occasione siamo andati a sostituire l’infortunato. Eravamo stati a casa da Nole, e quindi senza lavoro,  perché quei proprietari non avevano rispettato le condizioni del contratto pattuito. Ricordo che era un contratto triennale.” Nel frattempo, Cristina, non si è scoraggiata e  ha dimostrato di essere una grande lavoratrice dimostrando la sua qualità di ottima lavoratrice anche in altro settore. In fabbrica. Continua inoltre l’amore e il rispetto anche per la famiglia di Silvio.  Da Nole infatti, andava a lavorare col treno a Caselle. Da qui, nei fine turno, o ad inizio turno,  andava a trovare i suoceri, che lì avevano il negozio.  Cristina, una volta arrivata a Caselle e dopo aver salutato i suoceri, inforcava la bicicletta per tre  km circa, dove aveva luogo la fabbrica in cui lavorava.  “Era un lanificio. Si chiamava  “Bona”. Ero obbligata a lavorare. Non c’erano neanche i soldi per comprare il latte”.

Ma, nel frattempo, nasce anche il terzo figlio, Fiore.
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Fiore, nato il 27 ottobre del 1958, a Ciriè.

Cristina e il lavoro. La fabbrica e la panetteria.
“La fase più consistente di questo lavoro, quello del  pane,  è  per me collocabile in una piccola cittadina alle porte di Torino, Druento dove abbiamo lavorato per circa sei anni. Una panetteria con forno a legna.  Eravamo in gestione, nel centro del paese, in via Carlo Casale.”  Prima ancora, una breve esperienza presso una panettiere Cooperativa di Nole Canavese. Una Cooperativa dotata di forno dove annesso era il magazzino dedicato alla vendita di altri prodotti. “Ma noi ci occupavamo solo della panetteria”. La nostra retribuzione era a quintali di pane prodotti e venduti. “Noi lsiamo andati a sostituire un panettiere.”
Nel 1965, Torino era stupenda. Tutto era così diverso e bello rispetto alla realtà di paese. C’era tantissimo lavoro.  C’era una grande bellezza, e lo dicono in molti, anche se, il lavoro, e talune condizioni lavorative, mi riferisco alle condizioni di lavoro di fabbrica,  erano davvero pesanti.  “Si faceva il pane per noi, per il negozio e per i ristoranti, e le trattorie qui intorno.” Era proprio un grande borgo. Con tante attività. Un bellissimo borgo! Ed è vero. Dopo aver ascoltato le sue parole le parole di Cristina le confronto con quelle di altri residenti di quel periodo che mi ribadiscono l’identica affermazione.

Penso, influenzato anche da alcune letture di questo periodo, che occorre coraggio nell’ammettere che c’è più bellezza di quanta i nostri occhi possano sopportare.  Penso a quante cose sono state messe nelle nostre mani e non fare nulla per onorarle equivale ad arrecare danno. In questo negozio, in questo borgo, nel lavoro, nei lavoratori, nei cortili ovunque si volge lo sguardo, ogni frammento di questo mondo, risplende. Di luce forte, che non è questa, artificiale. Altra luce.

Dodici ore di lavoro, nel retro, dove era posizionato il forno, e dove lo e’ancora, e altre  nel negozio, come commessa.

Nel borgo, l’insediamento dei Salesiani, con la Basilica di Maria Ausiliatrice e il primo oratorio di don Bosco, sono stati  determinanti per la scelta del quartiere e l’economia stessa. Fedeli e studenti, passavano in continuazione da qui, chi per il pane, chi per la pizza, che, a dire il vero, era, è, una delle migliori di Torino.

