Con anticipo di qualche ora ecco fare la sua imperiosa presenza il nuovo inquilino del calendario, cauzione “caldo e bolla africana”, soffrire e tacere, scadenza 31 giorni incorporata. Detto cosi
, senza pensarci molto, il primo pensiero va alle case del mare, all'insegna del"quando non c'era", senza pinguino Delonghi, condizionatori, umidificatori, al massimo due pale rumorose di ventilatore recuperate chissa` dove e fissate "nel cielo della stanza", della casa, di quelle con due finestre, che in fondo erano due occhi, una porta al centro, che ne era la bocca e cartelli arancio sbiadito, a riempire "il viso"con "affittasi prima e seconda quindicina", di un anno incertto,sempre incerittato a furia di mutarne l'anno. E un alberello in cura dimagrante da sempre, faceva la sua presenza, come un gendarme di frontiera,a sorvegliare il tutto. "Qualcosa da dichiarare?" Queste "quindicine" mi incuriosivano, da piccolo, soprattutto nei cambi, il 15 stesso in una imprecisata ora, quando una famiglia usciva e l'altra si disponeva all'ingresso, per l'entrata trionfale "nella quindicina". Cercavo, piccolo io, ma sempre pronto alla curiosità, questi avvicendamenti, di non perdermeli. Erano sempre ricchi di contenuti e storie, ma non dozzinali, anzi. Gli ingressi e le piccole verandine delle casettine, forse costruite proprio per tale scopo, quello dell'affitto, e generare ricchezza, umana, erano sempre intasati e procedere ai traslochi non era una cosa ordinaria. Cassette frigo, giochi, materassini gonfiati e da sgonfiare, ombrelloni chiusi e aperti, macchine, portapacchi carichi e da scaricare, palloni, fresbee e tamburelli, infradito, zeppe, espadrillas, passaggi di consegne, chiavi, tra chi prima, padrona al centro e chi dopo, e le grida della proprietaria mani al centro del suo enorme corpo,coperto da zinnale, amministratrice e proprietaria, allo stesso tempo, inveiva gridando, per segnare la strada agli altri, "avete consumato tantissima acqua, dovevate fare meno docce", e ancora "la bombola del gas, avete cucinato troppo" , e ancora, "ora dovete integrare, e ora guardiamo insieme quanti piatti, bicchieri e forchette avete rotto. E chi ha rotto, paga". E intanto da uno dei due occhi della casa un televisore portatile cercava di uscire mentre un altro, senza perder tempo, voleva fare il suo ingresso. Avete presente i treni del sud in partenza da Porta Nuova negli anni '60-'70 e i bimbi calati come proiettili dai finestrini nello scompartimento ad occupare posti per un lunghissimo viaggio? Ecco, proprio cosi.E poi, volete mettere in tutto questo il "Lessico famigliare"? E quando senza uscire dalle rispettive case, (durante le quindicine)per il troppo caldo qualcuno aveva dimenticato qualcosa, e gridava dall'altra parte "Suntiiii le tieni do oe?"(Assuntina, le hai due uova?").Questo si che era degno di nota e scrittura. Dialetti di ogni tipo. Ah, potessero raccontare quelle case "da quindicina"....potevo già avere crediti formativi dal Miur senza saperlo. Ogni quindicina una storia e ognuna di queste, un libro. Appena sveglio, dalla radio, alcune note di una nota canzone si prepagavano per casa, ma il ricordo è andato subito ad altri luglio, quelli senza internet e senza airbnb.it, senza cellulari ma con la ricevuta della cauzione per una quindicina di luglio, spedita a Pasqua. "Luglio col bene che ti voglio vedrai non finirà, ya ya ya ya, luglio m'ha fatto una promessal'amore porterà ya ya ya ya, anche tu, in riva al mare tempo fa amore amore, mi dicevi "Luglio ci porterà fortuna"..." e chissa
come andrà a finire questa storia
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La sedia della maturità
