Per le strade, ora, i bus, in prossimità delle fermate, sbuffano, rallentano, qualcuno, dopo aver gettato furtivamenre una rapida occhiata al suo interno, decide, sale, e altri scendono. Bus che viaggiano per la verità semi-vuoti, quindi, ampi spazi tra un sedile e l’altro, garanzia, tranquillità e comodità, in attesa della voceche fa compagnia tra uno stop e l’altro “prossima fermata, piazza Statuto”. Per strada tunnel e ciclisti, questi, spesso dove non dovrebbero, e sfrecciano. Da ieri, a dire la verità sfrecciano anche carro attrezzi sempre sul “pezzo e frequenze” e sempre da ieri, profumi di caffè e rumore di tazzine, che indicano qualcosa di nuovo nell’aria e nell'”aroma”. Lentamente, parvenze di normalità. Devo dire che ho fatto un giro anche presso una libreria del centro, munito di tutto punto, dalla mascherina ai guanti, al gel, per la verità, posizionata all’interno. In centro, un gruppo nutrito di genitori e figli protestano, per la dad, per un rientro a scuola.
Oggi è giornata di festa, per la famiglia salesiana sparsa per il mondo. È la festa di Maria Ausiliatrice, così cara a don Bosco, al punto da erigere la Basilica attaccata al primo oratorio dedicato al Santo sociale. Da corso Regina Margherita, volontari, vigili, salesiani, polizia, aiutano la confluenza dei fedeli nel rispetto delle norme: si scende giù, verso la Basilica, rasentando la statua di don Bosco, ( basilicache per la prima domenica, in questo periodo di emergenza, vede nelle celebrazioni eucaristiche la partecipazione del popolo dei fedeli) scegliendo una delle due corsie a disposizione ben segnalate dal nastro rosso e bianco: la prima, per entrare in Basilica, e partecipare alla messa, la seconda, per il cortile, dove è posizionata la statua della Madonnina. All’interno del cortile, sedie ben distanziate, per poter partecipare a momenti di preghiera individuale e collettiva. Per un saluto alla statua e una preghiera veloce, occorre mettersi religiosamente in fila. Per l’uscita, si accede al cortile, un tempo saturo di bus di fedeli provenienti da molte città, che da su piazza Sassari.
Alle 17.00 celebrazione con il Rettor Maggiore.
Anche per quest’anno, come l’anno scorso (Era per maltempo) non si procederà con la Processione per le vie del quartiere.
Le strade sono vuote, che neanche ad agosto. Giornalai aperti, e molti ad informarsi, che è un diritto. Per le strade, sono i piccioni i veri proprietari delle nostre città, piazze, corsi, vie, che non saprei dire se centro, periferie o tutto insieme, divenute nel giro di poco così piccole, ristrette, come avviene per un capo di biancheria dopo aver sbagliato candeggio. C’è qualcosa di nuovo nell’aria, si, e non è solo il virus, ma qualcosa che ha tutta voglia di resistere, fare comunità, uscire seppur per pochi istanti, sul balcone di casa e cantare, ballare, suonare, gridare, bebè alla mano, anzi, in braccio per giovani coppie! Un tempo ci fu a Torino ” il concerto dal balconcino”, e ora spuntano concertini come fiori. Pentole, piatti, di ogni fattura. Da un balcone all’altro un “Hai bisogno”, “come stai?”, “serve niente”, e poi, giù a cantare, “Azzurro”, “il cielo è sempre più blu”, “inno di Mameli” , “la gatta”,…se il mondo assomiglia a te….
In tanti si organizzano: forme di solidarietà, volontariato, partecipazione, cultura in streaming, condivisa. “Alzati” direbbe Francesco, che cammina a piedi lungo le vie del Corso per recarsi in Chiesa e affidarci.
Balconcino. E tutti in piedi. A casa, in piedi, a creare o ricreare comunità nuove e uomini nuovi, non più solo. “C’erano uomini soli” canteremo domani. Dai balconi penzolano striscioni, arcobaleni, con su scritto, “Andrà tutto bene”, con colori e perimetri colorati da bimbi, mani tremolanti, ma sicure allo stesso temlo, che tutto andra bene. Campane ieri, tutte, a mezzogiorno. Quelle stesse che non annunciano piu messa, (da decreto), dopo aver messo tra parentesi strette di mano, segno di pace, acqua santa. Ma abbiamo voglia. Torneremo piu grandi di prima e ciascuno avrà la sua notte bianca, alla Dostoevskij, o quelle olimpiche, targate Torino 2006. Immaginiamo l’urlo, liberatorio, alla Tardelli, al Santiago. Immaginiamo Pertini, la sua pipa, le sue braccia sollevate, verso’alto. Sarà bello. Tutto. Andra’ tutto bene.
