“L’uomo mortale, non ha che questo d’immortale, il ricordo che porta e il ricordo che lascia” (Cesare Pavese). Non avevo letto molto di Pavese, quantunque la nostra prof. (Delle medie!!) ce ne parlasse in continuazione, con “Lavorare stanca”, ” I dialoghi con Leuco’”, “Tre donne sole”, “La luna ed i falo’ “, “La bella estate”, ecc.ecc l; fu in seguito, avanti nel tempo che mi introdusse alle sue letture, L. Non so, ci vedeva qualcosa che io non riuscivo, in maniera superficiale, quando le cose, le passioni, avvengono e maturano prematuramente. Forse perché anche lei, L, riusciva a vedere le cose “con un occhio solo”, anticipatamente, con una intelligenza emotiva superiore. Era affascinata di Torino degli anni andati, (con i suoi tram verdi) e di quelli recenti (con le sue contraddizioni), e di Pavese cosi una volta, passando davanti all’hotel Roma di Torino, durante una passeggiata tra via Roma e Porta Nuova, chiedemmo, in maniera improvvisa, in portineria, di poter visitare la stanza 346 dove il tempo è fermo dal 1950. Ogni tanto mi capita ancora di passarci, davanti l’hotel Roma, lungo il tragitto casa scuola e viceversa, e mi capita di ricordare quel giorno e di riportare alla mente alcuni passi delle opere di Pavese. Durante le vacanze di Natale mi è capitato di passare nell’atrio della stazione di Torino Porta Nuova, e tra i tanti biglietti sopra l’albero uno riportava una brevissimo scritto, dei Dialoghi con Leuco’, “l’uomo mortale non ha che questo di immortale, il ricordo che porta ed il ricordo che lascia”, ed era firmato L. a due passi dall’hotel Roma. Stanza 346, dove il tempo si è fermato.