La pioggia che batte sui vetri e sull’impalcatura del Palazzo si mischia al rumore dei trolley che recuperano l’arrivo della stazione e si lasceranno inghiottire da alcuni dei varchi fra atrio e binari, pronti nel disperdersi verso qualche piacevole posto del nostro Bel Paese. Lancio un’occhiata verso Termini, mai cosi vicina a me e resa cosi lucida dalla pioggia che neanche una lucidatrice avrebbe saputo renderla tale. Una babele di lingue la recupera e se ne impossessa, o la attraversa, fino in via Giolitti passando al suo interno, o recuperandone “le viscere” dove corrono i trenini della metro A o B. Tra poco toccherà anche a me, recuperare l’attraversamento pedonale di via Marsala, liberata, l’atrio, il varco, il binario, la freccia. Ma prima, c’è spazio e tempo per un caffe, un cappuccino, un bignè. Da Trombetta? Vedremo. Ma ho tempo per godermi la dolcezza di questo ticchettio che non è il tempo che scorre ma semplicemente, tempo. Mio.
Affacciato alla finestra prima, al finestrino poi, con la pioggia che cade, petpendicolarmente.
Bello
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