Nella Basilica di Maria Ausiliatrice, in preghiera, il Rettor maggiore, successore di don Bosco, appena rieletto, prepara il suo pensiero, preghiera, rivolta ai giovani nel mondo.
Cerchero’ di essere sintetico. La storia che ho approfondito magari prenderà la strada della carta.
La storia.
Gherardi Natale è nato a Torino il 24 dicembre 1921. Quindi, un uomo di 93 anni. Nel suo nome è inscritta una storia. Di Avvento e dopo Avvento. La data di nascita ne dice il perché. (Natale sposerà Giulia il 26 dicembre del 1945). Ci incontriamo, nel suo appartamento. Il tempo di un caffè e diviene un “fiume” in piena. Di parole. Di ricordi. La sua attività, “cartonificio” così si diceva un tempo era situata là dove era ubicata una “fabbrica” (boita) di automobili, la Temporini, (Natale ha una memoria di ferro, però, mi chiede di verificare, magari per una vocale di troppo, o in meno).
Quante auto sarebbero “uscite” da via Ravenna, via e luogo, al numero uno, di quei locali in cui la famiglia Gherardi, in seguito (la “boita” Temporini in via Ravenna) hanno costruito un pezzo di storia torinese e in special modo di Valdocco?
“Probabilmente, da quei locali, poi nostri, uscì una automobile soltanto. Difatti, mio padre rilevo’ i locali proprio perché i vecchi affittuari subirono uno sfratto per via del rumore che la fabbrichetta, con i suoi battilastrsa, “produceva” disturbandone il vicinato. Era il luglio del 1931″. Così Gherardi risponde alla mia domanda, di oggi e di ieri, davanti al Lingotto.
Le origini e le origini qui a Valdocco.
Natale mi racconta le origini dei suoi genitori, emiliani. Di come era Torino, nel quartiere, di quando in via San Pietro in Vincoli, la presenza di due torrenti, vicino la Dora ne “rigavano” il terreno e loro due, si che contribuivano a creare la storia, delle persone, del loro lavoro. I mulini, le officine. E mentre rigavano il terreno il territorio, con il lavoro dell’uomo, si modificava.
“C’era il passaggio pedonale, una passerella piccola, in via Salerno e il ponte in via Cigna, dove c’era la conceria Durio. I Durio, che signori. Avevano una carrozza con due cavalli! Avevano contribuito a costruire il Fortino con il gioco da bocce, il gioco con la palla” e lì dove ora esiste la torre c’era un grande birreria poi divenuto locale cinematografico.
(Mi ricorda che qualcuno gli ha indicato che del Fortino ne ho scritto sul blog). Mi ricorda il rapporto della città con l’acqua e l’economia di questo quartiere, zona. Ricorda un altro rio, in via San Donato, che “andava a finire” sotto piazza Statuto.
Mi ricorda le sue scuole, alla Boncompagni, i suoi trascorsi all’oratorio Valdocco, tra i Salesiani, il premio, in qualità di “ragazzo più buono, di Valdocco, nel 1938” (divenendo Cooperatore Salesiano proprio in quell’anno), fatto testimoniato da una copia del Vangelodatogli in dono dal Rettor Maggiore, quarto successore di don Bosco, don Ricaldone, in occasione del giovedì Santo e della rispettiva funzione avvenuta nella Basilica di Maria Ausiliatrice.
Scuola e militare.
Dopo la quinta elementare, c’era l’avviamento o altre scuole, con corso sussidiario. Natale frequentò l’avviamento e intanto dava una mano, nello scatolificio di famiglia.
Gli anni passano velocemente. Natale diviene grande e si ritrova soldato nella “Lancieri di Milano Civitavecchia”.
“Io avevo fatto il pre militare in cavalleria ma la destinazione sarebbe stata Lanceri di Milano Civitavecchia. In sede di commissione ho avuto la forza, e non so come (anche se, in cuor mio, attribuisco ciò a…” e guarda in cielo mentre afferma questo) di domandare, “guardate, io ho fatto il pre militare al Nizza Cavalleria, se per caso vi è la possibilità di…”.
