Buon primo maggio (foto dello scorso anno).
Sveglio, di primo mattino, dopo un buon sonno, ristoratore, dopo il film su un giovane Marx, della sera prima. Sveglio, senza l’ansia che sia troppo tardi per intercettare pezzi di fabbrica, di sindacato, anicizue sfumate, nel tempo, ma che resistono, nel tempo, e le ritrovi, in piazza, l’anno successivo. Col tempo ci eravamo abituati a sfilare “senza il soggetto principale”, o”senza l’interlocutore” più importante, ben presente nella Carta fondamentale, a partire dagli inizi, dal 1948, dai fondamentali, tra i 12 fondamentali, mentre oggi, ora, citta senza cortei e anche senza il residuo dei lavoratori, testimonianze di tracce, di frammenti, di lavoro sconfinato, spacchettato, spedito, delocalizzato altrove. La raccontavano da tempo, che “era necessario” accettare l”interinale (che brutto nome), la somministrazione, il part time, orizzontale, verticale manco fossero pose. Una mattina, quella odierna, senza: bandiere, cori, slogan, “filtri”, tra spezzoni di sindacato, partiti e antagonisti compagne, compagne. Persone. Restano i ricordi di altri cortei e spillette rosse, gente che salta il cordone alla vista di Cossutta, Rizzo, Bertinotti, Ferrando e cordoni di militanti a garantire il servizio d’ordine. Resta il ricordo dei 100 mila di 26 anni fa, “tre rami” che confluirono poi in piazza San Carlo. Centomila magliettina bianche perché la “Rivoluzione non russa”, una settimana dopo 300 mila a Milano sotto la pioggia: “Che liberazione”. Oggi, tutto tace, a parte i canali web, ma è tutta un’ altra faccenda.
Perfino il concertone, di piazza san Giovanni a Roma, tace. Ci sarà la bellissima Basilica, con la piazza e il silenzio.
Restano i ricordi.
Al prossimo 1 maggio.