Dentro la “rimessa”, deposito di attrezzi da lavoro per la terra, di mangime per galline, di stivali, scarponi, lattine vuote, (in periodi in cui gli acquedotti erano ancora lontani da passare, almeno in quei paraggi), e piene, di chissà cosa, bastoni, cappelli, tute per l’inverno, e l’automobile, ovviamente, una mercedes che gia`all’epoca dei fatti, era pittosto andata, male, l’evento, il fatto, era il mondiale del 1982 vinto dagli azzurri, da Rossi, dal “vecio” e dal Presidente Partigiano con la pipa, braccia al cielo; li dentro, fedele, c’era sempre un pallone, il Tango ’78, indistruttibile e sempre presente li dentro, (pronto a farsi accarezzare dai nostri piedi) nella rimessa, a sinistra, nel sottoscala, ad attenderci ogni estate, da quattro anni. Puntuali, lo lasciavano li dentro, ogni 31 agosto, dopo il gioco, mica tanto, della salsa collettiva, rito che davvero chiudeva l’estate. Il nostro gioco preferito, il calcio, avveniva in un campo sbilenco, dove in luogo dell’erba c’era cemento, nel bel mezzo una cisterna e poco vicino una vasca per la calce. E in luogo della porta, la rete, un portone in legno, aperto per l’occasione: quello della rimessa. E non mancavano finestre e vetri e spettatori attenti. A che non li rompessimo, i vetri, ovviamente, mica al nostro gioco. Ma tanto col tempo eravamo tutti diventati ottimi Rossi, Scirea, Cabrini, Tardelli, Zoff,…Nei 4 anni precedenti l’11 luglio 1982 in tanti della nostra comitiva avevano segnato dentro quel portone in legno, che separava il fuori dal dentro, che conteneva (dentro la rimessa) tutti quegli attrezzi sopra menzionati. E ogni anno rigiocavamo sempre Italia- Germania, Itialia-Olanda. Ma quell’anno li, sentivamo che sarebbe stato tutto diverso. Senza bisogno di rigiocare le partite. Ad ogni nostro gol, nel portone della rimessa, entrare li dentro a recuperare il Tango era come una caccia al tesoro, tanto che qualche volta, ci si trovava anche una gallina, al fresco che cercava solo solitudine per una solitaria covata. Ecco, l’11 luglio ha la capacità di evocare quel ricordo di fresco, umido, vino, attrezzi, grano, orzo, galline, uova, la coppa del mondo e il Presidente della Repubblica. Un partigiano come Presidente.
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11 luglio
Frugo nella tasca dei pantaloncini, prima a sinistra, poi a destra, alla ricerca delle chiavi del portoncino di casa. L’unico tintinnio però è di qualche spicciolo rimasto da chissa’ quale viaggio. Resto, di chissa’ quale mostra o galleria. Perche’il viaggio e’ trasversale, a cavallo tra storia, geografia, storia dell’arte, architettura, religione, usi, costumi. La vita si sa e’ un viaggio e ciascun viaggio e’ una metafora di vita. Ma quel che mi servirebbe ora manca. “Dovro’ aspettare che qualcuno entri”, penso. .. Come si vede, siamo sempre in attesa di qualcun*. Allargo l’orizzonte e scruto una panchina, dalla parte opposta della strada che si offre alla mia vista e stanchezza. Mi strizza l’occhio e mi invita. Ripiego verso di lei, mi siedo e aspetto che qualcuno dall’altra parte della strada inserisca le chiavi nella toppa e apra quel benedetto portoncino. Aspetto, come il cane aspetta il rumore del carretto, o, orecchie attente, un ipotetico intruso. Aspetto, come il bimbo il suo riposo notturno. Il tempo passa, i bus caricano passeggeri madidi di sudore. La voce metallica del bus si sprigiona e investe l’aria circostante ad ogni apertura di porte mentre da esso si scarica fuori aria fresca condizionata che si disperde in tempo zero; intanto il bus incorpora e sale a bordo calore, “sprovvisto” di biglietto. L’autista ha un fazzoletto al collo e il braccio fuori dal finestrino. “Direzione, numero e prossima fermata”, nel mentre si aprono le porte sento la stessa filastrocca una infinita’ di volte: numero, linea, direzione, prossima fermata. Tutto cio’ mi ricorda che sono “atterrato”in citta’ ancora una volta, ritornato dai miei “pellegrinaggi”. Citta’ che in quel fazzoletto di terra tra corso Principe Oddone e corso Regina Margherita (a due passi da piazza Statuto) e’ avvolta da un nastro d’asfalto intorno ad una rotatoria perenne. Solo il tempo di disfare lo zaino, cambi, ricambi, libri (viottoli cartacei e vere autostrade da sfogliare, Costantino in primis) biglietti e “viaggero'” (un tempo avrei pensato tratte e paghero’). “Comunque andare”. Ancora. 11 luglio. L’Italia campione del mondo. Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea… Cabrini al 5 sbaglia il rigore: e la leva calcistica del ’68 risuonava ma solo in quel momento, poi Rossi, l’urlo di Tardelli e Pertini che esultava. Pertini Presidente della Repubblica . Pertini Partigiano. Pertini con la pipa, gli occhiali e un mazzo di carte di ritorno dalla Spagna. Controllo le cose da fare, gli appunti presi, e questi si che non li scordo, nel blocchetto sempre a portata di taschino. “Davvero? Davvero?” faccio il verso alla ragazza della pubblicita’ che si vuole sempre connessa. Si. Tra i tanti foglietti, uno che L. mi regalo’ con un appunto, sul viaggio. “Le nostre valigie battute erano ammucchiate di nuovo sul marciapiede, avevamo una lunga strada davanti. Ma non importava, perche’ la strada era lontana”(Jack Kerouac). Sorrido, torno a Orvieto, a riguardare le cose, con gli occhi, le prospettive sono varie.
Un cartello e come viaggiare. Essere come vuoi d’ una questione di scelte. Oh, finalmente entra qualcuno. Salgo. Ho lo zaino da preparare. Il viaggio continua. Gli esami di maturita’ anche. Almeno fino al 13. Poi, vacanze vacanze.