Le verande delle case estive fanno come possono, il loro onesto lavoro: ovattano quanti sono al loro interno dai rumori della strada, sia causati da turisti con ombrelloni e corredo vario al seguito (disposti tra mani, braccia e collo, vedi salvagenti) che si dirigono verso la spiaggia, sia dal “cicaleggio” continuo che insieme scandiscono il tempo e l’andamento lento. Dalle fessure delle finestre si intravede, oltre il fico, i suoi rami, le sue foglie, Enrico C. che dall’alto dei suoi 80, nasconde, come sempre, il viso e il suo capo calvo, dal solito cappellino giallo, omaggio di chissa’ quale commerciante nei lunghi e vuoti mesi che precedono la “bella estate”. E’ scuro in volto, coloro che è il risultato di una perenne abbronzatura forzata, per una continua esposizione al sole, e qualche ruga ne solca la fronte. Il sole lo vendemmia continuamente. Un tempo faceva il contadino e da anni, pur non avendo nulla da coltivare, si reca sulla sua terra (o ex terra) a guardarla come si fa con un amore eterno. Il manubrio della sua bicicletta conserva da sempre una bustina di nylon, a sinistra, per la spesa, e, a destra, in altra bustina, nell’ordine, si trovano, “il mastice, la pezza, e la carta vetrata” in caso di foratura. Enrico sara’ un pezzo di antiquariato e non solo da queste parti, almeno ritengo, in fatto di “gommista per biciclette”. Secchio d’acqua, camera d’aria immersa e occhi attenti pevlscrutare da dove escono le bolle E individuare così il foro. Poi, una grattata con la carta vetrata alla camera d’aria, la pezza e “il mastice”. E “riparo l’imbroglio”, dice. E quante ne avra’ riparate ai ragazzi del circostante in anni di onorata carriera? Sulla sua bici ha piazzato anche una bandierina dell’Italia a perenne ricordo di chissa’ quale mondiale di calcio o europeo
. Enrico e’ tozzo, ma lo e’ sempre stato, e anche qualche anno fa lo era; indossa una canottiera stile mare colorata, i calzoncini da ciclista e scarpe da ginnastica. Immancabili gli occhiali. Da sole a goccia. Nel pomeriggio, verso le 15, cascasse il mondo, e’ uso dare una scampanellata per indicare la sua partenza verso Porto Cesareo e svegliando cosi quanti sono in “zona siesta” : e’ sua abitudine ripetere la scampanellata anche al suo ritorno, quando il manubrio è ricolmo di spesa e l’andatura poco equilibrata. Un panino, fette di prosciutto, una scatoletta, tv sorrisi e canzoni, una gassosa e l’acqua Uliveto. Immancabile una pesca, perche’ fatta a fette in un bicchiere di vino e’ il massimo. Per lui. Bisognera’ pur concedere un aiutino allo stomaco dopo una mangiata simile alla sua veneranda eta’ e… dopo tutte quelle fatiche nel pedalare occorre una dieta sana ed equilibrata! Scampanella almeno un km prima del suo arrivo. I bambini, quei pochi rimasti che hanno sentito le vicende di Enrico raccontate da nonni e genitori, gli corrono incontro festosi gridando: “Enrico, Enrico”. Biascica qualche parola dalla sua 28 anche se i tempi di percorrenza tra Porto Cesareo e Torre Lapillo si sono enormemente dilatati negli ultimi anni. La forza del tempo. Canta, perché una volta lo faceva, nelle lunghe notti afose, o sotto gli ulivi, i fichi, tra uva in via di maturazione e angurie sparse sulla terra rossa, pronte per la raccolta. Era Caruso “dove il mare luccica”. E’ ancora Enrico, come Berlinguer, quando da queste parti il circolo era politica. Caruso. E spira forte il vento. Enrico, dopo la sua cena, fa due passi, a piedi. Qualcuno gli chiede di cantare o suonare, perche’ un tempo, quando non c’era nulla e poche anime intorno, suonava. O faceva finta. Per tidere e scherzare e passare il tempo. Ma alla gente, piaceva e piace così. Quando lo si incontra, nella passeggiata notturna, durante certe estati calde che non ti fanno dormire e ti obbligano a scappare dalla camera, in molti, incontrandolo, gli chiedono ancora di cantare una canzone….lui l’accenna, monosillabe, e accenna un inizio di accordo, senza chitarra, ma tutti d’accordo: forza Enrico, canta”. E lui:”Mi manchi sai, mi manchi sai.. naaaa… “e canta e suona mimando una finta chitarra. Poi, inizia a raccontare di quando a Belvedere c’erano solo lui e pochi altri e dal Boncore proveniva il rumore dei camion. Poi, la cementificazione, e storpia una canzone di Celentano… “la’ dove c’era il mare ora c’e’… “