Cristina continua: ” Noi lavoravamo molto per i ristoranti. Le trattorie chiedevano sempre pane e  anche in quelle si lavorava molto. Qui, nei pressi c’era un  ristorante che richiedeva circa 20 kg di pane al giorno. Ogni giorno  quella fornitura  non erano mai sufficiente. Il ristorante era quello in corso Principe Oddone, probabilmente al numero 32, titolare Malanca.
Noi vendevamo il pane alle suore, al patrocinio di via Ravenna.” Nel quartiere era forte l’insediamento di numerose scuole superiori, geometri, chimici, per acconciatori, e quindi, la mattina alle sette c’erano già i ragazzi fuori dal negozio  che passavano a prendere la propria colazione.

Per  la panetteria Corgiat e per questo Borgo, l’affermazione “il pane va via come il pane” è davvero la più appropriata.Interno Panetteria Corgiat. Torino, Corso Principe Oddone. Foto Romano Borrelli
Il quaderno con i conti aperti. Cristina, occhi azzurri, modi di fare garbati e gentili, una grande bontà di cuore, è corredata anche della capacità di “guardare” dentro i sentimenti delle persone. Riuscendo ad anticipare, necessità e bisogni altrui, con risposte immediate,  quando altri non  riescono a manifestare ed esternare le preoccupazioni, per timidezza o per vergogna. In molti manifestavano  difficoltà economiche,  “come facevo io a negare loro il pane quotidiano”? Come potevo se, oltre che leggere i loro sentimenti, ne conoscevo anche le loro storie famigliari? A molti concedevo di fare  la spesa, senza pagare subito, e quando percepivano lo stipendio o  la “quindicina”  avrebbero avuto modo di onorare il dovuto. Se potevano, pagavano altrimenti lo avrebbero saldato successivamente.  Per come potevano. Per quando potevano. Alle necessità,  sono stata abituata a  rispondere immediatamente. E poi, il pane!  Chi negherebbe il pane “ai propri figli?”. E chi lo avrebbe mai negato a chi lo richiedeva? Pagavano due volte al mese perché all’epoca le buste paga erano due. L’acconto e il saldo. Erano diversi clienti che avevano un conto aperto, da noi. “A dire il vero, la rubrica era piena.” Gli occhi di Cristina si inumidiscono. Penso a quanto noi esseri umani siamo cattivi e spesso facciamo del male. Nella storia, la cattiveria dell’uomo sarebbe riuscita a far piangere una pietra. E ad uccidere ingiusti. Talvolta si aprono occasioni per fare del bene al prossimo, per partecipare anche noi a “rimettere il debito”. Pensieri. Cristina continua. “Era una possibilita’ che avevo, per fare del bene, e cercavo di farne, come potevo. La bontà che emana dalle sue parole, scalda il cuore. E lascia speranza, per i gesti che hanno edificato molto, in molti. In questo quartiere e in molti, a Torino. Penso che cosi come avviene per i credenti, che  il Signore perdona e lava  le colpe cosi  Cristina e altre persone di bontà son riuscite e riescono allo stesso tempo, con genti semplici a togliere “quello sporco dal viso che sovente ci portiamo addosso”. O asciugare qualche lacrima. Con la prontezza delle risposte. Riprende il discorso e dice: “Ancora adesso mi telefonano. Una signora in via Ravenna, conserva  quei ricordi, e non smette mai di ringraziare. Questo è per me un piacere che ha arricchito e continua ad arricchire la vita. Non solo la mia. In quel modo mi è stato possibile far un pochino di bene, e forse guadagnare altro tesoro”.  Alza gli occhi al cielo, direzione Basilica. A Druento, un signore, che desidera restare nell’anonimato, M.T. aveva un conto aperto, di circa diecimila lire. Nel frattempo, M.T. era tornato per alcuni mesi al Sud, e nello stesso periodo, Cristina e famiglia avevano lasciato quel paese per recarsi a Torino. Non si sono più visti. Rivisti. Per saldare un conto. La vita di città è frenteica. Quando ti perdi, difficile ritrovarti. Invece…Dopo qualche anno di distanza, il signor M.T. è riuscito a rintracciare Cristina e la nuova panetteria, grazie al “profumo” del pane,   ma avendo già cestinato quella rubrica, la nostra brava panettiera aveva “rimesso”  quel debito ugualmente. Il sig. M.T, ricorda di essersi recato nella panetteria e di aver allungato una banconota da diecimila lire. Il suo debito, mai dimenticato.  Un gesto ricambiato da altra  bontà ‘. M.T. Ricorda sempre di aver ricevuto in dono cioccolatini, dello stesso valore del debito appena saldato.

