La scuola prestata alla politica. Dalle parti della Dora, di scuole prestate alla politica se ne contano un po’. Fa un certo effetto vedere i corridoi, le aule, l’atrio, le scrivanie dei bidelli, “occupate” dal popolo sovrano elettore. In ogni sezione, al suo interno, la suddivisione, con i cartelli vergati a mano. Elettori, elettrici. Banco per le donne, banco per gli uomini. L’alternanza. Registri, numeri. Uno scrutatore diligentemente controlla, verifica i numeri corrispondenti tra tessera e registro e sigla. Registri, che vagamente ricordano quelli della scuola, sostituiti nel tempo, con quelli moderni, elettronici, talvolta non funzionanti. Nelle sezioni, numero in blu in bella vista, sull’uscio e all’entrata dell’edificio, le lavagne, pulite con diligenza dai bidelli, sono ora trasformate in nomi “di cose” e percentuali, puntualmente “attualizzati” durante la giornata di voto. Le cabine, tipo mare, “spiaggiate” contro il muro, al fondo dell’aula, con le loro luci “volanti”, per quando si farà sera. Posizionate contro il muro luogo in cui quotidianamente prendono posto, da mesi, gli studenti arrivati prima, ad inizio anno scolastico per esserne gli ultimi. All’epoca fu la prima corsa ad ostacoli: evitare il presidio dei bidelli. “In fondo”, dal fondo, si vede meglio. Forse, l’acustica è anche migliore. Cabine, tipo caselli. La uno, la due, la tre, la quattro. E via con l’immaginazione. A pensare queste aule piene di ragazze, ragazzi, mette un po’ di nostalgia. La presenza del “vigile” non è come quella del bidello, quando gli studenti scattano in piedi non appena bussa, circolare in mano. “Si esce prima?”. La domanda più in voga. Al mattino, l’appello, con qualche ritardatario che ci prova comunque ad eludere la sua sorveglianza e contare sulla magnanimità del professore. Di tanto in tanto, quando qualche professoressa ligia al proprio lavoro, solerte, si accorge che il registro elettronico non funziona “invia” immediatamente qualche alunno a cercare il “signore” del pc. Ragazzo che puntualmente staziona sull’uscio dell’aula, forse in “attesa” che il pc “resusciti” o forse, perché, in “religioso silenzio” medita e cerca comprensione o complicità negli occhi di qualche compagno: “cosa, faccio? Ne approfitto e vado al bar?” Poche frazioni di secondo e senti dal lato opposto del corridoio “la puortaaaaaaaaaaa“, con l’eco mimato da studentesse e studenti che fanno il verso alla professoressa. Due, tre, cinque volte…….Una porta che diviene ventaglio nel suo “si chiude non si chiude”. E dopo vari tentativi, giunge il momento. Il ragazzo ha deciso. La classe anche. Cercherà il signore del pc e il modo per reperire il suo “panino quotidiano”. Il “tempo zero”, sarà per la prossima volta. Un’occasione per uscire, si troverà sempre. Anche nell’epoca delle lavagne elettroniche, il gesso lo si dovrà pur sempre rimediare, in uno di quei cassetti dei bravi e saggi bidelli. Gesso riposto e spezzettato all’interno della cassettiera, in un involucro da caramelle “ricoperto” da strati di cibarie varie. Da consumarsi al bisogno. Le ore sono lunghe e la fame è sempre da placare.
