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Un devoto “operaio” di 98 anni: Torre Giuseppe

DSC00252DSCN3726Mentre le dita battono sui  tasti della tastiera e via via compongono un testo, mi rendo conto di quanto povero sarà lo scritto che prenderà corpo, dinanzi alla grandezza di una persona che ha dedicato una vita intera, la sua, al lavoro. Una vita dedicata al servizio della Chiesa, di don Bosco e di Dio. Una vita spesa nel lavoro, al servizio degli altri, del prossimo, in continuo dialogo, a sinistra, destra, centro. Senza collocazione. Perché il prossimo con cui entrava in relazione non ha mai avuto né colore, né etichetta, né collocazione politica. Vediamo di chiarire di quale “operaio” stiamo parlando. Torre Giuseppe, nato il 3 febbraio 1916. Una storia importante che ha contribuito alla crescita di una comunità. Quindi, prima di continuare il racconto, i migliori auguri da parte di tutte le persone che in un modo o nell’altro hanno avuto la fortuna di incontrarlo e gli auguri di chi, pur non incontrandolo, ne ha  sentito parlare.E gli auguri di quanti verranno che dovranno custodire il suo lavoro, ben visibile in ogni angolo di questa cittadella che è Maria Ausiliatrice. Giuseppe, nato a Villafalletto, a “circa 20 km da Cuneo“, nella fertile pianura che si estende tra il  capoluogo e i centri di Savigliano, Saluzzo e Fossano”. Ha avuto un fratello gemello, che sfortunatamente muore precocemente. In seguito, nonostante le ristrettezze economiche, la famiglia di Giuseppe “adotterà altri fratelli”, abbandonati da altre famiglie sventurate. Un fratello, Luciano, che in seguito seguirà Giuseppe nella stessa “missione”, a Torino, come la sorella, Lucetta, divenuta una bravissima sarta. A dieci anni Giuseppe, viene mandato a “servizio”, in campagna, per svolgere “quei lavoretti che i bambini possono fare, pur non avendo le potenzialità fisiche di un uomo”. La semina, ad esempio o la “conduzione delle bestie”. E proprio al termine di una giornata lavorativa, al termine della semina, con il sacco a tracolla, riceve l’ordine di spostarsi, di famiglia, per lavoro. Altra casa, altro lavoro. Dalla famiglia Gastaldi. Da qui, i ricordi intrecciano altre persone, altri personaggi, altro lavoro. Il marchese del suo contado, Don Cavallo,  Gavarino il fornaio,  il racconto  e l’incontro dei Salesiani di Torino,  prima di vederne le opere “all’opera”, gli spostamenti: Fossano, Saluzzo,  e…Torino. L’idea di Giuseppe era quella di partire in missione, in Brasile, a Rionegro. Il caso ha voluto diversamente. Arrivato a Trieste in treno, da Torino, per imbarcarsi, destinazione Brasile, una accurata visita medica impone un secco “non è possibile”. Una congiuntivite impedisce di salpare. Giuseppe si ritrova così a dover fare marcia indietro verso Torino. Ci riproverà, ma, nuovamente l’esito della visita medica dice no. Il destino ha voluto che dedicasse la bellezza di tutti questi anni al lavoro della Basilica di Maria Ausiliatrice. Quella “vecchia” e quella ampliata, la “nuova”.  La guerra che incombe, le sirene che suonano, il rifugio, mai riempito, perché la gente, “il fedele preferisce” rifugiarsi all’interno della Basilica. I rapporti di aiuto e sostegno nel momento del bisogno, i partigiani…Ricordi di ogni pezzo di questa storia. I marmi per l’ampliamento della Basilica  che provengono da ogni parte del mondo e  lentamente rivestono una bellezza grazie alla perizia e la diligenza nel seguirne i lavori, da parte di Giuseppe. Il racconto si snoda ancora nel viaggio a Roma, per sei giorni, nel furgone contenente “l’urna di don Bosco”  da esporre per l’inaugurazione della Chiesa, di don Bosco nell’omonimo municipio della capitale. “Urna esposta poi anche a San Pietro insieme a quella di Pio X”.  E ancora, una “mole” di rapporti umani con l’intero quartiere. Anche oltre.

Dalla sua stanza all’ultimo piano, osserva la cupola della Basilica, ricorda come effettuava il cambio delle lampadine, poste sulla corona della statua della Madonna. Giuseppe, “arrivato fin lassù con una semplice scala, tenuta da un altro operaio. Tempi in cui la sicurezza non imponeva regole. Qualcuno doveva farlo e io lo facevo”.  Pensa, ripensa, conta mentalmente tutte quelle lampadine cambiate. Le campane, prima del sistema elettronico. Da una finestra, osserva il luogo in cui ora, e per undici mesi all’anno  si trova il carro, dove la statua della Madonna, il 24 maggio, esce dalla Basilica per la processione nel quartiere. I ricordi vanno all’immenso lavoro con i fiori, la composizione del carro, la distribuzione dei fiori, regalati da un benefattore anonimo. Il giorno di San Giovanni Bosco, Giuseppe, passato dietro l’urna a volgere un breve saluto al Santo, ricorda la meticolosità, l’attenzione, la cura e l’amore della pulizia di quell’urna. Una volta l’anno. Ricorda altri ricordi, del suo amore verso qualcosa che non è solo per il lavoro. Ma di più. Per altro. Ricorda il vetro, il tavolo per far scivolare quell’urna. Ricorda spaccati di storia e di società.  I fedeli tendevano l’orecchio. Quei racconti stavano prendendo la via pubblica: per molti era davvero una occasione di toccare con mano la storia. Una storia lunghissima. Scritta nello stesso identico posto. Davvero dentro il  suo lavoro esiste un amore grande. Era destino che la sua missione fosse a Maria Ausiliatrice, a Torino. Ora, col sorriso sulle labbra, che mai gli è mancato, davanti quell’urna, in preghiera, pare chiedere di poter cambiare “parte”. Ora, avendo meno forze e più tempo, mi piacerebbe recitare la parte di Maria, dopo tanti anni di Marta. E recita Luca 10, 38: “Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto fattasi avanti, le disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”.

Nonostante questo, tutte le mattine, Giuseppe, potete trovarlo a dare il suo contributo in sacrestia. A Maria Ausiliatrice.

 

 

Buon compleanno, Giuseppe.