Ho pensato molto a questa storia delle rubriche. Onestamente, l’ho vista, in giro. O meglio, la ricordo. Si potrebbe ricostruire l’economia di un quartiere. Ho pensato possa essere uno strumento valido per i ragazzi, per trarne tesine. L’economia famigliare di un borgo. Analizzarne i consumi, i tempi in cui si poteva, riusciva a pagare. Le annotazioni, come a piè di pagina di un libro. Ma Cristina, non finisce mai di stupire. Qui, in questa panetteria non esiste più, nel senso che lo  si “cestina” presto per non lasciarne tracce.  Si “cancella”, si rimettono i debiti. Un gesto molto evangelico.  E ancora, vengono alla luce alcune pagine di un libro, al pensiero di questa gentilezza e bontà. “Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Siamo davvero dei grandi segreti, gli uni per gli altri e ognuno racchiude una lingua, un’estetica e una giurisprudenza a sé stanti. Siamo davvero piccole civiltà erette sulle rovine  di un’infinità di civiltà precedenti, con i propri concetti di quanto e cosa è bello e accettabile. E di cosa non lo è”.

Penso a storie di debiti, crediti, storie di infinita bontà. Una storia di “pane quotidiano“, di debito, di reintegrazione, di remissione dei debiti, nostri e di altri, di grazie, di grazia. Sentire una volontà più grande attuata per nostro tramite.

Cristina, riprende il racconto sul negozio, e sui debiti. “Questo negozio ha conosciuto davvero un esborso di denaro  molto forte. Nel 1965 questo negozio costava sedici milioni. Mio marito riposava lì (e indica un luogo), più lavoravi e più vendevi. Le scadenze erano continue. Questa era la casa. Sedici milioni era l’equivalente di una casa di tre piani.  Abbiamo fatto sacrifici sempre. A Silvio, mio marito, piaceva tantissimo Torino. Da giovane, il papà di Silvio era venuto a lavorare a Torino. Spesso affermava che era meglio un anno di lavoro nella grande citta’  che dieci  in paese.”

Nel frattempo, le campane di Maria Ausiliatrice suonano l’ora. Viene da pensare alla Madre. E qui, l’abbinamento è immediato con la farina madre. L’impasto lo chiamano, in piemontese,  “il levà”, che è quello della sera. Si lascia “depositare”  e alla mattina, si fanno due o tre impasti. Se ne prende un pezzo, lo si rinfresca, e si aggiunge  la farina e quindi un po’ di lievito di birra per “carezzarlo“, ma poco, perché ha già la forza, sotto, che poi, lo farà lievitare. Resta un pane normale, più buono, perché si conserva. Tutte le sere si procede con questa operazione. Ancora oggi. Il pane, in tal modo,  emana il profumo, cosa che oggi non si sente più, né per le strade, nè tantomeno in panetteria, forse perché si mette troppo lievito, che velocizza il processo ma non dona il profumo.

Il sacrificio e la felicità nel lavoro.
Il tipo di lavoro richiedeva, e richiede,  una grande responsabilità e impegno.  Al servizio per il prossimo. “Cercavamo la gioia nel vedere tutta quella gente, sapendo che quel pane avrebbe raggiunto tantissime case, tante tavole. Quel pane avrebbe parlato anche di noi in case altrui. Era lì, tutti i giorni. Sulla tavola. Questo, conferiva la forza che il lavoro richiedeva. Non ti sentivi mai stanca. Gioventù, gioia, i figli, che volevi che nella semplicità fossero stati  come tutti gli altri. In Comunione. ”

Dopo queste parole, immediato il pensiero al Vangelo di Giovanni.

