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Se Cesare “gioca con i lego come fossero persone”

universita-critica-qualita-3La spesa pubblica italiana per l’istruzione universitaria è l’1,6% della spesa pubblica totale, contro la media europea del 2,8% e la media Ocse del 3%. E’ pari allo 0,76% del Pil (Prodotto interno lordo, era lo 0,8% quattro anni fa), in proporzione fra le ultime nell’Europa dei 27, dove la media è dell’1,15%. Spendono molto più di noi anche i Paesi anglosassoni, patrie del liberismo (l’1,21% la Gran Bretagna e l’1,33% gli Stati Uniti). Per ogni studente universitario lo Stato italiano spende 8.026 dollari l’anno contro una media Ocse di 11.512.

La spesa pubblica italiana in ricerca e sviluppo è pari all’1,1% del Pil , contro una media europea del 2%, la media Ocse del 2,5% e l’obiettivo del 3% fissato per il 2010 dalla Carta di Lisbona. Tra il 1990 e il 2005 in Italia gli investimenti complessivi (pubblici e privati) in ricerca e sviluppo sono cresciuti di appena il 4% al netto dell’inflazione, contro il 21% della Francia, il 38% della Germania e il 117% della Spagna.

Il rapporto tra docenti e studenti in Italia è di 1:29, contro una media europea di 1:64. ” (tratto da “Manifesto per l’Università pubblica”,  di Gaetano Azzariti, Alberto Burgio, Alberto Lucarelli, Alfio Mastropaolo, edito da Derive Approdi).

Di questi ed altri numeri, e non solo, si è discusso ieri, a Torino, al Circolo dei Lettori, dove, (in una sala strapiena e con persone fuori che non son potute entrare) dopo tanto tempo, una forza politica come Rifondazione Comunista ( il Comitato regionale del Prc piemontese in collaborazione col Gruppo consiliare alla Regione) ha organizzato una iniziativa avente titolo: “Per un’Università pubblica di qualità, critica”.

Il dibattito è iniziato con una introduzione di Marco Albertaro, responsabile Università Prc Piemonte. Sono intervenuti, inoltre, Alberto Burgio, Alessandra Algostino, Giorgio ViarengoGianni Alasia, Juri Bossuto, lavoratori precari dell’Università, studenti e pro-rettori.

Grande l’esordio di Marco Albeltaro; col suo intervento si chiede, nuovamente (dato che lo aveva già espresso dalle colonne di Liberazione sabato 21 febbraio) di “rompere l’assedio” che dura ormai da tempo, da troppo tempo; un assedio degli oligarchi all’Università pubblica. E dall’altro, appunto, coloro che all’oligarchia intendono sottrarsi e cercano di rompere l’assedio.  Marco estende le sue preoccupazioni alla presenza di un “Cesare”, che col suo cesarismo  non soltanto propone di ledere “il sapere”, ma “smonta e rimonta” pezzi della società, non solo dell’Università; una Università che dovrebbe porsi in una scia “pubblica e di qualità”.

Nel corso dell’iniziativa si è fatto riferimento al discorso del Presidente della Repubblica Napolitano, che ha espresso posizione contraria sui nuovi tagli inflitti dalla ministra Gelmini, ma, analizzando il suo intervento, per molti, avrebbe potuto “tutelare ancor più l’istituzione università”  come società della conoscenza. Un’università che dal 1989-1990 continua a subire ad opera di vari governi, varie riforme; da Ruberti a Zecchino a Moratti; riforme che estendono e che hanno esteso anche in questo settore la precarietà e non scalfito le baronie.  Certo, una piccola marcia indietro da parte del ministro (o del governo) all’ultima “riforma” vi è stata, ma si tratta dell’introduzione “di piccole regalie” al blocco del turn- over; in ogni caso, per gli Atenei, si prospetta una  suddivisione in “Atenei di serie A e Atenei di serie B”.

Nel corso dell’iniziativa si è data importanza, per stimolare il ragionamento, ad alcuni articoli della Costituzione: il 33 ed il 34.

Il  33 afferma che: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento . Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.

Il 34 afferma che: “La scuola è aperta a tutti…  I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti negli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto”.