E all’interno della sezione, mentre sei in coda, carta di identità alla mano e scheda elettorale, ti accorgi di quante cibarie, come quelle della bidelleria sono posate su di un doppio banco, appositamente congiunto. Sembrano i “regali di nozze” ricevuti” dalla sposa pronti per essere fotografati. Biscotti di ogni tipo, posizionati tipo “banco autogrill” su banchi della scuola, termos di ogni formato, con caffè, latte, cappuccino, thè, perché si sa, l’umidità è in agguato, “potrebbe piovere”, e le ore sono davvero parecchie. E la fame incombe sempre, anche qua. A proposito di termos. Ricordo una “bidella” (ma io vorrei chiamare questa categoria con il proprio nome omettendo bidello o bidella) che aveva con se sempre il termos di caffe alla sua portata, nei pressi dello sgabuzzino. E in tanti, quando la vedevano sorseggiare, ne chiedevano un “sorso”. La sua bontà, gentilezza premura è stata proverbiale e scritti per sempre nella memoria dei ragazzi. Anche questa, è stata relazione, al pari di quella professore-allievo. Anche questa, resterà. Per sempre.
Fino alle 23, la vedo dura. La chiusura dei seggi. Quello che colpisce in questa scuola prestata alla politica è che anche gli odori sono quasi identici a quelli che emanano i bar delle scuole. Di cibo. Panini dai nomi più disparati e ragazzi al banco sempre più disperati. Una ventata di odori e sapori che dal bar, velocemente salgono a raggiungere chiunque. Bidello compreso. Panini, pizzette, brioches tenuti in braccio come un bambino da coccolare, da qualche allievo volenteroso, solidale con i compagni. Non si sa mai, tutto potrebbe terminare. Meglio pensare in anticipo. E così, mentre la “puoooooorataaaaaaa” si riapre e si richiude, insieme al rientro dell’allievo volenteroso fanno il loro ingresso odori e sapori, avvolti da carta stagnola. E mentre la professoressa spiega, il rumore o meglio, i tintinnii di monete, in caduta libera dai banchi, involontariamente, naturalmente, si “spargono” e si liberano nell’aula. Poi, dopo la semina di uno, la raccolta di tutti coloro che possono dando prova di forte solidarietà nell’aiuto. Compito a cui partecipano anche quelli seduti dalla parte opposta- Tutto per la “processione” del cibo, o meglio, la sua distribuzione. A P. andrà questo, a G. quello, a M. quell’altro. Poveri professori. Poveri bidelli. Povera…pooortaaaaa! Quei due banchi sembrano davvero un catering. Intanto, dal corridoio, altre urla, “la puortaaaaaa” e capisci che, altri pc hanno subito un infortunio. Bisognerà richiamare il signore del pc. Dopo questi pensieri, lo scrutatore chiama, è giunto il momento. Passo vicino a quei due banchi, uniti congiuntamente. Le ore passate in quest’aula hanno conferito a quelle cibarie rimaste o cominciate un che di vissuto. Dopo aver riposto le due schede nell’urna, riprendo la carta di identità e la scheda elettorale, e mi ritrovo a pensare che davvero lavorare nella scuola è il lavoro più bello del mondo. Varco la porta e ‘istinto mi verrebbe da chiuderla. Uno scrutatore mi raggiunge dicendomi: “la puooooooooortaaaa“.
Archivi giornalieri: 25 Maggio 2014
A casa.
E al termine, tutti a casa. A dormire, nella propria “cameretta“. Felici e contenti. Sembrerebbe il titolo di un film, in realtà, non lo è. Casa, parola, pensiero ripetuta e rimbalzata nella testa di molti, nella scorsa notte, tra un popolo molto variegato. Ripetuta, mentalmente e lentamente, al pari di un bimbo esausto che vuole tornare a casa, ma solo perchè stanco, in compagnia dei suoi giochi, prima della nanna. A casa. Forse solo per giocare. E provare ad immaginare un mondo diverso. Un popolo arcobaleno, che rientra a casa, stanco ma gioioso. Per un attimo penso a mio padre, quando da piccolo, dopo la scuola, aspettavo lui, per la cena, per uno sguardo veloce ai compiti, al diario. Mentre ora, aspetta me, con gioia, qualche scritta di troppo, sulla pelle, sulle mani consumate dal lavoro.
