A proposito di scuola

Sarà che i miei genitori lavoravano in fabbrica e certe cose si intuivano (e ora si intuiscono quelle altrui, per empatia) immediatamente: mettere insieme quanto possibile, (si diceva il pranzo con la cena, una volta, ma fortunatamente, da mangiare, ve ne  era in abbondanza!) dignitosamente, anche con le ristrettezze causate “dal padrone delle ferriere”, (il “capitalista”) il senso del limite, e tutto cio’ che un lavoro “pagato appena appena” (non voglio scrivere in termini marxisti, ma il senso, insomma, è  quello) generava. Ristrettezze, tante e molta dignità. Ma per i miei, l’istruzione, era tutto. Il diploma, la laurea, il riscatto, della laurea e sociale. L’ascensore, sociale. Tornare “al paese” migliori e sempre uguali, con umiltà. Ed ogni anno, al mare, al paese, tra di noi, che anno dopo anno avevamo la pretesa di  confrontare  i sistemi scolastici come fossero stati “toc”, pezzi sfornati da una catena di montaggio (ma del Capitale, del Manifesto né  tanto meno di Encicliche sociali avevamo mai studiato disquisito e piccoli come eravamo, al massimo parlavamo di altre “conquiste” certo non quelle della borgesia e dei suoi mercati) le solite domande erano, “bhe, promosso, rimandato o bocciato?” E ancora “quanti esami hai dato?” “Quanti ne mancano?” e “la tesi?” Per tornare all’oggi e ai ieri miei e altrui, proletari, I libri, il corredo scolastico, non dovevano mancare mai. Mi domando, ora che i banchi non saranno più uniti come faranno gli studenti a condividere un libro,( perché i soldi non ci sono mica in tutte le famiglie, anzi! Un libro ogni 2, con il compagno di banco, io compro questo, tu comperi quello, (insomma, “fifty-fifty”), a condividere tutto quel corredo scolastico, di un certo “peso economico”, quali i dizionari, per esempio, o tutte quelle calcolatrici con certe funzioni, ma anche cose semolici, i fogli protocollo, dimenticati all’ultimo “perche non si poteva e puo mica svegliare per chiederei soldi mamma che aveva-ha terminato il secondo turno e papà la notte”) l’ album da disegno, e, le chiamate da un capo all’altro della classe “mi presti una penna, una gomma pane, un evidenziatore?” Mi domando se sarà ancora  possibile esercitare lo scambio dei libri usati come da sempre famiglie e ragazzi fanno, o se si dovrà rispettare”la quarantena dei libri” come accade nelle biblioteche. (E mi domando i compiti in classe, dopo quanto tempo di “quarantena” si potranno correggere. È quando si dirà, “fine, stop, tempo scaduto, come raccoglierà la mazzetta di quintetto? Con i guanti?). E il prof, potrà dare il gessetto a X interpellandolo con “vieni alla lavagna” e vediamo se abbiamo capito. Cose banali, certo, ma che fanno la scuola, da sempre, comunità, famiglia, relazione, condivisione. Siamo pronti? Non lo so. Mi fido, mi affido. Vediamo. Intanto, meno 2! Intanto, voterò  NO, perché  amo la democrazia e perché,  romantico come sono, mi piacerebbe vedere ancora operai della catena di montaggio o nuovi operai, giungere in Parlamento col gusto di sudore impastato e trangugiato in 20 minuti. Perché  è  l’arte dell’impastare, dello stare insieme, del condividere il pane (compagni di scuola, compagno di banco) che ci rende empatico e capaci di dare risposte, immediate, ai bisogni. La rete, va bene per altre cose.

1 commento su “A proposito di scuola”

  1. Le tue parole raccontano anche la mia storia e la storia della scuola. Cosa succederà ora con la didattica laboratoriale che richiede vicinanza e condivisione? Per chiudere: voterò NO anche io per le stesse motivazioni!

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