La commissione guarda e scopre che c’era solo più un posto. “Nizza Cavalleria, primo squadrone”. Natale venne accontentato, difatti, Nizza cavalleria era a Torino.
“Natale, fu graziato, durante il soldato, ancora un paio di volte. Una prima, grazie alla portinaia della sua abitazione, che ne conosceva il Colonnello e una buona “parolina” non venne dimenticata nel momento più…”idoneo”. Una seconda volta, “dopo l’8 settembre del 1943, e l’armistizio”.
“Il nove settembre, i tedeschi cambiarono idea rispetto a noi militari, portandoci via, tutti. Puoi immaginare dove.” E qui Natale ci introduce nel racconto della “grazia” ulteriore.
“Durante il tragitto, l’11 settembre del 1943, da Corso Stupinigi (così si chiamava il corso ove era ubicata la caserma) a Porta Nuova (la stazione, dove il treno ci avrebbe condotto in Germania),c’era il magazzino della Cooperativa Torinese. Alcuni operai, lì nei pressi ci incitarono a scappare e così fecero alcuni soldati. I soldati tedeschi cominciarono a sparare e cavalli senza cavalieri si ritrovarono allo sbando più totale. Anche il mio, fece le bizze fino a quando mi scaraventò a terra e restandone schiacciato dal fuggi-fuggi di soldati e cavalli. Una ragazza che non avevo mai visto e conosciuta mi sollevò e mi prestò le prime cure all’interno di un portone. Lì aspettò, aspettammo, che passasse la buriana e poi insieme ad altri mi portarono in ospedale. Fui spogliato dei vestiti da soldato e lì rimasi fino a guarigione. Per una novantina di giorni, al Mauriziano. Poi, fra convalescenze, casa, riposi vari, la mia esperienza si concluse praticamente li. Da quell’esperienza, qualcosa di buono ne uscì, almeno in quel frangente: i cavalli morti divennero ben presto cibo per molti, in un tempo dove la fame era sovrana.”
“Lì, capii che a salvarmi la vita era stato probabilmente un angelo.”
L’azienda e il territorio.
L’azienda Gherardi, intorno al 37-38 aveva un 17 -18 ragazze. Le scatole che ne uscivano dalla fabbrica erano di tutti i tipi e per molte aziende.
Per chi lavoravate?
“C’erano diverse industrie: maglie, calze, dolciarie. L’industria Giordano, il magazzino in via San Domenico e il negozio in via Garibaldi, caramelleGioberge, fabbrica di caramelle che ora non esiste più. E c’era anche De Coster, “Fabbrica cioccolato, caramelle, pastigliaggi, confetti” che era una fabbrica situata da queste parti, poco distante da via Maria Ausiliatrice. Ah, quanto sei dolce, Torino. C’era anche una grande fabbrica di wafer, gallette “mignin e mignon”che con gli anni poi, ma siamo negli anni a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 ha via via chiuso i battenti (mignin e mignon: gallette le prime e wafer i secondi, probabilmente 4 soldo il costo).All’angolo di via Cigna, era situato un calzaturificio, bruciato anch’esso, in seguito agli “spezzoni”.
E qui si apre un capitolo all’interno di un altro capitolo. Dalla storia alla Storia.
“Doveva essere fine 1942, con quei brutti bombardamenti su Torino”. In questo momento si riaprono pagine di storia, di libri, gli anni dell’Università, l’Istoreto, ripercorrole pagine di Primo Levi, “segni sul marciapiede” e le “lastre che conservano le tracce delle incursioni aeree” (spezzoni incendiari) e ancora, Diego Novelli(“Le bombe di cartapesta“). Dove ho parcheggiato la macchina, “al fondo di via Ravenna, a destra, prima di arrivare in via Salerno, esiste “un’impronta”, di quegli spezzoni”. Uscito da Natale, corro a verificare., così mi ha raccontato Natale e pur credendogli cerco quel luogo, così “calpestato” da me chissà quante volte.
Continua il suo racconto. “Qui bruciava molto, in seguito alla guerra. Spezzoni al fosforo, con una base di ghisa, pesante ; avevano un innesto, posato sopra un tubo, 60 o 70 centimetri, pieno di quel materiale incendiario che quando cadeva giù, con il contatto, generava fuoco e incendiava il circostante. Ora, è rimasta la cicatrice, su quella lastra”. In via Ravenna, come ho appena scritto. Poi, Natale mi chiede di uscire un attimo, sul balcone. Mi indica sotto, dove ora si trova un caseggiato. “Vedi, prima c’era una falegnameria, bruciata anch’essa, con la guerra”.