La sedia della maturità è molto più di un oggetto. In quella mezz’ora, di seduta, sulla sedia, tutto ruota nella testa, le sue rotelle, (ma anche senza rotelle, che va bene ugualmente) in quel preciso momento, con tutta l’ ansia accumulata, poi, a radiografarla e’ come in un flipper, che stelle ce ne sono a milioni; ruota il candidato, alla Mose’ in san Pietro in Vinvoli, con la sua torsione, che sembra prendete la via di fuga, verso sei visi, che scrutano, domandano, ascoltano, pesano, la solitudine di quell’istante. Passano velocemente in mezz’ora cinque anni, due guerre mondiali, morti, vinti, vincitori, Foscolo, Ungaretti, Montale, Pavese, i contratti, le societa’, atti e contratti, Cassola e la fabbrica e la sua paga del sabato, l’iscrizione dopo la terza media, le gite, le vacanze, di Natale, estive,
di Pasqua, gli amori, soprattutto quelli non corrisposti, le delusioni, quelli che non si sa mai… gli intervalli, i libri, gli appunti; poi termina tutto con la domanda del Presidente: “che farai da domani? Progetti? Lavoro o Università? ” La seduta è tolta, e tutto si scioglie in un men che non si dica: in una stretta di mano.. rimettere la sedia in ordine, al centro della classe, chiudere la porta, che dentro si discute il voto e… e avanti il prossimo. Sembra ieri quando al posto del candidato A. e la sua tesina sul lavoro, c’ero io e la mia solitudine e la giacca e la cravatta troppo stretta che non vedevo l’ora di toglierla e la sedia messa in ordine per A. Ma non era ieri. Era oggi, la maturita’ di A., C, A., S…
Buona Pasqua
Caffe’ nero e bollente. Bicchiere di plastica tra le mani, appoggiato alle labbra, gustando una “miscela arabica” che si fa strada, lentamente. Sorso dopo sorso. Osservando la Freccia. Ferma. Che tra poco si scagliera’ vetdo la dorsale appenninica. Campane a festa in ogni dove. I prati sono in fiore. Glicine. Colombi. Colombe (sempre Sida) e cioccolata di ogni tipo: latte, amara, fondente, extra. Profumi anche tu, certo. Parchi cittadini in movimento.
E cosi treni alle stazioni. Finestrini e musi e nasi e visi appiccicati per osservare e appannare meglio. Capelli di fresco, stirati, neri, lunghi, frangia, occhialetti calati sul naso, libro tra le mani, come breviario. Mano aperta a mo’ di ciao. “Ciao”. Bus in un continuo via vai e panchine e sedie che aspettano ( forti “quelli di corso Umbria che aggiungono sefie alle panchine a ridosso della fermata. E non si comprende se per l’attesa piu lunga dei bus o altro). E allora buon viaggio e buona Pasqua. Senza preoccuparsi troppo della meta. Certo. L’importante è tornare con occhi nuovi.
Pasqua: dopo pranzo
Dopo la grande abbuffata, “liberi tutti” o quasi lungo le strade del centro di Torino. Sole nascosto, nuvole a macchia di leopardo e previsioni azzeccate: qualche spruzzo di pioggia qua’ e la’. Artisti di strada e decoratori di uova tra “smaltitori” di colombe (e non solo) e portatori o cercatori di farfalle. Per la sorpresa c’e’ sempre tempo. Per la cioccolata pure. Un paio di negozi aperti in via Roma, nota dolente e…stonata tra note perfette e ben accordate di pianoforte e chitarra sotto l’atrio della stazione di Torino Porta Nuova. Qui, si registrano arrivi, partenze e molte attese a gustare della buona musica gratuita sotto questa volta appena restituita a torinesi e non. L’Hotel Roma a due passi ma “la bella estate” e’ ancora distante da qui. Una giovane coppia, trolley alla mano staziona davanti in religioso silenzio. Per loro e’ una bella primavera. Tram storici
sferragliano ora su ora giu’ riportando il contesto in altra dimensione.
Una nota: l’ora legale e’ stata “spostata in avanti” di un’ ora e non due come risulta dall’orologio posto sull’edificio davanti alla vecchia stazione Porta Susa.
Buona Pasqua
Fuoco, luce, parola, acqua, pane. Campane che suonano. Candele. Parola.Genesi, Abramo che va per sacrificare Isacco. Seduto sulla mia panca tra migliaia di fedeli rigiro il foglietto e penso per un istante ad Amerigo Ormea nello stesso punto in cui Italo Calvino lo faceva riflettere. Mi ridesto. “E’ risorto”. Penso ai mosaici di Santa Prassede.
