Fa un certo effetto Torino avvolta nella nebbia. Al mattino presto. La stazione sonnecchia a bocca aperta e lentamente ingoia e sputa personaggi lenti sprovvisti di orologio, tanto il tempo è loro e si vede che hanno solo voglia di perdersi. E io pure, infilandomi in un treno qualsiasi. Reggio Emilia. Vorrei andare da quelle parti. Mi piacerebbe. O piu’ giu’ ancora. Cosi, tanto per “annusare” ancora una volta il mare. La metro è a due passi e la città pure. Il grattacielo strizza l’occhio e l’Agora’ attende. Avvicinatomi alla porta a vetri si apre. Uns breve rampa di scala, l’accredito e ci sono. La sala o aula magna o auditorium. Dalle 9. 00 alle 13. 00 si parlerà di lavoro, formazione, welfare, famiglia, opportunità e relazioni istituzionali. Silenzio entrano il Vescovo, la Sindaca e il Presidente della Regione. Silenzio: 4 esperienze personali, di riscatto personale e voglia di “restituzione” alla citta’. Si snocciolano storie di vita e si preparano domande da porre per un futuro diverso. Da predisporre.
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Chiusura “Porta”Santa
Torino 13 novembre 2016. Ore 15. 30. Duomo. Affollatissimo. Celebrazione di chiusura dell’anno “giubilare misericordioso “. Della “porta santa”. E ordinazione di due diaconi. L’omelia dell’Arcivescovo Nosiglia e’ efficace. Mi lascia un’ immagine forte: “Gesu’ Cristo crocefisso immobilizzato a fare eppure fa. Salva”. Resto con questa immagine. Penso ad una pittura del Guercino. Croce. Partecipazione. Coinvolgimento. Attenzione. A quanti continuamente pensano di non essere capaci o impossibilitati. Apertura. Roma. Sembrava ieri, ma non lo e’. Era l’8 Dicembre del 2015, l’apertura dell’Anno Santo. Giubileo Straordinario della Misericordia. La Caritas, il volontariato, Roma che si acende, Roma che attende, Roma che si dpiega e ci spiega. Cisa sarà rimasto di un ann o intero? Roma, l’apertura dell’anno giubilare, della Porta Santa, in un percorso che da Colli Albani, fermata metro, osservavo lo “srotolarsi” della citta’ Eterna dal finestrino di un bus che mi portava a san Pietro, io all’interno del 70 e lui, il bus, inghiottito dalle strade romane ancora deserte, in un’ora insolita, a dire il vero. Soffiavo contro il vetro e col dito scrivevo e disegnavo. Sul piazzale dei capolinea un gruppo di “giocatori”di pallone ci salutava felice per aver recuperato metri a quell’insolito campetto “d’assalto” con i giubbotti come porte. “Brum, brum, brum” e il 70 con il suo scarno carico, cioè io, si allontanava e io con i miei ricordi che si accendono e si spengono ogni qual volta “pellegrino” da queste-quelle parti, “Colli Albani” metro. Una metro sfuggita in un metro di sogno. Non era tempo di lampade Osram. Un anno, questo, trascorso all’insegna del fare. Porta chiusa, rito, rituale e molto altro che resta aperto. Torino accende le sue luci d’Artista. Per la diciannovesima volta. E’ tutto bello. Soffio per scrivere nell’aria e un po’ per noia. Fa freddo e mani in tasca ci si perde, un po’ tutti, lungo le strade della citta’, dove a tratti, a gruppi, si parla ancora di elezioni. Americane. Good-morning, America. Good-night, America.
A margine, ieri, un incontro al Cottolengo su salute e poverta’. E qualche riferimento costituzionale.
A casa.
E al termine, tutti a casa. A dormire, nella propria “cameretta“. Felici e contenti. Sembrerebbe il titolo di un film, in realtà, non lo è. Casa, parola, pensiero ripetuta e rimbalzata nella testa di molti, nella scorsa notte, tra un popolo molto variegato. Ripetuta, mentalmente e lentamente, al pari di un bimbo esausto che vuole tornare a casa, ma solo perchè stanco, in compagnia dei suoi giochi, prima della nanna. A casa. Forse solo per giocare. E provare ad immaginare un mondo diverso. Un popolo arcobaleno, che rientra a casa, stanco ma gioioso. Per un attimo penso a mio padre, quando da piccolo, dopo la scuola, aspettavo lui, per la cena, per uno sguardo veloce ai compiti, al diario. Mentre ora, aspetta me, con gioia, qualche scritta di troppo, sulla pelle, sulle mani consumate dal lavoro.