Poi ripercorre gli anni felici di Torino, di un’economia diversa da quella attuale.
“Uno dei miei più grandi clienti, il maglificio Poletti, di Torino, impiegava più di 700 operai prima di fallire. Ubicata in via Sant’Ottavio, ci forniva commesse per la produzione di oltre mille scatole al giorno”.
Poi venne il periodo dei cuscinetti a sfera e la concorrenza svedese, insieme alla plastica che aveva il pregio e convenienza per loro, di avvolgere un quantitativo maggiore di cuscinetti. Gherardi e la sua fabbrica utilizzavano una procedura di confezionamento tradizionale, ad uno ad uno e cosi la plastica finì per mangiarsi il cartone. “Abbiamo dovuto reinventarci ancora una volta. Gli operai si ridussero a 11 e ancora a 6. Poi l’innovazione, e le macchine che fustellavano, verso gli anni ’80 fecero il resto. La scatola tradizionale lentamente sparì. Ora sono tutte stampate. Un tempo, era tutto artigianale. Oggi, questo lavoro qui, lo si trova digitando “litografie”. Ah, quando penso alle scatole da scarpe……..la carta interna…ecc. ecc. Quanto lavoro e quanti operai.”
Gherardi cede lo scatolificio nel 2006 (guarda un po’, la scritta fotografata Lingotto 2006) con due ragazze addette al lavoro. In seguito, lo “scatolificio” si è trasferito dalle parti di corso Vigevano.
Gerardi e Borrelli
La mattinata è stata lunga e dispendiosa, per Natale. Racconti pubblici e privati. Ma ci siamo dati ancora appuntamento, qui, dalle parti di via Ravenna, su questo spicchio di terra dove “insistono” persone che davvero hanno scritto un pezzo di storia.
Ora, Gherardi Natale non ha più il suo grembiule da lavoro, nero, ma allarga continuamente a tutti sorrisi esattamente come un tempo. In basso foto di Natale Gherardi al tempo del militare in compagnia del padre a Torino e nella foto piccola, Giulia da ragazza.
La lunga giornata volge al termine. Stanchezza, fatica, fame prendono il sopravvento. Cominciano davvero a farsi sentire. Ma la forza dei sentimenti, è più forte. Anche quando non hanno modo di esprimersi dopo un anno e si sciolgono in un abbraccio, commosso, intenso, interminabile. Quando il tempo sembra non passare mai e l’attesa diventa infinita, come prima di una finale mondiale. Ci si siede e si aspetta. Pazientemente. Altri ne approfittano, seduti, consumando la propria cena al sacco. Nel frattempo sono in arrivo gli ultimi, con mezzi di locomozione di fortuna, più ecologici, come una bicicletta. Al lavoro anche alcune volontarie che dedicano del tempo alla preparazione delle candele.
Dopo Nosiglia, è tempo per il Rettor Maggiore. La porta di casa rimane sempre aperta.
Chiesa San Lorenzo. Torino. Piazza Castello. Interno. Cupola.
Fa ancora freddo, a Torino. A tratti, piove. Entro nella Chiesa di San Lorenzo, a Torino. Una “struttura” barocca, del Guarino Guarini, opera “a cavallo” tra il 1668 e il 1687. Trovo riparo e accoglienza. A due passi dalla Mole e da Piazza Castello.