Mi affaccio lasciandomi la Basilica di Maria Ausiliatrice di Torino alle spalle con un “triduo” che volge al termine. Ho una candela tra le mani. Luce e speranza, verso “un uomo nuovo”. Uno, due, tre, quattro gradini, il sagrato della Basilica. Volgo lo sguardo a sinistra: una luna piena staziona e sorride. Si e’ affacciata al suono delle campane. “Gloria”. E’ immensa. Riempie meta’ del cielo. Lo allaga. La primavera e’ l’inizio della vita. Tutto rifiorisce. Le campane continuano a suonare. “Gloria”. La vittoria della vita sulla morte. Un “duello” tra Spinoza (Ethica) e Heidegger. Gli uomini che pensano piu’ alla vita che alla morte, il primo, e il secondo (Heidegger) che la ribalta (“Essere-per-la morte”). Altro duello si e’ appena concluso in queste ore con la vittoria annunciata della vita sulla morte, dal suono delle campane cittadine: “Gloria”. Tanto studio, condensato. Lungo la strada del ritorno gruppi di ragazze, verso la movida. Indossano jeans sgualciti, giubbottini leggeri e sogni nelle loro tasche, leggeri, come loro. Penso alle studentesse “Erasmus”. Le voglio ricordare. Io, mi incammino verso il divano di casa, con gli stessi jeans come i loro, con i miei sogni di ieri, e degli anni passati e di oggi. Una cosa sola pero’: avrei solo bisogno di dormire, pero’, per realizzarli…sognare bei sogni, come quando in viaggio, in treno, con la testa premuta contro il finestrino vedi il mare darsi il cambio con le colline e la campagna. E ripensi a quella compagna di viaggio cosi innamorata della filosofia mentre parlava di Spinoza e di Heidegger. Mi prendo la copertina alla Linus, di qualche anno fa, e ci provo.A sognare.Buona Pasqua.
Mi scarto un paio di uova e di sogni e…buona Pasqua.
Nella foto mosaici di Santa Prassede. Gesu’ Cristo risorto libera dalle catene della morte “Adamo ed Eva”.
Il secondo, “il trono vuoto”.
Neve su Torino
Torino 5 marzo 2016. Mattino presto. Cielo lattiginoso. Fiocchi d’ovatta precipitano dal cielo. No.E’ altro. “Ma vero?” provo a fare il verso ai ragazzi quando la tal frase e’ di dominio pubblico. Quando ormai sembrava non crederci piu’ nessuno, quando ormai tutti avevano smesso di pensarla, almeno per questo anno, mentre il generale inverno lo avevamo lasciato alle nostre spalle senza essere mai veramente entrato, a farsi vedere e “sentire”…eccola, lei, sottile e silenziosa, candida e bianca. Bianca come…la neve. Soffice. La neve del 2016. Ci mette un attimo a stendersi e assumere forma, sui tetti e sul manto stradale. E tra le mani dei ragazzi. Torino si sveglia, si affaccia e ammira lo spettacolo. Neve, neve, neve. Ricordo “Panchina innevata, gelo siberiano”. Un ricordo, un libro, “Un amore senza fine”, Scott Spencer. Bellissimo. Sospiro glutinoso, profondo, discontinuo. Avvolto in una nube di vapore, per il freddo o per gli occhi che si sciolgono o per entrambi. Da “paura di volare” a un amore senza fine.
Mi affaccio sul cortile allargato dove tutti navigano: la rete. Pupazzi di neve in grandissime quantita’ e forma. Ma come avranno fatto?? 5 centimetri? Mha’, certo e’ che un po’ ne e’ caduta. Non sentiremo i trattori e gli spalaneve, ma questa e’ cronaca. E storia. “Qui si che ci sta la notizia. Scrivi, scrivi” par di sentire voci “galoppine” e fotografi al seguito sguinzagliati per la citta’ (e la rete) per qualcosa e qualcuno, di buono e caratteristico. Il tutto quando ormai nelle vetrine dei negozi torinesi, colombe zuccherate e uova di cioccolata anticipavano Pasqua e le vacanze pasquali, e quelle la facevano da padrone. Ecco, festa interrotta, perche’ di colpo arriva lei. E si che ci voleva pure la sorpresa!!! Qualcuno sussurra in tono di sfotto’, “buon Natale”. Io ci scherzo su, prendo la sfera di Roma, regalo di alcune studentesse e ricordo di una gita e mi dico: “bhe’, nevica anche qui. Tutto l’anno”.
