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Il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono

DSCN3196DSCN3197Ripercorro, ancora una volta, il solito tragitto. Scarpe sul selciato, pensieri altrove. Ore 7.50. Velocemente costeggio quel tratto di strada che mi separa  dal luogo di lavoro. Un percorso breve, amico. Un semaforo, qualche negozio, una benzina. Un tempo, esisteva, dall’altra parte del corso, un trincerone, un rialzo. I treni percorrevano quel tratto guardando tutto e tutti  sopra tutto, prima di entrare per un breve tratto nella pancia della nostra città e sbucare poi nella vecchia e cara stazione Porta Susa. Ora, al posto dei binari, esiste solo una ferita. Da ricucire. E chissà se si avrà la forza di ricucire. A volte i treni congiungono città lontane, aiutano ad evadere, almeno mentalmente;  altre volte invece, contribuiscono solo a dannare.  Forse si ricucirà, un giorno. Quando ci si “sarà resi conto”. Quando ci saranno le risorse. Sotto quel corso, ora, piu’ gallerie permettono ai treni di “s-freccia-re”  sotto terra.  Ah, come si è modificato il territorio della nostra città. Torino. Quante ferite. Davvero, “affondata” e affondati noi. Continuo il mio percorso, ancora una volta. Un’ultima volta. L’orologio che ha scandito le entrate e le uscite di un anno, scandisce velocemente il tempo che passa. Pulizia armadietti, consegna chiavi, firma di quel che si lascia. Come ogni anno. Assorto nei pensieri, mi domando se si possa qualificare civile un Paese che si permette il lusso di “chiedere”, meglio, prendere, senza domandare, quasi tutto, senza “riconoscere”. Nulla. E’ un Paese civile quello che, pur sapendo, sulla carta, le necessità di quanti lavoratori necessita una scuola, si permette il lusso di precarizzarne, lo stesso numero per anni e anni e anni? In sintesi: se si sa che una scuola necessita di cinque insegnanti, perché due devono essere a tempo indeterminato e tre precari, con contratti annuali, pronti ad entrare ed uscire come da una porta girevole? E’ un paese civile quello in cui si “Innalzando” le mansioni del lavoratore, un po’ come quel grattacielo, mantenendone la stessa retribuzione? La società muta, le funzioni aumentano, gli stipendi restano al palo. Il sistema Italia “svappa” e perde 250 mila posti di lavoro, o forse piu’. Il “Fare” non è una questione di fiducia. Tra il dire e il Fare, di mezzo il mare. Mare della disperazione. “Ti rendi conto?” domanda qualcuno. Ora? E prima? E’ un Paese civile quello che ti costringe nella precarietà e ti ricaccia nella povertà relativa? E’ un Paese civile quello che non riesce ad accogliere con le strutture dovute ragazzi diversamente abili, privati di un insegnante di sostegno che lo affianchi per tutta l’intera giornata e non “ad ore”? E’ un Paese civile quello che ti chiede formazione continua, ovviamente, con il proprio contributo personale, senza mai arrivare poter dire:  “ora dire basta?”  Queste forse, per chi legge,  sono parole schiacciate dal peso della sofferenza. Ricordo solo che lo Stato, la pubblica amministrazione ha chiesto, ha pagato lo stipendio in ritardo, perché ogni qual volta si muta destinazione, l’inserimento dei propri numeri riservati per il pagamento stipendi conosce numerosi ritardi; una pubblica amministrazione, sistema scuola che ha aumentato a dismisura le mansioni, (certo, dopo i tagli Gelmini!) che mi renderà “nuovo assunto” il primo settembre, azzerandomi ancora una volta “l’anzianità”. mi farà partecipare all’ennesima lotteria del tutti contro tutti, ma non ha mantenuto fede all’impegno: la stabilizzazione di tantissimi non “s’aveva da fare e non si è fatta”. Come un matrimonio romanzato. Una pubblica amministrazione che mi ha coinvolto soltanto nell’ennesimo viaggio. Come diceva Saramago, “Il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono”. O ti fanno finire, pensando di gabbarti un pochino.

Un pensiero, a chi vive in condizioni simili, i cassintegrati, che nei primi mesi di quest’anno si sono visti erodere le proprie entrate di ben 4 mila euro. Civile?

Ancora un viaggio. Ancora la domanda: “è un Paese civile?”.  E’ civile chi mi dice che devo essere contento perché ogni anno ho un contratto annuale, da precario, e non vedo mai fine? E’ civile chi mi dice benpensante perché ho un contratto di questo tipo? L’orologio intanto ha percorso gli ultimi giri che doveva. E’ giunta l’ora. E così, civilmente, diversamente da chi non lo è stato, rimbalzandosi le responsabilità per una mancata stabilizzazione, quest’anno, garantendo comunque il servizio, o meglio, i servizi,  ho consegnato, ancora una volta, le chiavi. Altri viaggiatori pronti fino ad un nuovo consumo.