Chiesa San Lorenzo. Piazza Castello. Torino
Esattamente come anni addietro, studenti tendono l’orecchio al loro insegnante. Un tempo, educazione tecnica, o educazione artistica. Ci si fissava con l’attenzione sulle finestrelle, sulla cupola. Matite ben affilate e appunti. Oggi, identica attenzione. E dopo aver prestato l’orecchio, fissano gli occhi verso la cupola. Un altro gruppo intento a “creare” su fogli A 4 quanto stanno appena osservando, sotto la direzione di un valido professore. Una meraviglia. Cupola e l’osservare in religioso silenzio il gruppo di studenti. In un angolo, ragazzini da scuola media mostrano “un grado avanzato di conoscenze”. Tablet e smartphone riproducono esattamente quanto stanno osservando. Sono attrezzatissimi. Oltre al loro zainetto, il corredo di inizio settembre, strutture informatiche. Chissà se sono attrezzati anche interiormente. Vero è che siamo tutti bambini nell’era di twitter, rendendoci, in gran parte dipendenti dai social network. Allora, come siamo attrezzati? Interiormente, penso. Una domanda che mi accompagna ogni giorno, lungo le “vie” di un altro edificio che si chiama scuola. La fabbrica della conoscenza. Dove giorno dopo giorno si cresce e si matura. Luogo dove incontri, luogo di incontro. Se si ha voglia di spendersi. Dove crescita cognitiva e crescita emotiva non vanno di pari passo. Ci si parla, ci si confronta. Dal dialogo, dai racconti, si traggono autentiche storie di vita. Difficoltà, problemi, speranze. Il lavoro, in cima a tutto. Confidenze, “cavolate” e amori in corso. E lavori in corso. Dalla cupola della Chiesa San Lorenzo, a scuola. Un gruppo di studenti “imbianca” nuovamente un altro pezzo di edificio. Sotto la “sorveglianza” attenta e scrupolosa del loro insegnante. Mentre questi sono dediti al lavoro, passano anche giovanili “amori in corso“. Trafelati, di corsa, sfuggenti, discreti. In ogni caso, li riconosci. Visi sorridenti e furbeschi. Tutto fa scuola, nella scuola. Un altro gruppo è in procinto di rientrare “dal viaggio della memoria”. Un’esperienza davvero importante.
Per quanto riguarda ora, a scuola, il classico saluto. E allora, “bella”!
Chiesa San Lorenzo. Torino. Piazza Castello. Interno. Cupola
La cupola è davvero stupenda. Maestosa. All’uscita dalla Chiesa San Lorenzo, alcuni conoscenti mi informano sull’elezione del nuovo successore di don Bosco, il Rettor Maggiore dei Salesiani. E’ don Angel Fernadez Artime (spagnolo, è stato ispettore dell’ Argentina). Anche io comincio a pensare ad altra cupola. Meglio, cupolone. A via Cavalleggeri, Via Gregorio VII, Avanzini, i bus l’H e l’808. Roma, l’ Osservatore Romano, la Pisana…Una grande bellezza.
Scambiamo due chiacchiere e mi informano ancora di aver letto attentamente alcuni articoli sul blog inerenti il capitolo e don Bosco.
Ancora in tanti, inoltre, continuano a dirmi grazie per il bel lavoro su Torre Giuseppe. Persone e voci provenienti dal primo oratorio di don Bosco, Valdocco. Sarebbe bello che anche la rivista salesiana riproponesse la storia sulla rivista Maria Ausiliatrice. Un bell’esempio, di uomo e di stile salesiano. Un uomo capace di abbracciare l’umanità. Sarebbe bello perché in molti che non hanno dimestichezza con il pc potrebbero leggere la storia su formato cartaceo. E assaporarne la storia ancora meglio.
La pioggia mattutina e i tuoni e i lampi hanno avuto l’effetto di interrompere una buona lettura; il libro interrotto era “Un uso qualunque di te”, di Sara Rattaro. Interrotto, si, ma solo temporaneamente. Sull’asfalto di città, lungo il tragitto che quotidianamente si percorre tra l’abitazione e il lavoro, a terra, sono rimaste pozzanghere. Al mattino, la pioggia è stata davvero insistente. Un’abbondante precipitazione. I giochi di colore che si formavano in prossimità dei lampioni, lungo le strade, erano davvero gradevoli alla vista. Anche il suono, il tintinnio insistente delle gocce sull’ombrello, era gradevole. Gocce che si sono rivelate valide compagne di viaggio piacevoli da ascoltare tanto quanto la musica che proveniva dalle cuffiette. Nel pomeriggio, musica senza cuffiette, per tutti, nel sottosuolo cittadino. Da Principi d’Acaja a Porta Nuova. Se si è fortunati nel trovare un posto libero, il piacere della lettura è assicurato. Tra una stazione e l’altra pensavo a quanto gradevole sarebbe avere dei distributori automatici contenenti libri. Non