L’Epifania…tutte le feste si porta via
L’Epifania …quasi tutte le Luci…d’Artista si porta via. Le feste volgono al termine e domani si rientra a scuola. Ma oggi abbiamo ancora tempo per una passeggiata e rileggere le poesie di queste “benedette luci d’artista” prima che si spengano. “Ehi ma ti ricordi dieci anni fa? Torino 2006… Le Olimpiadi…il rosso cinabro, la passione da vivere che…lives here….o lived here. Tu che dici? Le luci le spensero a marzo!” Cosi raccontavano alcuni oggi, nei loro dialoghi post panettoni e cibarie varie che hanno messo alla prova fegato e stomaco. Ma i racconti piu’ interessanti erano in voga in alcune palestre. Bastava, con una scusa qualsiasi, prezzo, costo, orari, per una ipotetica iscrizione, avvicinarsi al bancone ed entrare in una di quelle, (ieri, ma anche oggi), per sentire certi discorsi (cibo, calorie e…)su questi 15 giorni appena trascorsi. Volete appagare la vostra curiosita’? Bhe’ facciamo un’altra volta, ok?
Facciamo solo un passo indietro e “rileggiamo” le parole di Francesco nella giornata di oggi: “L’esperienza dei Magi ci insegna a non vivacchiare ma a cercare il senso delle cose assecondando il cuore”. Occorre mettersi in viaggio. A domanda cosa hai letto, richiesta da lettori blog, rispondo: bhe’, ho preparato…il vecchio programma! Certamente fossi liberissimo parlerei dei Mosaici di Ravenna (vedere foto dei Magi), del significato del termine “compagni” (condividere il pane) ritrovato nel libro di Enzo Bianchi, ancora “Spezzare il pane”, poi, “Mangiare da crisiani” di Massimo Montanari, “Vino e pane” di Ignazio Silone e quel periodo storico, di pane, di vino e del “Cantico dei cantici”, “la persona e il sacro” di Simone Weil…e pagine e pagine esplorate se solo…Ma questo sara’ domani. Oggi c’era ancora un giorno di festa; facile intercettare “cacciatori” di saldi e befane per le strade torinesi a distribuire dolci vari. Belle erano belle, coi loro fazzoletti sul capo e menti allungati. Diciamoci la vetita’: certe ragazze con la “sbessola” non sono male! E poi poverine, a solcare i cieli sulla scopa non e’ che abbiano respirato il meglio del meglio. Questione di naso. Ma certe befane il naso sanno sempre dove ficcarlo.
Code nei negozi aperti e molti a socializzare con tutti ingannando cosi il tempo di attesa. Il Toro e la Juve in testa a tutto e nella testa di molti.I discorsi: “Le giovani vite spezzate delle partorienti (e figli) Giovanna, Marta e Angela mentre doveva essere cronaca e futuro, speranza e gioia. Si puo’ nel 2016 morire di parto?” E ancora il “guano di Roma”, il Giubileo, il referendum abrogativo o confermativo e “dove batte il quorum”, l’intervento del Presidente della Repubblica: “piu’alla Pertini o alla Napolitano?” Da caminetto, lo giuravano e vicino a questo ci va sempre la pipa. Ancora: il prossimo ponte. Beati certi professori che non devono aspettare Pasqua per la prossima fermata: Carnevale fara’ la sua parte. Ultima annotazione. Dopo tante polemiche di inizio periodo natalizio (meglio, Avvento)chiudo con la foto di un Presepe (Basilica Maria Ausiliatrice, Torino).
Buona Pasqua
Tutto ormai e’ quasi in fiore.E splosione di colori.Esplosione di boccioli Rosa. Bianco. Ciliegio. Pesca. In una natura che rinnova e si rinnova. Alberi dsi tronchi scuri e chiome frondose e coloratissime che incorniciano il circostante. E poi uova come simbolo di rinascita, di vita. Di cioccolata e sode. Da colorare. Perche’ si sa, colorare ci rende piu’ rilassati, a tratti bambini felici e contenti.E allora, colori amo. Dire, fare, baciare, lettera, testamento. Fiori, colori, festa.
