Giornata pigra, noiosa a tratti e fredda; stropiccio gli occhi, allungo braccia gambe, braccia, e intanto faccio il “gibberish”; poi, doccia, latte, caffè, giro io e mescoli mescoli quei due; allungo gli occhi al giornale: 26 aprile. Il pensiero corre al 1986, al disastro del reattore nucleare di Chernobyl, Ucraina. Era il tempo senza: internet, social, foto postate, condivisioni, link di testate giornalistiche. Ma avevamo da qualche anno “maccheroni elettronici”, e “computer capriccio” di Alberto Camerini e le periferie dove tram avanti non vanno piu, cantava Eros. Ma qualcosa, c’era, una lei, adesso di quel momento, un tu. Notizia, quella su Chernobyl giunta chissà dopo quanto dall’evento. Da nascondere o “incartare” agli occhi dell’altro blocco, in un mondo diviso in due. Dopo la notizia, subito l’allarme dei media: stop ad alcuni alimenti, latte, verdura di un certo tipo. Panico. Che fare? Il referendum sarebbe stato l’anno successivo, ma, intanto, che fare? Ci scoprimmo vulnerabili per un fatto accaduto a migliaia di km sa noi. Noi che avremmo avuto quelli del vino a metanolo. Noi senza Europa, ma col muro di Berlino e con i pochi sogni collettivi che prendevano il largo e sfumavano come i mondiali di calcio Messico 86.