sarebbe male. Potrebbero essere, le stazioni della metro, delle mini-succursali delle biblioteche. Biblioteche in movimento. A portata di mano. Per una volta, nella “pancia”, finirebbe la cultura. Per una sana e robusta…costituzione.Nella stazione Porta Nuova affiorano i ricordi. Dal sottosuolo. Ossimoro. Dove ora un lavoratore provvede al cambio dei cartelloni pubblicitari, inserendoli in una apposita vetrina, dopo aver archiviato secchio, colla e pennello, un tempo vi era il sottopasso. Una “manica” sotterranea che univa. Da li sotto si sentiva il rumore cel tram che transitavano su Corso Vittorio Emanuele ll. Tram che rumorosamente si apprestavano a fermarsi e tram che ripartivano. Rumorosamente. Appena sopra la testa. Diversamente da oggi, che le due “sponde” del corso Sono si unite ma in maniera davvero “internazionale”. Pochi gradini, e si confluiva tra le “braccia” di qualche negozietto. Altre volte, quel sottopasso, era il luogo d’incontro con la propria fidanzata. Forse complice la presenza di una di quelle cabine per le foto istantanee, al tempo in cui facebook non si sapeva ancora cosa fosse. Da li sotto, un anticipo di viaggio, anche solo sognato o immaginato, occhi incollati e persi tra i cartelloni gialli dell’atrio, “partenze“, era uno dei pochi modi per fantasticare vedendoci a passeggio tra le molte meravigllie cittadine del nostro Bel Paese. Poi lo sferragliare del tram ci riportava allaa realta’, fatta di libri, di “ragio” e partita doppia, di diritto ed economia. Il tempo per fantasticare era gia’ concluso. I bus 34 e 35 tornavano a “ripopolare” la zona sud di Torino dopo una giornata di lavoro. La parola Lingotto si impastava di molto: lavoro, turni, tute, catena di montaggio, scioperi a catena e margini di profitto da erodere al capitale, per stare tutti, tutte, indistintamente un pochino meglio. Era di un altro oro, quello operaio, purtroppo nel loro lavoro, poco apprezzato. Anzi. Eppure era una classe.
I capitoli, del libro, tra una fermata e l’altra hanno portato il pensiero ad altro Capitolo, che lentamente si avvicina, da Roma. Quello che i Salesiani terranno qui, a Torino, sabato. Per l’elezione del successore di don Bosco.
Alcuni lettori del blog mi hanno chiesto di documentare ulteriormente la lettera proveniente da Roma, dal Rettor Maggiore dei Salesiani per il sig. Torre. Eccola. Giuseppe, fiero, con la lettera tra le mani. Felice perché nella vita “non ho mai avuto o voluto nulla. Sempre con distacco dalle cose. L’importate è l’uomo. E’ sempre stato al centro. I suoi bisogni, le sue necessità e poter dare, per quanto possibile il mio contributo, e svolgere al meglio il mio servizio per la collettività”. Ovviamente continua a svolgere ancora la parte di Marta, al “lavoro”, al mattino, e di Maria, con la preghiera, nel resto della giornata. Entrambe, le parti migliori per questo uomo, così grande. Un quadretto di don Bosco, all’entrata di questo edificio, ricorda come siano così impegnative certe intenzioni. “Studia di farti amare”. (don Bosco).
Oggi i suoi ricordi erano sulla riforma conciliare. Concilio Vaticano II.
Dopo un lunghissimo peregrinare, l’urna di don Bosco, con la “mano benedicente” è arrivata a Torino. Rintocchi di campane. Sbandieratrice e sbandieratori sotto la neve, e gente pronte ad accogliere l’urna in Duomo, sotto una abbondante nevicata. In attesa del grande rientro a Valdocco. A casa. A Maria Ausiliatrice, tra i Salesiani. Causa neve, una modifica rispetto al “rientro”. Niente più cavalli. Confermata la processione dalle 22.15 ma con percorso più breve, dalla Cattedrale alla Consolata e poi a Maria Ausiliatrice, dove si esibiranno gli artisti che avrebbero dovuto esibirsi lungo il tragitto, e dove, sempre a Maria Ausiliatrice, il Rettor Maggiore Don Pascual Chavez darà la buonanotte. Come era solito fare don Bosco con i suoi ragazzi.
Ps. Mi pare davvero importante ricordare l’attività febbrile svolta dal santo sociale per garantire e normare quei diritti nel mondo del lavoro che, in quel tempo, mancavano. Soprattutto per tutelare le fasce deboli, i giovani che si apprestavano, come apprendisti, all’attività lavorativa. Utile ricordarlo oggi, in un mondo del lavoro sommerso da una babele di contratti. Utile ribadirlo, nella nebbia odierna, dove, il lavoro non si sa più dove è di casa, e la residenza è “sdoppiata”, tra legale e fiscale.