E non solo il venditore di fiori e piante sommerso da quelli e queste sotto il suo tendone multicolore mentre accoglie l’uscita dei fedeli dalla Santa messa. Le campane in ogni luogo annunciano la Pasqua. La gente accorre per fruire “dei Beni spirituali”. Rinascita, Risurrezione dopo tanta Passione. Le Chiese traboccano di gente e le campane a festa dettano i ricambi per ogni santa messa per i fedeli. Chi entra e chi esce. Quotidiani, fiori e colombe sono indicatori che la gente si riappropria, oggi, del proprio tempo libero. Un’infilata di case su case, profumi di cibo dalle piu svariate provenienze
e una babele di lingue aiutano a comprendere quanto affacendate siano ai fornelli tante casalinghe. Fa freddo, parecchio. Un caffe, espresso, ristretto, un dolce di distensione, made in Sida e una buona Pasqua a tutt*
Nel pomeriggio l’atteso concerto dal balconcino nella sua veste sempre calda e accogliente nonostante qualche goccia di pioggia annunciata. Il benvenuto e gli auguri per tutti fin quasi sul limitare della via dei Mercanti. Strette di mani da parte di tutti gli attori di questo spettacolo che va avanti da…140 domeniche e per ognuno dei presenti un bicchiere di rosso per rendere più famigliare l’incontro che scivola via come sempre piacevolmente. Tra musica, canti, canzoni, poesia e cantiche su Porta Palazzo e gli ultimi, i barboni, senza valigie, esclusi o autoesclusi come difesa della propri autonomia e identita e ancora comicità e altro ancora per uno spettacolo “dal basso ” e democratico oltre che partecipato. Bello osservare inoltre la partecipazione del pubblico. Universitarie, universitari, pensionati, opera*, impiegat*, insomma un pubblico variegato.
Sul finire ombrelli aperti e struscio per le vie del centro torinese.
Sul fronte cittadino e dell’offerta culturale da registrare “nell”uovo”la sorpresa di un quasi tutto esaurito nelle strutture di recezione: l’85 % infatti e’ stato prenotato.
Pasqua 2014. Continua.
Pasqua a Torino. Un caffè nella centralissima Piazza Vittorio Veneto, osservata e scrutata da una finestra particolare, i portici della nostra città. Oppure stazionare in coda, per tutto il tempo necessario, in altra piazza, Castello, per poter accedere ad un museo. In questo frangente, la coda per visitare la mostra dei Preraffaelliti, “l’utopia della bellezza”, a Palazzo Chiablese. Settanta capolavori in un percorso suddiviso in sette temi quali la Storia, la Religione, il Paesaggio, la Vita Moderna, la Poesia, la Bellezza, il Simbolismo. Insomma, Torino come capitale dell’arte.
O ancora, contemplare, in attesa che arrivi il battello in arrivo dalla parte opposto e il lento fluire del grande fiume Po.

La vista è da cartolina. La Mole Antonelliana che si staglia nel cielo, visibile sullo sfondo, e la piazza che si apre nel cuore di Torino.