Racconta  e si racconta ancora. “La malattia di Silvio ha richiesto un dispendio ulteriore di forze. Negli anni ’70 ha cominciato a non stare bene, pero’ si stringeva i denti e si andava avanti, anche nella malattia. Lavorava perché i figli erano giovani. Le forze venivano a mancare, lentamente, giorno dopo giorno,  e così  ho cominciato a fare ” il garzone,” dato uno, come aiutante, non ce lo si poteva permettere . Ho imparato a fare il lavoro quasi come lui. Io mi occupavo della famiglia, ma, al mattino ho sempre aiutato mio marito.” Lavoro, lavoro, lavoro.

I rapporti con il borgo.
C’erano tre panetterie nel borgo  e tutte  possedevano un  forno proprio. C’era Gillone, che in realtà erano tre fratelli, in via Biella, poi c’era Pennone, in via don Bosco e noi, Corgiat. Poi c’erano le rivendite. Maria Teresa era una di quelle. “La gente era bravissima, tutta. Quelli provenienti dal Sud, poi, erano delle bravissime famiglie. Per me erano tutti uguali. Ognuno con la sua famiglia, venuti qui per lavorare. Bella e brava gente. Ragazzi che vengono ancora a trovare. E ringraziare. Ragazzi di un tempo che hanno lasciato crescere i baffetti o la barba, ex ragazzi che non conosco più ma che loro si ricordano di quando vendevo loro la pizza e di tanto in tanto, allungavo un grissino, come capita di fare, quando entra un bambino.”

La crisi degli anni ’80.
La crisi di quegli anni, qui, in panetteria, si è fatta sentire poco, fortunatamente, anche se, in molti cominciavano a spostare  residenza proprio in virtù di quel fatto. Oggi di pane se ne produce molto meno. Il Toscano,  tipo di pane che un tempo si vendeva in grandissima quantità, oramai non ha più mercato. Un tempo le quattro bocche del forno andavano a pieno regime, con il  pane toscano in cottura. Ci andava una giornata per produrre quel   tipo. Aveva una lievitazione molto lunga, pero’. Che pane era quello!”
“Un tempo i grissini si facevano tutti i giorni, poi, han subito un calo. Li produciamo due o tre volte la settimana.”
La pizza, invece, andava tutti i giorni. Usciva più volte al giorno,  forno, pronta per i ragazzi delle scuole.

Cristina e le ferie.
Cristina, non ha mai visto il mare. O meglio, una volta sola.  A parte un ricordo di una giornata- regalo di Ezio, il figlio,  che trovandosi a  Ceriale per lavoro, decide di farle il dono  del mare. Merito suo, infatti, se Cristina è riuscita, per qualche minuto, ad “accarezzare” il suo sogno di vedere il mare. Intorno agli anni ’70, infatti, Ezio, da Ceriale, telefona al fratello, dicendo gioia:  “Prendi mamma e accompagnala qui, di modo che non avrà scuse da accampare sostenendo di non essere mai stata al mare.”

La paura di un eritema solare e un po’ il brutto tempo, contribuirono ad un incontro, tra Cristina e il mare davvero ridotto. A Savona difatti, la colsero tuoni e fulmini. Sicuramente, era il tempo che festeggiava con fuochi d’ artificio questo incontro. Da quella volta, il  mare, Cristina non l’ho mai più visto.
Il marito Silvio è mancato nel 1978.  “Ho tribolato molto per aiutare a  crescere tre figli e sofferto tantissimo la mancanza di mio marito”.  Torino non era un paesino e richiedeva più attenzione e vigilanza dei figli. Una  attenzione costante e continua. Così era per tutte le famiglie con figli adolescenti. In quel periodo l’oratorio era l’unico posto di accoglienza per i ragazzi. Ancora tanti sacrifici, da sola.