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L’amore con gli occhi giusti. O con occhiali, giusti
Aspettando il “colore” cangiante della Mole…arrampicato fin quassù, sul monte dei Cappuccini, a “vedere” una Torino diversa, sotto una luce ancora migliore, sensibile, accogliente, solidale, ancora più bella.Mondiale. Con gli occhiali giusti, seduto su di una di queste panchine, che somigliano a tanti altari iinnalzato, si riescono a vedere i confini della nostra città e punti passati della nostra biografia “storica”.Moncalieri, Rivoli, Caselle, Superga, e per ciascuna di queste centinaia di ricordi, che affiorano, lentamente. Questo piccolo monte e’ una lanterna magica, una macchina da presa, e una macchina del tempo. Una macchina che guarda avanti, con occhi nuovi. Ai nostri piedi, il mito della velocita’, qui, qualcisa di eterno, un incongro con noi stessi e con altro. Una piccola processione, con frate in testa, passa cantando. Giovani che mai avresti pensato passare da qui, a pregare e cantare. Il frate alla testa è di quelli tosti. Lo osservo attentamente. Sul suo viso paiono scritti i versi del Vangelo di Giovanni. E cosi presumo che sia. E li trasmette, con le le parole, i gesti, gli esempi. Tra le mani, una Croce”. Immediatamente rifletto sulla cristologia implicita ed esplicita. Chissa’. Periodo di Passione.Sulle panchine qualcuno scarta la sua cena: qualche tozzo di pane, una bottiglietta d’acqua, due chiacchiere, per chi ha poco e nulla più da offrire e di che nutrirsi. Quando la Parola conta.E aiuta a comprendere meglio il senso della parola e interpretare il silenzio di quelle persone che se ne nutrono. Sul cornicione di questa terrazza panoramica che fa tanto balcone di Giulietta e Romeo, coppie che pensano e ripensano l’amore e ridefinendolo finiscono per accoglierlo in maniera migliore. Ah, i contenuti. Da qui, si contempla, e lo si riesce a chiamare e definire in modo migliore, con gli occhiali giusti. Si promettono il mondo, i ragazzi, e gli innamorati in genere e si concedono questo stupendo panorama. E da quassù, uno sguardo alla processione che lentamente termina il suo corso e lassu’, a contemplare, che le cose si spieghino e ce le spieghi in modo diverso. E chi, avvolto in questo cielo torinese c non vedrebbe l’amore con gli occhi giusti? (Non con gli occhiali). Con gli occhi giusti, e gli occhiali, riesci a prendere la vita in modo positivo. Ma quali?Una statua fa ombra, un po’ a tutti. Ma forse, meglio dire, protezione. In lontananza, Superga. Non la si vede molto bene, ma è la, a custodire nitidi ricordi. Il fiume scorre e riflette, luci, vita e amore Lasciata Piazza Vittorio, (dove stazionano degli enormi occhiali Generali) e i suoi locali, sul corso, la villa di un altro “profondo”, “rosso“, diverso da quello di oggi pomeriggio, dopo averlo fotografato e scritto. Dai Cappuccini, la vista è davvero mozzafiato. I Murazzi, le luci, le arcate, il passeggio in un via vai continuo, sotto questo balcone, dall’altra parte del fiume, che pare di rileggere il libro di Alice Corsi. Pagina dopo pagina, personaggio dopo personaggio, universitarie, universitarie, …Tutto così magico. Tutto cosi molto… Passion…Passioni che muovono, anzi, smuovono le persone ad andare oltre.