La Torre e’ al suo solito posto e così
“l’Arcuri”, un pochino sfiorita nella sua bellezza, col passare delle stagioni: il “trucco” passatole sul viso presumibilmente da qualche gelosa di troppo è evidente da un po’ di tempo a questa parte.
Lo specchio d’acqua, questo mare che luccica ad est e “bolle”, riflette barche, scoglio e “Lo Scoglio” e mentre qualcuna, riposando li nei pressi, osserva lo sciabordio e misura le distanze ,
tra Torre Chianca e Torre Lapillo; Enrico C., riconoscibilissimo dal suo cappellino dai colori vivaci e dalla sua canottiera blu, agita le mani e le braccia, immerso fino alle ginocchia, nel mare gia caldissimo da quando l’alba si è distesa e allungata su questa parte di cielo. Cerca le “corse”, specie di granchi conosciute solo da lui, o probabilmente si illude di trovarle, un espediente per fermare il tempo in cui quell’ attività era redditizia e i clienti facevano a gara per accapparrarsele. Un modo come un altro per nascondere i suoi 85. Accenno un saluto, un piccolo cenno con la mano, ma resto dubbioso che mi abbia effettivamente riconosciuto. Fin dall’alba dei suoi 80, l’occhio “semi chiuso” o “semi-aperto”, il che è lo stesso, lo rende assai simile al bel don Giulio di Ferrara. Anche li, una Torre. Lascio ricadere mano e braccia lungo il corpo e prendendo fiato faccio partire un : “Enricooooo”. Rialza il suo pesante corpo da ciclista consumato, porta la sua mano a tetto o a visiera tra occhi e fronte cercando di capire qualcosa in piu, di quel mio grudo, già consumato… ma… Mi giro, mi infilo nel corso del paese, alla ricerca dei quotidiani, di un caffè forte e di un pasticciotto, prima che “Lucifero” cominci la sua “cattiva” opera. Solo i ragazzi non si accorgono di lui: loro, felici, tra un tuffo e l’altro, riempiono il tempo: non è piu’ alla ragazza di Veglie, che dedicano i tuffi, ma a nomi propri dolcissimi. Non conoscono stagioni o mezze stagioni, il caldo o il freddo. Perché è la felicità dei loro anni che vuole così. E così sia.