Quando sono entrato, Francesco si concedeva un attimo di tregua, su una sedia, Cristina osservava attentamente un macchinario. In una frazione di secondo, è passata vita.

Una vita di lavoro e sacrifici, ma ci sono migliaia e migliaia di ragioni per vivere questa vita, e sono tutte sufficienti, dalla prima all’ultima. Il Borgo è cambiato, in molto. I treni non percorrono più l’ultimo tratto in superfice prima di inabissarsi nella pancia torinese. I negozi che c’erano un tempo,  dall’elettrauto, alla carrozzeria, alla pizzeria al taglio con la farinata, alla polleria,  latteria, al ristorante, alla lavanderia-tintoria, la Ve-gè, le rivendite del pane, alla drogheria, il barbiere, piccoli esercizi che non ci sono più da tempo, ormai.  Resiste, ma resisterà ancora per poco, Teresa, la pettinatrice .Cristina è lì, come sempre. Talvolta, ancora qualcuno, la domenica, preferisce bussare e passare dal retro, così, per farsi dare qualche panino, avendo dimenticato di comprarlo il giorno prima. Talvolta anche il latte. Nonostante ora i negozi siano aperti anche la domenica, si preferisce andare lì. Perché lì, è un po’ come stare a casa. O tornare a casa. Un’accoglienza che è rimasta tale e quale, nonostante il passare del tempo e il mutare dei tempi. Con un po’ di immaginazione, si puo’ pensare che nulla sia cambiato. Che il treno continui a passare, sentire l’odore del fiume, le grida che  ragazzi e ragazze fanno ogni qual volta si sentono giocare a  pallone nei pressi dell’oratorio.

Una lunga storia d’amore, tra Cristina e il borgo, tra la panetteria e il borgo. L’amore è davvero sacro, come la Grazia: il valore del suo oggetto non ha mai una grade importanza.

Una storia d’amore per il lavoro e per le persone che dura da 50 anni.

 

 

6 pensieri riguardo “Corgiat, quando “il pane va via come il pane” da 50 anni”

  1. Bello! veramente un bel pezzo…con tanto di intervista….una bella storia!…..una di quelle storie che rimangono solo nei ricordi……..ma spero tanto che ci siano ancora storie simili……..e di questo sono sicura! Corinna

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  2. Sono tornato qui, in corso Principe Oddone, presso la panetteria Corgiat. Ho portato la rivista, con l’articolo sulla panetteria e la storia di una famiglia al lavoro e al servizio della comunita’. E’ stato bello veder sfogliare la rivista “Maria Ausiliatrice”da Cristina. Una storia che correva davanti i suoi occhi. Mi ha offerto un biscotto e un grisdino, cone faceva e continua a fare con tutti i…..bambini. Grazie Cristina. Hai addolcito molte vite con il tuo pane, pizza, biscotti, grisdini….anche oggi, quel biscotto ha avuto la sua funzione….

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  3. Bellissima racconto…lei è mia zia ed è sempre stata nel mio cuore.E’ una grande donna e lavoratrice instancabile. Alcune cose questo bel racconto me le ha svelate e ricordate..
    Sono state una bellissima scoperta.

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    1. Grazie! Sono contento sia piaciuto. Penso che Cristina meriti molto di più di qualche pagina La porta della panetteria era sempre aperta, per tutti, in molte ore della giornata.. Anche nei giorni festivi. Lavoro, lavoro, lavoro. E così i figli.Chi dimenticata il latte, il pane, scoprendo di essere in un giorno festivo, poteva contare sulla sua generosità e discrezione. Era un punto d’incontro, un punto di riferimento per un pezzo di quartiere e oltre. Le sue biovette, maggiolini e pizza, rossa o bianca, erano le migliori. Non bastano poche pagine per accendere un pochino di luce sulla sua persona. Chi ha avuto modo di conoscerla sa che davvero è buona….come il pane.

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