Popolo che mentre si “disperde” ne intercetta altro. Lungo le vie di una circoscrizione, la 7, (a Torino) si è palesato un popolo ben rappresentato. Anche in questo caso vi è chi si sforza, questa mattina, di esprimere la quantità dei presenti, ieri, con un numero, una cifra. “Affluenti”, “presenti”. “astenuti”, di quelli che erano qui, ma erano anche altrove. Con la testa. Ma è la qualità, quel che conta. L’impegno, l’esserci, nel senso di essere presenti a se stessi e vivere qualsiasi momento che ci è dato con intensità e gioia. E ieri, sono stati tantissimi, questi momenti. Incontri. Saluti. Abbracci, mani intrecciate. Avrebbe potuto essere il titolo di un libro, “Riti e rituali” ma non lo è stato. Negli anni il percorso della processione si è modificato, al pari di come mutavano i preparativi e le feste relativi alle celebrazioni dei matrimoni nella Francia meridionale. Il corteo degli amici degli sposi, per le strade terrose che imponevano certi rituali poi modificati con l’avanzare degli anni e la “civiltà” che incede con le strade asfaltate e le macchine. E con l’asfalto, addio all’albero della sposa…Ma l’intensità dell’evento, del rito è sempre la stessa. La devozione, la passione è sempre identica. Bastava sollevare gli occhi, verso i balconi delle case. Lenzuoli ricamati, rigorosamente bianchi e tovaglie e tappetti. Umanità. Via Maria Ausiliatrice, via Biella, via Brindisi…Sempre l’identica bellezza, che non muta mai. Così come la bellezza dei capelli di una donna che rimbalzano sulle sue spalle, sulla schiena. La sua eleganza nell’incedere, il volto che si gira e l’intercettare di uno sguardo, occhi negli occhi. Capelli color miele, occhi nocciola. Bellezza di uno sguardo disarmante.
Allo stesso modo, certe cose, come quella, come altre, non possono mutare. L’importanza del rito. “Tutti a casa”, slogan che si ripete in giornate come quella odierna, di sezioni, di matite, di scrutatori, di Presidente di seggio e di rappresentanti di lista. Di liste e listini. Di partiti. “Tutti a casa”, dirà qualcuno. Lavorando a scuola, sono molti i giovani che si apprestano ad andare al voto per la prima volta. Emozioni, gioie, speranze. Generazione Erasmus. Chissà cosa si aspettano dall‘Europa. Cosa domandano, alla politica, con la loro intenzione di voto, all’Europa. Studenti sempre più internazionali che “passeggiano” per i corridoi della scuola durante i loro intervalli. Immersi nei pensieri del voto altrui e intenzioni di voto proprio, di interrogazioni e domande all’Europa. Cosa promuoveranno e cosa bocceranno nelle loro intenzioni di voto? Chissà. Intanto, presto, i loro educatori, cominceranno a giudicarli con l’espressione di un voto. “Come andrà”? domandi, di tanto in tanto. “Dovro’ accendere un cero alla Madonna” risponde più di uno.
E in tanti, un cero lo hanno davvero acceso e portato in Processione. Per un voto. Dal voto al voto. Intanto, a notte inoltrata il popolo si “scioglie” e ne intercetta altro. Quello sportivo, che dopo aver vissuto momenti esaltanti di una finale di Coppa dei Campioni davanti alla televisione esce per le strade della città, del quartiere.
La coppa dei campioni. Anche se, in realtà, non si chiama più così. Riti, rituali. Anche qui, al termine di una partita interminabile, qualcuno è “tornato a casa”. Nella stessa casa. Due squadre della stessa città. Atletico-Real. Un evento sportivo. Entrambe le squadre sono state le migliori. A mio modo di vedere, hanno vinto entrambe.
Di queste giornate ricorderemo visi giovani, che hanno vissuto e che si apprestano a vivere qualcosa di entusiasmante. Nella speranza che qualcosa di migliore possa davvero arrivare.