Popolo che mentre si “disperde” ne intercetta altro. Lungo le vie di una circoscrizione, la 7, (a Torino) si è palesato un popolo ben rappresentato. Anche in questo caso vi è chi si sforza, questa mattina, di esprimere la quantità dei presenti, ieri, con un numero, una cifra. “Affluenti”, “presenti”. “astenuti”, di quelli che erano qui, ma erano anche altrove. Con la testa. Ma è la qualità, quel che conta. L’impegno, l’esserci, nel senso di essere presenti a se stessi e vivere qualsiasi momento che ci è dato con intensità e gioia. E ieri, sono stati tantissimi, questi momenti. Incontri. Saluti. Abbracci, mani intrecciate. Avrebbe potuto essere il titolo di un libro, “Riti e rituali” ma non lo è stato. Negli anni il percorso della processione si è modificato, al pari di come mutavano i preparativi e le feste relativi alle celebrazioni dei matrimoni nella Francia meridionale. Il corteo degli amici degli sposi, per le strade terrose che imponevano certi rituali poi modificati con l’avanzare degli anni e la “civiltà” che incede con le strade asfaltate e le macchine. E con l’asfalto, addio all’albero della sposa…Ma l’intensità dell’evento, del rito è sempre la stessa. La devozione, la passione è sempre identica. Bastava sollevare gli occhi, verso i balconi delle case. Lenzuoli ricamati, rigorosamente bianchi e tovaglie e tappetti. Umanità. Via Maria Ausiliatrice, via Biella, via Brindisi…Sempre l’identica bellezza, che non muta mai. Così come la bellezza dei capelli di una donna che rimbalzano sulle sue spalle, sulla schiena. La sua eleganza nell’incedere, il volto che si gira e l’intercettare di uno sguardo, occhi negli occhi. Capelli color miele, occhi nocciola. Bellezza di uno sguardo disarmante.
Allo stesso modo, certe cose, come quella, come altre, non possono mutare. L’importanza del rito. “Tutti a casa”, slogan che si ripete in giornate come quella odierna, di sezioni, di matite, di scrutatori, di Presidente di seggio e di rappresentanti di lista. Di liste e listini. Di partiti. “Tutti a casa”, dirà qualcuno. Lavorando a scuola, sono molti i giovani che si apprestano ad andare al voto per la prima volta. Emozioni, gioie, speranze. Generazione Erasmus. Chissà cosa si aspettano dall‘Europa. Cosa domandano, alla politica, con la loro intenzione di voto, all’Europa. Studenti sempre più internazionali che “passeggiano” per i corridoi della scuola durante i loro intervalli. Immersi nei pensieri del voto altrui e intenzioni di voto proprio, di interrogazioni e domande all’Europa. Cosa promuoveranno e cosa bocceranno nelle loro intenzioni di voto? Chissà. Intanto, presto, i loro educatori, cominceranno a giudicarli con l’espressione di un voto. “Come andrà”? domandi, di tanto in tanto. “Dovro’ accendere un cero alla Madonna” risponde più di uno.
E in tanti, un cero lo hanno davvero acceso e portato in Processione. Per un voto. Dal voto al voto. Intanto, a notte inoltrata il popolo si “scioglie” e ne intercetta altro. Quello sportivo, che dopo aver vissuto momenti esaltanti di una finale di Coppa dei Campioni davanti alla televisione esce per le strade della città, del quartiere.
La coppa dei campioni. Anche se, in realtà, non si chiama più così. Riti, rituali. Anche qui, al termine di una partita interminabile, qualcuno è “tornato a casa”. Nella stessa casa. Due squadre della stessa città. Atletico-Real. Un evento sportivo. Entrambe le squadre sono state le migliori. A mio modo di vedere, hanno vinto entrambe.
Di queste giornate ricorderemo visi giovani, che hanno vissuto e che si apprestano a vivere qualcosa di entusiasmante. Nella speranza che qualcosa di migliore possa davvero arrivare.