In realtà, le alternative che la nostra città offriva e offre in questa giornata erano davvero numerose. Oltre alle consuete “mete”, in molti hanno trascorso la festività, o parte di essa, optando per una scelta diversa. Il Serming, per esempio, o una visita, seguendo l’esempio dell’Arcivescovo di Torino, Nosiglia, in visita a qualche anziano o persona sola, sofferente, o ancora presso qualche casa di riposo, di cura o in un centro per anziani. E non si puo’ che immaginare, la felicità di chi, avvezzo alla sofferenza, solitudine, almeno per un giorno, è riuscito a contemplare ed intercettare un viso nuovo e raccogliere e riflettere su qualche parola in più, depositata e scambiata non da e con qualche personaggio immaginario frutto della propria mente, ma da un parente o conoscente, in carne ed ossa, passato da li, non per caso, ma sollecitato, da qualche bel sermone. E dalla coscienza. Non più mazzi di carte, o visi riflessi allo specchio, a consultare rughe e nominarle con nomi di qualche realtà passata. Niente di tutto cio’. Un incontro, una visita, inaspettata per i pazienti, i più deboli, l’ascolto, il parlare. Così, per far passare il tempo, ma in maniera diversa da come accade in qualsiasi altro giorno. Non più caramelle alla menta da scartare, in solitudine o lunghe e infinite passeggiate in qualche cortile di una ex casa per suore ora di riposo. Qualcosa in più, almeno per un giorno. Restituire qualcosa e qualcuno alla normalità. E la normalità , dovrebbe essere sempre. Uno degli ospiti, entusiasta di vedere volti nuovi, prova a dare prova a dare sfogo alla propria memora nel raccontare l’omelia della Messa. “Il masso del sepolcro spostato, nel giorno della Resurrezione, come sinonimo di barriera da abbattere.” Continua a dipanare il suo ricordo restituendo ai presenti quanto accolto in mattinata, prima delle Specie sacre. “La lotta fra morte e vita”. E a modo suo, prova a dare una spiegazione, interpretandolo, quel masso spostato, come un ponte, un raltà che tendono ad avvicinare. L’incontro. Gli incontri. Parla, felice di aver trovato qualcuno con cui parlare. E in molti ad ascoltarlo. Con una lucidità incredibile. Gli occhi brillano. La gioia è di casa. Bastava poco. Davvero. E così è per tanti altri. Per un giorno, in fuga dalla vecchiaia, dalla tristezza, dai pensieri.
Sarebbe bello poterlo fare più spesso.


Pasqua 2014

Ben tornato al sereno sulla nostra città. A scrutare il cielo, non si direbbe bel tempo, ma, quantomeno, sereno. Da qua sopra, dal Monte dei Cappuccini, a Torino, scostando una ideale tendina di una ipotetica stanza, la città sembrerebbe un grande teatro e i suoi abitanti, attori, artisti, le comparse, artefici principali del movimento cittadino. Ognuno di noi, una piccola civiltà, distinta da altre, con i propri concetti e definizioni. Le due stazioni, Porta Nuova e Porta Susa, affollate di gente, viaggiatori, turisti e torinesi, di chi parte e chi arriva. In una, un punto informativo a forma di uovo, che fa tanto Parigi, distribuisce cartine geografiche della città. L’altoparlante “snocciola” nomi di città vicine e lontane. Uova di Pasqua, come cani al guinzaglio e colombe sul palmo della mano. “Piovono code”, davanti ai musei, era il tema dominante della giornata di ieri. Insieme al freddo. Oggi, gli ombrelli, sono stati momentaneamente depositati. Qualcuno comincia già a parlare di pranzo e di uscite fuori porta.
Nella giornata Santa di oggi, recuperare Calvino sarebbe l’ideale. “Ciascuno di noi è un attore su una scena e Dio è il pubblico”. Noi come attori e portatori di qualcosa di bello. Sembra una finestra sul mondo, questo piccolo “balcone”, questa piccola stanza di un ipotetico appartamento, a dir la verità, una grande terrazza, condivisa. Ad aprirla, scostare la tendina, una grande bellezza si offre a noi. Torino, estesa, Nord, Sud, Ovest, Est. In lontananza, “i pennacchi” dello stadio. Dall’altra parte, l’arco, a rimandare quello della vita. Qui, come in ogni altro posto. Roma ad esempio. Chissà perché, in lontananza, piazza Vittorio assume le sembianze del Vaticano, via della Conciliazione, gente accalcata, occhi verso l’alto. Altra finestra, questa volta reale nella visione. Qualche analogia, forse, tra le due città, che fa tanto libro, o semplicemente, una riflessione sulla giornata di oggi. Grandi bellezze. Musei all’aperto. Il lento fluire del Po e traffico domenicale. Per restare in tema, città da sfogliare, come libri. O città da scoprire, come un incontro, come l’amore. L’amore sacro, perché come la grazia. “Ovunque si volga lo sguardo il mondo puo’ risplendere come la trasfigurazione. E tu non devi metterci nulla tranne un po’ di disponibilità a vedere.” Occorre un po’ di coraggio, nel voler vedere. La città, è bellissima. La giornata, pure. La luce è costante. Siamo noi che giriamo.