Dopo aver analizzato attentamente il senso di questi due articoli, un altro ragionamento è stato posto da Alessandra Algostino: la differenza concettuale tra Autonomia e  Indipendenza. Da questa analisi, si è arrivati ad affermare che, come recita la Costituzione, “è la Repubblica e non la regione o le regioni”, e la tutela e la libertà di ricerca e di insegnamento devono essere sempre assicurate.  L’autonomia deve sempre costituire il sapere critico.

universita-critica-qualita-5In seguito si è fatto riferimento all’instaurarsi di un “processo di revisione del circuito decisionale”, dove cioè si cerca  di snellire il processo decisionale. A questo punto, ho pensato di aver studiato tantissimo, una disciplina come Analisi delle politiche pubbliche, dove l’importanza fondamentale è data all’ascolto, o “a più voci”, e che a questo punto, con la presenza di “un cesare”, possa servire davvero a poco. Il Cesare, una volta individuata la decisione, va avanti, come un rullo compressore. Ricorda qualcosa il ponte sullo stretto, o la Tav?

Un ulteriore riferimento a questo “gioco di lego”, è la competitività, già inflazionata qualche anno fa, per la bellezza di 19 volte, da un grande industriale. Questo concetto porta con se un elemento negativo, quello cioè di trasformare gli studenti in “clienti”.

Gianni Alasia, grande protagonista del movimento operaio piemontese e non solo, porta alla luce una “attenzione da rivolgere ai lavoratori”, con i riferimenti  a quelle centinaia di migliaia di ragazzi nei corsi complementari, nei centri di formazione, finanziati anche con soldi europei; e se non ci dovessero essere più, si domanda Alasia, da cosa saranno o sono sostituiti? Alasia fa riferimento alla storia del lavoro, dove l’uomo si è espresso sempre  per mezzo della sua manualità, ma che ha manifestato sempre la voglia e la fame di sapere come suo diritto, e se l’affermazione di Trentin, anni fa, oggi, farebbe ridere, sicuramente non lo ha fatto quando è stata pronunciata: “L’operaio ha il diritto anche ad imparare a suonare il clavicembalo”, in riferimento alla grande esperienza e della conquista delle 150 ore.

A questo intervento ne sono seguiti altri, particolarmente toccanti, che hanno saldato la precarietà di lavoratori “esternalizzati”, bibliotecari, lavoratori dell’università, ma appartenenti alle cooperative. A ciò son seguiti interventi di studenti delle varie Facoltà che hanno cercato di sensibilizzare i professori a far “ritornare il movimento trasversale” come lo è stato nel suo momento iniziale. Da parte degli studenti è stata affermata una sorta di “latitanza” dei professori nel manifestare solidarietà agli studenti e contrarietà a questa legge Gelmini.

Grande presenza infine dei dottorandi, per alcuni difficile definirli studenti o lavoratori. In ogni caso, precari, dato che il loro futuro, almeno in Italia, non è chiaro.

Durante questi interventi  pensavo di essere parte dell’esercito dei 4 milioni  e mezzo di persone che compongono l’area della precarietà in cui circa il 40% di questi è laureato, e collocato in questo 40% . Il 68% dei precari ha un’età compresa tra i 30 anni ed i 59 anni e quindi, nuovamente, rientro anche qui dentro; e, che solo il 21% (ma non rientro più qui dentro) ha un’età inferiore a 30 anni. In parole povere, se avessi avuto tempo di recarmi al banchetto degli oratori, avrei detto una cosa soltanto: “La precarietà si sta stabilizzando”.

Con questo pensiero a cui non ho dato corpo, ma che sicuramente lo sta prendendo in moltissimi di noi, mi accingevo a passare la notte, pensando all’assemblea del giorno dopo, a scuola: una assemblea che ci ha parlato di tempo pieno, scelta prevalente, seconda scelta e terza scelta, e che in caso, morale della favola, il Cesare avrebbe deciso se le iscrizioni dei bambini o ragazzi avrebbero potuto essere a tempo pieno oppure no, per arrivare alla sintesi della sintesi, che i tagli ci saranno comunque. La riforma nelle superiori slitta di un anno, ma intanto, sempre Cesare, nei fatti, continua a giocare, non con i lego, ma con le persone, e seppur sulla carta gli articoli della costituzione 1 e 36 ci garantiscono il lavoro ed una retribuzione equa  tale da garantire una esistenza libera e dignitosa, nei fatti, questi diritti sono stati sfumati, sono negati.

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