L’Italia come il 1953: “Ma noi la vostra crisi non la paghiamo”

Ieri sera, guardando il telegiornale regionale del Piemonte, una delle notizie riguardava i tanti torinesi che alla fine del mercato, uno dei più grandi d’Europa, Porta Palazzo, si recano a raccogliere quanto avanzato nei pressi delle bancarelle. Una delle persone intervistate, che rilasciava una dichiarazione che fotografa quanto drammatica sia in questo momento la situazione, era Sr. Paola, un’amica che da sempre si batte per ridurre la povertà, e non sto parlando di quella spirituale. Nella sua dichiarazione, frutto di una lunghissima pratica in quanto da sempre a contatto con strati di povertà sempre più crescenti, ribadiva come questa operazione di raccolta di frutta e verdura rimaste alla fine di ogni mercato, sia  un espediente di persone che fino a pochi giorni fa mai e poi mai avrebbero immaginato di attraversare una situazione così drammatica: gente che lavora ma che non ha soldi sufficienti per fare la spesa. Questa affermazione  e le immagini che scorrevano mi hanno fortemente impressionato. Nella stessa giornata di ieri, ho composto qualche numero di telefono di ex colleghi e ho chiesto  loro come era la situazione stipendio, dopo aver attraversato tutto il mese di novembre in cassa integrazione; il primo mi risponde: “600 euro“.  Pensavo si fosse sbagliato, così, ho composto altri numeri di telefono e quasi tutti mi hanno dato la stessa risposta. Per avere una situazione più reale sono andato a vedere la busta paga da me percepita nel 2002, nello stesso mese  di riferimento. I miei colleghi non si erano sbagliati. Sr. Paola ha fotografato, nel vero senso della parola, (in quanto la sua comunità alloggio è proprio sopra Porta Palazzo), e “toccato con mano”, (in quanto quello è il suo lavoro), ed i miei ex colleghi mi hanno fornito una triste rappresentazione della realtà. Eppure la Costituzione Italiana, la migliore carta presente oggi, tanto che Spagna e Portogallo l’hanno presa da riferimento, a mio modo di vedere, tutela la dignità del lavoratore e a quest’ultimo deve essere data una retribuzione tale da assicurare per se e la propria famiglia il giusto sotentamento…. Oggi, provo a fare un giro per le vie di Torino ed osservare alcuni negozi: mi sono fatto una certa idea, alcuni pieni, altri vuoti. Può darsi che la tredicesima abbia “ammortizzato” un pochino la situazione, ma a fine gennaio, ritelefonerò ai miei ex colleghi e chiederò a Sr. Paola come sarà la situazione. Torno a casa e con me molti pensieri, tante domande poche risposte. La situazione attuale quanto è diversa dal quel giorno del 1954 in cui a Palermo si teneva un convegno per la piena occupazione? Oppure quanto è cambiata dal 1954 quando in Italia si parlava dello schema Vanoni? Ma come mai così tanta cassa integrazione e nello stesso tempo parrebbe che alcuni utili possano essere ripartiti? Nello stesso tempo noto che circa dieci milioni di italiani hanno trascorso le feste di Natale presso un ristorante e che questi ultimi hanno così dichiarato poche perdite. Una società fortemente polarizzata, la nostra, in maniera accentuta prima che iniziasse la crisi, quando qualcuno ci parlava di detassare gli straordinari ed altre meraviglie.  E pensare che,  come molti, ho sempre rifiutato gli straordinari, come atto di solidarietà: meglio assumere che gli straordinari….peccato che quando con altri compagni della Fiom dicevamo questo, altri rispondessero, “se non faccio straordinario io, lo farà qualcun altro, quindi, meglio quei soldi in tasca mia….” Era solo qualche anno fa, chissà cosa penserebbero ora quelle persone e se forse ora riflettono sul senso della solidarietà, e non dico della carità.